Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-12-03, n. 200907547

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-12-03, n. 200907547
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200907547
Data del deposito : 3 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05616/2004 REG.RIC.

N. 07547/2009 REG.DEC.

N. 05616/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 5616 del 2004, proposto da:
A S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. E A, A C, A S, con domicilio eletto presso C D Curtis in Roma, via Marianna Dionigi N.57;

contro

Comune di Pozzuoli, rappresentato e difeso dall'avv. A S, con domicilio eletto presso C D Curtis in Roma, V. Marianna Dionigi N.57;
Regione Campania, rappresentato e difeso dall'avv. M L, con domicilio eletto presso M L in Roma, via Poli, 29;

nei confronti di

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del T Campania - Napoli :sezione I n. 3055/2004, resa tra le parti, concernente REIEZIONE ISTANZA PER RINNOVO CONCESSIONE DEMANIALE MARITTIMA.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2009 il consigliere di Stato Fabio Taormina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Il T della Campania, sede di Napoli, con la decisione in epigrafe appellata ha respinto, previa riunione, tre ricorsi proposti dall’odierna parte appellante e volti a censurare l’omesso rinnovo della concessione demaniale marittima di pertinenza della stessa, e le attività conseguenziali (provvedimento di sgombero, recinzione dell’area, etc) poste in essere dall’amministrazione.

Aveva premesso l’appellante che essa era titolare della concessione demaniale marittima n. 20/2000, con superficie complessiva di mq 2775, nell’ambito del porto di Pozzuoli.

Prima della scadenza, (fissata per il 31/12/01) in data 2/10/01, aveva chiesto alla Capitaneria di Porto di Napoli di rinnovare la predetta concessione demaniale (avente ad oggetto l’esercizio di un’attività di parcheggio autoveicoli nell’area antistante l’attracco dei vaporetti e degli aliscafi). La Capitaneria aveva trasmesso gli atti alla Regione, ex art. 105 D.vo n. 112/98;
pur avendo il comandante della Capitaneria espresso parere favorevole al rinnovo, la Regione non aveva provveduto in modo espresso sulla richiesta.

L’odierna appellante, secondo la quale la concessione si era automaticamente rinnovata ex art. 1 c. 2 l. n. 494/93, aveva diffidato l’Amministrazione a rilasciare il titolo.

La Regione, (con una nota impugnata in primo grado) aveva respinto l’istanza, atteso che l’area in questione era stata chiesta in concessione dal Comune di Pozzuoli per un programma di viabilità sostenibile e che a tale richiesta doveva essere riconosciuto carattere di preminente interesse pubblico.

Tale reiezione, ed i successivi sviluppi dell’azione amministrativa, erano illegittimi e, secondo l’odierna appellante, meritavano di essere annullati.

Il T ha respinto nel merito le censure proposte dall’appellante.

Il punto nodale della appellata decisione riposava nella considerazione che, se era rispondente al vero che l’art. 1 della legge n. 494/93 prevedeva il rinnovo automatico della concessione su bene demaniale marittimo, era anche vero che tale rinnovo automatico era stato disposto solo con l’art. 10 della legge n. 88/2001, modificativo dell’art. 1 l. n. 494/93.

Tale art. 10 l. n. 88/01 era applicabile solo alle concessioni rilasciate dopo la sua entrata in vigore mentre la concessione in questione era stata rilasciata prima dell’entrata in vigore della norma citata. Inoltre, l’art. 13 l. n. 173/2003 aveva chiarito che tale rinnovo automatico si riferisce solo alle concessioni per finalità turistico ricreative, quali indicate nelle lettere da a) ad f) del c. 1 dell’art. 1 l. n. 494/93.

La concessione in esame, che non rientrava tra quelle di carattere turistico ricreativo, era in ogni caso esclusa da quelle soggette a rinnovo automatico. I limiti previsti dall’art. 1 l. n. 494/93 erano evidentemente riferiti alle attività dei soggetti privati, e non potevano costituire un ostacolo all’esercizio delle funzioni amministrative del Comune.

Da tali considerazioni discendeva la reiezione anche degli ulteriori, connessi e conseguenziali, motivi di ricorso.

L’appellante ha proposto un articolato appello sottoponendo a rivisitazione critica l’intero impianto della sentenza di primo grado, dopo avere riaffermato la indubbia “finalità deviata” dell’azione amministrativa spiegata dall’Amministrazione comunale: quest’ultima, infatti, non avrebbe potuto legittimamente richiedere l’area in concessione per attribuirle destinazione di “zona a traffico urbano limitato” perché tale fine collideva con l’art. 1 della legge n. 494/1993 (peraltro, a distanza di anni dai provvedimenti impugnati, le aree erano ancora abbandonate, per cui lo sgombero coattivo in danno dell’appellante si era dimostrato del tutto inutile).

I limiti di utilizzazione delle aree di cui all’ art. 1 della legge n. 494/1993 dovevano trovare applicazione anche alle richieste provenienti dagli enti pubblici (quale il controinteressato appellato Comune di Pozzuoli), e non soltanto a quelle dei privati.

Il Comune aveva prospettato un utilizzo (destinazione dell’area a ZTL), ma, invece, perseguiva l’obiettivo dell’ampliamento e rifacimento del porto.

Il T aveva omesso di pronunciarsi sulla censura di incompetenza della giunta regionale Campana ad adottare il provvedimento reiettivo in danno dell’appellante: esso era diretto ad anticipare l’atto previsto dall’art. 6 della LR n. 3/2002, e, pertanto, ex art. 19 dello statuto della Regione Campania, in quanto di natura regolamentare, rientrava nelle attribuzioni del Consiglio regionale.

L’appellante ha del pari riproposto le censure di omessa istruttoria e omessa motivazione sulla istanza concessoria proposta dal Comune di Pozzuoli (quest’ultima era sprovvista della documentazione considerata dal codice della navigazione indispensabile corredo della domanda concessoria). Tale ultimo ente, comunque, non avrebbe potuto essere incaricato, ex art. 14 della legge n. 47/1985, di eseguire l’ordinanza di sgombero coattivo dell’area in quanto avente ad oggetto beni del demanio marittimo (per cui la competenza doveva essere individuata ai sensi dall’art. 54 del codice della navigazione).

Le predette doglianze sono state ribadite e puntualizzate da parte appellante con una memoria di discussione.

L’appellata Amministrazione comunale con memoria datata 11 giugno 2009 ha chiesto di respingere l’appello perchè infondato: l’azione amministrativa si era svolta regolarmente;
parte appellante non aveva contestato con il proprio gravame che - come ritenuto dal T- alla data del 31.12.2001 la concessione demaniale da quest’ultima vantata era venuta in scadenza;
essa non aveva più interesse alla decisione dell’appello che, comunque, non poteva attingere l’ordinanza comunale n. 1011/200 di divieto e sosta dei veicoli sull’area.

DIRITTO

L’appello deve essere respinto con conseguente conferma dell’appellata sentenza.

Non v’è contestazione in ordine agli aspetti fattuali e cronologici sottesi alla causa, né in ordine alle disposizioni applicabili al caso di specie, il che esonera il Collegio dal rivisitare tali aspetti.

Preliminarmente deve rilevarsi (quanto all’asserito vizio ex art. 112 cpc attingente la impugnata decisione ed a più riprese evidenziato nel ricorso in appello) che il Collegio condivide la tradizionale impostazione secondo cui l'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui all'art. 112, c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo.(tra le tante, si veda Consiglio Stato sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98).

I primi giudici, nel caso di specie, hanno integralmente condiviso l'impianto sostanziale dei provvedimenti impugnati.

Appare evidente pertanto che, anche ad ammettere che ciò sia avvenuto non fornendo analitica e partita risposta sulle questioni dedotte nei sopracitati motivi del ricorso di primo grado, essi si sono implicitamente pronunciati sulle medesime, respingendole, avendo riscontrato la legittimità degli atti impugnati in primo grado sotto profili assorbenti rispetto alla portata delle censure medesime.

Ritiene il Collegio di potere condividere detto modus procedendi, e che nel caso di specie non sia ravvisabile alcuna lesione del principio di cui all'art. 112 cpc, potendosi sul punto richiamare l'orientamento della giurisprudenza, dal quale non si ravvisa ragione per discostarsi, a tenore del quale "il vizio di omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertato con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché esso può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile. (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 1998, n. 189, ma anche, di recente, Consiglio Stato , sez. VI, 06 maggio 2008, n. 2009).

In ogni caso, si deve rilevare che l'omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo( difetto di procedura o di forma secondo la previsione di cui all’art. 35,primo comma, l. 1034/1971) tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa.(Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289).

Può pertanto il Collegio senz’altro passare ad esaminare il merito del ricorso in appello.

A tale proposito, si ritiene di dovere immediatamente sottolineare che parte appellante non ha riproposto nel proprio ricorso in appello– come evidenziato dall’appellata Amministrazione- quelle fondate sull’asserito automatico rinnovo della concessione.

Nella memoria di discussione, ha invece riproposto dette censure, chiedendo che il Collegio si pronunci sul detto profilo.

Ad avviso del Collegio le censure investenti tale profilo della decisione di primo grado sono inammissibili, in quanto non prospettate (se non a tutto concedere in via implicita) nel ricorso in appello.

Deve comunque evidenziarsi (per quanto di utilità con riferimento ai legami che esse presentano con gli ulteriori motivi di impugnazione) che esse sono senz’altro infondate, come più volte in passato affermato dal Collegio (si veda Consiglio Stato , sez. VI, 15 febbraio 2006, n. 613, e n. 902/2009).

La condivisibile giurisprudenza maggioritaria, anche di primo grado, ha affermato che l'art. 10 l. 16 marzo 2001 n. 88 che prevede che le concessioni hanno durata di sei anni e alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente a ogni scadenza, trova applicazione esclusivamente per le concessioni sorte sulla base della nuova disciplina statale e non per le diverse concessioni di 4 anni rilasciate secondo la previgente normativa, la quale richiedeva che fosse idoneamente pubblicizzata la procedura relativa al rinnovo, per consentire ad altri soggetti, in una logica di par condicio effettiva, di concorrere in contrapposizione al titolare della concessione scaduta o in scadenza. Diversamente opinando, non avrebbe senso l’attuale previsione di poteri di programmazione di cui d'art. 6 d.l. n. 400 del 1993, consistenti nell'adozione di un piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, finalizzati al rilascio delle relative concessioni, e sarebbe svuotata la delega ai Comuni, ai sensi dell'art. 42 d.lg. 30 marzo 1999 n. 96, delle funzioni di gestione del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative. (tra le tante, T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 13 dicembre 2005, n. 20186 e T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 19 marzo 2004, n. 3055).

Con la richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 902/2009, è stata condiviso tale principio che, meglio armonizzando la interpolata disposizione di cui all'art. 1 l. n. 494 del 1993 con la legislazione correlata appare preferibile rispetto alla interpretazione in passato sostenuta,secondo cui la norma in oggetto concernerebbe non solo le concessioni rilasciate dopo la data di entrata in vigore dell'art. 10 l. n. 88 del 2001 medesima, ma anche quelle rilasciate prima di tale data, purché ancora efficaci.

L’intera impostazione del ricorso in appello, secondo la quale illegittimamente sarebbe stato negato all’appellante -il cui rapporto concessorio, pacificamente, preesiste al 2001- il rinnovo automatico appare destituita di fondamento già in relazione al quadro normativo statuale invocato.

