Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-03-01, n. 201201194
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Testo completo
N. 01194/2012REG.PROV.COLL.
N. 10439/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10439 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Casa di Cura C.G. R S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. G T, F M, con domicilio eletto presso G T in Roma, largo Arenula N.34;
contro
Regione Campania, rappresentata e difesa dall'Avv. M L, domiciliata per legge in Roma, via Poli, 29;
Azienda Sanitaria Locale Napoli 1, rappresentata e difesa dall'avv. L B, con domicilio eletto presso L B in Roma, via Poli, 29;
Gestione Liquidatoria dell'Ex Usl 37 della Campania, rappresentata e difesa dall'Avv. L B, domiciliata per legge in Roma, via Poli, 29;
Banco di Napoli S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso Giuseppe Franco Ferrari in Roma, via di Ripetta, 142;
per la riforma
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. V n. 04237/2009, resa tra le parti, concernente il risarcimento dei danni a seguito della risoluzione del convenzionamento con la casa di cura.
Visti il reclamo proposto dalla Regione Campania nel corso del giudizio in epigrafe specificato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2012 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Terracciano, in proprio e per delega dell'Avv. Merlino, Lacatena e Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con decisione di questo Consiglio di Stato, sezione V, n. 2755/2005, resa in data 30.5.2005, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso proposto dalla Casa di cura C.G. R s.p.a. avverso la deliberazione con la quale l’ ex U.s.l. 37 (ora A.s.l. Napoli 1) della Campania in data 28.4.1993 aveva dichiarato risolto il rapporto di convenzionamento in essere tra la Casa di cura e il S.s.n., ai sensi dell’art. 44, legge n. 833/1978.
2. Con la successiva decisione 30 giugno 2009, n 4237 il Consiglio, in riforma della sentenza di prime cure, ha accolto il ricorso finalizzato ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla citata delibera n. 278/1993.
La Sezione ha nell’occasione rilevato che l’illegittimità della condotta dell’Amministrazione, così come la colpevolezza, erano state già accertate con la decisione n. 2755/2005 cit., sia per aver l’amministrazione adottato il provvedimento di risoluzione del convenzionamento precedentemente in atto, sia per aver colpevolmente ritardato il riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, così configurando sia un’ipotesi di c.d. “danno da disturbo”, sia un’ipotesi di c.d. “danno da ritardo”.
Il Collegio ha osservato, quindi, che nella vicenda in esame l’appellante ha dimostrato la sussistenza di tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria, così come individuati dalla giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015). Ed invero: sussiste l’elemento soggettivo, ovvero la colpa della P.A., che nella fattispecie è stata accertata da questo Consiglio con la pronuncia n. 2755/2005 ed espressamente ricollegata alla violazione degli obblighi di correttezza e buona fede;vi è l’evento dannoso, come anche la qualificazione del danno come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento e meritevole di protezione giuridica;esiste, infine, il nesso di causalità con l’illegittimità degli atti adottati o comunque con la condotta, sia commissiva (illegittima risoluzione del rapporto di convenzionamento) che omissiva (grave e notevole ritardo nel portare a compimento il procedimento di accreditamento) della P.A.
Nella fattispecie, ha puntualizzato la Sezione, può ritenersi configurabile anche una responsabilità contrattuale dell’amministrazione, direttamente riveniente dal non aver ripristinato la convenzione, non consentendo alla Clinica di erogare le relative prestazioni sanitarie, nonostante fosse intervenuta l’ordinanza del TAR di sospensione della risoluzione del convenzionamento e nonostante l’odierna appellante avesse comunicato di accettare il nuovo sistema di remunerazione a tariffa già dal 1995.
Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’attività dell’amministrazione, con il suo connotato di discrezionalità, era comunque imprescindibile sia per ripristinare il convenzionamento in un primo momento, sia per poter attribuire poi l’accreditamento.
Da ciò deriva che, indipendentemente dalle iniziative della Clinica, che pure nella fattispecie risultano intraprese e dimostrate documentalmente, l’amministrazione avrebbe dovuto ripristinare la convenzione già nel 1993 a seguito del provvedimento cautelare e avrebbe dovuto avviare il procedimento per il riconoscimento dell’accreditamento dopo la formale richiesta inoltrata dall’appellante in data 6.2.1995.
Del pari la decisione di questo Consiglio ha considerato non corretta la sentenza impugnata sotto il profilo della pretesa esclusione della valutabilità dell’operato dell’Amministrazione in relazione al mancato riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, per la ragione che la Clinica avrebbe circoscritto la propria richiesta risarcitoria ai danni derivanti dalla delibera di risoluzione del convenzionamento.
In disparte la considerazione, svolta dall’appellante, che se l’Amministrazione non avesse illegittimamente risolto il rapporto convenzionale, o quanto meno se l’avesse ripristinato a seguito dell’adozione dell’ordinanza del TAR del 6.7.1993, la Clinica avrebbe avuto il titolo per poter continuare a svolgere, senza interruzioni, le proprie prestazioni a favore del Servizio Sanitario Nazionale, e ciò in applicazione della disciplina del passaggio dal vecchio sistema del convenzionamento al nuovo sistema dell’accreditamento sulla base di tariffe predeterminate, resta il dato che la stessa decisione di questo Consiglio n. 2755/2005, nell’accertare l’illegittimità della delibera di risoluzione del convenzionamento, costituisce sicuramente un valido presupposto su cui l’appellante fonda la propria richiesta risarcitoria;tale decisione, infatti, nell’annullare la delibera di risoluzione del 1993, evidenzia l’illegittimità dell’operato posto in essere dall’Amministrazione in quanto contrario agli obblighi di correttezza, trasparenza e buona fede, sottolineando come “il principio di buona fede oggettiva è posto dall’ordinamento a fondamento non solo dell'attività dei soggetti privati ma anche, a maggior ragione, di quelli pubblici” (cfr. Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2000, n. 1111), e che “il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore e che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione dell’altro contraente”.
In sede di esame delle singole voci di danno risarcibile a titolo di danno emergente il Collegio ha concluso che il comportamento illegittimo posto in essere dalle Amministrazioni ha causato, quale conseguenza immediata e diretta, la perdita da parte della R s.p.a. delle prestazioni che espletava in regime di convenzione e cioè dei ricavi corrispondenti alle attività per le quali era originariamente convenzionata e che avrebbe potuto continuare a svolgere se le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento provvisorio, con remunerazione a tariffa.
Per la quantificazione di tale voce di danno il Collegio ha ritenuto di fare applicazione della disposizione di cui all’art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 80 del 1998, stabilendo i criteri in base ai quali l’Amministrazione pubblica avrebbe dovuto proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine, tendendo conto dei risultati conseguiti e documentati nel passato nonché della riduzione, che nel tempo si è avuta, della durata media dei giorni di degenza.
Il Consiglio ha previsto anche il computo della rivalutazione monetaria (trattandosi di debito di valore) e degli interessi, dal 1993 (momento dell’adozione del provvedimento di risoluzione della convenzione) al riconoscimento dell’accreditamento (2006), oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
3. Con la decisione n. 4312/2010 questo Consiglio ha quindi accolto il ricorso per ottemperanza proposto dalla citata Casa di Cura, risultando palese l’inadempimento sopra meglio descritto, tanto più in rapporto all’esigua somma di contro offerta alla Casa di cura creditrice.
Il Consiglio ha ribadito e puntualizzato le singole voci di danno risarcibile:
- minor utile realizzato a causa della risoluzione del rapporto convenzionale e del mancato accreditamento delle prestazioni sanitarie con la regione per il periodo 30.4.1993/30.11.2006 (= euro 39.756.791,00, secondo la perizia di parte in atti).
- perdita immediata e diretta, da parte della R s.p.a., delle prestazioni espletate in regime di convenzione, ovvero, ricavi corrispondenti alle attività per le quali era originariamente convenzionata e che avrebbe potuto continuare a svolgere se le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento provvisorio, con remunerazione a tariffa.
- mancati introiti, integranti una somma ragguagliata ai risultati conseguiti e documentati nel passato, nonché alla riduzione, avuta nel tempo, della durata media dei giorni di degenza.
