Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-07-11, n. 201403585

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-07-11, n. 201403585
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201403585
Data del deposito : 11 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07638/2007 REG.RIC.

N. 03585/2014REG.PROV.COLL.

N. 07638/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7638 del 2007, proposto da:
Florida 2000 Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv. L L, E S e A B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. E S in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;

contro

Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale "A. Clli", in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. P D M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P D M in Roma, via dell'Orso, n. 74;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE I, n. 4063/2007, resa tra le parti, concernente accertamento diritto revisione prezzi su canoni contrattuali.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2014 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Pettinelli su delega di Soprano e Clarizia su delega di Di Martino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. - La Società appellante ha stipulato, nel novembre 1999, con l’Azienda Ospedaliera Clli, a seguito di licitazione privata, un contratto di durata annuale, eventualmente rinnovabile, avente ad oggetto la pulizia delle strutture ospedaliere, per un canone mensile di lire 427.886.148.

Con delibera n. 626 del 28.6.2000, il rapporto veniva prorogato per un anno, fino al 31.7.2001, ad un canone mensile di lire 415.049.564.

Con successiva delibera n. 153 del 20.2.2001, con decorrenza dal 28.2.2001, l’oggetto dell’appalto veniva ampliato mediante estensione del servizio ad ulteriori reparti ospedalieri, per un canone aggiuntivo di lire 499.700.000 e per un canone mensile complessivo di lire 914.749.564.

Successivamente, il rapporto veniva prorogato fino al 30.11.2001, con delibera n. 854 del 27.7.2001, con ulteriore estensione del servizio e canone adeguato a lire 922.017.064;
fino al 28/2/2002, con delibera n. 70 del 25/1/2002, ad un canone di euro 476.182,073;
fino al 30/6/2002, con delibera n. 592 del 17/5/2002, e fino al 30/9/2002, con delibera n. 783 dell'11/7/2002, agli stessi prezzi, patti e condizioni.

2. - Con nota del 20/11/2002, la ricorrente chiedeva all’Azienda il riconoscimento della revisione prezzi maturata dall'1/8/1999 al 30.9.2002, per l'intero periodo di espletamento dell'appalto.

3. - L'Azienda, nonostante una sentenza resa dal giudice amministrativo tra le parti (T.a.r. Campania n. 969/03) per un analogo contratto, non corrispondeva il compenso revisionale.

4. - Quindi, la società proponeva ricorso al TAR per la Campania, che lo respingeva, affermando che in presenza di una rinegoziazione del rapporto, priva di carattere autoritativo, la sussistenza (o, se si preferisce, la prosecuzione) del vincolo contrattuale deriva dal raggiungimento di un consenso delle parti interessate, alle quali è direttamente affidata l'opportunità di tutelare la propria sfera giuridica conservando l'equilibrio tra le rispettive prestazioni. In definitiva, secondo il primo giudice, la società ricorrente, che ha aderito alla possibilità di rinnovare (e di ampliare) il contratto senza l'espletamento di una procedura concorsuale, accettando una riduzione del prezzo, concordando un ampliamento delle prestazioni e pattuendo la prosecuzione del rapporto, non ha titolo nel contempo a pretendere l'applicazione del meccanismo revisionale di cui all'art. 6, comma 4, della legge n. 537 del 1993 (come modificato dall'art. 44 della legge n. 724 del 1994), che è piuttosto destinato ad operare quando l'appaltatore è legato da un vincolo duraturo al quale non può sottrarsi.

5. - Con l’appello in esame, la società deduce l’erroneità della sentenza impugnata che ignora il carattere precettivo della norma di cui all’art. 6, comma4, della l. 24.12.1993, n. 537, che impedisce ai contraenti qualunque pattuizione in contrasto con essa.

La circostanza che il contratto del 5.11.1999 sia stato rinnovato per un anno non vale in alcun modo a comprimere il suo diritto al conseguimento del compenso revisionale per il periodo successivo alla delibera n. 626/2000.

Inoltre, secondo la tesi dell’appellante, non può assumersi che il rinnovo contrattuale de quo sia stato disposto ai sensi dell’art. 27,comma 6, della l. 23.12.1999, n. 488 e che dunque ciò precluderebbe l’applicazione dell’art. 6 della l. 537/1993 a fronte di una presunta incompatibilità tra le disposizioni. L’art. 27, comma 6, della l. 488/1999 si applica solo alle Amministrazioni statali e non pone una deroga alla clausola in materia di revisione prezzi, ma concerne solo l’istituto del rinnovo contrattuale.

5.1. - Infine, deduce l’appellante che, in ogni caso, ove il rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale fosse ritenuto preclusivo all’accoglimento della sua pretesa, ciò varrebbe solo fino al 31.7.2001, con esclusione del periodo successivo, durante il quale il servizio è stato eseguito in regime di proroga, soggiacendo, pertanto, al meccanismo revisionale, in considerazione della natura unitaria del relativo rapporto contrattuale.

5.2. – Per quanto concerne la quantificazione delle somme spettanti, l’appellante, non avendo l’ISTAT provveduto a redigere gli elenchi dei prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalla P.A., chiede che l’aggiornamento dei prezzi venga disposto tenendo conto quanto alla manodopera dei costi medi orari individuati nelle tabelle parametriche approvate dal Ministero del Lavoro ex l.7.11.002, n. 327 e con riferimento ai costi per attrezzature e materiali dell’indice ISTAT ( cfr. perizia del dott. Elio e Fazio agli atti del giudizio a quo) per complessivi euro 302.277,14, oltre interessi nella misura legale e rivalutazione.