E la impostazione prescelta dal Collegio, peraltro, appare altresì meglio armonizzarsi con i principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria che hanno fatto si che si affermasse nell’ordinamento interno il principio secondo il quale le concessioni “possono essere assentite solo in esito ad una procedura di gara caratterizzata da idonea pubblicità preventiva;
qualora si tratti di rinnovo di concessioni di beni pubblici, la gara deve essere depurata da fattori di vantaggio a favore dell'eventuale precedente concessionario. (Consiglio Stato , sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168).

Ciò anche ove si tenga in considerazione che pure l'art. 37 del Cod. della navigazione introduce, davanti al convergere di più domande, una procedura selettiva, mirante a scegliere non il migliore in assoluto, ma chi si presenti come il miglior curatore dell'interesse pubblico.

Questo interesse riguarda la proficua utilizzazione del bene demaniale, tenendo conto anche del legame della spiaggia con gli interessi della collettività degli utenti e della complessiva offerta di servizi a detta collettività (arg. da Cons. Stato, sez. VI, 17 aprile 1996, n. 564, e 16 settembre 1994, n. 1371).

D’altro canto, può aggiungersi sotto un profilo sistematico, le disposizioni introdotte dall'art.10, comma 1, della legge n.88/2001, non possono che avere effetto con riferimento alle concessioni rilasciate successivamente all'entrata in vigore della stessa disposizione perché, in caso contrario, non avrebbe senso la previsione di poteri di programmazione, consistenti nell'adozione di un piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo (cfr. art.6, comma 3, del citato d.l. n.400/93), finalizzati al rilascio delle relative concessioni e sarebbe svuotata la delega ai Comuni ex art.42 del d.lgs. n.96/99 delle funzioni di gestione del demanio marittimo per finalità turistico ricreative.

La stessa successiva legge n.135/2001, concernente la riforma della legislazione nazionale del turismo, rischierebbe, seguendo l'interpretazione di parte appellante, di restare inapplicata (contrariamente a quanto dalla stessa affermato, come di qui a poco si vedrà).

La legge 135, infatti, pur mantenendo la previsione di cui al comma 1 dell'art.10 della legge n.88/2001, rinvia alla definizione di linee guida statali e a criteri di attuazione regionali per la concreta gestione dei beni demaniali per attività turistico ricreative - cfr. artt. 2, comma 4, lettera l), e 11, comma 8.

Quest'ultima disposizione (art.11, comma 8), in particolare, dispone la cessazione dell'applicazione del d.l. n.400/93 dall'entrata in vigore della disciplina regionale di adeguamento ai principi statali in materia di turismo. Principi e disciplina che non potrebbero avere effetto sulle concessioni pregresse automaticamente rinnovate.

D'altra parte, la circostanza che la norma in esame si applichi con riferimento alle nuove concessioni è circostanza sostenibile, oltre che sulla base di una interpretazione sistematica, anche alla luce di un dato testuale. L'art.10, comma 1, della legge n.88/2001 fa infatti riferimento agli "impianti previsti" per lo svolgimento delle attività in concessione, non a quelli già esistenti.


La citata decisione della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 902/2009, poi, contiene condivisibili argomenti per dichiarare infondata anche la connessa doglianza fondata sull’asserito malgoverno del disposto di cui all’art. 105 del D.lvo n. 112/1998 (censura, quest’ultima, sulla quale i primi giudici si sono brevemente soffermati dichiarandone l’infondatezza consequenziale alla statuizione denegatoria dell’automatico rinnovo).

Si è infatti condivisibilmente affermato sul punto (facendo riferimento ai principi espressi dalla Consulta con le decisioni n. 255/2007 e n. 88/2007) che “La competenza regionale (e con riferimento alle Regioni a statuto ordinario) in materia di demanio marittimo e ricreativo è dato indubitabile (sia pure dovendosi constatare, ovviamente, la residua compresenza di aspetti di pertinenza statale);
è stata in passato predicata dalla giurisprudenza del Supremo Collegio (Cassazione civile , sez. II, 26 maggio 2006, n. 12646) e del Consiglio di Stato (sez. VI, 20 maggio 2005, n. 2565);
risale, già antecedentemente alla modifica del titolo V della Costituzione, al disposto di cui all’art. 59 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (“Sono delegate alle regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative.”)”.

