Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-02-07, n. 202200815
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Pubblicato il 07/02/2022
N. 00815/2022REG.PROV.COLL.
N. 05964/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5964 del 2021, proposto da
AGEA - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati V A ed E L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2022 il Cons. Ezio Fedullo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il T.A.R. per la Puglia, con la sentenza appellata, ha accolto il ricorso – integrato da motivi aggiunti – proposto dal sig. -OMISSIS- contro AG.E.A. - Agenzia per le erogazioni in agricoltura, per l’annullamento del provvedimento del 27 gennaio 2020, con il quale si comunicava l’annullamento dei titoli PAC (Politica Agricola Comune) indebitamente attribuiti al cedente, sig.ra -OMISSIS-, e al cessionario, sig. -OMISSIS-, e la restituzione da parte del secondo della somma di € 87.090,05, che il medesimo cessionario aveva percepito, a titolo di aiuto comunitario, per gli anni 2014 – 2018.
La determinazione di annullamento dei titoli PAC del cessionario ai sensi dell’art. 81, comma 1, del Reg. CE n. 1122/2009, e quella conseguente di restituzione, derivavano dal rilievo secondo cui gli stessi erano stati “ indebitamente attribuiti ” alla cedente e da quello secondo cui “ l’annullamento di titoli indebitamente attribuiti ha effetto fin dall’ inizio, anche nei confronti dei soggetti ai quali i titoli interessati sono stati eventualmente trasferiti ”.
2. Con l’ordinanza interlocutoria n. -OMISSIS-, il T.A.R. adito ha disposto l’acquisizione di chiarimenti da parte di AG.E.A. in ordine alle ragioni specifiche dell’annullamento dei titoli PAC ceduti dalla sig.ra -OMISSIS-al ricorrente.
In esecuzione della citata ordinanza istruttoria, l’Amministrazione onerata trasmetteva la nota datata 6 agosto 2020, prot. n. 52073, che veniva gravata dall’originario ricorrente con motivi aggiunti.
3. Il T.A.R. con la sentenza appellata, premessa l’affermazione della giurisdizione amministrativa in relazione alla controversia in tal modo introdotta, ha ritenuto che i provvedimenti impugnati fossero viziati dalla omessa comunicazione nei confronti del ricorrente dell’avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 e 21-nonies l. n. 241/1990, nonostante l’impugnato provvedimento di annullamento “ producesse, come ha prodotto, effetti diretti e negativi nei confronti del ricorrente, dovendo il medesimo, a causa del citato annullamento, restituire all’Amministrazione resistente, la somma di €. 87.090,05 ”.
Il T.A.R. ha anche illustrato i contenuti dell’apporto partecipativo che il ricorrente, in ragione della rilevata omissione, non aveva potuto esplicare, ovvero che: 1) l’art. 81 del Reg. CE n. 1122/2009, posto a fondamento della pretesa restitutoria oggetto dell’atto gravato, a decorrere dal 1° gennaio 2015 era stato abrogato dall’art. 43 Regolamento delegato UE della Commissione n. 640 dell’11 marzo 2014;2) la restituzione era stata richiesta senza alcun accertamento da parte dell’Amministrazione resistente circa la colpevolezza del ricorrente rispetto ai titoli PAT indebitamente attribuiti.
Da altro punto di vista, il T.A.R. ha rilevato che un ulteriore vizio a carico dei provvedimenti gravati discendeva dalla violazione dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990, atteso che erano stati annullati i titoli PAC dal 2015 al 2018 e che l’annullamento in autotutela era stato disposto in data 27 gennaio 2020, ovvero oltre il termine di legge dei diciotto mesi.
In proposito, il T.A.R. ha affermato di non condividere la tesi dell’Amministrazione, secondo cui il termine suindicato non troverebbe applicazione stante l’accertamento di condotte illecite, rilevando che tale argomento, eventualmente valido per la dante causa, non lo sarebbe per il ricorrente, nei cui confronti non era ravvisabile “ alcun accertamento di condotte civilmente illecite o penalmente rilevanti ” né vi era, per gli effetti di cui al comma 2-bis della citata disposizione, “ alcuna sentenza passata in giudicato che abbia accertato false rappresentazioni dei fatti ”.