6. - Resiste in giudizio l’Azienda ospedaliera, eccependo l’inammissibilità e infondatezza dell’appello.

7. – All’udienza del 13 febbraio 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è infondato.

2. - La società appellante sostiene che la disposizione dell’art. 6 l. n. 537/1993 ha natura inderogabile e quindi integrativa e/o sostitutiva delle pattuizioni negoziali di segno opposto.

Viceversa, la sentenza impugnata ha correttamente statuito che in presenza di una rinegoziazione del rapporto, che ha comportato variazioni nel prezzo e modificazioni dell’oggetto del servizio appaltato, tanto che il canone mensile è risultato più che raddoppiato rispetto al prezzo di aggiudicazione e sono state ampliate le stesse prestazioni originariamente pattuite, nonché le aree del servizio, non può trovare applicazione la norma invocata.

Tale norma, nel vietare il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi, consentiva la rinnovazione espressa, alle medesime condizioni iniziali, purché fossero accertate ragioni di convenienza e pubblico interesse, sostanzialmente volte a mantenere inalterato il quadro finanziario per l’amministrazione nel corso del tempo;
al contempo, introduceva un meccanismo di riequilibrio del rapporto di durata, a tutela dell’interesse dell’impresa, per consentirle di fronteggiare l’eventualità che si verifichino modifiche dei costi, durante l’arco temporale del rapporto, nonché a tutela della stessa amministrazione, per impedire una riduzione surrettizia degli standard di qualità della prestazione acquisita.

Nella fattispecie, i ripetuti rinnovi del contratto, senza l’espletamento di una procedura concorsuale, in cui l’impresa accetta il prezzo proposto, concordando o meno un ampliamento delle prestazioni e una modifica dei patti contrattuali, e assicurandosi la prosecuzione del rapporto, esula dalla ratio della norma richiamata, che presuppone un unico rapporto continuativo tra le parti inalterato nel tempo.

3. – L’appellante, in subordine, deduce che i provvedimenti di affidamento temporaneo, seguiti alla delibera n. 153/2001, con la quale erano state introdotte estensioni dell’oggetto della prestazione, si sono limitati invece a “prorogare” semplicemente il contratto, spostandone in avanti il termine di scadenza, senza introdurre ulteriori modificazioni delle pattuizioni originarie, alle quali anzi si faceva espresso rinvio;
pertanto, per il periodo compreso tra l’1.8.2001 ed il 30.9.2002 avrebbe diritto a conseguire il compenso revisionale.

Anche tale domanda non può trovare accoglimento.

Gli atti di incarico che sono seguiti alla delibera n. 153 del 20.2.2001, invero, vanno considerati più propriamente come atti di rinnovo del contratto per brevi periodi, ancorchè venga utilizzato dall’amministrazione il termine “proroga” ( delibera n. 854 del 27.7.01 fino al 30.11.2001;
delibera n. 592 del 17.5.2002 fino al 30.6.2002;
delibera n. 783 dell’11.7.2002 fino al 30.9.2002).

E’ noto il principio secondo cui il giudice non è, in linea di principio, vincolato dal "nomen iuris" attribuito dalle parti al contratto e possa comunque prescinderne se in concreto sussistono i presupposti e le caratteristiche di altra tipologia negoziale.

Non è irrilevante, nella fattispecie, la circostanza che, di volta in volta, sia stata espressa la volontà di rinnovare il rapporto, nel presupposto della necessità di sopperire al servizio nelle more dell’espletamento della nuova gara, manifestando così la valutazione dell’interesse pubblico, come espressamente richiesto dallo stesso art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 (come sostituito dall'art. 44 della legge 23 dicembre 1994 n. 724) il cui comma 2, nel vietare il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, comminandone la nullità, ne consentiva (fino alla modificazione introdotta dalla cit. l. n. 62 del 2005) la rinnovazione espressa in presenza di ragioni di pubblico interesse.

Avendo la società ricorrente accettato di svolgere il servizio alle medesime condizioni, riproposte dall’Azienda all’incirca ogni sei mesi, risulta evidente che in prossimità di ciascuna scadenza erano ben conosciute le "circostanze" dei maggiori oneri da sostenere a causa dell'aumento dei costi ed era possibile alla società appellante rinegoziare il prezzo.

Ritiene, pertanto, il collegio che sarebbe stato preciso onere della società ricorrente avanzare le richieste in questione (di corresponsione di maggiori somme rispetto a quanto in precedenza corrisposto) allorché l'amministrazione richiedeva, di volta in volta, alla naturale scadenza, una “proroga” del contratto “alle medesime condizioni”.

Poiché, invece, la società ricorrente ha accettato le richieste dell’Azienda “agli stessi prezzi, patti e condizioni”, non può ritenersi legittima la richiesta di “revisione prezzi” avanzata successivamente alla scadenza dell’ultimo rapporto.

Risulta, pertanto, inapplicabile il già ricordato art. 6 della legge n. 537 del 1993 alla stregua del pacifico orientamento giurisprudenziale, già condiviso dalla Sezione, secondo cui la revisione dei prezzi ivi prevista si applica solo alle proroghe contrattuali, ma non agli atti successivi al contratto originario con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario, senza avanzare alcuna proposta di modifica del corrispettivo (cfr. Cons. St., Sez. IV, 1° giugno 2010 n. 3474 e 20/02/2014, n.800;
Sez. III, 23 marzo 2012 n. 1687 e 9.5.2012, n. 2682).

4. - In conclusione, l’appello va respinto.

5. – Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della particolarità della vicenda.

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