La Sezione ha quindi accolto il ricorso in ottemperanza, nominando quale commissario ad acta, in veste anche di perito d’ufficio, il Dirigente l’Ufficio di ragioneria della Prefettura di Roma, con l’incarico di determinare con precisione la somma in questione e di provvedere al suo versamento alla Casa di cura interessata. La Sezione ha stabilito, in particolare, che detto Commissario avrebbe provveduto ai sensi dell’art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80 del 1998, formulando una proposta da sottoporre all’avente titolo entro il termine di giorni sessanta decorrenti dalla notificazione o comunicazione della decisione.
4. Con determinazione commissariale del 6 agosto 2010, integrata da apposita relazione peritale, il Commissario ha calcolato la somma dovuta alla Casa di cura nella misura complessiva di euro 66.357.246,36, di cui euro 54.213.308 a titolo di danno, euro 5.029.348,54 a titolo di rivalutazione ed euro 7.114.489,39 a titolo di interessi legali. Su detta determinazione è intervenuta l’adesione della parte privata.
5.Con separati reclami la Regione Campania, l’ Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 e la Gestione Liquidatoria dell'Ex Usl 37 contestavano la determinazione commissariale.
Dal canto suo la Casa di Cura R S.p.A proponeva ulteriore domanda risarcitoria e articolava apposito reclamo incidentale condizionato.
Il Commissario a sua volta depositava ulteriore elaborato contenente controdeduzioni rispetto alle censure sviluppate dalle parti reclamanti.
6. Con la decisione n. 443/2011 il Consiglio di Stato chiedeva al consulente tecnico un ulteriore approfondimento tecnico da attuare nel pieno contradddittorio con le parti ed il rispettivi consulenti tecnici.
Si stabiliva, in particolare, che il Commissario, nella veste già riconosciutagli di perito d’ufficio, acquisiti tutti i necessari elementi valutativi e documentali dalle parti, avrebbe depositato ulteriore relazione volta ad analizzare i temi specifici interessati dai reclami, ossia il calcolo delle giornate di degenza, l’individuazione della percentuale di occupazione e l’individuazione del DRG medio.
Si precisava che nello svolgere tali indagini, il Commissario avrebbe dovuto: a)adottare, in sede di calcolo delle giornate di degenza possibili, un criterio valutativo che consenta in modo puntuale l’apprezzamento del danno patito in ragione del mancato utilizzo solo dei settanta posti letto in regime di convenzione;b) acquisire tutti i documenti necessari al fine di ricostruire la percentuale di occupazione realizzata della Casa di Cura resistente nel 1992;c) quantificare il DRG medio in relazione all’intero arco temporale tra il 1993 ed il 2006 tenendo conto delle prestazioni rese dalla Casa di Cura.
7. In data 7 giugno 2011 il consulente ha depositato la relazione pervenendo alla stima finale del danno nella misura di euro 50.786.604 oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Le parti hanno depositato memorie, corredate da elaborati tecnici, con le quali hanno contestato alcuni profili dell’operato del Commissario.
8.Con la decisione 26 luglio 2011, n. 4466 il Consiglio ha accolto in parte il reclamo proposto dalla Regione Campania nei confronti della determinazione commissariale ed ha stabilito nuovi e integrativi criteri di computo.
In esecuzione di detta statuizione il Commissario, in data 5 agosto 2011, ha adottato una nuova determinazione con la quale ha liquidato la somma da corrispondere alla Casa di Cura nella misura di euro 40.310.813,46, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Con il reclamo in esame la Regione contesta la nota commissariale del 20 settembre 2011 con la quale il Commissario ha emesso un ordine speciale di pagamento nei confronti del Banco di Napoli, in favore della casa di cura R, per un importo parti a euro 40.382.911,00.
Resiste la Casa di Cura R.
Si sono costituite le parti in epigrafe specificate.
