Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-27, n. 202301957

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-27, n. 202301957
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301957
Data del deposito : 27 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/02/2023

N. 01957/2023REG.PROV.COLL.

N. 01128/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1128 del 2020, proposto da
Reti Televisive Italiane - RTI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F L, M M e G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 12509/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2022 il Cons. Francesco De Luca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con delibera n. 76/10/CSP l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (per brevità, anche Agcom) ha adottato un’ordinanza ingiunzione nei confronti della società Reti Televisive Italiane s.p.a. (RTI s.p.a.) per la violazione dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05.

In particolare, l’Autorità, ritenendo di assoggettare l’evento pubblicitario Sovrimpressione animata (cd. Inlogo) alle stesse disposizioni del posizionamento e del distanziamento temporale rispetto agli altri eventi pubblicitari ex art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05, ha ravvisato la violazione di tale disciplina, in quanto:

- il giorno 2 settembre 2009, durante il telefilm della serie televisiva Julie Lescaut , erano state trasmesse pubblicità distanziate rispettivamente di 10 minuti e 13 secondi;
10 minuti e 5 secondi;
8 minuti e 22 secondi e 11 minuti e 33 secondi;

- il giorno 4 settembre 2009, durante il telefilm Commissario Navarro, erano state trasmesse pubblicità distanziate rispettivamente di 9 minuti e 4 secondi;12 minuti;
9 minuti e 44 secondi;
13 minuti e 14 secondi.

Per l’effetto, l’Autorità ha ingiunto il pagamento di € 30.987,00 a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria.

2. La società RTI ha impugnato il provvedimento sanzionatorio, deducendone l’illegittimità con l’articolazione di plurime censure, incentrate sulla:

- illegittima applicazione analogica dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177 del 2005;

- insussistenza dei presupposti per ricorrere all’analogia, attesa la non assimilabilità della pubblicità a schermo diviso con le sovrimpressioni Inlogo;

-necessaria e diretta applicazione dell’art. 1, n. 14, direttiva 2007/65/CE, di abrogazione della regola dei venti minuti;

- la natura sporadica ed isolata delle violazioni contestate;

- la necessaria riduzione della sanzione al minimo edittale.

3. L’Autorità si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso.

4. Il T ha rigettato l’impugnativa, ravvisando l’infondatezza delle censure attoree, tenuto conto che:

- doveva ritenersi legittima l’utilizzata analogia tra “INLOGO” e “schermo diviso”, in quanto, in entrambi i casi si aveva un’interruzione parziale e di diversa intensità della trasmissione televisiva, tenuto anche conto che la disciplina sulla pubblicità, non solo modale, ma, soprattutto, sostanziale, induceva a ricondurre il messaggio di contenuto pubblicitario, in qualunque forma realizzato, alla disciplina sugli spot televisivi, anche quando non si sostituiva, ma si sovrapponeva al programma televisivo;

- la normativa comunitaria e nazionale risultava orientata, pure nel rispetto della libertà di impresa, alla prioritaria tutela del consumatore rispetto alla diffusione indiscriminata di forme pubblicitarie;

- l’Agcom, nell’occasione, aveva fatto applicazione (diretta, dunque, non analogica: ciò a prescindere dalla tardività della relativa censura, contenuta in memoria neppure notificata) di una norma di legge allora vigente, dalla portata omnicomprensiva (ossia estesa ad ogni forma di pubblicità);

- non sussisteva poi l’obbligo di disapplicazione dell’art. 37 comma 5 D. Lgs. n. 177/05, in quanto, sebbene con la direttiva 2007/65/CE il legislatore comunitario avesse abrogato la “regola dei venti minuti”, non aveva affatto “liberalizzato” per intero il settore, prevedendo comunque un lasso temporale minimo tra interruzioni a seconda del contenuto trasmesso e, comunque, dettando una disciplina che rendeva evidente (specie con riferimento a forme pubblicitarie quali quella “In Logo” come trasmessa all’epoca dei fatti) la predominanza del principio di tutela dei fruitori dei programmi rispetto agli interessi imprenditoriali sottesi alla diffusione pubblicitaria;

- in assenza di dubbi e/o a incertezze di ordine interpretativo, non risultava necessario disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea;

- non irragionevolmente la reiterazione della condotta aveva indotto l’Agcom ad esercitare discrezionalmente il potere sanzionatorio nel senso di applicare, solo per la seconda violazione, il doppio del minimo edittale, mentre per la prima era stato applicato il minimo;
ciò anche in considerazione del complessivo importo non particolarmente elevato della sanzione in comparazione con il vantaggio economico (ragionevolmente assai più elevato) arrecato alla ricorrente con la diffusione dei messaggi pubblicitari sanzionati.

5. La ricorrente in prime cure ha appellato la sentenza pronunciata dal T, deducendone l’erroneità con l’articolazione di tre motivi di impugnazione.

6. L’Autorità si è costituita in giudizio, resistendo all’appello, nonché ha svolto argomentazioni controdeduttive con memoria del 2 novembre 2022.

7. L’Appellante ha replicato alle avverse deduzioni.

8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 24 novembre 2022.

9. Il ricorso, come osservato, è articolato in tre motivi di appello.

9.1 Con il primo motivo viene censurato il capo decisorio con cui il T ha ritenuto tardiva la doglianza relativa alla violazione del divieto di analogia in materia di sanzioni amministrative.

A giudizio della ricorrente, la censura in parola sarebbe stata sollevata in modo tempestivo e rituale nel primo motivo di ricorso, rubricato, appunto, “ violazione dell’art. 1, l. 689/81 ” (pagg. 6/7), con la conseguenza che, in sede di memoria conclusionale di primo grado, la ricorrente si era limitata ad ulteriormente argomentare a sostegno di una censura tempestivamente introdotta in giudizio.

9.2 Con il secondo motivo viene censurato il capo decisorio con cui il T ha ritenuto che nel merito l’Autorità avesse fatto applicazione diretta e non analogica della disciplina dettata dall’art. 37 comma 5 D. Lgs. n. 177/05.

Secondo la prospettazione attorea, invero, lo stesso T, nel richiamare un proprio precedente, avrebbe posto a fondamento della decisione una pronuncia incentrata proprio l’analogica tra l’Inlogo e altre manifestazioni pubblicitarie.

L’art. 37 comma 5 D. Lgs. n. 177/05, difatti, si sarebbe riferito, al tempo dei fatti, alle interruzioni pubblicitarie, mentre l’Inlogo individuava una tecnica di comunicazione pubblicitaria televisiva incentrata sull’utilizzo di brevissime sovrimpressioni animate, prive di audio, trasmesse simultaneamente al programma, senza sovraimpressioni e senza modifiche dell’immagine dello stesso.

Non implicando l’Inlogo un’interruzione pubblicitaria, l’applicazione dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05 non sarebbe potuta avvenire se non in via analogica, in violazione del divieto di analogia operante in materia sanzionatoria.

9.3 Con il terzo motivo viene censurato il capo decisorio con cui il T ha escluso la ricorrenza dei presupposti per fare luogo alla disapplicazione dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05, a fronte della sopravvenuta abrogazione della norma unionale di riferimento ad opera della direttiva 2007/65/CE, con disposizione sufficientemente precisa e incondizionata e dopo la scadenza del termine di recepimento della nuova disciplina europea.

In particolare, a giudizio dell’appellante, avendo l’art. 1, n. 14) direttiva 2007/65 riformulato l’art. 11, direttiva 89/552/CEE con abrogazione della regola prescrittiva di un intervallo minimo di 20 minuti tra interruzioni pubblicitari all’interno delle trasmissioni, stante l’intervenuta scadenza del termine di recepimento e il carattere del tutto preciso ed incondizionato delle norme europee, l’Autorità avrebbe dovuto disapplicare la norma interna contrastante (l’art. 37, comma 5, d.lgs. 177/05) -che ancora prevedeva la “regola dei venti minuti” -astenendosi, per l’effetto, dall’adozione del provvedimento sanzionatorio.

10. I primi due motivi di appello, suscettibili di trattazione congiunta per ragioni di connessione, sono fondati.

11. In primo luogo, occorre evidenziare come la parte ricorrente abbia ritualmente e tempestivamente introdotto dinnanzi al T un motivo di ricorso specificatamente rivolto a denunciare l’illegittimità del provvedimento impugnato per intervenuta applicazione analogica di una disposizione sanzionatoria.

11.1 Al riguardo, deve in effetti riconoscersi, come rilevato dal primo giudice, l’impossibilità di mutare in corso del giudizio le domande processuali estendendone il perimetro, considerato che l’oggetto del processo risulta delimitato dall’atto introduttivo (salva la proposizione di rituali motivi aggiunti o di domande riconvenzionali).

In particolare, il thema decidendum non può essere ampliato con mere memorie difensive, utilizzabili soltanto per argomentare sulle censure ritualmente introdotte in sede di ricorso o con motivi aggiunti, ma non per introdurre nuovi motivi di doglianza incentrati su una diversa causa petendi (integrante il titolo alla base della domanda e, dunque, i fatti costitutivi della pretesa azionata in giudizio) o su un diverso petitum (mediato -riguardante il bene della vita oggetto di richiesta- o immediato – riferito alla richiesta processuale avanzata al giudice procedente).

11.2 Nel caso di specie, tuttavia, alla stregua di quanto emergente dalla disamina del ricorso di primo grado, la società RTI aveva contestato che: “ Con la delibera qui impugnata, viceversa, l'Autorità ha ravvisato la violazione dell'art. 37, comma 5, d.lgs. 177/05, ed imposto le correlative sanzioni pecuniarie, sulla base del criterio interpretativo della norma indicato dall'art. 5 della comunicazione interpretativa, vale a dire attraverso l'applicazione analogica alle sovrimpressioni animate di un divieto previsto per la diversa ipotesi dei comunicati pubblicitari che "interrompono" le trasmissioni (lo stesso provvedimento, alla pag. 3, riconosce che "per la sua specificità l’InLogo non risulta visibile al telespettatore con le modalità di una interruzione pubblicitaria"). Ai sensi dell’art. 1, l. 689/81: "Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati". Pacificamente, non vi è alcuna "legge" che disciplini le sovrimpressioni animate, oggi come all'epoca dei fatti oggetto del procedimento, d'altro cauto, l’applicazione analogica delle "leggi che prevedono sanzioni amministrative" è espressamente preclusa dal secondo comma della norma appena citata. A prescindere, quindi, da ogni questione circa la legittimità del ricorso all'interpretazione per analogia in sede di comunicazione interpretativa, tale strumento interpretativo (e di conseguenza l'art. 5, delibera 211/08, che ad esso fa ricorso) non avrebbe potuto essere utilizzato dall'Autorità per emettere provvedimenti sanzionatori, come è invece avvenuto, in modo illegittimo, nel caso presente ” (pagg. 6/7 ricorso di primo grado).

Alla luce di tali deduzioni, risulta evidente come la parte ricorrente avesse introdotto, sin dal ricorso di primo grado, uno specifico motivo di censura avente quale causa petendi – e, dunque, quale circostanza idonea a rivelare un vizio di legittimità dell’atto impugnato – l’applicazione analogica di una norma sanzionatoria ad una fattispecie, quale quella di causa, in essa non contemplata.

La sentenza gravata deve, dunque, essere riformata, in primo luogo, in relazione al capo decisorio con cui il T ha ravvisato la tardività della censura (comunque esaminata nel merito) concernente l’applicazione analogica di una disposizione sanzionatoria, discorrendosi di doglianza, anziché svolta soltanto in sede di memoria difensiva, sin dall’atto introduttivo del primo giudizio.

12. Ciò posto, si ravvisa, alla luce di quanto correttamente dedotto dall’appellante, l’illegittimità del provvedimento per cui è causa, essendosi irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria in relazione ad una fattispecie non direttamente regolata.

12.1 Come precisato dalla Sezione (22 novembre 2017, n. 5420, anche alla stregua della giurisprudenza della Corte Edu), nell'ambito delle misure amministrative ad effetti limitativi della sfera giuridica individuale, occorre distinguere le sanzioni "in senso stretto" dalle sanzioni "in senso lato", assegnando alle due categorie di sanzioni un diversificato apparato di garanzie sostanziali, procedimentali e giurisdizionali.

La sanzione in senso stretto costituisce una reazione dell'ordinamento alla violazione di un precetto cui è estranea qualunque finalità ripristinatoria o risarcitoria ed è inflitta nell'esercizio di un potere punitivo avente ad oggetto condotte: essa è soggetta ai principi di legalità, personalità e colpevolezza, oltre ad essere suscettibile di un pieno sindacato in sede giurisdizionale.

Le residue sanzioni ("senso lato"), alle quali si riconducono tradizionalmente le "sanzioni ripristinatorie" ed interdittive (ove non meramente accessorie alle sanzioni amministrative in senso stretto, altrimenti rientrando nella disciplina di cui all'art. 20, L. n. 689 del 1981), costituiscono una manifestazione tipica di potere amministrativo autoritativo, in relazione al quale il cittadino versa in una posizione di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.

Nel caso di specie, viene in rilievo una sanzione in senso stretto, irrogata dall’Autorità quale reazione ad un comportamento asseritamente illecito, con l’inflizione di un sacrificio economico avente la funzione di prevenire la commissione di ulteriori illeciti e di retribuire il danno sociale prodotto dalla condotta antigiuridica, tradottasi nella asserita trasmissione di messaggi pubblicitari in violazione dei limiti di legge: esula da tale sanzione una finalità meramente ripristinatoria dell’ordine violato o interdittiva di attività altrimenti consentite.

In tali ipotesi, a fronte di una sanzione amministrativa punitiva, quale quella rilevante nell’odierno giudizio, devono trovare applicazione, tra gli altri, i principi di tassatività e di determinatezza (Consiglio di Stato, sez. V, 12 ottobre 2018, n. 5883): sicché, da un lato, resta esclusa l'integrazione analogica della norma sanzionatrice per estenderne l'applicazione a ipotesi ivi non contemplate, dall’altro, tale norma deve essere formulata in maniera precisa, tale da consentire al destinatario di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del suo valore precettivo.

La norma sanzionatoria deve, infatti, individuare con sufficiente precisione la condotta sanzionata e permettere ai suoi destinatari di distinguere con chiarezza la sfera del lecito da quella dell'illecito, in tale modo orientandone preventivamente la condotta.

In particolare, come precisato da questo Consiglio di Stato (sez. V, 12 ottobre 2018, n. 5883), “ Il principio di legalità in materia sanzionatoria - immanente allo Stato di diritto - trova base nell'art. 1, primo comma, della L. 24 novembre 1981, n. 689, secondo cui "Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione", in applicazione dell'art. 25 Cost., per il quale "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Ne deriva che le fattispecie soggette a sanzione amministrativa si caratterizzano per tipicità e determinatezza. Sicché resta esclusa l'integrazione analogica della norma sanzionatrice per estenderne l'applicazione a ipotesi ivi non contemplate (cfr. Cass., II, 22 maggio 2007, n. 11826, 22 gennaio 2004, n. 1081, I, 8 agosto 2003, n. 11968;
da Cons. Stato, VI, 28 giugno 2010, n. 4141 in tema di sanzioni AVCP
….)”.

12.2 Alla luce di tali rilievi, occorre evidenziare come l’Autorità, nell’adottare il provvedimento per cui è causa, abbia applicato una norma sanzionatoria in relazione ad una fattispecie concreta ivi non contemplata, incorrendo in tale modo nella violazione del divieto di analogia in materia sanzionatoria.

In particolare, l’atto censurato dinnanzi al T, come emergente dalla stessa epigrafe, oltre che dal contenuto motivazionale e dispositivo, è stato assunto sul presupposto dell’avvenuta violazione dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05.

Ai fini della soluzione dell’odierno giudizio, dunque, deve prendersi in esame la formulazione della disposizione normativa vigente al momento dei fatti di causa (occorsi nel settembre 2009), tenuto conto che i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell'applicazione analogica di cui all'art. 1 della L. 24.11.1981 n. 689, in tema di sanzioni amministrative, comportano l'assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali "ab origine" (tra gli altri, Cass. civ., Sez. II, Ord., 18 ottobre 2022, n. 30500).

Ai sensi dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05 cit., nella formulazione vigente nel settembre 2009, “ Quando programmi diversi da quelli di cui al comma 2 sono interrotti dalla pubblicità o da spot di televendita, in genere devono trascorrere almeno venti minuti tra ogni successiva interruzione all'interno del programma ”.

La disposizione normativa trovava applicazione alle interruzioni dei programmi per effetto di pubblicità o spot di televendita: l’inosservanza della relativa disciplina dava luogo ad una violazione in materia di pubblicità, sanzionata, ai sensi dell’art. 51, comma 1, lett. c), e comma 2, lett. a), D. Lgs. n. 177/05, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.329 euro a 258.228 euro.

12.3 L’Autorità ha inteso applicare tale quadro regolatorio a “sovrimpressioni animate” (c.d. Inlogo), connotate, come precisato dalla stessa appellata in sede sostanziale, dalla “ contemporaneità di trasmissione e sovrapposizione rispetto al programma televisivo in cui è inserita, consistendo nella diffusione simultanea o parallela del contenuto redazionale e del contenuto pubblicitario ” (art. 5, comma 1, All. A alla delibera n. 211/08/CSP, recante Comunicazione interpretativa relativa a taluni aspetti della disciplina della pubblicità televisiva).

12.4 Il Collegio ritiene che le forme pubblicitarie Inlogo, non dando luogo ad interruzioni pubblicitarie, non potessero essere soggette all’applicazione di una disciplina sanzionatoria dettata dal combinato disposto degli artt. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05 cit., e 51, comma 1, lett. c), e comma 2, lett. a), D. Lgs. n. 177/05.

Ragioni di ordine letterale, sistematico e teleologico depongono per una tale conclusione.

12.5 Sul piano letterale, come osservato, l’art. 37, comma 5, cit. (nella formulazione r atione temporis applicabile) vietava le “interruzioni dei programmi”, sanzionando in tale modo le sole condotte volte a produrre una soluzione di continuità nella trasmissione del contenuto redazionale.

L’Inlogo, tuttavia, si traduce in una “sovrimpressione animata” in cui si assiste ad una contemporanea trasmissione e sovrapposizione dell’evento pubblicitario al programma televisivo: come rilevato dall’Autorità, l’Inlogo “ non interrompe il programma sul quale insiste, ma è contemporaneo allo stesso ” (delibera n. 211/08/CSP).

Ne discende che, già sul piano letterale, avuto riguardo al significato proprio delle parole all’uopo impiegate, non potrebbe applicarsi una previsione regolante le interruzioni pubblicitarie ad eventi che, determinando una mera sovrimpressione animata, assicurano la continuità della trasmissione dei contenuti editoriali.

12.6 Una tale interpretazione trova il conforto dell’elemento sistematico.

12.6.1 Preliminarmente, si osserva che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. u) e v), D. Lgs. n. 177/05 (sempre in relazione alla formulazione vigente al tempo dei fatti di causa), per pubblicità e spot pubblicitari dovevano intendersi, rispettivamente, “ ogni forma di messaggio televisivo o radiofonico trasmesso a pagamento o dietro altro compenso da un'impresa pubblica o privata nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigianale o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni ”;
nonché “ ogni forma di pubblicità di contenuto predeterminato, trasmessa dalle emittenti radiofoniche e televisive ”.

Tali disposizioni definitorie non richiedevano, altresì, l’idoneità degli eventi pubblicitari a determinare l’interruzione del programma in cui risultavano inseriti.

Ne deriva che la possibilità di qualificare l’evento quale pubblicità o spot pubblicitario non comportava, di per sé, l’idoneità dello stesso a produrre un effetto interruttivo della programmazione nell’ambito della quale risultava inserito, potendo aversi forme pubblicitarie suscettibili di garantire, comunque, la continua trasmissione dei contenuti editoriali.

L’Inlogo effettivamente integrava gli estremi della pubblicità, traducendosi in una forma (attraverso sovrimpressione animata) di messaggio televisivo suscettibile di essere trasmesso dietro pagamento o altro compenso da un professionista a scopo promozionale: tale circostanza, tuttavia, non permetteva, di per sé, di ricondurre a tale forma pubblicitaria l’effetto interruttivo della programmazione editoriale, non costituente, come osservato, un elemento costitutivo delle definizioni di cui all’art. 2, comma 1, lett. u) e v), e 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05.

Pertanto, posto che, ai sensi dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05, il divieto imposto dal legislatore non riguardava qualsiasi forma di messaggio televisivo trasmesso a scopo promozionale da un professionista -e, dunque, ogni pubblicità o spot pubblicitario-, ma soltanto una particolare forma, caratterizzata dall’effetto interruttivo della programmazione in cui risultava inserita, risultava compatibile con il quadro regolatorio di riferimento la possibilità, al contempo, di qualificare l’Inlogo quale pubblicità e di sottrarre tale forma pubblicitaria, comunque non comportante un effetto interruttivo della programmazione, dall’applicazione dell’art. 37, comma 5, cit.

12.6.2 Ciò posto, si rileva che l’impossibilità di riferire direttamente il disposto dell’art. 37, comma 5, cit. alla sovrimpressione animata in esame discende dalla stessa regolamentazione dettata dall’Autorità, secondo cui, in ragione delle peculiarità dell’Inlogo sopra descritte al tempo difettavano “ previsioni normative di sicura applicazione ”, risultando l’unico riferimento costituito dalla Comunicazione interpretativa della Commissione europea con riguardo alla tecnica dello “schermo diviso” (delibera n. 211/08/CSP).

Emerge, dunque, che la stessa Autorità di settore negava l’esistenza di disposizioni sicuramente applicabili alla fattispecie in esame, potendo provvedersi alla sua regolazione soltanto in via di assimilazione (“ l’evento pubblicitario costituito dalla sovraimpressione animata possa legittimamente essere trasmesso a condizione della sua assimilazione alla disciplina del c.d. schermo diviso …” – delibera n. 211/08/CSP) e, dunque, sulla base di disposizioni riferite a fattispecie analoghe ex art. 12, comma 2, disp. prel. c.c.

12.6.3 Si conferma, in definitiva, l’inesistenza di disposizioni direttamente riferibili alle sovraimpressioni animate e la possibilità di una loro disciplina soltanto in via analogica.

12.7 Tale esito ermeneutico è, infine, giustificato dall’elemento teleologico.

12.7.1 La disposizione sanzionatoria applicata con il provvedimento in esame tendeva ad assicurare l’integrità dei programmi, evitando che una loro reiterata interruzione ad intervalli ravvicinati, determinata da eventi pubblicitari, potesse influire negativamente sul godimento dei contenuti editoriali all’uopo trasmessi.

Una tale esigenza si poneva diversamente a seconda che l’evento pubblicitario interrompesse ovvero si sovrapponesse al programma: il telespettatore, nel primo caso, non poteva adoperarsi per evitare l’interruzione della visione del programma (comunque prodotta dalla pubblicità), nel secondo caso, poteva pure resistere agli stimoli pubblicitari ricevuti dalla sovrimpressione animata per concentrarsi nella visione del programma che continuava ad essere trasmesso.

Atteso il diverso grado di incisione del bene giuridico tutelato, dato dal pieno e indisturbato godimento dei contenuti editoriali - nel primo caso impedito, nel secondo turbato - le due fattispecie non avrebbero potuto essere soggette allo stesso trattamento edittale;
il che ostava alla sussumibilità di fattispecie eterogenee sotto la medesima norma sanzionatoria.

12.7.2 Sempre sul piano teleologico, occorre pure evidenziare che l’esigenza di tutela alla base del divieto di ravvicinate interruzioni pubblicitarie, già al tempo dei fatti di causa, risultava oggetto di un processo di rimeditazione in ambito unionale.

L’art. 1, comma 1, n. 14, Direttiva 2007/65/CE, nel sostituire l’art. 11 della direttiva 89/552/CEE - che aveva posto, al paragrafo 4, la regola dell’intervallo minimo dei 20 minuti tra due interruzioni pubblicitarie all’interno della stessa trasmissione - non ha riprodotto un’analoga disciplina, rimettendo agli Stati membri, in caso di inserimento di pubblicità televisiva o televendite durante i programmi, l’obbligo di assicurare l’integrità dei programmi, tenuto conto degli intervalli naturali, della durata e della natura del programma, nonché i diritti dei titolari.

Il 57° considerando di tale direttiva (2007/65/CE) prevedeva, in particolare, che, “ Date le maggiori possibilità per gli spettatori di evitare la pubblicità grazie al ricorso a nuove tecnologie quali i videoregistratori digitali personali ed all’aumento della scelta di canali, non si giustifica più il mantenimento di una normativa dettagliata in materia di inserimento di spot pubblicitari a tutela dei telespettatori. La presente direttiva, pur senza prevedere un aumento della quantità oraria di pubblicità consentita, dovrebbe lasciare alle emittenti televisive la facoltà di scegliere quando inserirla là dove ciò non pregiudichi indebitamente l’integrità dei programmi ”.

L’evoluzione tecnologica, dunque, aveva influito pure sulle modalità di tutela delle esigenze dell’utenza, attenuate in ragione delle maggiori possibilità per gli spettatori di evitare la pubblicità grazie al ricorso a nuove tecnologie quali i videoregistratori digitali personali ed all’aumento della scelta di canali.

Sebbene la direttiva n. 65 del 2007 non fosse stata ancora trasposta nell’ordinamento italiano al tempo dei fatti di causa, essa rilevava comunque sul piano ermeneutico, concorrendo a delineare le esigenze di tutela settoriale per come evolutesi nel tempo, in tale modo rappresentando un elemento valorizzabile anche ai fini dell’interpretazione del diritto vigente.

A fronte di una progressiva attenuazione delle esigenze di tutela in materia di interruzioni pubblicitarie, risultava maggiormente coerente con l’evoluzione del quadro unionale un’interpretazione tesa a limitare l’applicazione di disposizioni sanzionatorie (comunque vigenti e operanti al tempo dei fatti di causa) recanti una normativa dettagliata - in materia di inserimento di spot pubblicitari a tutela dei telespettatori - ormai non più coerente con gli obiettivi di interesse generale perseguiti in ambito sovranazionale.

Anche sotto tale profilo, risultava preferibile un’interpretazione restrittiva, coerente con il dato letterale e sistematico, tesa a limitare l’applicazione della normativa sanzionatoria in esame ai soli eventi pubblicitari comportanti un’effettiva interruzione della trasmissione.

13. Non potrebbe diversamente argomentarsi facendo leva sulle previsioni di cui all’art. 5 Allegato A alla delibera n. 211/08/CSP.

L’art. 5 in esame, per quanto di interesse, prevedeva taluni limiti alle sovrimpressioni animate “ in analogia alla tecnica del c.d. schermo diviso o ripartito ” (comma 1), richiamando al riguardo la disciplina degli spot “ con riferimento alla identificabilità del messaggio, all’assoggettamento ai limiti di affollamento orario e giornaliero, al posizionamento e al distanziamento temporale rispetto agli altri eventi pubblicitari, che ai sensi dell’articolo 37, comma 5, del Testo unico della radiotelevisione in genere deve avere durata minima di venti minuti ” (comma 2).

Tale comunicazione, sebbene confermata nell’ambito di un giudizio intercorrente fra le odierne parti processuali (T Lazio, Roma, 23 settembre 2010, n. 32428) -e, come tale, non revocabile in dubbio nell’odierna sede processuale-, da un lato, avvalorava l’applicazione soltanto in via analogica della disciplina prevista per altre forme pubblicitarie (non sussistendo una disposizione direttamente riferibile a tali manifestazioni pubblicitarie e dovendo, pertanto, provvedersi “ in analogia ”);
dall’altro, non prevedeva espressamente l’assoggettamento delle violazioni della relativa disciplina altresì al corrispondente trattamento sanzionatorio: ciò, nel rispetto del principio di legalità, che riserva alla fonte primaria la definizione degli elementi essenziali della fattispecie sanzionatoria.

Difatti, la relativa comunicazione interpretativa, ove effettivamente avesse esteso l’ambito dell’illiceità amministrativa, delineando nuove fattispecie sanzionatorie non previste dalla fonte primaria, avrebbe delineato in via secondaria una sanzione non prevista dal legislatore, in violazione del principio di legalità, che impedisce di comminare sanzioni direttamente con disposizioni contenute in fonti normative subordinate (tra gli altri, Cass. civ., Sez. I, 27 gennaio 2005, n. 1696).

Pertanto, anche tenuto conto dell’esigenza di intendere gli atti amministrativi alla stregua del principio di conservazione dei valori giudici – assegnando agli stessi un significato idoneo a manifestarne la legittimità, anziché uno comportante la loro invalidità – la comunicazione interpretativa in esame doveva ritenersi idonea ad estendere analogicamente alle sovrimpressioni animate la sola disciplina prescrittiva, ma non anche quella sanzionatoria, non espressamente contemplata e soggetta in maniera rigorosa al divieto di applicazione analogica (per quanto sopra osservato);
per l’effetto, la violazione della disciplina relativa a differenti forme pubblicitarie, pure non essendo irrilevante sul piano giuridico, non avrebbe comunque potuto dare luogo (neppure sulla base della richiamata comunicazione interpretativa) all’irrogazione di sanzioni punitive non previste direttamente dalla fonte primaria.

14. Infine, non potrebbe argomentarsi diversamente neppure facendo leva sulla sentenza n. 32428/10 del T Lazio, intervenuta tra le odierne parti e aventi ad oggetto la comunicazione interpretativa ex delibera n. 211/08/CSP.

Difatti, con tale sentenza, il T, sebbene abbia ritenuto che nei casi di “INLOGO” e “schermo diviso” “si ha un’interruzione parziale e di diversa intensità della trasmissione televisiva”, ha chiaramente precisato che “L’Autorità, nell’enucleare, quale condizione di utilizzabilità della sovrimpressione animata (c.d. INLOGO) il rispetto delle cautele indicate nella Comunicazione della Commissione Europea 102/02/2004 ha legittimamente colmato una lacuna legislativa, rinvenendo una disciplina applicabile in via analogica, quella del c.d. “schermo diviso o ripartito”, che consente la concreta utilizzabilità di tale nuova forma di pubblicità”.

Tale sentenza, dunque, conferma che l’applicazione della disciplina in materia di schermo indiviso alle sovrimpressioni animate (Inlogo) poteva avvenire soltanto in via analogica, colmando una lacuna di disciplina;
il che, tuttavia, non giustificava l’assoggettamento di tale forma pubblicitaria a disposizioni sanzionatorie (si ripete, neppure richiamate nella relativa comunicazione interpretativa dell’Autorità) operanti per distinte fattispecie.

15. Alla luce delle considerazioni svolte, i primi due motivi di appello devono essere accolti: l’Autorità, attraverso l’assoggettamento delle sovrimpressioni animate ad una disposizione sanzionatoria non pertinente, riferita alle distinte forme pubblicitarie (comportanti l’interruzione della programmazione editoriale), è incorsa nella violazione del divieto di analogia in materia sanzionatoria, così assumendo un provvedimento illegittimo all’uopo da annullare.

L’accoglimento del primo e del secondo motivo di appello, determinando la riforma della sentenza appellata e l’integrale annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato in prime cure, è idonea a realizzare pienamente l’interesse sostanziale sotteso al ricorso, con conseguente assorbimento dell’ulteriore motivo di appello.

Nella specie si fa, infatti, questione di provvedimento sanzionatorio, a fronte del quale l’interesse (oppositivo) sostanziale, ascrivibile in capo alla parte ricorrente, coincide con la rimozione degli effetti sacrificativi prodotti dall’atto impugnato.

La presente pronuncia caducatoria risulta, dunque, interamente satisfattiva dell’interesse attoreo, in quanto nega l’emersione di una fattispecie sanzionabile ai sensi dell’art. 37, comma 5, D. Lgs. n. 177/05, costituente la disposizione fondante l’atto provvedimentale per cui è causa.

16. La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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