Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-11, n. 202300365

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-11, n. 202300365
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300365
Data del deposito : 11 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/01/2023

N. 00365/2023REG.PROV.COLL.

N. 08283/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8283 del 2021, proposto dal
Comune di Fano Adriano (TE), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. V C I e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via Dora, n. 1;

contro

Gran Sasso Teramano S.p.A. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. Divinangelo D’Alesio e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia;

per l’annullamento e/o la riforma,

previa concessione di idonea misura cautelare,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – L’Aquila, Sezione Prima, n. 346/2021 del 22 giugno 2021, resa tra le parti e notificata il 28 giugno 2021, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. 428/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, formulata in via incidentale dal Comune appellante;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Gran Sasso Teramano S.p.A. in liquidazione;

Visti la memoria e i documenti della società appellata;

Viste la dichiarazione di rinuncia all’istanza cautelare presentata dal Comune appellante e l’ordinanza della Sezione V n. 6141/2021 del 12 novembre 2021, che ne ha preso atto e per l’effetto ha dichiarato l’istanza improcedibile;

Viste le memorie e le repliche delle parti;

Viste le istanze delle parti di passaggio della causa in decisione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2022 il Cons. Pietro De Berardinis e dato atto che nessuno è comparso per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe il Comune di Fano Adriano (TE) ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, n. 346/2021 del 22 giugno 2021, chiedendone l’annullamento e/o la riforma, previa concessione di idonee misure cautelari.

1.1. La sentenza appellata ha respinto il ricorso presentato dal Comune per ottenere la risoluzione ex art. 1453 c.c. del “ contratto di concessione di terre del demanio civico universale in località Prato Selva ” stipulato con la società Gran Sasso Teramano S.p.A. il 4 agosto 2006, nonché il risarcimento dei danni e la condanna della predetta società alla rimozione degli impianti di risalita “ Prato Selva – Colle Abetone ” e “ Prato Selva – Ginestra ” e al ripristino dello stato dei luoghi.

2. In fatto, il Comune appellante espone che la Gran Sasso Teramano S.p.A. (d’ora in poi anche solo Società, o GST) è una società a capitale pubblico che ha chiesto la concessione di terreni in località “Prato Selva” (nel territorio del Comune di Fano Adriano) per realizzare un nuovo impianto sciistico “ La Ginestra ” ed esercitare l’attività scioviaria. Senonché, ottenuta la concessione (con la stipula del relativo contratto in data 4 agosto 2006), comprensiva della gestione anche del preesistente impianto sciistico “ Prato Selva – Colle Abetone ” e degli impianti annessi, la GST ha corrisposto al Comune il canone annuo previsto in concessione (pari ad € 15.000,00) fino al 2012, ma da tale data ha interrotto ingiustificatamente i pagamenti.

2.1. La Società, inoltre, pur essendo tenuta in base alla concessione alla rimozione del preesistente impianto di risalita “ Prato Selva – Colle Abetone ” una volta che questo avesse raggiunto il cd. fine vita tecnico, nel 2016 (allorché tale circostanza si è verificata) non ha adempiuto né all’obbligo di rimozione del suddetto impianto per sopraggiunto termine della sua durata tecnica, né all’obbligo di ripristino dei luoghi nello stato in cui si trovavano prima della stipula della concessione.

2.2. L’appellante precisa, altresì, che con delibera del 6 dicembre 2016 l’assemblea straordinaria dei soci della Gran Sasso Teramano S.p.A. ha posto in liquidazione la società, attesa l’impossibilità di immettervi nuovi fondi. Il Comune di Fano Adriano, che ha una partecipazione di minoranza nella stessa (n. 3 azioni), si è astenuto dalla votazione. Per effetto di tale decisione, da un lato, nel triennio dal 2017 al 2019 i commissari liquidatori hanno proseguito nello svolgimento dell’attività di impresa, gestendo gli impianti di risalita dapprima direttamente e poi mediante concessione in godimento a terzi. Dall’altro lato, sono state avviate le attività dirette alla cessione a terzi della Società mediante procedure selettive, che, tuttavia, allo stato risultano non concluse.

2.3. Dolendosi degli inadempimenti poc’anzi ricordati, e del loro perdurare nel tempo, il Comune di Fano Adriano ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. Abruzzo – L’Aquila chiedendo, ai sensi dell’art. 1453 c.c., la risoluzione del contratto di concessione stipulato con la GST il 4 agosto 2006. Inoltre, con il ricorso il Comune ha domandato il risarcimento in forma specifica e per equivalente dei danni lamentati, chiedendo il pagamento dei canoni concessori scaduti dal 2012, nonché dei canoni dovuti fino alla scadenza naturale del contratto e il pagamento dei danni all’immagine dell’Amministrazione comunale. Con riferimento alla domanda di risarcimento in forma specifica, il Comune ha chiesto la rimozione dell’impianto di risalita “ Prato Selva – Colle Abetone ”, il ripristino dello stato dei luoghi e la restituzione al Comune stesso delle terre.

2.4. Con la sentenza appellata l’adito Tribunale, dopo aver affermato la devoluzione della causa alla giurisdizione del G.A., ha respinto il ricorso ritenendo che nel caso di specie difettasse il necessario presupposto della risoluzione ex art. 1453 c.c. costituito dall’imputabilità dell’inadempimento alla colpa del debitore. Afferma in particolare la sentenza che l’inadempimento degli obblighi concessori contestato alla GST non può ritenersi ad essa imputabile, in quanto l’impossibilità di far fronte alle obbligazioni è derivata dalla situazione debitoria della Società e dalla scelta dei soci di metterla in liquidazione e di approvare un piano che prevede di far fronte ai debiti societari con l’alienazione del patrimonio.

2.4.1. Aggiunge sul punto il T.A.R. che la Società non è stata nelle condizioni di poter adempiere alle sue obbligazioni a causa della situazione economico-finanziaria come determinata da scelte compiute e condivise nel tempo anche dal Comune di Fano Adriano, quale socio della stessa;
ed anzi la GST ha assunto iniziative per adempiere alle obbligazioni e procedere alla liquidazione del patrimonio per soddisfare i creditori, “ come dimostrato anche dalla ultima pubblicazione del bando di alienazione dei beni in data 15 aprile 2021 ”.

3. Nell’appello il Comune contesta l’ iter argomentativo e le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure, deducendo i seguenti motivi:

I) erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo volto ad ottenere la risoluzione della convenzione stipulata inter partes per inadempimento agli obblighi contrattuali ex art. 1453 c.c., in quanto nel caso di specie sarebbero integrati tutti i presupposti richiesti dall’art. 1453 c.c. ai fini della risoluzione per inadempimento, cioè il mancato adempimento degli obblighi contrattuali da parte del debitore, la gravità dell’inadempimento in relazione all’economia del contratto e l’imputabilità del predetto inadempimento al debitore;

II) erroneità della sentenza sotto altro profilo, ossia per la mancata pronuncia in ordine alla domanda risarcitoria, poiché dal mancato accoglimento del motivo di ricorso che chiedeva la risoluzione della convenzione sarebbe derivata l’erroneità della sentenza anche per mancata pronuncia sulla richiesta risarcitoria formulata dal Comune: questa, perciò, viene riproposta nell’atto di appello.

3.1. In conclusione, dunque, il Comune appellante ha chiesto che, in riforma della sentenza gravata, questo Consiglio: a) dichiarasse risolto, ai sensi dell’art. 1453 c.c., il contratto di concessione di terre del demanio civico universale in località “Prato Selva” stipulato tra il medesimo Comune e la GST; b) condannasse la Società al risarcimento del danno subito dal Comune, pari € 144.231,35 a titolo di canoni non corrisposti dal 2012 al 2021, nonché ad € 375.000,00 per i canoni dovuti fino alla naturale scadenza del rapporto di concessione, oltre al danno d’immagine e perdita di valore e di avviamento del complesso turistico-ricettivo “ Prato Selva ”, quantificato in € 100.000,00;
c) condannasse ancora la GST alla rimozione degli impianti insistenti sull’area in concessione arrivati al cd. fine vita tecnico e degli altri impianti ivi esistenti con conseguente risanamento ambientale dell’area.

3.2. Si è costituita in giudizio la Gran Sasso Teramano S.p.A. in liquidazione, depositando di seguito documenti e una memoria, con cui ha eccepito l’infondatezza dei motivi di appello e concluso per la reiezione dello stesso.

3.3. Il Comune di Fano Adriano ha depositato dichiarazione di rinuncia all’istanza cautelare, di cui si è preso atto con ordinanza della Sezione V n. 6141/2021 del 12 novembre 2021, che per l’effetto ha dichiarato l’improcedibilità di detta istanza.

3.4. In vista dell’udienza di merito le parti hanno depositato rispettive memorie conclusive e repliche, nonché istanze di passaggio della causa in decisione sulla base degli scritti difensivi.

3.5. All’udienza pubblica dell’11 ottobre 2022 il Collegio, preso atto che nessuno è comparso per le parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. Con il primo motivo d’appello, come accennato, il Comune di Fano Adriano contesta la sentenza di prime cure per non avere essa ritenuto integrati nella fattispecie tutti i presupposti richiesti dall’art. 1453 c.c. ai fini della risoluzione per inadempimento.

4.1.1. In particolare, nel caso di specie sussisterebbe anzitutto l’inadempimento da parte del debitore (GST) degli obblighi assunti in convenzione, a cominciare dal mancato pagamento del canone annuo stabilito nella convenzione stessa, per un totale di € 144.131,35, di cui € 108.530,93 per canoni dovuti sino al 31 dicembre 2018 (credito azionato dal Comune con decreto ingiuntivo e pedissequo precetto) ed € 35.700,42 per canoni non esigibili al tempo del ricorso per decreto ingiuntivo, siccome relativi agli anni 2019 e 2020, ma venuti nel frattempo a scadenza e divenuti pertanto esigibili ed esecutivi in forza dell’avviso ex art. 1, comma 792, lett. a) , della l. n. 160/2019 notificato via P.E.C. alla GST e rimasto privo di riscontro. La Società si sarebbe poi resa inadempiente agli altri obblighi assunti in convenzione e non rispettati e in particolare a quello, previsto dall’art. 3, di procedere alla rimozione e allo smantellamento degli impianti preesistenti per i quali fosse sopraggiunto il cd. fine vita tecnico, con conseguente ripristino dello stato dei luoghi: ciò avrebbe comportato l’obbligo per la Società di rimuovere l’impianto “ Campo dei venti – Colle Abetone ”, giunto al cd. fine vita tecnico nel 2016, in conformità alla l.r. 9 settembre 1983, n. 61, e di procedere, ai sensi dell’art. 10 della convenzione, al rilascio delle terre civiche in concessione.

4.1.2. Nel caso di specie sussisterebbe, poi, l’ulteriore presupposto della risoluzione costituito dalla gravità dell’inadempimento in relazione all’economia del contratto, potendosi procedere nei contratti a prestazioni corrispettive alla risoluzione del contratto per omesso pagamento dei canoni quando tale inadempimento comporti la rottura dell’equilibrio contrattuale: la gravità dell’inadempimento, infatti, andrebbe verificata in relazione non solo alla sua entità oggettiva, ma anche all’interesse che l’altra parte intende realizzare. La gravità dell’inadempimento della GST troverebbe conferma nel fatto che le aree su cui insiste l’impianto da rimuovere sono incluse nel “Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga” e dunque si trovano in area sottoposta a vincolo ambientale.

4.1.3. Da ultimo, sussisterebbe l’imputabilità dell’inadempimento al debitore (la Società), poiché, al contrario di quanto ritenuto dal T.A.R. non potrebbe sostenersi che manca l’elemento soggettivo della colpa della Società in quanto quest’ultima è in stato di liquidazione e presenta una grave situazione patrimoniale debitoria: tale condizione, infatti, non renderebbe gli inadempimenti sopra descritti non imputabili, trattandosi piuttosto di prestazione divenuta impossibile. Peraltro, ai fini della risoluzione non sarebbe necessario un inadempimento colpevole, essendo sufficiente il mero inadempimento non colpevole, come sottolineato dalla dottrina più autorevole. Né la messa in liquidazione della Società impedirebbe la risoluzione del contratto richiesta al giudice dal creditore, avendo la giurisprudenza ritenuto ammissibile il rimedio risolutorio pure nei confronti di società fallite e quindi di società in condizioni economiche ben più gravi di quella oggetto del presente giudizio.

4.2. Il motivo è parzialmente fondato, ma la sua parziale fondatezza non conduce all’accoglimento dell’appello.

4.3. In dettaglio, gli inadempimenti di cui si duole il Comune appellante sono pacifici e incontestati, essendo stati esplicitamente ammessi dalla stessa GST nelle sue difese (v. ad es. p. 6, nonché pp. 11 e ss. della memoria depositata il 5 novembre 2021), oltre che dati per presupposti dalla sentenza di prime cure. Analogamente, è incontestabile la gravità dei suddetti inadempimenti, essendo sul punto sufficiente rilevare che la GST non ha più versato i canoni pattuiti a partire dal 2012, determinando un debito insoluto superiore ad € 90.000,00 al 31 dicembre 2017, per non parlare poi della mancata rimozione dell’impianto sciistico giunto al cd. fine vita tecnico. Ma, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., almeno per le obbligazioni pecuniarie ricadenti sulla GST non si può per nulla affermare che l’inadempimento di tali obbligazioni non sia imputabile alla Società e che a carico di quest’ultima difetti l’elemento soggettivo della colpa.

4.4. Invero, nei suoi scritti la GST richiama i contenuti dell’assemblea straordinaria della Società del 6 dicembre 2016, nella quale si è decisa l’apertura del procedimento di scioglimento e liquidazione volontaria della stessa GST ai sensi dell’art. 2484, primo comma, n. 6, c.c.;
ricorda in particolare sul punto come la Provincia di Teramo, socio di maggioranza della Società, avesse spiegato la richiesta di convocazione dell’assemblea straordinaria degli azionisti per deliberare lo scioglimento di GST e la sua liquidazione in ragione dell’impossibilità di immettervi nuovi fondi. L’improcrastinabilità della messa in liquidazione veniva ricollegata dall’Ente azionista di maggioranza anche alla sopravvenuta disciplina del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, il cui art. 4 impone di motivare analiticamente la scelta delle Pubbliche Amministrazioni di perseguire le finalità istituzionali mediante società appositamente costituite: siffatta scelta deve essere giustificata anche sui piani della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e deve dare conto della sua compatibilità con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, ma nel caso di specie ciò – ad avviso della Provincia – era impossibile, risultando il principio della convenienza economica fortemente compromesso a causa dei ripetuti risultati negativi di gestione registrati.

4.4.1. Al riguardo osserva, però, il Collegio che tale motivazione può valere unicamente a giustificare l’impossibilità della ricapitalizzazione della GST dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016 (cd. riforma Madia) e, quindi, la decisione presa dai soci nell’assemblea straordinaria del 6 dicembre 2016 di non procedere alla suddetta ricapitalizzazione, ma di deliberare lo scioglimento della Società e la sua liquidazione. Il richiamo alla cd. riforma Madia non vale, invece, a giustificare l’inadempimento dei debiti via via accumulati da GST nelle annualità anteriori, quando ancora non vi erano gli ostacoli giuridici alla ricapitalizzazione della Società introdotti dal d.lgs. n. 175/2016: l’inadempimento di tali debiti – tra cui rientrano certamente i canoni non pagati dalla GST al Comune di Fano Adriano a far data dal 2012 (quindi ben prima del 2016) – risulta, quindi, ingiustificato e senz’altro imputabile alla Società. Né questa può pretendere di esimersi dalla responsabilità scaricandola sui soci pubblici, in quanto i competenti organi societari avrebbero dovuto adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie per l’adempimento dei debiti in discorso, compresa l’assemblea degli stessi soci mediante opportune ricapitalizzazioni: ma non risulta che ciò sia avvenuto, determinandosi così il progressivo aumento dei debiti insoluti, che va, perciò, imputato a GST.

4.4.2. Inoltre, l’ormai ripetuto andamento negativo della gestione societaria – circostanza pacifica tra le parti (v. la delibera dell’assemblea straordinaria dei soci di GST del 6 dicembre 2016, dove sono ricordati i “ reiterati risultati negativi registrati ”) – non può che essere imputato alla responsabilità della Società, sicché anche per questo verso non può parlarsi, come fa il T.A.R., di inadempimento incolpevole.

4.5. In definitiva, ai fini che qui interessano è irrilevante stabilire se la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. possa essere richiesta nella sola ipotesi di inadempimento colpevole, ovvero anche in caso di mero inadempimento non colpevole, giacché nel caso di specie l’inadempimento di GST è senz’altro frutto di una condotta della Società connotata dall’elemento soggettivo della colpa: ciò vale senz’altro per quella parte delle obbligazioni pecuniarie della Società relative al pagamento dei canoni dal 2012 al 2016, ma a ben guardare si può estendere a tutte le obbligazioni rimaste inadempiute (e quindi anche a quella di mancata rimozione dell’impianto scioviario), essendo l’inadempimento da imputare, in sostanza, ai reiterati risultati negativi registrati nella gestione societaria, non conforme ai principi di efficacia, efficienza ed economicità.

5. Da quanto detto emerge che la motivazione della sentenza appellata, nella parte in cui ha affermato che l’inadempimento contestato alla Società non è alla stessa imputabile, è errata. La fondatezza della censura dedotta sul punto dal Comune appellante non conduce, però, all’accoglimento dell’appello, ma, più limitatamente, alla correzione in parte qua della motivazione stessa, nel senso che di seguito si va ad esporre.

5.1. Invero, l’appello non può essere accolto alla luce dell’infondatezza delle altre doglianze in esso contenute (e, in specie, di quella della compatibilità della risoluzione con la messa in liquidazione di GST) e delle ricadute che ne discendono ai fini della presente decisione.

5.2. Come si è visto, il Comune di Fano Adriano sostiene che la messa in liquidazione della Società non impedirebbe la risoluzione del contratto richiesta al giudice dal creditore, attesa la possibilità – affermata dalla giurisprudenza – di esperire il rimedio risolutorio anche nei confronti di società fallite e dunque versanti in condizioni economiche ben più gravi di GST.

5.3. L’assunto non può essere condiviso.

5.3.1. La giurisprudenza espressasi sui rapporti tra risoluzione del contratto e procedure concorsuali (Cass. civ., Sez. VI, 9 agosto 2017, n. 19914) ha affermato che il principio sancito dall’art. 51 L. Fall. (divieto di azioni esecutive e cautelari individuali dal giorno della dichiarazione di fallimento) nega al creditore concorsuale iniziative giudiziarie che alterino la par conditio creditorum , precludendogli, salve le tipiche eccezioni, l’azionabilità degli ordinari mezzi tutela del credito se e quando questi possano determinare, per gli effetti loro propri, una soddisfazione delle ragioni creditorie che sfugga alla regola del concorso sostanziale e comporti una tutela satisfattiva tale da eludere la regola della cristallizzazione dei crediti e dell’indisponibilità dei beni acquisiti al fallimento. In applicazione di tale principio, la giurisprudenza costante ha escluso che dopo il fallimento del debitore il creditore possa proporre domanda di risoluzione del contratto, neanche nell’ipotesi di domanda diretta a far accertare, sempre con riferimento ad un inadempimento anteriore, l’avveramento di una condizione risolutoria, salvo che la domanda non sia stata introdotta prima della dichiarazione di fallimento, in quanto altrimenti la relativa pronuncia produrrebbe effetti restitutori e risarcitori lesivi del principio di paritario soddisfacimento di tutti i creditori e cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche (cfr., ex plurimis , Cass. civ., Sez. 16 maggio 2002;
n. 7178;
id., 17 gennaio 1998, n. 376;
id., 9 dicembre 1998, n. 12396;
id., 9 dicembre 1982, n. 6713;
Sez. II, 26 marzo 2001, n. 4365). Ne consegue che la domanda di risoluzione di un contratto, quand’anche finalizzata a un risarcimento del danno, è attratta dal foro fallimentare (Cass. civ., Sez. I, 2 dicembre 2011, n. 25868).

5.3.2. A ben guardare, la stessa giurisprudenza invocata dall’appellante (Cass. civ., Sez. I, 13 giugno 1983, n. 4045) è conforme a quanto appena detto, perché afferma che la domanda di risoluzione del contratto e di restituzione delle cose in base ad esso consegnate, proposta a norma dell’art. 1453 c.c., non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto e perciò ha riguardo all’ipotesi in cui la domanda di risoluzione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento.

5.4. In ogni caso, la dichiarazione di fallimento non preclude ex se la proposizione di una domanda di risoluzione (di natura dichiarativa, in presenza di clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., o costitutiva, per inadempimento ex art. 1453 c.c.) “ ove finalizzata a far valere in sede concorsuale le conseguenti pretese restitutorie e risarcitorie nelle forme della L. Fall., artt. 103 e 93 ss. ” (Cass. civ., Sez. I, 27 aprile 2018, n. 10294;
id., 29 febbraio 2016, n. 3953).

