Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-03-13, n. 201901659

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-03-13, n. 201901659
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901659
Data del deposito : 13 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/03/2019

N. 01659/2019REG.PROV.COLL.

N. 02513/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2513 del 2016, proposto da:
S M, rappresentata e difesa dall'avvocato L R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G C in Roma, via Golametto, n. 2

contro

Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

nei confronti

Provincia di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Salvatore Mileto, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pietro Da Cortona, n. 8

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, Sezione I, n. 10900/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e della Provincia di Latina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2018 il consigliere A R e uditi per le parti gli avvocati L R, dello Stato Santoro, e Petretti per delega dell’avvocato Salvatore Mileto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.La dott.ssa Matrona S ha impugnato dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio la delibera adottata dall’Autorità Nazionale Anticorruzione ( nel prosieguo “l’Autorità” o “ANAC” ), prot. 12193 del 18 dicembre 2013, con cui è stato reso il parere, ai sensi dell’art. 1, comma 82, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (recante “Disposizioni per la prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” ), sulla revoca dell’incarico di Segretario generale della Provincia di Latina (di seguito “la Provincia” ), presso la quale la medesima prestava servizio sin dal dicembre 2010, disposta nei suoi confronti con decreto presidenziale n. 6 del 14 novembre 2013.

1.1. La ricorrente assumeva l’illegittimità del provvedimento impugnato sotto plurimi profili, censurando in particolare: “1) Violazione di legge- erronea applicazione dell’art. 1, comma 82, della l.190/2012- Violazione art. 3 L.241/1990- difetto di motivazione- manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione- Eccesso di potere per inadeguatezza dell’istruttoria- irragionevolezza ed incongruità della valutazione;
2) Violazione della legge 190/2012- Omessa istruttoria procedimentale- Eccesso di potere per travisamento dei fatti- contraddittorietà e illogicità della motivazione;
3) Disparità di trattamento”.

1.2. Con le censure articolate la dott.ssa S si doleva della carenza e lacunosità dell’istruttoria svolta dall’ANAC la quale non avrebbe consentito, a suo avviso, di appurare il reale contesto nel quale era maturato il controverso provvedimento di revoca che, sebbene testualmente adottato ai sensi dell’art. 100 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 Testo Unico degli Enti Locali per asserita violazione dei doveri di ufficio da parte del Segretario, era invero correlato all’attività da lei svolta in materia di prevenzione della corruzione.

1.3. In dettaglio, già nelle osservazioni formulate e indirizzate all’Autorità nel contraddittorio procedimentale instaurato, la ricorrente aveva evidenziato di aver espresso il proprio parere contrario alla deliberazione di Giunta Provinciale n. 22 del 12 settembre 2013, avente ad oggetto “Approvazione del programma delle assunzioni 2013/2015” , rilevando come non potesse a suo avviso condividersi la tesi che considerava superato il c.d. blocco delle assunzioni e, in definitiva, implicitamente abrogato l’art. 16, comma 9, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza di servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario” ), convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135.

Aveva quindi rappresentato che il provvedimento di revoca disposto nei propri confronti rappresentasse una misura sostanzialmente ritorsiva correlata alle attività svolte in materia di prevenzione della corruzione.

1.4. La ricorrente lamentava, dunque, come l’ANAC non avesse né rilevato la correlazione esistente tra tali atti, inerenti il profilo “tipizzato” in materia a rischio di corruzione. Lamentava inoltre che l’Autorità avesse omesso di rilevare come la revoca fosse maturata nel descritto contesto e fosse scaturita dalla sua opposizione ad un programma di assunzioni illegittime (in quanto contrastanti con una norma vigente sul contenimento della spesa pubblica), pretestuose risultando le contestazioni mosse al Segretario circa asserite violazioni ai doveri di ufficio che l’Ente aveva posto a suo fondamento. Lamentava ancora che l’Autorità non avesse esternato le ragioni per le quali dovesse ritenersi esclusa una siffatta correlazione.