Venuti meno i capisaldi logici delle doglianze dell’odierna appellante già proposte in primo grado, potrebbe ben dubitarsi del concreto interesse della stessa a dolersi del contenuto del provvedimento concessorio rilasciato in favore dell’Amministrazione comunale.

La considerazione che la società appellante, secondo una nozione allargata del concetto di interesse a ricorrere, in quanto operatore economico e precedente concessionario vanterebbe una posizione attiva differenziata che la legittima ad opporsi ai provvedimenti concessori rilasciati ad altri soggetti, induce il Collegio a soffermarsi anche sulle ulteriori censure del ricorso in appello.

Con la prima di esse si duole della “causale” della richiesta concessoria avanzata dal Comune (destinazione dell’area a ZTL) e la censura è intimamente connessa (laddove si fa riferimento ad una attività amministrativa complessivamente “deviata”) al provvedimento con il quale si è vietata nell’area la sosta e la fermata dei veicoli.

In disparte la singolarità “soggettiva” di tale doglianza, (ciò laddove si consideri che la precedente e scaduta concessione vantata dall’appellante -gestione di un parcheggio- aveva pur sempre ad oggetto elementi connessi a problematiche di traffico e circolazione, e non poteva definirsi di carattere “turistico-ricreativo”, il che peraltro costituisce ulteriore circostanza militante in senso contrario alla tesi del rinnovo automatico della medesima) nessuna delle menzionate prospettazioni coglie nel segno.

E ciò non (soltanto) perché - come osservato dal T – i limiti di utilizzo delle aree demaniali, ove intesi in senso restrittivo e coinvolgenti la posizione del richiedente ente pubblico escluderebbero una serie di destinazioni a pubblico interesse non strettamente rientranti nella destinazione “turistico ricreativa” (arg. in relazione all’inciso “oltre che per servizi pubblici”, contenuto al comma I dell’art. 1 della legge n. 400/1993).

Invero, già in passato la giurisprudenza civilistica di legittimità, esaminando la problematica della coesistenza di poteri regolatori, facenti capo a più enti, ed insistenti sulla medesima area, ha avuto modo di evidenziare che “nel caso in cui su un'area del demanio marittimo insista un centro abitato, il potere del comune di vietare e limitare la sosta dei veicoli, a norma del combinato disposto degli art. 4, comma 1, lettera a) e 3, comma 3, lettera c) cod. stradale (d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393), coesiste con quelli attribuiti dal codice della navigazione alle autorità marittime, onde il suo esercizio presuppone il consenso (espresso o implicito) di queste ultime autorità, in modo che siano salvaguardate le prioritarie esigenze del demanio marittimo. (Cassazione civile , sez. I, 13 agosto 1993, n. 8678).

A differenza di quanto sostenuto da parte appellante, pertanto, il potere e la finalizzazione in questione non è in radice negata all’Amministrazione comunale: occorre che essa si eserciti con il consenso -anche implicito, secondo la decisione richiamata- dell’autorità preposta alla gestione del bene demaniale marittimo (nel caso preso in esame, addirittura, la res oggetto del divieto consisteva in una banchina portuale): ciò è puntualmente avvenuto nel caso di specie, sicchè la doglianza è destituita di fondamento.

Che poi la destinazione a ZTL – come ipotizzato dall’appellante- fosse prodromica ad altri ipotizzati ed inespressi disegni (ampliamento e rifacimento del porto) è circostanza non provata, non documentata, e soprattutto neutra, a fronte della incontestata emergenza, in base alla quale fu emesso un provvedimento di divieto di fermata e sosta dei veicoli;
che questo ebbe attuazione;
e che il medesimo, per le ragioni dianzi chiarite, non era intrinsecamente connotato di illegittimità.