Inoltre, il T.A.R. ha riscontrato nei provvedimenti gravati anche il vizio di eccesso di potere per difetto d’istruttoria, atteso che “ il ricorrente, come risulta dalla stessa documentazione prodotta da parte resistente, non ha posto in essere alcuna condotta colposa e dolosa tesa a concorrere nell’indebita percezione dei titoli PAT. Tra lo stesso e la dante causa, sig.ra -OMISSIS-, è stato posto in essere un contratto agrario del tutto lecito e incontestato ”.
Infine, il giudice di primo grado ha rilevato che “ il provvedimento gravato si presenta illegittimo per violazione del principio di responsabilità, poiché con esso si procede all’annullamento di titoli del ricorrente, che si assumono indebitamente attribuiti, senza che il ricorrente abbia posto in essere una condotta colposa o dolosa tesa all’indebita percezione dei titoli PAT, tant’è che lo stesso ricorrente non è imputato nel procedimento penale intentato a carico della sig.ra -OMISSIS-, né ha subito alcun procedimento sanzionatorio, come emerge dalla produzione della stessa Amministrazione resistente ”, non potendo farsi leva, in senso contrario, sul disposto dell’art. 81, comma 1, del Reg. CE n. 1122/2009, laddove prevede che “ l’annullamento di titoli indebitamente attribuiti ha effetto fin dall’inizio e anche nei confronti dei soggetti ai quali i titoli interessati sono stati eventualmente trasferiti ”, non potendo “ trattarsi, nella specie, di una responsabilità oggettiva o per fatto altrui, poiché sarebbe posta in violazione del principio di legalità, di cui agli artt. 3 e 25 Cost., nonché agli artt. 7 e 8 CEDU e 1 Protocollo addizionale, n. 1 ”.
In ogni caso, ha aggiunto il T.A.R., “ l’art. 43 Regolamento delegato U.E. della Commissione n. 640 del 11 marzo 2014, ha abrogato il citato art. 81 del Reg. CE n. 1122/2009, di guisa che il cessionario dei titoli, odierno ricorrente, non può essere tenuto all’obbligo di restituzione di quanto intimato dall’Agenzia resistente in forza di una norma comunitaria abrogata ”.
4. La sentenza suindicata costituisce oggetto dei motivi di appello formulati dall’AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, che ne chiede la riforma sia per i profili inerenti alla giurisdizione che per quelli relativi al merito della domanda di annullamento proposta in primo grado, che ad avviso della parte appellante doveva essere respinta dal giudice di primo grado.
Resiste invece all’appello l’originario ricorrente.
5. Tanto premesso, deve preliminarmente affrontarsi la questione di giurisdizione sollevata dalla parte appellante, la quale sostiene la spettanza della cognizione in ordine alla fattispecie in esame al giudice ordinario, sul rilievo che le condizioni per l’ottenimento del contributo de quo sarebbero predefinite dalla normativa comunitaria e nazionale e dunque, non residuando alcuna discrezionalità in capo alla P.A., la posizione giuridica vantata dal richiedente non potrebbe essere qualificata come interesse legittimo, bensì quale diritto soggettivo: ciò anche alla luce del disposto dell’art. 54 del Regolamento CE n. 1306 del 2013, da cui emergerebbe che nessun apprezzamento discrezionale è attribuibile all’Agenzia circa la possibilità di avviare o meno la procedura di recupero dei pagamenti indebiti, salvo che “ per motivi debitamente giustificati ”, esulanti dalla fattispecie de qua .
5.1 Il motivo non può essere accolto, dovendo confermarsi la declaratoria preliminare di appartenenza della controversia al perimetro giurisdizionale amministrativo, recata dalla sentenza appellata.
5.2 E’ noto, in primo luogo, l’orientamento, espresso anche da questa Sezione, secondo cui “ il diritto alla percezione di finanziamenti comunitari per il sostegno dell'attività agricola è legato a criteri predeterminati dalla normativa comunitaria (nel caso di specie, in particolare, regolamento UE 1306/2013 e Regolamento UE 640/2014) ed è sottratto a qualsiasi valutazione discrezionale della pubblica amministrazione. Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi, benefici e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio fondato sulla natura della situazione soggettiva dell'interessato. Escluso che sussista una giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo afferente, in generale, alla materia di contributi pubblici, deve affermarsi sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell'erogazione (cfr. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150;C.d.S. Ap. 29.1.2014, n. 6). Nella fattispecie in esame, trattandosi di accertamento dei presupposti per l’attribuzione del beneficio stabiliti in modo vincolante per l’Amministrazione dalle norme comunitarie, la giurisdizione spetta al giudice ordinario ” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 8741 del 23 dicembre 2019).