2. Con la sentenza in epigrafe, pronunziata nella resistenza della Provincia e dell’ANAC (le quali, costituitesi in giudizio, avevano chiesto entrambe il rigetto del gravame), il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure formulate avverso il provvedimento impugnato che non aveva ravvisato la correlazione tra la revoca disposta e le attività del Segretario generale in materia di prevenzione alla corruzione e ha compensato le spese di giudizio.

3. Per la riforma della sentenza ha proposto appello la dott.ssa S, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia per avere erroneamente apprezzato e intrepretato le censure dedotte.

3.1. In particolare, l’appellante, con il primo motivo di impugnazione, ha lamentato l’erroneità dell’inquadramento, operato dal primo giudice, dell’atto emesso dall’ANAC, ai sensi dell’art. 1, comma 82, legge n. 190 del 2012, nella categoria degli “atti di validazione”, conseguendo a tale qualificazione il convincimento, parimenti erroneo, circa l’ultroneità di una esaustiva e puntuale motivazione nell’ipotesi di mancato riscontro di una correlazione tra la revoca del Segretario e l’attività da questi svolta in materia di prevenzione alla corruzione. Non sussisterebbero del resto validi argomenti che consentano di derogare, nella fattispecie in parola, al generale obbligo di motivazione in senso sostanziale dei provvedimenti amministrativi, di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3.2. Sotto altro profilo le statuizioni della sentenza impugnata non sarebbero condivisibili in quanto, per un verso il T.A.R. non avrebbe motivato sulle ragioni per cui nella fattispecie in esame non sarebbe ravvisabile “in concreto” l’addotta correlazione, e per altro verso non avrebbe colto l’errore in cui è incorsa l’Autorità, sovrapponendo concetti affatto diversi. In particolare il primo giudice avrebbe omesso di rilevare l’erroneità dell’operato dell’Autorità la quale avrebbe operato una sostanziale equiparazione fra il nesso di causalità (più ristretto) e la mera correlazione che invece, al contrario del primo, non richiederebbe un rapporto di causa-effetto connotato da immediatezza, ma anche soltanto di mera occasionalità con le funzioni svolte.

3.3. Con il secondo mezzo di censura, l’appellante contesta, altresì, le statuizioni della sentenza di prime cure che hanno respinto il motivo sul dedotto vizio di disparità di trattamento inficiante il provvedimento adottato dall’Autorità che, in un caso sostanzialmente identico (la revoca di altro Segretario disposta dal Sindaco del Comune di Cumiana), aveva adottato conclusioni diametralmente opposte.

3.4. Si sono costituite, anche nel presente grado di giudizio, la Provincia e l’ANAC, depositando memorie con cui hanno compiutamente esposto e argomentato le proprie tesi difensive, insistendo per il rigetto del gravame.

3.5. All’udienza pubblica del 6 dicembre 2018, udita la rituale discussione dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4. Con l’appello in epigrafe la dott.ssa S contesta le statuizioni della sentenza di prime cure che avrebbe malamente interpretato i motivi di ricorso articolati in primo grado.

In particolare l’ANAC, nel formulare il parere ai sensi dell’art. 1, comma 82, della legge n. 190 del 2012 avrebbe erroneamente omesso di ravvisare la correlazione esistente tra la revoca dell’incarico di Segretario generale dell’Ente e l’attività da questi intrapresa in materia di prevenzione della corruzione e tutela della trasparenza (e, in specie, il contrasto operato ad un programma di assunzioni illegittime che l’Ente intendeva avviare mediante adozione di delibere indittive di procedure concorsuali nonostante il blocco delle assunzioni).