Né le circostanze affermate dall’appellante alle pagg. 15 e 16 del ricorso in appello (successivo e protratto abbandono dell’area, incuria della medesima, etc) costituendo post-factum incidente sull’utilizzo del sito, ed al più legittimanti l’eventuale adozione di statuizioni revocatorie possono connotare di illegittimità i provvedimenti antecedentemente resi.

Quanto sinora affermato vale altresì a far ritenere la infondatezza delle censure investenti il diniego opposto alla richiesta di rinnovo del titolo concessorio vantato dall’appellante.

E’ stato ancora di recente affermato dalla giurisprudenza amministrativa che nel procedimento concernente la concessione demaniale marittima, la competente Capitaneria di porto può considerare e valutare tutti gli interessi pubblici specifici che, insorgenti dalla dimensione territoriale del bene, interferiscono, assumendo una rilevanza ponderale prevalente, sull'uso individuale a base della richiesta di concessione;
quest'ultimo, dunque, in quanto "eccezionale", deve essere del tutto compatibile con l'intero spettro delle esigenze pubblicistiche gravanti sul territorio in cui ricade l'area oggetto della richiesta concessione.(Consiglio Stato , sez. VI, 03 febbraio 2009, n. 572).

Tale principio costituisce jus receptum, mai seriamente contestato.

Nel caso di specie, è indubitabile che, in primo luogo, l’utilizzo prospettato dall’appellante si ponesse in contrasto con quello dell’ Ente pubblico appellato;
che quest’ultimo avesse prospettato un utilizzo comunque di pubblico interesse;
che la pretesa privata fosse quindi recessiva rispetto a quella dell’Amministrazione.

L’appellante censura inoltre per incompetenza la deliberazione regionale che si pone a monte della preferenza accordata all’ente pubblico (delibera n. 2000/02).

Non ignora a tal proposito il Collegio che la giurisprudenza amministrativa di primo grado ha affermato che l'emanazione di atti di natura regolamentare non rientra nella competenza della giunta regionale, secondo quanto previsto dall'art. 9, comma 1, della l. reg. Campania n. 28 del 2003, così come emendato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 119 del 24 marzo 2006. Pertanto, l'adozione di atti della specie resta devoluta al Consiglio regionale in base agli artt. 19 e 20 dello Statuto della Regione Campania , nonostante la modifica dell'art. 121 Cost. (introdotta dalla l. cost. l. n. 1 del 1999) che, nell'eliminare la riserva di competenza della potestà regolamentare all'organo consiliare, consente alla Regione una diversa scelta organizzativa la quale, tuttavia, non può che essere contenuta in una disposizione dello statuto regionale.(T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 02 ottobre 2006, n. 8432).

Ciò che deve essere contestato, invece, è che l’atto in questione possedesse – soprattutto nella parte di interesse ai fini della presente impugnazione- natura e carattere regolamentare in senso tecnico.

In disparte la considerazione (non negata, del resto, dall’appellante, che a pag 17 del ricorso in appello ricorre al concetto di atto anticipatorio) che la delibera in oggetto si limitava ad indicare criteri valevoli in via transitoria, nella fase antecedente alla predisposizione dell’atto regolamentare, la censurata previsione contenuta nella delibera, (neppure nominalmente indicata quale “regolamento”, peraltro) non introduce infatti nel sistema alcun nuovo criterio attributivo né integra prescrizione fornita del carattere di innovatività, perché va ricondotta al concetto di “interesse pubblico”.

Essa integra semplice trasposizione di un principio generale mai denegato e ancora di recente riaffermato, secondo cui “in tema di concessione di aree demaniali marittime, i criteri selettivi divisati dall'art. 37, c. nav., in caso di concorso di una pluralità di domande per il medesimo bene, e che limitano la sfera di discrezionalità dell'organo concedente che ne deve effettuare positivo scrutinio attengono: alla presenza di maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione;
all'uso che corrisponda ad un più rilevante interesse pubblico;
all'utilizzazione di attrezzature non fisse e completamente amovibili in caso di attività turistico/ricreativa.”(Consiglio Stato , sez. VI, 09 novembre 2006, n. 6612).