Tuttavia, le ragioni poste a base del motivo di appello in esame, inerenti alla natura (vincolata) degli accertamenti che l’Amministrazione deve porre in essere ai fini del riconoscimento del contributo, non colgono esattamente i presupposti del provvedimento impugnato, e quindi la fattispecie complessiva dedotta in giudizio, che richiede una più ampia valutazione relativa all’incidenza che l’annullamento dei titoli PAC, siccome indebitamente attribuiti all’originario assegnatario, è suscettibile di riverberare sulle erogazioni che la ditta cessionaria abbia nelle more conseguito relativamente alle campagne per le quali ha presentato domanda di pagamento: poiché, quindi, si tratta di una valutazione di raggio più ampio di quella inerente alla sussistenza dei presupposti per l’ottenimento degli aiuti, e sulla stessa possono astrattamente influire considerazioni (inerenti, ad esempio, alla tutelabilità della posizione di affidamento vantata dal soggetto cessionario) la cui effettiva fondatezza attiene al merito della res litigiosa, l’affermazione della giurisdizione ordinaria non potrebbe essere affermata, come ritiene la parte appellante, sulla scorta del mero parallelismo tra la natura del potere esercitato dall’Amministrazione allorché accerta il ricorrere dei presupposti per l’erogazione del contributo e quello che essa esercita allorché rilevi ex post l’insussistenza di quei presupposti.
5.3 Né a diverse conclusioni, in ordine alla fondatezza del motivo di appello in esame, potrebbe pervenirsi alla luce del dedotto carattere vincolato dell’attività di recupero dei contributi indebitamente erogati, ai sensi dell’art. 54 Reg. UE n. 1306/2013, dal momento che esso presuppone che sia stato riconosciuto il carattere indebito dell’aiuto e che venga in discussione, quale oggetto del giudizio, la mera decisione di procedere al relativo recupero, mentre nella specie il petitum sostanziale che sostanzia la res litigiosa attiene ai presupposti stessi per considerare indebiti i pagamenti ricevuti dalla ditta ricorrente nelle campagne indicate nel provvedimento di recupero, sulla scorta della dedotta ininfluenza sulla relativa legittimità della caducazione dei titoli presupposti disposta dall’Agenzia appellante, nella qualità di organismo pagatore, nei confronti della ditta cedente.
6. Respinto, quindi, il motivo di appello inerente alla giurisdizione del giudice adito, e venendo al merito della res controversa, deve premettersi che l’Amministrazione ha posto a fondamento della pretesa restitutoria, fatta valere con il provvedimento impugnato in primo grado, il disposto dell’art. 81, comma 1, Reg. (CE) 30/11/2009, n. 1122/2009 ((Recupero di diritti indebitamente assegnati), ai sensi del quale “ fermo restando l’articolo 137 del regolamento (CE) n. 73/2009, qualora, successivamente all’assegnazione di diritti all’aiuto agli agricoltori a norma del regolamento (CE) n. 795/2004 o del regolamento (CE) n. 1120/2009, si riscontri che determinati diritti sono stati assegnati indebitamente, l’agricoltore interessato cede i diritti indebitamente assegnati alla riserva nazionale di cui all’articolo 41 del regolamento (CE) n. 73/2009. Se nel frattempo l’agricoltore ha trasferito i diritti all’aiuto ad altri agricoltori, l’obbligo di cui al primo comma incombe anche ai cessionari proporzionalmente al numero di diritti ad essi trasferiti, qualora l’agricoltore destinatario dell’assegnazione iniziale non disponga di un numero di diritti sufficiente per compensare il valore dei diritti all’aiuto che gli sono stati indebitamente assegnati. I diritti all’aiuto indebitamente assegnati si considerano non assegnati fin dall’inizio ”.