Nell’adottare la delibera impugnata in primo grado, inoltre, l’Autorità avrebbe tradito la propria missione istituzionale e disatteso la normativa in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, finalizzata a soddisfare l’interesse primario alla correttezza dell’azione amministrativa in tali materie e l’interesse secondario, proprio del Segretario, ad assolvere al suo ruolo istituzionale senza subire comportamenti ritorsivi.

4.1. L’ANAC avrebbe, in particolare, condotto un’istruttoria lacunosa e superficiale, omettendo di indagare il peculiare contesto ambientale in cui era maturato il provvedimento e l’attività svolta dal Segretario in materia di prevenzione alla corruzione (costituente specificazione della funzione, più ampia, attribuita ex lege al Segretario, di garantire la conformità dell’azione amministrativa dell’Ente locale alle leggi, allo statuto e ai regolamenti), finendo con l’emanare un provvedimento caratterizzato da motivazione assente o, comunque, illogica e contraddittoria, errando altresì nel fare riferimento non già ad un mero nesso di correlazione (come richiesto dalla legge), ma alla più ristretta nozione di “nesso di causalità e immediatezza”.

5. I motivi di appello, pur suggestivamente argomentati, sono infondati.

5.1. La Sezione rileva che restano esenti dalle articolate censure le motivazioni della sentenza impugnata con cui il tribunale ha ritenuto legittima la delibera di ANAC sull’insussistenza dei presupposti per ravvisare un nesso di causalità immediata e diretta (o di correlazione) tra il provvedimento di revoca e l’attività del Segretario in materia di prevenzione alla corruzione.

Del pari erroneamente l’Autorità avrebbe rilevato che la revoca dall’incarico fosse stata adottata per fatti “personali” e collegati alla contestata violazione dei doveri di ufficio, che dovranno essere valutati dal giudice ordinario (dinanzi al quale, infatti, la revoca è stata impugnata).

5.2. In particolare, non può condividersi l’assunto dell’appellante secondo cui né l’Autorità prima né il Tribunale poi avrebbero saputo apprezzare la distinzione tra la revoca disposta ai sensi dell’art. 100 del Testo Unico degli Enti Locali dell’incarico del Segretario (quale atto privatistico di gestione del rapporto di lavoro sindacabile dinanzi al giudice ordinario) e le motivazioni reali sottese al provvedimento, il cui utilizzo legittimo sarebbe nella fattispecie distorto con finalità elusive della richiamata disciplina di legge.

5.3. Giova in primo luogo evidenziare che l’art. 100 del D.lgs. 267 del 2000 dispone che: “Il segretario può essere revocato con provvedimento motivato del sindaco o del presidente della provincia, previa deliberazione della giunta, per violazione dei doveri d’ufficio” .

5.4. La citata legge n. 190 del 2012 ha individuato nel Segretario dell’Ente il Responsabile della prevenzione della corruzione con il compito di predisporre il relativo Piano triennale anticorruzione, prevedendo al contempo un articolato sistema di tutela nei confronti del funzionario allo scopo di assicurare il regolare svolgimento dei compiti cui è chiamato, evitando, in particolare, che la revoca dell’incarico (specie per il rapporto fiduciario, a tale incarico sotteso, che lega il Segretario agli organi politici dell’Ente attraverso il potere di nomina e revoca), da strumento circoscritto alle ipotesi di violazione dei doveri di ufficio, sia impiegato con finalità ritorsive e di fatto elusive della ratio legis .

L’articolo 1, comma 82, della legge n.190 del 2012 prevede, infatti, che “Il provvedimento di revoca di cui all’articolo 100, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è comunicato dal prefetto all’Autorità nazionale anticorruzione, di cui al comma 1 del presente articolo, che si esprime entro trenta giorni. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace, salvo che l’Autorità rilevi che la stessa sia correlata alle attività svolte dal segretario in materia di prevenzione della corruzione.”