6. Il Collegio ritiene che i principi ora esposti, regolanti i rapporti tra rimedio risolutorio e fallimento del debitore inadempiente, siano estensibili, sulla base dell’ eadem ratio , anche alla fattispecie – che qui ricorre – della procedura di liquidazione volontaria del debitore inadempiente: anche in tal caso, infatti, vi è l’esigenza di evitare che l’esperimento individuale del rimedio risolutorio produca effetti restitutori e risarcitori lesivi del principio di paritario soddisfacimento di tutti i creditori, vanificando le stesse finalità della procedura liquidativa. Ciò, tenuto conto che la proposizione della domanda di risoluzione da parte del Comune di Fano Adriano risale al dicembre 2020, dunque è ben posteriore alla delibera dell’assemblea straordinaria degli azionisti di GST del 6 dicembre 2016 che ha deciso la messa in liquidazione della Società, aprendo la procedura liquidativa da improntare ad un rigoroso rispetto della par condicio creditorum .

6.1. Sul punto il Collegio condivide i contenuti del parere legale del 3 dicembre 2019, versato in atti in primo grado, che ha indotto la GST a rifiutare la proposta del Comune volta alla compensazione del credito da esso vantato con il trasferimento in proprio favore della proprietà dell’immobile sito in località Prato Selva e adibito ad albergo-ristorante. Ha osservato il predetto parere che la procedura liquidativa, all’epoca già in atto, “ è volta prioritariamente alla monetizzazione del patrimonio ed alla conseguente soddisfazione dei creditori sociali, ed il liquidatore deve esercitare il proprio compito al fine di assicurare un maggiore e migliore risultato sia in termini qualitativi che quantitativi ”. Pur non prevedendo la normativa vigente specifiche disposizioni in merito all’ordine di pagamento dei creditori, si deve tuttavia ritenere “ applicabile, secondo la Giurisprudenza maggioritaria, il generale principio della par condicio creditorum (art. 2741 c.c.) per effetto del quale il liquidatore, in caso di incapienza dell’attivo rispetto all’ammontare dei debiti, è tenuto a rispettare le cause legittime di prelazione ”, con conseguente soddisfacimento prima dei creditori muniti di privilegio speciale, poi di quelli con privilegio generale e infine dei creditori chirografari, nei limiti consentiti dagli esiti della liquidazione. Ove detto principio sia violato e si verifichi un’incapienza patrimoniale, il liquidatore che non abbia adottato le condotte necessarie ad assicurare la parità di trattamento dei creditori “ è responsabile per l’eventuale danno subito dal creditore incapiente ”. Da quanto detto – conclude il parere – discende che la fase di liquidazione dell’attivo va eseguita “ con la massima trasparenza, senza agevolare alcun creditore ” e che “ non appare quindi consigliabile l’assegnazione di un bene immobile a trattativa privata, ad un creditore (il Comune di Fano Adriano) , tra l’altro anche socio, modalità che costituirebbe inevitabilmente un trattamento preferenziale ”.

6.2. Nello stesso senso si è espressa la recente giurisprudenza della Cassazione (Sez. III, 15 gennaio 2020, n. 521), la quale ha affermato che il principio della par condicio creditorum vige non solo nelle procedure concorsuali, ma già nella fase di liquidazione di una società.

6.2.1. La pronuncia in commento osserva che “ in relazione all’attuale normativa che espressamente tutela la posizione di creditori in tale delicata fase conseguente allo scioglimento della società, anche se in ipotesi non dichiarato, imponendo agli amministratori tenuti a gestire la società scioltasi per qualsiasi causa, anche di diritto, "ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale", ex art. 2486 c.c., comma 1, tra le Corti di merito si è diffusa l’opinione in base alla quale sul gestore del patrimonio da destinare alla liquidazione ( i.e. il liquidatore nominato a tal fine ex art. 2487 c.c.) gravi l’obbligo di rispettare il precetto della par condicio creditorum , sebbene detto obbligo non sia espressamente menzionato nelle norme di settore. Fra le pronunce più attuali si riscontrano affermazioni di responsabilità del liquidatore che, in presenza di una situazione di sostanziale insolvenza della società, non abbia proceduto ad una gestione liquidatoria informata ai criteri dell’art. 2741 c.c., e quindi al rispetto del principio della par condicio creditorum, consentendo la pretermissione di un credito assistito da privilegio ovvero anche pagamenti preferenziali di alcuni creditori a scapito di altri. E così, da ultimo, si è giunti ad affermare che il liquidatore di una società a responsabilità limitata è responsabile, ai sensi delle generali previsioni di cui all’art. 2043 c.c. e art. 2476 c.c., comma 6, per il danno patito dal creditore che, al termine della procedura di liquidazione, sia stato soddisfatto in una percentuale inferiore rispetto a quella di altri creditori di pari grado ”.

