Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-02-25, n. 201301129

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-02-25, n. 201301129
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201301129
Data del deposito : 25 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07050/2012 REG.RIC.

N. 01129/2013REG.PROV.COLL.

N. 07050/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7050 del 2012, proposto dalla s.r.l. Dolomites Real Estate, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A L e G R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G R in Roma, via Pacuvio, 34;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Cremona Mantova, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Comune di Toscolano-Maderno, Comunità Montana Parco Alto Garda Bresciano, non costituiti in questo grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 1341/2012, resa tra le parti, concernente il parere negativo all'intervento edilizio di realizzazione di un residence;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2013 il consigliere di Stato G C S e uditi per le parti l’avvocato Antonio Messina, per delega dell'avvocato G R, e l'avvocato dello Stato Grumetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- La società immobiliare Dolomites real estate srl impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. di Brescia, 13 luglio 2012, n. 1341, che ha respinto il ricorso n. 104 del 2012 ed i motivi aggiunti di primo grado avverso il parere negativo del 21 novembre 2011 della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia, Cremona e Mantova reso sul progetto relativo ad un residence immobiliare da realizzare sulle colline fronte-lago in territorio di Toscolano Maderno, assoggettato a dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi del DM 15 marzo 1958, nonché avverso i provvedimenti consequenziali, a contenuto negativo per la società immobiliare, adottati dalla Comunità montana Parco Alto Garda Bresciano e del Comune di Toscolano Maderno.

La società appellante torna a prospettare in questo grado la erroneità del diniego in primo grado impugnato, adottato in contraddizione con quanto affermato dalla stessa Soprintendenza nel parere del 24 giugno 2009, censurando la gravata sentenza che ha ritenuto legittimo l’impugnato atto soprintendentizio e chiedendone la riforma, in accoglimento dell’appello e del ricorso di primo grado .

Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali per resistere al ricorso e chiederne la reiezione

All’udienza del 29 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2.- L’appello è infondato e va respinto.

Giova premettere che la tutela del paesaggio è principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio, di tal che anche le previsioni degli strumenti urbanistici devono necessariamente coordinarsi con quelle sottese alla difesa paesaggistica.

La difesa del paesaggio si attua eminentemente a mezzo di misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela di un territorio qualificato sul piano paesaggistico è quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti naturalistici, impedendo o riducendo al massimo quelle trasformazioni pressoché irreversibili del territorio propedeutiche all’attività edilizia (come gli sbancamenti, le perforazioni funzionali alla realizzazione delle fondamenta, i terrazzamenti ed in genere tutte le opere funzionali alla costruzione di edifici in territorio collinare);
non par dubbio che gli interventi di antropizzazione connessi alla trasformazione territoriale con finalità residenziali, soprattutto quando siano particolarmente consistenti per tipologia e volumi edilizi da realizzare, finiscono per alterare la percezione visiva dei tratti tipici dei luoghi, incidendo (quasi sempre negativamente) sul loro aspetto esteriore e sulla godibilità del paesaggio nel suo insieme. Tali esigenze di tipo conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito dalla disciplina urbanistica nonchè con le aspettative dei proprietari dei terreni che mirano legittimamente a sfruttarne le potenzialità edificatorie.

E’ proprio in relazione al difficile equilibrio tra tali contrapposti interessi che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o denegare il necessario assenso al formarsi del titolo autorizzatorio secondo il modello procedimentale delineato nell’art. 146 del d.lgs. 42 del 2004 (che come è noto attribuisce oggi al Ministero dei beni e delle attività culturali, per il tramite delle locali Soprintendenze, un ruolo di cogestione attiva del vincolo paesaggistico, con la titolarità di penetranti poteri valutativi di merito).

Si tratta di valutazioni spesso connotate da elementi tecnico-discrezionali non sindacabili in sede giurisdizionale, se non per illogicità manifesta, per palese incongruità o inadeguatezza del provvedimento in rapporto alle sue finalità di protezione del territorio vincolato, ad evitare inammissibili sovrapposizioni del giudicante in ambiti che la legge ha voluto riservare alla amministrazione titolare del potere.

3.- Ciò detto in termini generali, il Collegio ritiene che le censure d’appello non siano da condividere.

Con le stesse si viene sostanzialmente a censurare la determinazione negativa assunta dalla Soprintendenza di Brescia, Mantova e Cremona sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio programmato dalla odierna società appellante in una porzione del territorio collinare insistente nel Comune di Toscolano Maderno, nell’altro Garda Bresciano, sottoposto a vincolo di tutela paesaggistica con DM 5 marzo 1958.