6.1 Assume quindi rilievo preliminare l’accertamento della applicabilità della norma alla fattispecie in esame, tenuto conto che, come evidenziato dalla sentenza appellata (che ne ha fatto discendere uno dei motivi di illegittimità del provvedimento impugnato), il citato Regolamento è stato abrogato, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2015, dall’art. 43, comma 1, Reg. (CE) 11/03/2014, n. 640/2014.
Ritiene la Sezione che al suddetto quesito debba essere data risposta affermativa, con il conseguente accoglimento del relativo motivo di appello, atteso che sia l’assegnazione originaria dei diritti de quibus , sia la successiva cessione al ricorrente, si collocano nel periodo temporale antecedente il citato effetto abrogativo: in particolare, come evidenziato dall’Agenzia appellante, l’originaria titolare dei diritti, sig.ra --OMISSIS-, ha ceduto n. 56 titoli al sig. -OMISSIS-con atto prot. AGEA.-OMISSIS- con la conseguenza che l’effetto caducante “a cascata” dell’annullamento dei titoli in capo alla originaria assegnataria non potrebbe non riverberarsi, secondo quanto disposto dalla norma citata, nella sfera giuridica dell’acquirente a titolo particolare.
6.2 Ciò premesso, deve escludersi che al provvedimento impugnato in primo grado, avente ad oggetto come si è detto la richiesta restitutoria nei confronti del ricorrente relativamente agli importi conseguiti, negli anni 2014- 2018, in forza dei diritti indebitamente assegnati alla sua dante causa, e fondato sul venir meno, in capo al ricorrente, della causa giustificativa dell’erogazione (così come del suo trattenimento da parte del beneficiario), sia applicabile l’adempimento comunicativo di cui all’art. 7 l. n. 241/1990, con i conseguenti effetti vizianti derivanti dalla sua omissione, come invece ritenuto dal giudice di primo grado e contrastato dalla parte appellante.
Deve in particolare osservarsi che, alla luce del disposto di cui all’art. 21 octies l. n. 241/1990, atteggiandosi il provvedimento in discorso – come subito si dirà, in contrapposizione alle diverse conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado - come avente carattere vincolato, non si profilano, anche alla luce delle deduzioni formulate in appello dalla parte appellante, possibili apporti partecipativi che avrebbero potuto orientare l’esercizio del potere recuperatorio in una direzione diversa da quella che ha concretamente assunto ed eventualmente di segno favorevole alla parte appellata.
6.3 Deve premettersi che il giudice di primo grado ha fondato la valenza viziante della suddetta omissione, alla luce della ritenuta caratura discrezionale del provvedimento impugnato, su due profili: il primo relativo alla non applicabilità, ratione temporis , del richiamato art. 81, comma 1, Reg. UE n. 1122/2009, il secondo all’esigenza di tutela dell’affidamento maturato in capo al ricorrente, nei cui confronti alcuna condotta illecita è stata contestata dall’Amministrazione, a differenza di quanto avvenuto nei confronti della sua dante causa.
Ebbene, con riguardo al primo profilo, è sufficiente rinviare alle considerazioni innanzi formulate, al fine di dimostrare la pertinenza, ratione temporis , del riferimento normativo posto dall’Amministrazione a fondamento del provvedimento qui impugnato, come ribadito in giudizio dalla parte appellante.
Per quanto concerne invece il secondo aspetto, deve preliminarmente osservarsi che la pretesa restitutoria fatta valere con il provvedimento suindicato trae origine, come accennato, dal venir meno in capo al destinatario – quale effetto derivato e normativamente imposto dalla caducazione dei titoli all’aiuto rilasciati all’originaria assegnataria, secondo la citata disposizione sovranazionale – di una legittima causa giustificativa dei pagamenti di cui il medesimo, in forza di quei titoli, ha beneficiato nelle campagne relative agli anni 2014-2018.