E laddove si consideri che parte appellante non ha né chiarito, né per il vero, neppure sostenuto che la propria richiesta fosse finalizzata a soddisfare (anche) esigenze di pubblico interesse e/o che queste fossero esuberanti rispetto a quelle prospettate dall’Amministrazione comunale appellata, appare evidente che non sia manifestazione di arbitrario esercizio di discrezionalità la preferenza accordata in favore della richiesta dell’Amministrazione comunale

Quanto alla doglianza fondata sull’asserito malgoverno del disposto di cui all’art. 6 co. II del regolamento di esecuzione del codice della navigazione (“la domanda deve essere corredata da una relazione tecnica delle opere da eseguire, dal piano della località e dai disegni particolari degli impianti”), è appena il caso di osservare che non è contestato che le due deliberazioni giuntali comunali del 2002 volte ad ottenere il rilascio del titolo concessorio fossero corredate da documentazione esplicativa: al di là del nomen juris di quest’ultima, la completezza della richiesta (ribadita dal T) costituiva dato rientrante nell’apprezzamento dell’autorità deputata al rilascio che, nell’esercizio della propria discrezionalità ha ritenuto sufficiente la documentazione posta a sostegno della richiesta.

In ultimo (IV motivo del ricorso in appello) parte appellante censura che l’esecuzione dello sgombero coattivo dell’area sia stata affidata dalla Regione al Comune di Pozzuoli odierno appellato.

La censura è non soltanto inammissibile per carenza di interesse, ma anche infondata.

In primo luogo, non è dato comprendere a qual titolo l’appellante si dolga del concreto svolgimento della procedura esecutiva dell’ordinanza di sgombero coattivo, posto che, nella fase antecedente a questa, essa versava in situazione di patente irregolarità.

Si è affermato in giurisprudenza, infatti, che in tema di tutela del demanio, per la configurabilità del reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo non è necessaria la preventiva emanazione dell'ordinanza di sgombero da parte della competente autorità, poiché il reato è integrato dalla mera occupazione dello spazio demaniale in difetto di titolo concessorio. (Cassazione penale , sez. III, 18 aprile 2007, n. 21809).

La non contestata circostanza che il titolo da essa vantato era scaduto di validità, esclude che l’appellante (all’epoca occupante abusivo) possa avere interesse e legittimazione a dolersi del quomodo della esecuzione del doveroso provvedimento di sgombero.

Sotto altro profilo, il richiamo all’art. 14 della legge n. 47/1985 appare esatto e sufficiente a giustificare la legittimazione all’esecuzione dell’ordine in capo al Comune delegato, in armonia con l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale “l'esistenza del demanio marittimo non esclude affatto la titolarità di poteri urbanistici comunali. Infatti, ai sensi del combinato disposto degli art. 30 e 55 c. nav. e 10 commi 2 e 3 l. 6 agosto 1967 n. 765 (nonché dell'art. 4 l. n. 10 del 1977 e dell'art. 31 l. n. 1150 del 1942), da un lato, si deve escludere l'incondizionata possibilità che gli strumenti urbanistici regolino i beni del demanio marittimo e dall'altro non è possibile sottrarre completamente alla disciplina urbanistica i terreni in esso rientranti.” (Consiglio Stato , sez. VI, 21 settembre 2006, n. 5547).

In ultimo, la circostanza – esattamente evidenziata dai primi giudici e non contestata nel merito- che la Regione non disponga di un proprio corpo di polizia legittimava la Regione ad affidarne l’esecuzione al Comune, salvo a volere ipotizzare che l’ordinanza potesse sine die restare ineseguita a cagione della carenza di soggetti idonei ad eseguirla.

La sentenza resiste pertanto alle doglianze del ricorso in appello che, conclusivamente, deve essere disatteso e per l’effetto, deve essere confermata l’appellata decisione.

Anche per questo grado di giudizio devono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della particolarità delle circostanze fattuali sottese alla presente controversia.

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