A base della dichiarazione di notevole interesse pubblico il decreto di vincolo ha posto in rilievo che l’intera zona oltre a formare un quadro naturale di non comune bellezza per il caratteristico susseguirsi di sontuose ville ed artistici giardini ricchi di essenze pregiate e per la caratteristica zona rocciosa di acceso colore, a picco sul lago, e per la vegetazione ricca di ulivi, vigneti cipressi, oleandri e agrumi, offre numerosi punti di vista accessibili al pubblico dai quali si può godere la visuale panoramica del lago di Garda e dei monti che lo circondano e dell’opposta sponda veronese.

Tanto premesso sui contenuti del vincolo paesaggistico impresso all’area ove la società appellante aveva programmato di realizzare un complesso edilizio a destinazione residenziale, osserva il Collegio che, come correttamente ritenuto dai giudici di primo grado, nel caso di specie la Soprintendenza non ha esercitato illegittimamente il potere di cui è titolare, esprimendo per converso con motivazione coerente e plausibile le ragioni a suo giudizio ostative alla realizzazione del programmato intervento edilizio.

4.- Anzitutto, non appare fondato il motivo incentrato sulla pretesa contraddittorietà del diniego avversato in primo grado con altro precedente parere della stessa Soprintendenza del 24 giugno 2009.

Sotto tal riguardo deve osservarsi che tale pregresso parere non risulta adottato sulla base di un progetto definitivo presentato dalla società proponente, dato che altrimenti non si spiegherebbe l’intervenuta adozione di un ulteriore provvedimento a distanza di trenta mesi da parte della stessa Soprintendenza sullo stesso progetto già assentito. In realtà, con il precedente parere del 2009 la Soprintendenza si limitava ad esprimere compiacimento per l’abbandono di pregresse ipotesi progettuali ancor più invasive per il territorio ed a suggerire raccomandazioni utili ad un più corretto inquadramento progettuale dell’intervento nella delicata cornice paesaggistica nel cui ambito avrebbe dovuto inserirsi.

Ma nessun effetto conformativo sulla successiva disamina del progetto in sede di autorizzazione definitiva o, ancor meno, di autorizzazione preventiva implicita si sarebbe potuta riconnettere a quell’atto, anche a ritenere che lo stesso sia stato adottato - come più volte evidenziato dall’appellante- sulla base di un corposo corredo documentale costituito, tra l’altro, da ben otto tavole progettuali.

Peraltro, se anche fosse vero che la soluzione progettuale proposta dalla società ricorrente nella versione da ultimo denegata dalla competente Soprintendenza fosse conforme alle indicazioni di massima rese dalla stessa nel 2009, oltre che migliorativa rispetto alle precedenti versioni progettuali (sul piano dello sdoppiamento degli edifici originariamente progettati come un corpo unitario anche per la collocazione delle costruzioni, poste più a valle e perciò di minor impatto sui “ versanti” collinari e sui terreni acclivi), cionondimeno tanto non legittimerebbe la società ricorrente a ricostruire l’atto di assenso soprintendentizio alla stregua di un atto “dovuto”, restando evidentemente inalterate le prerogative dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in occasione del definitivo esame degli elaborati progettuali..

Inoltre, va osservato, come correttamente divisato dai giudici di primo grado, che nel periodo corrente tra il primo (del 2009) ed il secondo (del 2011) degli atti adottati dalla Soprintendenza appellata sul progetto edilizio della società ricorrente sia significativamente mutato il quadro normativo in ordine ai poteri della amministrazione centrale in sede di rilascio del titolo abilitativo paesaggistico.

Ed infatti con l’entrata in vigore, a regime (dal 1° gennaio 2010), dell’art. 146 sulla disciplina autorizzatoria prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004 n.42), la Soprintendenza si è ritrovata ad esercitare, non più un sindacato di mera legittimità (come previsto dall’art. 159 d.lgs. n. 42/04 nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009) sull’atto autorizzatorio di base adottato dalla Regione o dall’ente subdelegato, con il correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo (su cui Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9), ma una valutazione di “merito amministrativo”, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico (art. 146 d.lgs. 42/04).

Non par dubbio che tale mutato quadro normativo abbia giustificato sul piano normativo una diversa e più penetrante valutazione, da parte della Soprintendenza, della compatibilità dell’intervento edilizio progettato con i valori paesaggistici compendiati nella richiamata disciplina vincolistica.

5.- Né, passando ad altro profilo di doglianza, può riconnettersi rilievo, in funzione di una pretesa limitazione dei poteri di gestione del vincolo da parte dell’autorità a ciò chiamata, alle iniziative della società appellante volte a propiziare la variante urbanistica che consentisse la traslazione più a valle delle volumetrie da realizzare, al fine di rendere di minor impatto visivo l’incidenza sulle retrostanti colline.

Tali iniziative, pur se meritorie in quanto orientate al miglioramento estetico complessivo dell’intervento edilizio programmato, non sono certo utili a dimostrarne la sicura coerenza con i rilevanti valori paesaggistici dei luoghi ovvero per altro verso a ritenere che l’abbandono di più impattanti proposte progettuali della parte privata abbia in qualche misura eroso i poteri conformativi sull’uso del territorio paesaggisticamente vincolato in capo alla competente Soprintendenza.

Non ha peraltro ragione di porsi, in questo ambito giudiziale in cui è in gioco la verifica della legittimità del diniego della soprintendenza alla trasformazione territoriale proposta dalla odierna società appellante, la questione della incidenza economica negativa risentita dalla stessa società dal lungo iter procedimentale necessario alla preparazione dei progetti ed alla presentazione delle modifiche funzionali a renderli in astratto maggiormente compatibili, secondo la valutazione della società proponente, con le esigenze prospettate dalle autorità nel corso dei lunghi contatti procedimentali.

Oltre alla considerazione, di per sé dirimente, del carattere evidentemente recessivo dell’interesse privato rispetto alle esigenze connesse alla tutela paesaggistica del territorio ed alla corretta gestione del vincolo ad opera della competente Soprintendenza, vale osservare che, in ogni caso, la variante urbanistica ottenuta dalla società appellante per la traslazione più a valle delle volumetrie assentibili ha solo in parte ridotto l’incidenza del progetto sul paesaggio ed ha lasciato integri i poteri valutativi della autorità statale.

Sotto tal riguardo il Collegio osserva che il diniego soprintendentizio avversato in primo grado non equivale ad un divieto assoluto di sfruttamento edilizio dei terreni, ma è stato reso limitatamente al progetto di residence proposto dalla odierna società appellante.

In tal senso non ha pregio la doglianza incentrata sul sostanziale svuotamento dello iu aedificandi espresso dai terreni in proprietà della appellante e del connesso pregiudizio alle prerogative dominicali.

6.- Sotto distinto ma concorrente profilo, non appare rilevante l’osservazione dell’appellante secondo cui il regime edificatorio del territorio, quale riveniente dai piani paesaggistici o urbanistici relativi all’area ove il complesso residenziale dovrebbe sorgere (in particolare, dal Piano Territoriale di coordinamento della Comunità montana Parco Alto Garda Bresciano), consentirebbe di sviluppare l’edificazione secondo gli indici di fabbricabilità indicati nel progetto residenziale dalla società appellante, non sussistendo vincoli di inedificabilità assoluta nella zona.

E’ evidente infatti che la conformità dell’intervento alla disciplina paesaggistica o urbanistica (la cui valutazione peraltro è rimessa all’autorità comunale) in territorio gravato da vincolo paesaggistico è condizione necessaria ma non sufficiente a realizzare un progetto edilizio dato che, in un’area paesaggisticamente vincolata, “ l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” (art. 146 cit, comma 4).

In altri termini, l’edificabilità in astratto di un terreno non può ex se legittimare aspettative giuridicamente rilevanti riguardo all’assentibilità dei progetti sotto il profilo paesaggistico, essendo diversi gli ambiti cognitori riservati a distinte autorità.

7.- Il Collegio ritiene che non possano condurre a conclusioni diverse neppure i rilievi della odierna società appellante riguardo all’edificazione in concreto sviluppatasi negli anni nei lotti contermini a quello in proprietà di essa appellante. Premesso che non è possibile ricavare dalla allegazione difensiva dell’appellante più precise indicazione sulla tipologia di tali costruzioni, sui titoli autorizzatori eventualmente rilasciati dalle distinte autorità, appare rilevante osservare che da eventuali illegittimità occorse nel rilascio di siffatte autorizzazioni non potrebbero scaturire illegittimità ulteriori, atteso che la compromissione dei valori paesaggistici dovrebbe al più suggerire interventi di salvaguardia e di recupero territoriale e non di ulteriore antropizzazione, con conseguente aumento del carico urbanistico-edilizio.

8.- Da ultimo non risulta fondata la censura di difetto di istruttoria in cui sarebbe incorsa la appellata autorità soprintendentizia nell’adottare l’avversato provvedimento, sotto il profilo che la stessa non avrebbe atteso di ricevere la documentazione ritenuta originariamente mancante a corredo degli elaborati progettuali.

La determinazione conclusiva dell’autorità preposta alla tutela del vincolo è infatti a tal punto tranciante, nel giudicare incompatibile con i valori paesaggistici l’intervento proposto, che la stessa dà conto della irrilevanza della integrazione documentale, stante la insuperabilità dei rilievi critici in ordine al negativo impatto delle opere progettate sulla orografia collinare e sull’insieme del paesaggio lacuale.

In definitiva, l’appello va respinto e va confermata la impugnata sentenza.

Le spese di giudizio del presente grado seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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