6.2.2. Aggiunge sul punto la pronuncia che “ l’evoluzione giurisprudenziale sopra descritta dimostra come il principio della par condicio creditorum sia certamente un corretto parametro per considerare la sussistenza e l’entità di una lesione del credito avvenuta per opera del liquidatore nella fase di liquidazione del patrimonio della società, a prescindere dall’apertura di una procedura concorsuale, valendo esso come criterio generale per disciplinare la fase di pagamento dei debiti sociali nel corso della liquidazione. Tale principio, infatti, è ricavabile dalle norme generali che negli artt. 2740 e 2741 regolano il concorso dei creditori e le cause di prelazione, laddove si prescrive l’obbligo del debitore di effettuare i pagamenti rispettando "il diritto dei creditori ad essere egualmente soddisfatti, salvo le cause legittime di prelazione" ”. Ne segue che se “ precipuo dovere del liquidatore è quello di procedere a un’ordinata liquidazione del patrimonio sociale pagando i debiti sociali, per conto della società debitrice, secondo il principio di par condicio creditorum , pur nel rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione, al fine di evitare quindi la compressione dei diritti dei creditori che quel patrimonio è, per definizione, destinato a garantire, è logico assumere che in capo al medesimo liquidatore gravi l’obbligo di accertare la composizione dei debiti sociali prima di procedere ai relativi pagamenti, riparando gli eventuali errori od omissioni commessi dagli amministratori cessati dalla carica nel rappresentare la situazione contabile e patrimoniale della società, riconoscendo debiti eventualmente non appostati nei bilanci. Pertanto, tra gli obblighi del liquidatore si annovera anche quello di accertare l’insieme dei debiti sociali e di graduarli nel rispetto dei privilegi legali che li assistono, il pagamento dei quali, per loro natura, dovrà essere antergato rispetto a quello di crediti non assistiti da alcuna causa di prelazione ”.

6.3. In definitiva, nella fattispecie in esame il Comune ha proposto una domanda di risoluzione della concessione in essere quando ormai da tempo era pendente la procedura di liquidazione del debitore inadempiente: tale domanda, ove accolta, rischierebbe di vanificare la procedura stessa, poiché essa comporterebbe, con i suoi effetti sul piano restitutorio e vista la proposizione, altresì, della domanda risarcitoria (in forma specifica e per equivalente), un depauperamento del patrimonio societario lesivo del suesposto principio della par condicio creditorum , accordando un pagamento preferenziale a uno dei creditori a discapito degli altri, in violazione di detto principio. E identico discorso va fatto per la restituzione al Comune delle aree in concessione.

7. Tutte le ragioni fin qui esposte conducono, quindi, alla reiezione sia della domanda di risoluzione proposta dal Comune, sia a quella di risarcimento (in forma specifica e per equivalente) ripresentata con il secondo motivo di appello: motivo che, perciò, deve essere disatteso.

7.1. A correzione della motivazione della sentenza di prime cure, va precisato che la reiezione delle domande presentate da parte ricorrente discende non già dalla non imputabilità dell’inadempimento ( rectius : degli inadempimenti) in cui è incorsa la GST, ma dall’applicazione, anche alla procedura di liquidazione per cui è causa, delle regole delle procedure concorsuali e, in specie, di quella ex art. 51 L. Fall., ai fini della salvaguardia del principio della par condicio creditorum , che governa anche le procedure liquidative delle società.

8. In conclusione, l’appello deve essere respinto, meritando la sentenza gravata di essere confermata pur con la correzione in punto di motivazione che si è indicata al punto precedente.

9. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio di appello, attesa la complessità delle questioni affrontate.

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