9. Il reclamo è infondato.
9.1. Non è fondato, in primo luogo, il motivo di ricorso con cui si deduce l’esorbitanza dell’operato del Commissario rispetto ai limiti dei poteri conferitigli dalla rammentata decisione n. 4466/2011, che aveva delegato il Commissario all’adozione dei provvedimenti finalizzati alla determinazione ed alla liquidazione del danno, senza comprendere, in via esplicita, la fase successiva dell’emissione del mandato di pagamento. Si deve osservare, infatti, che il tenore letterale del decisum da ultimo citato va apprezzato in combinazione con la decisione n. 4312/2010 con cui questa Sezione aveva, expressis verbis, demandato il Commissario ad acta, anche nella veste di perito d’ufficio, a provvedere non solo alla determinazione della somma ed alla sua liquidazione ma anche al relativo versamento. Si deve soggiungere che, sul versante teleologico, la latitudine del potere commissariale va calibrata in funzione dell’esigenza di garantire l’attuazione pienamente satisfattoria del dictum giudiziario, in ossequio ai canoni costituzionali ed europei richiamati dall’art. 1 del codice del processo amministrativo. Ne deriva l’immanenza alla fase dell’esecuzione del giudicato, garantita dall’attività del Commissario ad acta, anche dell’effettiva attribuzione della vita che si realizza, nella specie, con la corresponsione della somma riconosciuta con la sentenza oggetto di esecuzione, quantificata nell’ultima determinazione commissariale in una misura non oggetto di contestazione.
9.2. Non coglie nel segno neanche il successivo motivo di ricorso con il quale la Regione lamenta la violazione delle norme statali e regionali in materia di contabilità pubblica che procedimentalizzano l’emissione dei mandati di pagamento.
La doglianza muove dal non condivisibile presupposto dell’assoggettamento dell’operato del Commissario ad acta alla regole, anche procedimentali, che reggono l’azione amministrativa.
Detta ricostruzione è infirmata dal rilievo che il Commissario è un ausiliare del giudice (artt. 21 e 114, comma 4, lett. d), del codice del processo amministrativo), titolare di un potere che trova diretto fondamento nella pronuncia giurisdizionale da portare ad esecuzione. Ne deriva che detto organo è legittimato, anche al di fuori delle norme che governano l’azione ordinaria degli organi amministrativi sostituiti, ad adottare ogni misura conforme al giudicato che si appalesi in concreto idonea a garantire alla parte ricorrente il conseguimento effettivo del bene della vita di cui sia stato riconosciuto titolare nella sentenza da portare ad attuazione. L’esigenza di svincolare l’azione del Commissario dal rispetto dei vincoli procedurali ordinari dell’azione amministrativa, anche con riguardo alla disciplina procedimentale che regola l’emissione dei mandati di pagamento, trova conferma decisiva nel principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela di cui al’art. 24 della Carta Fondamentale oltre che nei principi, in tema di equità del processo ed effettività della tutela, di cui agli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU. La corretta attuazione di detti principi suggerisce, infatti, l’approdo ad una soluzione esegetica che consenta la piena attuazione del precetto giudiziario con il ricorso ad ogni determinazione idonea al concreto conseguimento dello scopo, anche in deroga ai canoni ordinari dell’azione amministrativa.
In definitiva, le norme di cui si deduce la violazione non costituiscono un vincolo cogente in virtù dell’applicazione all’attività sostitutiva delle norme processuali, aventi valore speciale, che permeano la fase dell’ottemperanza (artt. 112 e segg. del codice del processo amministrativo).
Applicando le coordinate esposte al caso di specie, si deve ritenere che, essendo al cospetto di un’ attività di esecuzione che ha fondamento esclusivo e limite nel giudicato, sfugge a censura la scelta di una modalità di esecuzione, pienamente satisfattoria, tradottasi nell’adozione di un ordine speciale di pagamento nei confronti dell’Istituto di Credito che gestisce il servizio di tesoriera per conto della Regione Campania. Va soggiunto che detta modalità di esecuzione trovava un antecedente nel precedente provvedimento, non investito da impugnazione, con il quale, già in data 7 dicembre 2010, il Commissario aveva vincolato, in via cautelare, sul conto intestato alla Regione Campania presso il Banco di Napoli, la somma all’epoca quantificata, in seguito oggetto di riduzione alla stregua delle decisioni prima ricapitolate.
10 Il reclamo va, quindi, respinto.
In applicazione della regola della soccombenza la Regione deve essere condannata al pagamento delle spese di giudizio, in favore della casa di Cura R, nella misura in dispositivo specificata. Sussistono, invece, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese della presente fase con riguardo alle altre parti di giudizio.
Deve, infine, disporsi la definitiva liquidazione, a saldo, del compenso spettante al Commissario nella misura in dispositivo specificata.