Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2018-07-12, n. 201804276

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2018-07-12, n. 201804276
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201804276
Data del deposito : 12 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/07/2018

N. 04276/2018REG.PROV.COLL.

N. 04268/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 4268 del 2018, proposto da S N, rappresentato e difeso dall’Avvocato S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, non costituito in giudizio;
Questura di Brescia, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve n. 1285 del 30 ottobre 2017 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, resa tra le parti, concernente il provvedimento impugnato, il decreto Cat. A.12/2017/Immig./

II

Sez./gm/15BS040304, datato 6 febbraio 2017, emesso dal Questore della Provincia di Brescia, notificato al ricorrente in data 10 luglio 2017, con il quale è stato decretato il diniego dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. I04100876 rilasciato dalla Questura di Brescia per motivi familiari con scadenza al 5 aprile 2015, per il quale il ricorrente Nimo Sabastine ha presentato istanza di rinnovo in data 14 luglio 2015 per l’attesa occupazione.


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2018 il Consigliere Massimiliano Noccelli, non essendo comparso alcuno per le parti;

ritenuto di potere applicare l’art. 60 c.p.a.


1. L’odierno appellante, S N, nato in Ghana il 7 novembre 1989, ha chiesto alla Questura di Brescia il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di attesa occupazione.

1.1. Con il decreto Cat. A.12/2017/Immig./

II

Sez./gm/15BS040304, emesso il 6 febbraio 2017 dal Questore della Provincia di Brescia, l’istanza dello straniero è stata tuttavia respinta perché egli è stato condannato il 24 luglio 2014, con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti dal parte del Tribunale di Brescia, alla pena di un anno e di € 1.400,00 di multa per il reato di cessione illecita di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.

2. Avverso tale provvedimento l’interessato ha proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, e nel dedurne la violazione di legge e l’eccesso di potere ne ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento.

2.1. Si è costituita nel primo grado del giudizio la Questura di Brescia per resistere al ricorso, di cui ha chiesto la reiezione.

2.2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza n. 1285 del 30 ottobre 2017 resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente a rifondere le spese nei confronti della pubblica amministrazione.

3. Avverso tale sentenza ha proposto appello lo straniero e, nel dedurre con un duplice motivo la violazione dell’art. 5, comma 5, del d. lgs. n. 286 del 1998 e l’erroneità per eccesso di potere, ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con il conseguente annullamento del decreto impugnato in primo grado.

3.1. Non si è costituito il Ministero dell’Interno, odierno appellato, nonostante la rituale intimazione.

3.2. Nella camera di consiglio del 26 giugno 2018, fissata per l’esame della domanda cautelare proposta dall’appellante, il Collegio, ritenuto di poter decidere la controversia ai sensi dell’art. 60 c.p.a., dopo aver constatato che nessuno era comparso, l’ha trattenuta in decisione.

4. L’appello deve essere accolto.

5. La sentenza impugnata merita riforma perché non ha fatto buon governo dei principî che regolano la materia, avendo trascurato che, a fronte dell’unico episodio delinquenziale registratosi a carico dell’odierno appellante (la condanna, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per il delitto di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 da parte del Tribunale di Brescia), la Questura avrebbe dovuto valutare la sua situazione familiare e, con essa e più in generale, il suo inserimento sociale, essendosi egli ricongiunto nel 2005 con il padre, con il quale non coabita più, ma convivendo attualmente con la madre e la sorella.

5.1. È mancata insomma nel provvedimento questorile una attenta e completa valutazione della sua pericolosità sociale in concreto, che non può essere supplita o surrogata dall’indebita applicazione di automatismi espulsivi conseguenti a pregresse condanne penali, in presenza di solidi rapporti familiari, che avrebbero dovuto essere considerati e controbilanciati, con una adeguata motivazione, da parte dell’autorità amministrativa.

5.2. Né ad integrare siffatto rigoroso onere motivazionale può bastare l’argomento, secondo cui la condanna per reati inerenti agli stupefacenti o la successiva querela sporta dalla sorella minore per lesioni personali, querela poi ritirata, sarebbero la dimostrazione « del mancato assorbimento delle norme dell’ordinamento e del non corretto inserimento nel tessuto sociale », come si legge nel provvedimento del Questore.

5.3. Un simile argomento reintroduce infatti, surrettiziamente, una forma di automatismo espulsivo mascherato da una apparente valutazione della pericolosità in concreto, che però in questo modo viene elusa per affermare una pericolosità sociale presunta iuris et de iure , nonostante la presenza di solidi legami familiari (di cui pure il Questore formalmente dà atto e mostra conoscenza nel provvedimento), e in palese contrasto con quanto ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 202 del 2013.

5.4. Anche la motivazione “postuma” del primo giudice, secondo cui proprio la situazione familiare « avrebbe dovuto responsabilizzare il ricorrente ed indurlo a tenere una condotta di vita adeguata e maggiormente rispettosa delle norme dell’ordinamento giuridico », non si pone in linea con il consolidato orientamento interpretativo, alla stregua del quale un simile argomentare, ritorcendo l’esistenza dei rapporti familiari paradossalmente in danno dello straniero, finisce per reintrodurre, ancora una volta, una forma di automatismo espulsivo mascherato laddove si sottrae all’obbligo di soppesare, da un lato, la gravità della condotta delittuosa, la sua attualità, la sua effettiva sintomaticità di pericolo per l’ordine costituito, e dall’altro l’esistenza di una radicata rete di rapporti, di legami, di interessi intrattenuta dallo straniero, tale da dimostrare l’assoluta unicità o marginalità del fanno penalmente irrilevante quale singolo e irripetibile (e, comunque, non più ripetuto) fenomeno di devianza, più o meno grave, dalle fondamentali regole che presiedono all’ordinato vivere civile del nostro ordinamento (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 22 maggio 2017, n. 2382).

5.5. L’esigenza di preservare l’ordine pubblico e la sicurezza sociale, certo irrinunciabile per il moderno Stato di diritto, deve fondarsi su un motivato e non meramente apparente raffronto con gli elementi favorevoli, rappresentati dallo straniero, e presuppone un’effettiva ponderazione comparativa tra l’interesse pubblico per tali fondamentali beni dell’ordine e della sicurezza e, dall’altro, l’interesse dello straniero ad integrarsi nel tessuto sociale sulla base di indici quali l’esistenza di legami familiari solidi, di un lavoro stabile, di un conseguente adeguato reddito, di una dimora fissa, e di tutte le numerose situazioni che comprovino un effettivo e pacifico radicamento sul territorio italiano in conformità alle regole fondamentali del nostro ordinamento.

5.6. Solo all’esito di tale raffronto, adeguatamente motivato, si può pervenire ad una ponderata e sindacabile valutazione di pericolosità sociale dello straniero, quale espressione del potere discrezionale attribuito dalla legge alla pubblica amministrazione in questa delicata materia, che comporta un difficile bilanciamento tra le irrinunciabili esigenze di ordine pubblico e la garanzia dei diritti fondamentali dello straniero medesimo.

6. Tanto impone, per l’accertata violazione dell’art. 5, comma 5, del d. lgs. n. 286 del 1998, e in accoglimento dell’appello, la riforma della sentenza impugnata e l’annullamento del decreto del Questore di Brescia, che rivaluterà motivatamente la situazione dello straniero, alla luce dei principî sopra affermati.

7. Le spese del primo grado del giudizio, attesa la particolarità della vicenda indubbiamente bisognosa di ulteriore approfondimento istruttorio da parte della pubblica amministrazione secondo i principî sopra delineati, possono essere interamente compensate tra le parti, mentre devono essere dichiarate irripetibili quelle del presente grado, nel quale il Ministero dell’Interno, appellato, non si è costituito.

7.1. Il Ministero dell’Interno, soccombente sul piano sostanziale, deve essere comunque condannato a rimborsare in favore di S N il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi