Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-03-20, n. 201701255

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-03-20, n. 201701255
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701255
Data del deposito : 20 marzo 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/03/2017

N. 01255/2017REG.PROV.COLL.

N. 02214/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2214 del 2015, proposto dal Ministero dell'Interno e dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministro dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

Il signor S L, rappresentato e difeso dall'avvocato P Q, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria Nr.2;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE II n. 3138/2014, resa tra le parti, concernente il diniego di reimpiego in ruoli civili del Ministero dell’Interno, disposto con provvedimento del Dipartimento di Pubblica Sicurezza 26 giugno 2015, nonché la cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale, disposta dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza con provvedimento del 22 maggio 2014, unitamente ad altri provvedimenti connessi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor S L;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2016 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e uditi per le parti l’Avvocato P Q e l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con decreto 12 maggio 2009, n. 6617, il Dirigente del Compartimento di Polizia Stradale per la Puglia dispose la sospensione cautelare dal servizio dell’assistente capo della Polizia di Stato, meglio in epigrafe indicato, in organico alla Sezione della Polizia Stradale di Lecce, in correlazione con l’adozione nei confronti del medesimo della misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt.10-81-317-416 e 61, n. 9, - 479 e 61, n. 2, c.p. con ordinanza del GIP presso il Tribunale di Lecce 4 maggio 2009, n. 3278.

Nell’imminenza del compimento dei cinque anni di sospensione cautelare (termine massimo di durata di questo tipo di provvedimenti), il Capo della Polizia, con decreto 29 aprile 2014, n. 333-D/45620, dispose la riammissione in servizio dell’interessato a decorrere dal 12 maggio 2014, prevedendo, contestualmente, che il medesimo, altresì, venisse sottoposto agli accertamenti volti a verificare la permanenza del possesso dei requisiti psico-fisici e attitudinali previsti dal decreto del Ministero dell’Interno 30 giugno 2003, n. 198.

1.1. Con ‘dispaccio urgente’ comunicato il 22 maggio 2014, seguito da decreto 22 maggio 2014, n. 333-45620 (notificato il 30 giugno 2014), il Dipartimento di P.S., Direttore Centrale delle Risorse Umane, ha disposto la cessazione dal servizio dell’assistente capo di P.S., meglio sopraindicato, in quanto non idoneo in attitudine ai servizi di polizia e carente, quindi, di uno dei requisiti previsti dalla legge n. 121/1981, art. 25, comma 2.

Con istanza del 30 maggio 2014, l’interessato chiese il trasferimento nei ruoli civili del Ministero dell’Interno o di altre Amministrazioni dello Stato, ai sensi del D.P.R. 24 aprile 1982, n. 339, ma il Dipartimento di P.S. dichiarò la domanda “inammissibile”, con provvedimento del 26 giugno 2014, n. 333-D/45620 (notificato all’interessato il 30 giugno 2014), rilevando che le disposizioni invocate si riferiscono esclusivamente ai dipendenti dichiarati inidonei al servizio di polizia “per motivi di salute”, e non (come nel caso specifico) per perdita dell’idoneità attitudinale all’espletamento dei servizi di polizia.

1.2. Con il ricorso introduttivo (R.G. n. 1537/2014), l’interessato ha impugnato il decreto di cessazione dal servizio 22 maggio 2014 (notificato il 30 giugno 2014) e il decreto del Dipartimento di P.S. 29 aprile 2014 di riammissione in servizio, limitatamente alla parte in cui quest’ultimo disponeva la previa verifica attitudinale, nonché la nota 27 maggio 2014, n. 333-D/45620 (relativa al procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale), nella parte in cui, con riferimento alla intervenuta cessazione dal servizio, disponeva che il trasferimento fosse subordinato alla reviviscenza del rapporto di impiego;
poi con motivi aggiunti ha chiesto l’annullamento, altresì, del provvedimento 26 giugno 2014 (comunicato il 30 giugno 2014) con il quale il Dipartimento di P.S. ha dichiarato inammissibile l’istanza dell’interessato di transito nel ruolo civile dell’Amministrazione dell’interno in applicazione del D.P.R. n. 339/1982, sollevando, in subordine, l’eccezione di illegittimità costituzionale del DPR n. 339/1982 per violazione dell’art.3 Cost.

1.3. Con sentenza n. 3138/2014 (pubblicata il 19 dicembre 2014), il T.A.R. ha accolto il ricorso in parte qua , limitatamente alle censure dedotte contro il diniego di transito nel ruolo civile della P.S o di altra Amministrazione (in applicazione del D.P.R. n. 339/1982), mentre lo ha respinto per la restante parte.

1.4. Avverso la sentenza del TAR l’Amministrazione dell’Interno ha proposto appello (consegnato alla notifica il 25 febbraio 2015), chiedendone la riforma limitatamente alla statuizione favorevole all’originario ricorrente.

L’appellato si è costituito nel giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello del Ministero.

Contestualmente, peraltro, l’ex assistente capo di P.S. ha proposto anche appello incidentale (consegnato per la notifica il 27 febbraio 2015), chiedendo la riforma in parte qua della sentenza limitatamente alle statuizioni sfavorevoli sulla cessazione dal servizio e sulla mancanza di requisito attitudinale, riproponendo tutte le censure respinte dal giudice di primo grado.

Alla pubblica udienza del 23 giugno 2016, uditi i difensori presenti per le parti, la causa è passata in decisione.

2. Quanto sopra premesso in fatto, in diritto la controversia all’esame concerne, innanzitutto, la contestata legittimità del decreto di cessazione dal servizio dell’assistente capo di P.S. e del connesso diniego di transito del medesimo nel ruolo civile del Ministero dell’Interno o di altra Amministrazione statale.

Per ragioni di semplicità di esposizione ,il Collegio passa ad esaminare le questioni proposte dalle parti nello stesso ordine seguito dalla sentenza di primo grado.

Si tratta, dunque, per primo l’appello incidentale proposto dall’assistente di P.S. (appellato), considerato che, essendo le relative questioni logicamente prioritarie ed assorbenti rispetto a quelle esposte nell’appello principale, un eventuale accoglimento dell’appello incidentale darebbe più ampia soddisfazione agli interessi dell’originario ricorrente.

2.1. L’appello incidentale all’esame verte, in sostanza, sulla cessazione dal servizio disposta nei confronti dell’appellato a causa della sopravvenuta inidoneità attitudinale ai servizi di polizia.

Al riguardo, va rilevato che il decreto del Ministero dell’Interno 30 giugno 2003, n. 198 (“Regolamento concernente i requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale”), all’art. 2, disciplina gli accertamenti relativi al personale già in servizio, stabilendo che possono venire disposti a discrezione dell’amministrazione in una serie di ipotesi, fra cui “specifiche circostanze rilevate d'ufficio dalle quali obbiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio” (ed è questa la previsione normativa che, secondo giurisprudenza consolidata, giustifica la procedura di verifica anche nel caso di rientro in servizio dopo una lunga assenza).

Pertanto, preso atto che l’art. 2, recante la rubrica «Accertamento dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato», contiene (al pari dell’intitolazione dell’intero regolamento) un esplicito richiamo a verifiche “attitudinali” (oltre che psico-fisiche) nei confronti del personale della P.S. in servizio, ai fini della determinazione dell’ambito della disposizione, risulta non determinante la circostanza che il testo dell’art. 2 si limiti a menzionare soltanto gli accertamenti psico-fisici.

Quindi, come ha rilevato la costante giurisprudenza ( ex multis vedi Cons. St., Sez. III, n. 4651/2014), l’argomentazione letterale costituisce un elemento insufficiente per dedurre che l’ordinamento “non” consenta verifiche attitudinali nei confronti del personale in servizio.

2.2. Sul punto giova, altresì, richiamare il parere reso da una Commissione speciale consultiva del Consiglio di Stato su un quesito posto dal Ministero dell’Interno (parere 4 ottobre 2010, affare n. 2206/2010), circa la portata dell’art. 2 del D. M. Interno n. 198/2003 con riferimento all’ipotesi delle verifiche di idoneità cui eventualmente sottoporre un dipendente della Polizia di Stato al momento del suo rientro in servizio a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento disciplinare di destituzione.

Il parere è argomentato con riferimento alla giurisprudenza prevalente delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato ed ha affermato i seguenti principi:

(a) la verifica della permanenza dei requisiti di idoneità del personale della P.S. già in servizio include legittimamente anche il profilo “attitudinale”, e non solo quello “psico-fisico”;
“nulla osta ad ammettere, sul piano normativo, che l’accertamento dell’idoneità attitudinale possa avvenire in costanza di rapporto ove sussistano peculiari condizioni”;

(b) un periodo lungo di assenza dal servizio (che possa avere inciso sulla concreta idoneità a svolgere le funzioni di P.S.) può integrare una delle “specifiche circostanze” che, alla luce del principio del buon andamento dell’azione amministrativa, possono motivare la ritenuta necessità di riesaminare l’attitudine al servizio.

2.3. Pertanto, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, risultano infondate le corrispondenti censure di errata applicazione del citato D.M. n.198/2003 e di difetto di motivazione, formulate dall’appellante incidentale per dedurre l’illegittimità del decreto 29 aprile 2014 nella parte in cui il Ministero dell’Interno (contestualmente alla riammissione in servizio) aveva disposto nei suoi confronti anche la verifica circa la permanenza del requisito dell’idoneità attitudinale ( primo articolato motivo).

2.4. Inoltre il ricorrente ha censurato il giudizio finale negativo espresso dalla commissione incaricata di procedere agli accertamenti in questione per violazione del D.M. n.198/2003 e del D.M. n. 129/2005, art. 59, nonché per eccesso di potere (secondo articolato motivo).

Per questo profilo il Collegio rileva che l’appellante incidentale ripropone alcune delle censure formulate in primo grado, deducendo in particolare che (a differenza di quanto affermato dal T.A.R.) quelle censure non si risolverebbero in una inammissibile critica alle valutazioni tecnico-discrezionali dell’apposita commissione.

Al riguardo, invece, premesso che la sentenza appellata ha respinto le corrispondenti censure proposte in primo grado dopo un analitico esame, il Collegio ritiene che dall’appello non siano emerse ragioni che inducano a non confermare le argomentazioni del T.A.R., che ha sottolineato la natura tecnico-discrezionale delle valutazioni espresse dalla commissione, da cui consegue l’insindacabilità in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità.

2.5. È opportuno, comunque, far presente che le suddette conclusioni vanno richiamate anche per respingere le censure sulla pretesa eccessiva complessità e difficoltà dei test attitudinali, cui l’interessato è stato sottoposto.

Infatti (ad avviso del Collegio) al riguardo il ricorrente si è limitato ad esporre la propria valutazione personale e soggettiva, ma non ha fornito elementi oggettivi, in ipotesi, utili a permettere al Collegio di svolgere l’invocato sindacato.

2.6. Infine, va respinta la censura avverso l’operato della commissione, che, in osservanza dell’obbligo di documentare tutte le proprie operazioni, avrebbe dovuto verbalizzare anche il contenuto e l’andamento del “colloquio” con l’esaminato.

In proposito si osserva che, poiché il “colloquio” in questione aveva solo lo scopo – congiuntamente agli altri test - di valutare la personalità dell’interessato (sotto i seguenti profili: “livello evolutivo”, “controllo emotivo”, “capacità intellettiva” e “socialità”), il medesimo non può essere equiparato ad una prova di esame della quale si dovessero verbalizzare gli argomenti.

Inoltre, premesso che l’interessato ha sostenuto un primo colloquio con un singolo selettore ed un secondo davanti all’intera commissione e che in entrambi i casi sono stati verbalizzati i giudizi analitici e motivati riferiti a ciascuna delle quattro categorie di valutazione sopra citate, il Collegio non ravvisa i vizi in procedendo o in iudicando dedotti dall’appellante incidentale.

2.7.Quindi, per le considerazioni sinora esposte, l’appello incidentale dell’interessato va respinto.

3. Il Collegio passa, quindi, all’esame dell’appello principale dell’Amministrazione.

Il Ministero ha chiesto la parziale riforma della sentenza TAR nella parte in cui essa ha annullato il provvedimento 26 giugno 2014 con il quale il Ministero dell’Interno ha dichiarato inammissibile l’istanza dell’assistente capo di P.S. di transitare nei ruoli civili del Ministero dell’Interno o di altra Amministrazione.

In argomento si osserva che il testo dell’art. 1 del D.P.R. n. 339/1982 risulta esplicito ed inequivoco nel senso che il passaggio ad altri ruoli della stessa amministrazione o di altre amministrazioni è previsto soltanto, ove possibile, in favore del dipendente dichiarato inidoneo al servizio “per motivi di salute”.

Ciò posto, il Collegio ritiene che alle nozioni di “salute” e di “infermità” non può essere attribuita un’ampiezza tale da ricomprendere anche la mancata attitudine all’esercizio di determinate mansioni.

3.1. Né tantomeno “sarebbe poco spiegabile e poco legittima” la norma dell’invocato D.P.R. n. 339/1982, ove interpretata nel senso che il passaggio al ruolo civile sia consentito in ipotesi di inidoneità più gravi, quali quella per motivi di salute, e non in quella attitudinale, che riveste un minore rilievo.

Infatti, quanto al personale con funzioni di P.S., la ratio della normativa sul beneficio, previsto nei casi di sopravvenuta inidoneità ai compiti di istituto per motivi di salute, va ricercata nell’esigenza di assicurare condizioni di vita dignitose al personale, che per i sopravvenuti problemi di salute, che esulano dalla propria volontà, non possono più espletare il servizio di polizia, ma, comunque, sia idoneo ad altro impiego, mentre il legislatore non ha previsto questo beneficio in caso di perdita di attitudine alle funzioni.

Dal confronto tra le due discipline emerge, quindi, che la perdita dell’attitudine non viene considerata un pregiudizio di gravità paragonabile alla perdita della idoneità fisica;
né tale scelta legislativa risulta irragionevole, ove, tra l’altro, si consideri che una eventuale inidoneità attitudinale alle funzioni di P.S., essendo preclusiva solo delle specifiche funzioni di P.S., non compromette in maniera significativa la possibilità che il dipendente inidoneo reperisca un’ attività lavorativa di altra tipologia da cui trarre mezzi leciti di sostentamento.

3.2. Invece, dando una diversa lettura della norma in questione, l’ex assistente capo di P.S. nell’atto di costituzione nel giudizio di appello “reitera” l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi