Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-09-24, n. 201007128
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N. 07128/2010 REG.DEC.
N. 07962/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 7962 del 2005, proposto:
dal Comune di Santa Maria a Vico, in persona del Sindaco, legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avv. M C, con domicilio eletto presso Giulio Cimaglia in Roma, viale G. Marconi, n. 57;
contro
H3g S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli Avvocati M C e G S, con domicilio eletto presso M C in Roma, piazza di Montecitorio, n. 115;
A G Liviana, Ardito Nicoletta, Boiano Teresa, Carfora Filomena, Crisci Paola, De Lucia Raffaella, Della Corte Vincenzo, Della Rocca Gaetana, Fucci Steve, Fucci Tiziana, Iadaresta Nicola, Iadaretsa Nicolino, Morgillo Alessio, Morgillo Aniello, Morgillo Maria, Nuzzo Antonio, Nuzzo Goffredo, Nuzzo Immacolata, Nuzzo Massimo, Nuzzo Roberto, Pascarella Adolfo, Pesce Nadia, Sgambato Camilla, Sgambato Claudio, Sgambato Felice, Sgambato Giulia, Sgambato Maria Giuseppa
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI, SEZIONE VII, n. 9668/2005, resa tra le parti, concernente D.I.A. PER REALIZZAZIONE STAZIONE RADIO BASE PER TELEFONIA CELLULARE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2010 il consigliere Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Riccardo Marone per delega dell'avv.to Cocilovo e G S anche per delega dell'avv.to Clarich;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Santa Maria a Vico riferisce che, con atto assunto al protocollo comunale in data 6 settembre 2004, la soc. H3G (attiva nel settore della telefonia mobile) ebbe a presentare denuncia di inizio di attività per l’installazione nell’ambito del territorio comunale di una stazione radio base per telefonia mobile (d’ora innanzi: SRB) di potenza inferiore a 20 Watt (art. 87, d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259).
Con provvedimento in data 23 novembre 2004 (fatto oggetto di impugnativa con il ricorso principale) il competente dirigente comunale ordinò alla società istante di non dar corso ai lavori di installazione della richiamata SRB, ravvisando le seguenti ragioni ostative:
1) in primo luogo, si osservava che il sito proposto per l’installazione non rientrasse fra quelli individuati dall’Amministrazione comunale come idonei a tale tipologia di interventi sulla base del regolamento comunale del 1999 in tema di ‘localizzazione antenne e stazioni radio base’ (il regolamento in parola precludeva l’installazione di tali impianti nell’ambito dell’intero centro abitato, consentendola soltanto in una zona periferica del territorio comunale);
2) in secondo luogo si osservava che “ trattandosi di intervento in zona sismica classificata S9, non [fosse] stata presentata la certificazione di avvenuta denuncia della verifica sismica della struttura al competente Genio Civile di Caserta ai sensi delle leggi n. 1986/71, n. 64/74 e L.R. n. 9/83 ”;
3) in terzo luogo si osservava che “ non[fosse] pervenuto nel termine prescritto dall’art. 87, comma 4° del d.lgs. 259/03 il parere ARPA Campania ”.
Il provvedimento in questione veniva impugnato innanzi al T.A.R. della Campania dalla soc. H3G la quale ne lamentava l’illegittimità e ne chiedeva l’annullamento articolando plurimi motivi di doglianza.
Nelle more del giudizio il Comune intimato approvava la delibera di Giunta 22 febbraio 2005, n. 19 con cui (ai fini che qui rilevano) si stabiliva di dare avvio alle procedure tecniche e deliberative per la revisione del precedente regolamento comunale del 1999.
In particolare, si stabiliva di “ rivedere i precedenti provvedimenti (…) circa la regolamentazione e l’individuazione dei siti da mettere a disposizione dei distributori, prevedendo anche una collocazione delle apparecchiature nel centro urbano, compatibili con le esigenze della comunità e lontano da obiettivi sensibili (scuole, ospedali, zone verdi adibite a parco giochi, etc.) ”.
Anche la delibera in questione veniva impugnata dalla soc. H3G con atto per motivi aggiunti.
Con la pronuncia oggetto del presente gravame il Tribunale adito accoglieva il ricorso e i motivi aggiunti (e disponeva l’annullamento degli atti impugnati) ritenendo:
- che il primo regolamento comunale in tema di localizzazione delle SRB fosse illegittimo per la parte in cui aveva precluso in via generale ed indifferenziata la realizzabilità di tali impianti nell’ambito dell’intero centro abitato;
- che il provvedimento ostativo in data 23 novembre 2004 risultasse a propria volta illegittimo (essenzialmente, per illegittimità derivata rispetto alle previsioni regolamentari di riferimento);
- che anche la delibera di Giunta n. 19/05 risultasse illegittima per avere introdotto (sotto le spoglie di una mera delibera programmatica) “ un criterio distanziale generico ed eterogeneo, e dunque un limite alla localizzazione, in quanto tale non consentito ”;
- che fossero, altresì, illegittimi gli ulteriori motivi ostativi ravvisati nella mancata previa presentazione della denuncia di verifica sismica e nella mancata, tempestiva acquisizione del parere della competente ARPA.
La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal Comune di Santa Maria a Vico il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando plurimi motivi di doglianza.
Si costituiva in giudizio la soc. H3G la quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.
Con ordinanza n. 5161/05 (resa all’esito della Camera di consiglio del 28 ottobre 2005) questo Consiglio respingeva l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe, ritenendo la carenza del requisito del fumus boni juris .
All’udienza pubblica del giorno 22 giugno 2010 i procuratori delle parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Comune di Santa Maria a Vico avverso la sentenza del T.A.R. della Campania con cui è stato accolto il ricorso proposto dalla soc. H3G e, per l’effetto, sono stati annullati: a ) il provvedimento dirigenziale con cui il Comune appellante aveva ordinato di non dar corso ai lavori di realizzazione di una stazione radio base per telefonia mobile per la quale era stata presentata una D.I.A. ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259; b ) la delibera di Giunta con cui il medesimo Comune aveva stabilito di procedere all’adeguamento del regolamento relativo all’installazione degli impianti in parola.
2. Le censure articolate dal Comune appellante si rivolgono avverso ciascuno dei (tre) capi della sentenza in epigrafe con i quali è stata distintamente ravvisata l’illegittimità dei (tre) motivi ostativi sui quali risultava fondato il provvedimento in data 23 novembre 2004.
2.1. Quanto al primo motivo ostativo (quello relativo alla prevista localizzazione della SRB), invero, il Comune appellante non articola puntuali censure avverso la parte della sentenza con cui è stata dichiarata l’illegittimità della previsione regolamentare del 1999 la quale precludeva la realizzazione di tali impianti in tutto il centro abitato (e, in via mediata, del provvedimento dirigenziale che su tale previsione aveva fondato une delle ragioni di diniego).
Il Comune appellante, invece, contesta la pronuncia in epigrafe per la parte in cui ha affermato l’illegittimità della delibera di Giunta n. 19 del 2005 con cui si era stabilito di procedere all’adeguamento del regolamento per la localizzazione del 1999 (avviando le relative procedure), trattandosi di mero atto di indirizzo, in quanto tale privo di un autonomo carattere di lesività (la delibera in questione, come anticipato in narrativa, era stata impugnata dalla soc. H3G con atto per motivi aggiunti).
Ancora, l’Ente appellante lamenta che i primi giudici non abbiano in alcun modo preso in considerazione la circostanza (pure, rilevante ai fini del decidere e documentalmente emersa nel corso del primo giudizio) secondo cui nel febbraio del 1999 il Consiglio comunale avesse approvato un nuovo regolamento per la disciplina delle installazioni delle SRB, emendato dei profili di illegittimità che avevano caratterizzato il precedente regolamento del 1999.
2.1.1. Il motivo non può trovare accoglimento.
In via preliminare il Collegio osserva che nessun motivo di doglianza è stato articolato in sede di appello avverso il capo della sentenza con cui è stata rilevata l’illegittimità del provvedimento di diniego in data 23 novembre 2004, par la parte in cui faceva applicazione delle (parimenti illegittime) prescrizioni contenute nel regolamento per la localizzazione delle SRB per telefonia mobile (al contrario, la difesa del Comune appellante ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale il quale deponeva nel senso della illegittimità di generalizzati divieti alla localizzazione degli impianti in parola nell’intero ambito del territorio comunale, ovvero del relativo centro abitato).