Inoltre, si osserva per completezza come l’art. 15, comma 3, d.lgs. n. 39 del 2013 stabilisce che “il provvedimento di revoca dell’incarico di vertice o dirigenziale conferito al soggetto cui sono affidate le funzioni di responsabile, comunque motivato, è comunicato all’Autorità nazionale anticorruzione che, entro trenta giorni, può formulare una richiesta di riesame qualora rilevi che la revoca sia correlata alle attività svolte dal responsabile in materia di prevenzione della corruzione. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace” .

5.5. Tanto premesso e così ricostruita la normativa di riferimento, deve in primo luogo evidenziarsi come il decorso del termine di trenta giorni entro cui l’Autorità può formulare il detto parere, unitamente all’assenza di rilievi circa l’effettiva esistenza della correlazione (da accertarsi in concreto) tra revoca e attività svolte dal Segretario in materia di prevenzione ai fenomeni corruttivi, viene a configurarsi come condicio iuris sospensiva cui è subordinata l’efficacia del detto provvedimento di revoca, dando luogo ad una fattispecie a formazione progressiva in cui la pronuncia dell’Autorità (che comunque deve essere espressa, anche in caso di mancato rilevamento di un nesso di correlazione) effettivamente assume da un punto di vista sostanziale, come bene rilevato dal primo giudice, una valenza di validazione della legittimità e correttezza dell’operato dell’Amministrazione locale, impedendo alla revoca di acquisire efficacia.

5.6. Ciò posto, risulta immune dalle censure dedotte la tesi del giudice di prime cure in base alla quale, solo nell’ipotesi in cui accerti l’esistenza della prescritta correlazione, l’Autorità è tenuta a rendere una puntuale ed articolata motivazione sulle ragioni per le quali la revoca è riconducibile (non già a presunte e infondate violazioni di doveri di ufficio, assumendo perciò un rilievo disciplinare), bensì a concrete iniziative intraprese dal Segretario per prevenire fenomeni corruttivi all’interno dell’Ente.

5.7. Al contrario, nel caso in cui l’Autorità accerti l’inesistenza di una siffatta relazione e verifichi, alla luce della documentazione e degli elementi e delle risultanze dell’istruttoria (compresa l’audizione degli interessati) che la revoca è stata adottata per altre ragioni che esulano dalle materie rientranti nelle sue specifiche competenze ed estranee rispetto alle attività poste in essere dal Segretario per la prevenzione della corruzione, l’onere motivazionale deve ritenersi assolto mediante un “generico richiamo all’insussistenza dei presupposti” che impediscano ope legis alla revoca di acquisire efficacia, come appunto avvenuto nel caso di specie.

E ciò per intuitive ed evidenti ragioni, ove si consideri che la motivazione sulle ragioni per cui si ritiene insussistente detta correlazione si tradurrebbe, in definitiva, sulla disamina delle contestazioni e degli addebiti che hanno condotto alla revoca dell’incarico, ritenuta evidentemente dall’Autorità riconducibile a cause differenti (astrattamente integranti violazioni dei doveri di ufficio, salvo annullamento giurisdizionale della revoca) il cui scrutinio è riservato al giudice ordinario.

Deve infatti ritenersi che, una volta che l’Autorità (a prescindere dalle formule utilizzate per descrivere una siffatta relazione) abbia ritenuto che gli elementi forniti e acquisiti nel corso del procedimento escludano un siffatto collegamento, essa abbia esaurito il proprio potere discrezionale che non importa la valutazione della legittimità della revoca sotto ulteriori profili.

5.8. Acclarata, dunque, l’inesistenza di detto collegamento o riconducibilità del provvedimento lesivo all’attività in materia di prevenzione della corruzione, non rileva che esso sia descritto in termini di nesso di causalità connotato da immediatezza ovvero di mera correlazione, ben potendo, nell’ipotesi in esame, le due espressioni essere utilizzate in modo equivalente e quali sinonimi per descrivere la medesima fattispecie giuridica di riferibilità di talune conseguenze ad alcuni presupposti tipizzati.

