Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-10-12, n. 202006042
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Pubblicato il 12/10/2020
N. 06042/2020REG.PROV.COLL.
N. 03555/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3555 del 2020, proposto da
Hospital Service s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Azienda Sanitaria Regionale Molise - A.S.Re.M., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato C C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G C in Roma, via T. Inghirami n. 76;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) n. 00063/2020, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Regionale Molise;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. E F e udito per la parte appellata l’Avvocato C C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza appellata, il T.A.R. Molise ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Hospital Service s.r.l. avverso la deliberazione del Direttore Generale f.f. dell’A.S.Re.M. - Azienda Sanitaria Regionale Molise n. 1136 del 21 settembre 2019, con la quale la proposta ad iniziativa privata da essa presentata ai sensi degli artt. 179, comma 3, e 183, comma 15, d.lvo n. 50/2016, ai fini della centralizzazione del servizio di sterilizzazione dei ferri dell’azienda sanitaria, comprensivo della gestione e della messa a disposizione dello strumento chirurgico, è stata ritenuta irricevibile/inammissibile, con conseguente non ammissione della Hospital Service s.r.l. alla prosecuzione della procedura, “per la mancanza della documentazione minima prescritta dall’art. 183 co. 15 e co. 9, del D.lgs. n. 50/16 e s.m.i.”.
L’impugnazione, in via derivata, era stata estesa dalla ricorrente alla successiva deliberazione del Direttore Generale f.f. n. 1219 del 9 ottobre 2019, recante l’avviso pubblico per l’acquisizione di manifestazione di interesse all’affidamento dell’incarico di supporto al Rup e redazione degli atti della gara avente ad oggetto la “gestione dei servizi di sterilizzazione dell’Asrem”.
Il T.A.R., in primo luogo, ha respinto il motivo di ricorso (sub I) inteso a lamentare che il Direttore Generale facente funzioni avrebbe dovuto limitarsi alla adozione degli atti di ordinaria amministrazione, mentre non sarebbe competente ad adottare i provvedimenti impugnati, attenendo questi alla “attività programmatoria dell’intimata Asrem”.
AI fini reiettivi, il T.A.R. ha in proposito evidenziato che l’art. 3, comma 6, d.lvo n. 502/1992 prevede che “in caso di vacanza dell’ufficio o nei casi di assenza o di impedimento del direttore generale, le relative funzioni sono svolte dal direttore amministrativo o dal direttore sanitario su delega del direttore generale o, in mancanza di delega, dal direttore più anziano per età”, trattandosi di “prescrizione che non pone limiti di alcun tipo ai poteri del direttore generale facente funzioni, a cui pertanto è consentita l’adozione di tutti gli atti necessari alla gestione dell’ufficio, ivi compresi quelli che eccedono l’ordinaria amministrazione”.
Il T.A.R. ha quindi respinto i successivi motivi sub II.I, II.II e II.III, con i quali la parte ricorrente deduceva che la prima fase del procedimento disciplinato dall’art. 183, commi 15-19, d.lvo n. 50/2016 “non è ancora finalizzata alla ricerca di un “contraente”, ma soltanto di una “proposta” che rivesta pubblico interesse”, sicché la stazione appaltante “ha erroneamente ritenuto di dover giudicare la fattibilità della proposta avanzata dalla odierna ricorrente esclusivamente sulla scorta di un giudizio di incompletezza documentale, in luogo di richiedere alla HS di provvedere ad integrare i documenti ritenuti dalla ASREM indispensabili alla prosecuzione della valutazione di fattibilità”.
Ai fini reiettivi delle suddette censure, il T.A.R. ha preliminarmente osservato che “con il verbale n. 2 del 17.09.2019 la Commissione ha attentamente esaminato la proposta presentata dalla ricorrente ed ha ritenuto la sua irricevibilità in ragione della riscontrata carenza di documenti essenziali, quali: il progetto di fattibilità, il PEF asseverato, la “matrice dei rischi e analisi Value for money”, il documento contenente la “analisi di convenienza comparata”, l’autodichiarazione in ordine al possesso dei requisiti di cui all’art. 183, co. 17, del d.lgs. n. 50/2016 in capo al proponente, l’impegno a prestare la cauzione nella misura del 2,5 % del valore dell’investimento, la dichiarazione di conoscenza delle ipotesi di escussione della garanzia (cfr. pag. 1 e 2). Inoltre la Commissione ha rilevato “l’assoluta carenza contenutistica dei documenti prodotti” che impedisce, anche a prescindere dai predetti profili di irricevibilità, la “corretta valutazione della proposta in termini di pubblico interesse, e in definitiva, circa la fattibilità della proposta” ed ha analiticamente indicato tutte le mancanze del PEF, della proposta tecnica e della bozza di convenzione che rendono la proposta, nel suo complesso, non decifrabile sotto il profilo dei contenuti e quindi oggettivamente non apprezzabile da parte dell’amministrazione (cfr. pag. 4)”.
Quindi, il giudice di primo grado ha rilevato che “a fronte di tali carenze, che non sono state in alcun modo contestate dalla ricorrente, la decisione di non dare ulteriore corso alla procedura risulta sostanzialmente necessitata, dal momento che la proposta della ricorrente era priva dei requisiti (e dei contenuti) minimi per consentirne la valutazione sotto il profilo della rispondenza agli interessi della pubblica amministrazione”, laddove “ragioni di buona amministrazione ed economia dell’azione amministrativa inducono a ritenere che l’ente procedente non sia tenuto ad aprire un confronto istruttorio ai fini dell’implementazione e del completamento delle proposte che risultino tanto lacunose da non consentire alcuna valutazione, neanche per sommi capi, circa la loro rispondenza al pubblico interesse”.
Infine, il T.A.R. ha dichiarato l’inammissibilità del motivo sub II.IV, inteso a sostenere che il verbale n. 2 del 17 settembre 2019 sarebbe inficiato da falsa presupposizione ed irragionevolezza, nella parte in cui la Commissione aveva ritenuto che la ditta proponente avesse commesso un errore nella quantificazione della spesa relativa all’acquisto dello strumentario in questione.
In proposito, il giudice molisano ha evidenziato che “come peraltro è stato rilevato dalla stessa parte ricorrente, la circostanza resta ai margini del percorso motivazionale articolato dalla Commissione e comunque non è stata ripresa nella deliberazione n. 1136/2019, sicché la decisione di irricevibilità/inammissibilità della preposta prescinde dall’errore in questione, ciò che esclude un concreto interesse all’accoglimento della doglianza”.
Con i motivi di appello – al cui accoglimento si oppone l’ASREM – la parte appellante contesta, in primo luogo, la statuizione reiettiva della censura intesa a lamentare il vizio di incompetenza inficiante il provvedimento impugnato in primo grado, deducendo che esso è stato adottato dal dott. A L, in qualità di Direttore Generale facente funzioni, nominato in esito alle dimissioni del Direttore Generale in carica, ing. G S, “nelle more della procedura di nomina del nuovo Direttore Generale indetta con DGR n. 272 del 16.07.2019”: allega sul punto la parte appellante che la nomina così disposta era finalizzata a garantire la continuità dell'attività di ordinaria amministrazione dell’Azienda, rimanendo esclusa la facoltà, per il Direttore f.f., di adottare atti che – come quello oggetto di impugnativa – incidessero sull’attività programmatoria dell’Azienda medesima, come confermato dal disposto dell’art. 3, comma 6, d.lvo n. 502/1992, laddove prevede che “la nomina del direttore generale deve essere effettuata nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di vacanza dell'ufficio”.
Il motivo non può essere accolto.
Deve invero evidenziarsi, sulla falsariga di quanto statuito dal giudice di primo grado, che l’art. 3, comma 6, d.lvo n. 502/1992, nel prevedere che “in caso di vacanza dell'ufficio o nei casi di assenza o di impedimento del direttore generale, le relative funzioni sono svolte dal direttore amministrativo o dal direttore sanitario su delega del direttore generale o, in mancanza di delega, dal direttore più anziano per età”, non pone limiti contenutistici alla competenza surrogatoria del Direttore generale f.f., inducendo a configurarla in termini generali, al fine di garantire la piena funzionalità dell’Ufficio, nelle more del perfezionamento della nomina del nuovo Direttore Generale.
Peraltro, se non può attribuirsi rilievo decisivo, in senso contrario, alla previsione secondo cui “la nomina del direttore generale deve essere effettuata nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di vacanza dell'ufficio”, richiamata dalla parte appellante, in quanto espunta dall’art. 3, comma 2, d.lvo n. 229/1999, non può non apportare ulteriore supporto in parte qua alla sentenza di primo grado la previsione secondo cui “ove l’assenza o l’impedimento (del Direttore Generale, n.d.e. ) si protragga oltre sei mesi si procede alla sostituzione”, contenuta nel medesimo art. 3, comma 6, d.lvo n. 502/1992, indice del fatto che il legislatore, contemplando un periodo di vacanza significativamente lungo, non può non presupporre la pienezza delle funzioni sostitutive del Direttore Generale f.f., al fine di non pregiudicare la continuità dell’attività amministrativa dell’Ente, in tutte i suoi risvolti (compreso quello di carattere programmatorio, al quale, secondo le deduzioni attoree, afferisce il provvedimento impugnato).
L’infondatezza del suindicato motivo di appello consente di prescindere dall’eccezione di inammissibilità dello stesso formulata dall’Amministrazione appellata.
Con ulteriore profilo di censura, la parte appellante sostiene che le ragioni poste dall’Amministrazione a fondamento del provvedimento impugnato attengono esclusivamente alla rilevata carenza documentale, come si desume dalla pagg. 5/6 del medesimo, dove si dispone di “non ammettere alla prosecuzione della procedura la ditta Hospital Service S.r.l. in quanto, come rilevato dalla Commissione nei verbali suddetti, la proposta presentata dalla stessa risulta mancante dei seguenti documenti: ...”: deduce, da questo punto di vista, che il T.A.R. avrebbe fatto riferimento a ragioni di inammissibilità della proposta – come quella secondo cui essa “era priva dei requisiti (e dei contenuti) minimi per consentirne la valutazione sotto il profilo della rispondenza agli interessi della pubblica amministrazione” – estranee al contenuto motivazionale del provvedimento impugnato ed evincibili solo dal presupposto verbale della Commissione di valutazione.