6.4 Così inquadrati la natura e gli effetti del provvedimento de quo , deve in primo luogo escludersi che esso sia riconducibile al novero dei provvedimenti di autotutela, strettamente intesi, con la conseguente necessità di rispettare i relativi requisiti anche procedimentali, discutendosi semmai, più correttamente, della legittimità di una pretesa creditoria dell’Amministrazione, qualificabile in termini civilistici come intesa a porre rimedio ad una fattispecie di indebito oggettivo, fondata sull’effetto estensivo – nei confronti, cioè, dell’avente causa dell’originaria assegnataria dei titoli indebitamente attribuiti - che la citata disposizione europea riconduce all’annullamento, in capo alla dante causa, dei titoli originari: disposizione ispirata, peraltro, ad un principio generale del nostro ordinamento, compendiabile nel brocardo secondo cui resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis .
Del resto, anche ponendosi nella prospettiva del ricorrente, non può non osservarsi che, in mancanza di specifici provvedimenti suscettibili di costituire oggetto di annullamento d’ufficio, relativamente alle domande di pagamento concernenti le singole annualità oggetto del provvedimento restitutorio, la qualificazione più correttamente attribuibile al suddetto provvedimento è quella di atto accertativo di una fattispecie decadenziale realizzatasi, in primis , nei confronti della sua dante causa (il cui “ provvedimento di accertamento definitivo del credito ” – all. n. 8 della produzione documentale di primo grado di Agea – non a caso richiama anche l’effetto decadenziale derivante dall’art. 75 del DPR n. 445/2000, ai sensi del quale “ … qualora dal controllo di cui all’art. 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera ”) ed in secundis nei riguardi del medesimo ricorrente, siccome correlata al sopravvenuto accertamento della insussistenza ab origine (ai sensi dell’art. 81, comma 1, ultimo periodo Reg. UE n. 1122/2009, infatti, “ i diritti all'aiuto indebitamente assegnati si considerano non assegnati fin dall'inizio ”) dei presupposti per l’erogazione delle somme oggetto di recupero, relativi alla sussistenza in capo al richiedente – a titolo originario o derivato - di diritti all’aiuto validi ed efficaci.
6.5 In tale ottica ricostruttiva, la domanda restitutoria dell’Amministrazione, come già evidenziato, si atteggia come intesa a prendere atto della intervenuta realizzazione di una fattispecie decadenziale (avente direttamente ad oggetto il titolo all’aiuto) ed a disporre il recupero delle somme di cui è stata accertata, sulla base della decadenza dei relativi titoli, l’indebita corresponsione, con la conseguente genesi di un simmetrico obbligo restitutorio.
Ebbene, siffatto inquadramento dell’atto impugnato in primo grado, non riconducibile all’istituto dell’autotutela ( sub specie di annullamento/revoca d’ufficio), se da un lato ne dimostra l’emancipazione dagli stringenti requisiti temporali di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990, non condivisibilmente posta dal T.A.R. a fondamento dell’annullamento dello stesso, dall’altro lato, anche in applicazione dei principi formulati dal Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 18 dell’11 settembre 2020 (laddove pone in evidenza la non rilevanza, ai fini dell’integrazione dei presupposti applicativi della decadenza, dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa) oltre che di quelli estraibili dal corrispondente istituto civilistico (cfr. art. 2033 c.c., laddove limita la rilevanza della buona fede dell’ accipiens al profilo degli interessi), esclude ogni spazio valutativo-discrezionale dell’Amministrazione inteso ad attribuire rilievo all’atteggiamento psicologico del soggetto tenuto alla restituzione.
Del resto, ad ulteriore fondamento di tale esito interpretativo, non può non richiamarsi il disposto dell’art. 80 Reg. CE n. 1122/2009 – cui rinvia, relativamente alla fattispecie decadenziale interessante i diritti all’aiuto cui inerisce la presente controversia, l’art. 81, comma 6, a mente del quale “ gli importi indebitamente versati (in forza di titoli all’aiuto di cui sia stata acclarata l’indebita attribuzione, n.d.e. ) sono recuperati in conformità all’articolo 80 ” – laddove dispone che “ in caso di pagamento indebito, l’agricoltore ha l’obbligo di restituire il relativo importo, maggiorato di un interesse calcolato a norma del paragrafo 2 ”.
7. L’appello, in conclusione, deve essere accolto, potendo dichiararsi l’assorbimento delle censure non esaminate, e conseguentemente respinto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed i relativi motivi aggiunti.
8. Le indubbie difficoltà interpretative concernenti le disposizioni rilevanti ai fini della controversia giustificano la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.