Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-01-23, n. 201200265

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-01-23, n. 201200265
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201200265
Data del deposito : 23 gennaio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02538/2003 REG.RIC.

N. 00265/2012REG.PROV.COLL.

N. 02538/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2538 del 2003, proposto da:
Società Centrale Immobiliare di Ravanne Daniela &
C. S.a.s., rappresentata e difesa dall'avv. A L, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ombrone, 12, Pal. B;

contro

Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. R V e R C, con domicilio eletto presso l’avv. Roberto Ciociola in Roma, via Bertoloni, 37;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 02840/2002, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2011 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Loiodice e Verna;


FATTO

Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Bari, sez. II, con la sentenza n. 2840 del 20 giugno 2002, ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per ottenere la condanna del Comune di Bari al risarcimento del danno ingiusto cagionato alla ricorrente dal provvedimento n. 3570 del Sindaco del Comune di Bari del 16.6.1992, con il quale era stata annullata la concessione edilizia n. 714 del 13.9.1990, provvedimento dichiarato illegittimo con sentenza del Consiglio di Stato n. 474 del 23.4.1998.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, preliminarmente, che la pretesa coincidenza tra lesione dell’interesse legittimo derivante dal ritiro della concessione edilizia e indebita vulnerazione del bene della vita cui tale interesse è correlato, non sempre è automatica: l’automaticità non è, ad esempio, ravvisabile laddove l’illegittimità del provvedimento sia determinata esclusivamente da vizi formali e del procedimento e non da vizi incidenti sulla sostanza del provvedimento.

Nell’ipotesi di vizi del procedimento, infatti, l’annullamento dell’atto, indipendentemente dall’autorità che l’abbia disposto, impone l’adozione di un nuovo provvedimento dell’amministrazione emendato dai vizi formali accertati, il cui dictum rimane invariato qualora la situazione sottostante lo imponga.

Rilevava ancora il TAR che tale era il caso in esame caratterizzato da un annullamento giudiziale dell’atto di ritiro della concessione edilizia motivato per violazione dell’art. 7, L. 241/90, non avendo il Comune dato comunicazione di avvio del procedimento di annullamento e/o revoca della concessione edilizia, nonché per difetto di istruttoria del Comune in ordine alla titolarità della proprietà dell’area oggetto di intervento, presupposto sostanziale dell’atto di ritiro.

Secondo il TAR, l’oggettiva incertezza sulla appartenenza dell’area interessata dalla costruzione (nel dubbio tra titolarità del Comune, per averla espropriata con decreto del 12 giugno 1980 o della società sub acquirente, attuale ricorrente), perdura, stante il fatto che era stata introdotta, avanti il Tribunale civile di Bari, dai danti causa della attuale ricorrente azione di retrocessione, la cui valenza confessoria è indubbia.

La controversia civilistica sulla retrocessione e, quindi, sulla proprietà, ha osservato il TAR, non risultava nemmeno definita nelle more del giudizio relativo all’annullamento della concessione edilizia, né successivamente, essendosi le parti acquietate sulla interpretazione della situazione proprietaria contenuta, incidenter, nella citata sentenza 474/98, che ha ritenuto di condividere la relazione del parere del notaio A .

Secondo il TAR, infine, il rilevato difetto di istruttoria del Comune in ordine alla titolarità dell’area, onere imputato al Comune per aver posto in essere un atto c.d. di secondo grado (mentre l’onere di provare il titolo di proprietà grava, in via ordinaria, su chi chiede il rilascio del titolo abilitativo), rimane vizio puramente formale o del procedimento che non tocca la sostanza dell’atto, atteso che l’incertezza sin qui evidenziata sulla proprietà dell’area imponeva il ritiro della concessione edilizia, quand’anche per il tempo necessario all’accertamento.

Secondo l’appellante, la sentenza merita riforma in quanto:

- vi sarebbe una violazione del giudicato scaturente dalla citata sentenza di questo Consiglio n. 474 del 1998;

- pertanto, un danno ingiusto patito dall’attuale appellante, che andrebbe risarcito dal Comune, per effetto di un fermo cantiere di 6 anni.

Infatti, soltanto in esecuzione della sentenza 474/98, la società ricorrente ha, quindi, ultimato l’intervento edilizio.

Si costituiva il Comune appellato chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 21 ottobre 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che per fare chiarezza in ordine alla fondatezza dell’appello, occorre, in primo luogo, esaminare dettagliatamente il contenuto della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 474, invocata dall’appellante, ai fini di dimostrare l’illegittimo e illecito operato dell’Amministrazione nel disporre l’annullamento in autotutela della concessione edilizia per cui è causa, con conseguente fermo cantiere da parte dell’appellante stessa per molti anni.

Tale sentenza era stata proposta in ordine ad un appello presentato dalla stessa Società centrale immobiliare s.a.s., odierna appellante, contro il Comune di Bari per la riforma della sentenza del T.A.R. della Puglia, Bari, sezione II, 17 giugno 1996, n. 360, resa fra le parti.

Con la sentenza del T.A.R. della Puglia, Bari, sezione II, 17 giugno 1996, n. 360 era stato dichiarato inammissibile per difetto di interesse il ricorso della Società centrale immobiliare s.a.s. avverso l'ordinanza del sindaco di Bari n. 30570 in data 16 giugno 1992 di annullamento della concessione edilizia n. 714 rilasciata il 13 settembre 1990 alla stessa società.

Con l'appello la Società centrale immobiliare contestava l'esistenza dei presupposti della dichiarazione di inammissibilità e di improcedibilità e riproponeva le censure già dedotte davanti al T.A.R.

La Sezione, in quella sentenza del 1998, rilevava che il TAR aveva dichiarato l'inammissibilità del ricorso della Società centrale immobiliare avverso il provvedimento (n. 30570 del 16 giugno 1992) di annullamento della concessione edilizia n. 714-1990, annullamento adottato in quanto il suolo interessato dal progetto risultava espropriato dal Comune di Bari nell'anno 1973.

Il T.A.R. aveva, all’epoca, ritenuto che la società ricorrente avesse manifestato l'interesse a non voler proseguire l'odierno giudizio, avendo, prima, formulato una proposta transattiva, relativa all'area in questione, diretta ad ottenere la concessione del diritto di superficie per novantanove anni (istanza del 27 gennaio 1994);
poi, presentato un nuovo progetto edilizio (istanza del 1° marzo 1995);
infine, chiesto la restituzione delle somme versate per contributi a titolo di oneri di urbanizzazione e di costi di costruzione, preso atto che "la concessione edilizia è stata annullata per mancanza della titolarità della proprietà e che non è stato possibile raggiungere un accordo transattivo con l'amministrazione comunale" (istanza del 14 aprile 1995).

Il Collegio non aveva condiviso la pronuncia di improcedibilità del TAR, poiché, come è noto, l'improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse si verifica soltanto per il sopraggiungere di una situazione tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza (es. Consiglio di Stato, Sez. V, 10 marzo 1997, n. 242).

Le iniziative adottate dalla società appellante dopo la proposizione del ricorso non soddisfacevano tale condizione, giacché, in primo luogo, la proposta di transazione, anche ammesso che la controversia si prestasse a trovare definizione in sede transattiva, non era pervenuta a conclusione;
in secondo luogo, all'istanza relativa ad un progetto edilizio diverso non aveva fatto seguito il rilascio di alcuna concessione.

Pertanto, secondo questa Sezione, non poteva escludersi che permanesse l'interesse della società a realizzare il progetto a suo tempo assentito, tanto più se, come non è contestato, si trattava dello stesso progetto corretto in alcuni elaborati grafici e nel calcolo di alcune volumetrie.

Infine, la restituzione delle somme versate a titolo di contributi rappresentava nulla più che un obbligo gravante sull'Amministrazione conseguente all'annullamento della concessione edilizia, onde nella domanda della società non può essere ravvisato alcun intento abdicativo dell'interesse ad avvalersi della concessione edilizia annullata, ma piuttosto l'esercizio di un suo diritto.

Ciò posto, la Sezione passava a prendere in esame le censure già proposte in primo grado e ribadite con l'appello, fra le quali assumeva carattere prioritario quella volta a denunziare la violazione dell'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, ritenuta fondata.

Egualmente fondata, in quella sentenza della Sezione del 1998, è stata ritenuta la censura, dedotta in primo grado con il primo motivo e ribadita con il secondo motivo aggiunto, riproposta con l'appello, volta a contestare il difetto di istruttoria.

La concessione edilizia era stata annullata in quanto la particella 72 del foglio 42, su cui ricade l'intervento assentito dalla concessione edilizia in parola, fu espropriata a mezzo regolare piano particolareggiato nell'anno 1973, con riferimento alla superficie di mq.

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