Fatta tale premessa, la parte appellante deduce che l’Amministrazione, nel ritenere inammissibile la proposta da essa presentata per carenza di documenti essenziali, ha confuso la fase iniziale di mera individuazione del promotore con quella successiva finalizzata all’affidamento della concessione, la quale, a differenza della prima, presenta i caratteri veri e propri della gara: evidenzia, quindi, che non potendo configurarsi alcun stringente obbligo di produzione documentale in capo all’operatore economico nella fase iniziale del project financing , esiste la possibilità di ricorrere ad un – seppur atipico – procedimento di soccorso istruttorio (in caso di rilevata carenza, da parte della Amministrazione, di documenti ritenuti indispensabili per pervenire ad una completa ed esaustiva disamina della proposta).
La censura di parte appellante presuppone l’analisi del provvedimento impugnato, e degli atti da esso richiamati, al fine di enucleare le ragioni sottese alla sua adozione, che si assume non essere state colte, nella loro effettiva essenza, dal giudice di primo grado.
Ebbene, la tesi di parte appellante – intesa a sostenere che, a fondamento dell’impugnato provvedimento di inammissibilità/irricevibilità della proposta da essa presentata, vi sarebbero solo le puntuali carenze documentali in esso evidenziate, essendo invece estraneo al relativo corredo motivazionale qualsiasi riferimento al fatto che “l’assoluta carenza contenutistica dei documenti prodotti” impedirebbe la “corretta valutazione della proposta in termini di pubblico interesse, e in definitiva, circa la fattibilità della proposta”, in quanto la mancanza del PEF, della proposta tecnica e della bozza di convenzione che renderebbe la proposta, “nel suo complesso, non decifrabile sotto il profilo dei contenuti e quindi oggettivamente non apprezzabile da parte dell’amministrazione” – non può essere condivisa: se da un lato, infatti, nel verbale n. 2 del 17 settembre 2019 si dà atto (pag. 4) che “ferma restando l’irricevibilità della proposta formulata dalla Hospital Service s.r.l., la Commissione rileva, poi, l’assoluta carenza contenutistica dei documenti prodotti, alla luce dei criteri sopra determinati, che impediscono alla stessa di effettuare una corretta valutazione della proposta in termini di pubblico interesse e, in definitiva, circa la fattibilità della proposta”, dall’altro lato, l’impugnato provvedimento non opera alcuna selezione tra le ragioni poste dalla Commissione di valutazione a fondamento della rilevata irricevibilità/inammissibilità della suddetta proposta, laddove dispone di “prendere atto delle risultanze cui è addivenuta la Commissione in parola, che ha dichiarato irricevibile/inammissibile la proposta presentata dalla ditta Hospital Service, per tutte le motivazioni ampiamente illustrate nei verbali di cui sopra”.
Prosegue la parte appellante deducendo che, in ogni caso, in esito alla integrazione documentale, l’Amministrazione avrebbe avuto un quadro documentale completo e, dunque, “idoneo a consentirle di trarre effettivamente e definitivamente le proprie conclusioni circa la fattibilità o meno della proposta”: invoca, a dimostrazione dell’onere dell’Amministrazione di attivare il “soccorso istruttorio” nei confronti della appellante, il disposto dell’art. 183, comma 15, d.lvo n. 50/2016, ai sensi del quale essa ha la facoltà di “invitare il proponente ad apportare al progetto di fattibilità le modifiche necessarie per la sua approvazione”.
Nemmeno tale censura è meritevole di accoglimento.
L’esercizio del potere dell’Amministrazione di disporre integrazioni istruttorie non può ritenersi illimitato, presupponendo pur sempre che la documentazione prodotta sia tale da consentire ad essa di valutare, sebbene prima facie , la fattibilità tecnica della proposta e la sua sostenibilità economica, insieme alla rispondenza della stessa al pubblico interesse: essa, in altre parole, deve consentire all’Amministrazione di estrapolare una proposta completa, coerente e munita dei suindicati requisiti di fattibilità, sostenibilità e coerenza con l’interesse pubblico, salvi gli approfondimenti e le integrazioni istruttorie necessarie a pervenire, in ordine ai profili indicati, ad una valutazione completa ed esaustiva.
Il potere (ovvero, dal lato del proponente, la facoltà) di integrazione, in altre parole, non può risolversi nel completamento di una proposta che sia carente degli elementi minimi a definirla contenutisticamente e quindi a consentire di valutarla sotto il profilo della rispondenza al pubblico interesse, perché altrimenti si risolverebbe, non nel perfezionamento documentale di una proposta già completa nei suoi elementi essenziali, ma nella presentazione di una proposta ex novo , non essendo la documentazione già presentata idonea a configurarla.
Tale, invece, è l’esito auspicato dalla parte appellante, se si considera che le carenze formali e contenutistiche del PEF, della proposta tecnica e della bozza di convenzione, evidenziate alle pagg.