In tal senso, appare pertanto corretta ed esente dai vizi dedotti l’impugnata deliberazione dell’Autorità la quale, dopo aver premesso che esula dai suoi compiti il vaglio sul la legittimità o meno del provvedimento di revoca in relazione ai comportamenti e agli inadempimenti contestati , ha precisato che spetta alla stessa il solo compito di “ verificare se la revoca sia correlata alle attività svolte dal segretario provinciale in materia di prevenzione della corruzione, rilevato, in particolare, che l’adozione del provvedimento di revoca non può ricollegarsi con nesso di causalità ed immediatezza ad alcuna iniziativa intrapresa dal segretario provinciale nella detta materia e che le vicende contestate al Segretario attengono profili di responsabilità che esulano dalla competenza di questa Autorità, sulla base della documentazione trasmessa” .

5.9. Nel caso di specie, la valutazione circa l’inesistenza del nesso di correlazione non risulta manifestamente illogica, posto che l’Autorità, da un lato, ha rilevato insufficiente a riscontrare detto collegamento le iniziative tendenti a contrastare l’adozione di delibere indittive di pubblici concorsi per l’assunzione di personale, e dall’altro ha evidenziato che il provvedimento era invece riconducibile a profili di responsabilità esulanti dalle sue specifiche competenze, ovvero proprio a quelle contestazioni di carattere “meramente personale” , per usare l’espressione del primo giudice, ma con evidenza costituenti fatti tipici potenzialmente idonei a integrare violazioni di doveri d’ufficio ai sensi dell’articolo 100 del D.Lgs. n. 267 del 2000.

Fra le contestazioni in questione rientrava anche la mancata predisposizione del Piano triennale anticorruzione e di attività propedeutiche e del Piano della Trasparenza, che avevano indotto l’Ente, sulla scorta della ritenuta gravità dell’inadempimento rispetto alle attività e funzioni affidate al Segretario, a disporre, con provvedimento dell’ottobre 2013, anche la revoca dell’incarico di Responsabile della prevenzione della corruzione.

In relazione a tale profilo, corrette appaiono le statuizioni con cui il tribunale ha rilevato che l’opposizione al controverso programma di assunzioni (opposizione che comunque non avrebbe impedito all’Ente, in base a quanto risulta dagli atti e affermato dalla stessa appellante, di proseguire in tale operato) risulta l’unico elemento concreto che potrebbe astrattamente ricondursi alla tipizzazione della legge invocata dall’interessata, mentre generiche si palesano le doglianze sulla mancata assegnazione alla Segreteria generale da parte della Provincia delle necessarie risorse finanziarie, strumentali e di personale per assolvere ai compiti di Responsabile dell’ufficio per la prevenzione della corruzione e della trasparenza.

6. Ne risultano fondate le censure di difetto e incompletezza dell’istruttoria, avendo l’Autorità avviato e instaurato correttamente il contraddittorio procedimentale, invitando l’interessata a formulare osservazioni (che sono state in effetti rese) e a produrre la documentazione necessaria, provvedendo all’audizione delle parti.

7. Infine, risulta infondata la dedotta censura di disparità di trattamento, in quanto, come condivisibilmente rilevato dal primo giudice, in difetto di elementi idonei a configurare un’assoluta identità fra le situazioni prospettate, intesa come totale assimilabilità o sovrapponibilità delle fattispecie poste a raffronto e autonomamente valutabili da parte dell’Autorità nell’esercizio di poteri aventi natura discrezionale, non è possibile ravvisare detto vizio, risultando perciò anche in relazione a tale aspetto immune da profili di illegittimità il provvedimento impugnato in prime cure.

8. All’infondatezza dei motivi dedotti consegue il rigetto dell’appello e l’integrale conferma della sentenza impugnata.

9. La complessità e parziale novità delle questioni trattate costituiscono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.

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