Sotto tale aspetto, quindi, non può che rilevarsi la formazione del giudicato sul richiamato capo della pronuncia in epigrafe (art. 329, cpv., c.p.c.).
Ma la pronuncia in parola è meritevole di puntuale conferma anche per la parte in cui ha rilevato l’illegittimità della delibera di Giunta n. 19 del 2005.
In particolare, la sentenza in epigrafe merita di essere confermata per la parte in cui ha rilevato che attraverso l’adozione della delibera in parola il Civico Ente avesse stabilito di modificare le disposizioni comunali in tema di localizzazione delle SRB, consentendone, sì, la localizzazione anche nel centro abitato, ma precisando che essa dovesse avvenire “ lontano da obiettivi sensibili ”, in tal modo fissando un criterio distanziale generico ed eterogeneo, concretante nella sostanza un limite indifferenziato alla localizzazione, in quanto tale illegittimo sulla base di consolidati orientamenti giurisprudenziali.
La previsione in questione, del resto (idonea per la sua natura a vincolare l’esercizio concreto della successiva attività regolamentare, senza lasciare residui margini di apprezzamento), identificava in via generale gli ‘obiettivi sensibili’ con “ scuole, ospedali, zone verdi adibite a parco giochi, etc. ”, in tal modo palesando che attraverso il tendenziale divieto in tal modo individuato si intendesse perseguire l’obiettivo di tutelare la salute di particolari categorie di cittadini.
Deve, pertanto, trovare puntuale conferma nella presente sede l’orientamento giurisprudenziale (dal quale non si rinvengono nella specie ragioni onde discostarsi) secondo cui è illegittimo un regolamento comunale in tema di fissazione dei criteri per la localizzazione delle SRB laddove l'ente territoriale si sia posto quale obiettivo (non dichiarato, ma evincibile dal contenuto dell'atto regolamentare) quello di preservare la salute umana dalle emissioni elettromagnetiche promananti da impianti di radiocomunicazione (ad esempio attraverso la fissazione di distanze minime delle stazioni radio base da particolari tipologie d'insediamenti abitativi), essendo tale materia attribuita alla legislazione concorrente Stato-Regioni dell'art. 117 cost., come riformato dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3 (in tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 28 aprile 2010, n. 2436; id ., Sez. VI, sent. 20 dicembre 2002, n. 7274).
Ancora, il Collegio osserva che la pronuncia in epigrafe non sia incorsa in alcuno dei vizi rubricati per non aver preso in considerazione ai fini del decidere il contenuto del nuovo regolamento comunale in tema di insediamento urbanistico delle SRB del maggio 2005 (regolamento di cui il Comune reclama la piena legittimità).
Invero, l’intervenuta approvazione del regolamento in parola non assumeva rilievo ai fini del decidere, atteso che le sue prescrizioni non risultavano in alcun modo idonee a governare la vicenda di causa. Tale vicenda aveva ad oggetto, infatti, una serie procedimentale ormai esaurita con l’adozione di un provvedimento di segno negativo (l’atto in data 23 novembre 2004, richiamato in premessa) sulle cui vicende in alcun modo poteva incidere il nuovo regolamento adottato a circa sei mesi di distanza.
Né può essere in alcun modo assecondato il tentativo di ottenere nella presente sede una sorta di ‘patente di legittimità’ in relazione alle prescrizioni del nuovo regolamento (il quale, peraltro, risulta essere stato fatto oggetto di separata impugnativa innanzi al T.A.R. della Campania).
2.2. Quanto al secondo motivo ostativo trasfuso nel provvedimento annullato dal T.A.R. (si tratta della mancata presentazione della certificazione di avvenuta denuncia della verifica sismica della struttura al competente Ufficio del Genio Civile), il T.A.R. ha osservato che la denuncia in questione deve essere effettuata prima dell’inizio dei lavori, ma non risulta contemplata fra i documenti che devono essere tassativamente allegati all’istanza/comunicazione ex art. 87, d.lgs. 259 del 2003. Il Tribunale, del resto, ha osservato che “ anche ammessa la necessità di tale denuncia, l’Amministrazione non può negare la D.I.A. sol per la mancanza della stessa, dovendo piuttosto richiedere l’integrazione dei documenti entro il termine di quindici giorni dalla data di ricezione dell’istanza, ai sensi del comma 5 dell’art. 87, d.lvo n. 259/03 ”.
Nella tesi dell’appellante, la pronuncia in epigrafe risulterebbe in parte qua erronea e meritevole di riforma per non aver fatto corretto governo della pertinente normativa.
In particolare, il Tribunale avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione:
- la l. 5 novembre 1971, n. 1086 (recante ‘ norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica ’), il cui art. 4 stabilisce che le opere a struttura metallica (come l’impianto destinato ad ospitare l’installazione della cui realizzazione si discute) “ devono essere denunciate dal costruttore all’ufficio del genio civile competente per territorio, prima del loro inizio (…) ”. Ancora, il T.A.R. avrebbe omesso di tenere in considerazione il successivo art. 10, a tenore del quale “ il Sindaco del Comune, nel cui territorio vengono realizzate le opere indicate nell’art. 1, ha il compito di vigilare sull’osservanza degli adempimenti preposti alla presente legge: a tal fine si avvale dei funzionari ed agenti comunali ”;
- la l. 2 febbraio 1974, n. 64 (recante ‘ provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche ’), il cui art. 17 stabilisce che “ nelle zone sismiche di cui all'articolo 3 della presente legge, chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto, notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio del genio civile secondo le competenze vigenti (…) ”;
- la L.R. Campania 7 gennaio 1983, n. 9 (recante ‘ norme per l’esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del territorio dal rischio sismico ’), il cui art. 2, al comma 1 stabilisce che “ il committente o il costruttore che esegue in proprio devono depositare il progetto esecutivo delle opere di cui all'art. 1 presso l'Ufficio provinciale del Genio civile o Sezione autonoma competente per territorio, prima dell'inizio dei lavori ”. Ancora, risulterebbe rilevante ai fini del decidere il successivo art. 5 (nella formulazione vigente all’epoca dei fatti), secondo cui “ il Sindaco del Comune nel cui territorio si eseguono le opere è tenuto ad accertare, a mezzo degli agenti e dei tecnici comunali, che chiunque inizi l'esecuzione delle opere di cui all'art. 1 sia in possesso dell'attestazione dell'Ufficio provinciale del Genio civile dell'avvenuto deposito degli atti prescritti ”.
Questo essendo il pertinente quadro normativo, il Comune appellante ritiene l’erroneità della pronuncia in epigrafe, per la parte in cui ha ritenuto l’illegittimità del provvedimento di divieto in data 23 novembre 2004. Al contrario. Il Comune ritiene che il divieto in parola costituisse un esito necessario della vicenda, se solo si consideri: i ) che, al momento della presentazione della D.I.A. (6 settembre 2004), la soc. H3G non avesse neppure presentato al competente Genio civile la prescritta denuncia di verifica sismica; ii ) che, secondo le risultanze in atti, la società appellata avesse a tanto provveduto solo in data 13 gennaio 2005, ossia dopo il decorso del termine di 90 giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, d.lgs. 259 del 2003 e dopo l’adozione da parte del Comune del più volte richiamato provvedimento negativo.
2.2.1. Il motivo di doglianza in parola non può trovare accoglimento.
Ed infatti, il pertinente quadro normativo (pure correttamente richiamato dal Comune appellante) non impone in alcun modo di allegare la denuncia di verifica sismica della struttura già in sede di presentazione dell’istanza di autorizzazione o della denuncia di cui all’art. 87, d.lgs. 259 del 2003, limitandosi - piuttosto - a prescrivere che la denuncia in parola avvenga prima del concreto inizio dei lavori (in tal senso: il primo comma dell’art. 4, l. 1086 del 1971;il primo comma dell’art. 17, l. 64 del 1974, nonché il comma 3 dell’art. 2, L.R. 9 del 1983).
Conseguentemente, la pronuncia in epigrafe deve trovare puntuale conferma per la parte in cui ha ritenuto l’illegittimità del provvedimento comunale di divieto, laddove fondato sulla pretesa necessità di allegare la certificazione di avvenuta denuncia della verifica sismica già in sede di presentazione della D.I.A.
Non rileva, invece, ai fini della presente decisione la circostanza secondo cui la denuncia in parola sia stata presentata solo dopo il decorso dei 90 giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, d.lgs. 259, cit. vuoi perché il provvedimento impugnato in prime cure si limitava ad affermare il carattere ostativo della mancata presentazione della denuncia in sè intesa (senza ammetterne la presentazione entro i termini di cui all’art. 87, co. 9, cit.), vuoi perché ciò che rileva in base al pertinente quadro normativo non è il momento in se della presentazione della denuncia, quanto, piuttosto, la circostanza relativa al se la denuncia in parola sia intervenuta prima o dopo l’effettivo inizio dei lavori.
2.3. Quanto al terzo motivo ostativo trasfuso nel provvedimento annullato dal T.A.R. (si tratta della mancata acquisizione del parere dell’A.R.P.A. Campania entro il termine di cui al comma 4 dell’art.87, d.lgs. 259 del 2003), il T.A.R. ha osservato che il motivo in parola non fosse compatibile con il pertinente quadro normativo e giurisprudenziale, secondo cui: a ) il parere in parola è richiesto solo ai fini della concreta attivazione dell’impianto e b ) il termine di cui al comma 9 dell’art. 87 decorre dalla data di presentazione della domanda di autorizzazione e non già dalla ricezione da parte del Comune del parere dell’ARPA. Conseguentemente, il T.A.R. ha osservato che l’emissione del parere da parte dell’A.R.P.A. non possa essere considerato un presupposto essenziale per l’inizio dei lavori di realizzazione dell’impianto di telefonia mobile.
In punto di fatto, il Comune appellante evidenzia che il parere (favorevole) della competente Agenzia Regionale è intervenuto solo in data 7 dicembre 2004 (ed è stato portato a conoscenza del Comune solo il successivo 16 dicembre), ossia dopo la chiusura del procedimento intervenuta con l’adozione del provvedimento in data 23 novembre 2004.
Ad avviso dell’appellante, l’argomento profuso dal Tribunale risulterebbe erroneo in quanto il pertinente quadro normativo dovrebbe essere interpretato nel senso di imporre che il parere favorevole dell’A.R.P.A. intervenga e sia portato a conoscenza dell’Ente competente a pronunciarsi sull’istanza entro il termine di cui al comma 9 dell’art. 87 (novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di autorizzazione o dalla D.I.A.)
Secondo il Comune appellante, infatti, l’acquisizione del richiamato parere (certamente necessario ai fini dell’attivazione dell’impianto) dovrebbe intervenire necessariamente in corso di procedimento, pena il rigetto dell’istanza.
Ancora, secondo il Comune, non risulterebbe persuasiva un’interpretazione dell’art. 87, cit., tale da ammettere che il parere dell’A.R.P.A. possa avvenire anche una volta superato il termine di formazione del silenzio-assenso ai sensi del comma 9 dell’art. 87: una siffatta interpretazione risulterebbe – infatti – incongruente con la previsione di cui al comma 1 dell’art. 87, secondo cui l’autorizzazione delle SRB avviene “ previo accertamento, da parte dell’Organismo competente ad effettuare i controlli (…) della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità (…) ”.
Secondo il Comune appellante, al contrario, il richiamato quadro normativo dovrebbe essere interpretato nel senso che detto parere, pur essendo necessario al fine di procedere all’installazione vera e propria dell’apparecchiatura, dovrebbe, comunque, essere portato a conoscenza dell’Ente locale entro e non oltre il termine per la chiusura del procedimento autorizzatorio, “ pena l’indiscriminato ed incontrollabile utilizzo, in favore dei gestori, del meccanismo del silenzio-assenso, anche nell’ipotesi di successivi rilievi negativi sull’istanza da parte dell’ARPA ” (ricorso in appello, pag. 13).
2.3.1. Il motivo in questione non può trovare accoglimento.
Al riguardo il Collegio ritiene che la questione debba essere risolta facendo puntuale applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale (peraltro, noto allo stesso Comune appellante) secondo cui la previsione ci cui all’art. 87, d.lgs. 259 del 2003 postula che il parere dell’ARPA sia richiesto solo ed esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto, non sussistendo un onere per il richiedente di allegare il parere in questione in sede di presentazione dell’istanza (ovvero della D.I.A.), né un puntuale obbligo di far pervenire il parere medesimo all’Ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che l'accertamento, da parte dell'Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001, n. 36 debba seguire, e non già precedere, la produzione dell'istanza;che al privato richiedente non possa essere ascritto alcun altro onere diverso dalla presentazione dell'istanza. Oltretutto, non operando in materia alcuna ipotesi di silenzio-rifiuto (si veda, in contrario, il comma 9 del predetto articolo 87), dalla mancata ricezione del parere non possano discendere conseguenze reiettive (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 2436 del 2010, cit.).
Con la medesima pronuncia si è altresì confermata la validità dell’orientamento giurisprudenziale affermatosi nell’ambito della giurisprudenza di primo grado, secondo cui in tema di autorizzazione per la costruzione di una stazione radio-base il termine per la formazione del silenzio-assenso di cui all'art. 87, comma 9 del DLgs n. 259/03 decorre dalla presentazione della domanda corredata dal progetto, e non dalla ricezione, da parte del Comune, del parere dell'Arpa, in quanto ai sensi dell'art. 87, comma 4 del citato DLgs n. 259, il deposito del parere preventivo favorevole dell'A.R.P.A. non è prescritto per la formazione del titolo edilizio ovvero per l'inizio dei lavori, ma solo per l'attivazione dell'impianto.
Ora, tale essendo il corretto quadro interpretativo entro il quale riguardare alle vicende di causa, il Collegio osserva che la tesi prospettata dal Comune non risulta condivisibile, se solo si osservi:
- che laddove si accedesse all’opzione interpretativa suesposta, si negherebbe in concreto lo stesso orientamento (cui, pure, il Comune appellante formula formale adesione) secondo cui l’acquisizione del parere dell’ARPA è necessario ai soli fini della realizzazione dell’installazione e non anche ai fini della regolarità e completezza dell’istanza. In tal modo opinando, infatti, si consentirebbe all’Ente procedente di concludere in senso negativo il procedimento abilitativo sulla base di una circostanza (la mancata o tardiva acquisizione del parere) rilevante a fini diversi rispetto a quelli demandati alla competenza decisionale di tale Ente;
- che, laddove si accedesse alla tesi prospettata dall’appellante, la conseguenza sarebbe nel senso di addossare all’incolpevole richiedente il rischio del ritardo da parte dell’A.R.P.A. nell’espressione del parere di competenza, determinando non già (e non solo) un ritardo nella concreta installazione dell’opera, ma la stessa negativa conclusione dell’ iter abilitativo a causa di un inadempimento in alcun modo rientrante nella sfera di disponibilità del soggetto richiedente (giova sottolineare al riguardo che il più volte richiamato art. 87 non annette alcun valore significativo al silenzio eventualmente serbato dall’A.R.P.A., in tal modo rendendo necessaria l’espressione di una pronuncia espressa, anche se tardiva);
- che, comunque, laddove il Comune avesse inteso applicare in modo coerente la tesi sostenuta in sede di appello, avrebbe quanto meno dovuto attendere l’approssimarsi del termine finale di novanta giorni prima di adottare l’atto negativo di conclusione del procedimento, invece di affrettarsi (come nella specie ha fatto) ad adottare il provvedimento negativo per la rilevata carenza del parere dell’A.R.P.A. (il provvedimento in questione è stato adottato in data 23 novembre 2004, ossia ben prima del decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione della D.I.A. -acquisita dal Comune in data 6 settembre 2004 -). In tal modo operando, il Comune ha agito in modo contraddittorio atteso che – per un verso – ha sostenuto la tesi secondo cui il parere dell’A.R.P.A. dovesse necessariamente essere acquisito agli atti del procedimento prima del decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione della D.I.A. (pena l’adozione di un provvedimento conclusivo di segno negativo), mentre – per altro verso – ha contraddittoriamente adottato il richiamato provvedimento negativo senza neppure attendere l’infruttuoso decorso del termine in parola (termine entro il quale, nella sua stessa tesi, l’A.R.P.A. avrebbe potuto utilmente far pervenire il proprio parere).
3. Per le considerazioni che precedono l’appello in epigrafe deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.