Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-19, n. 201801036
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Pubblicato il 19/02/2018
N. 01036/2018REG.PROV.COLL.
N. 01694/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1694 del 2017, proposto da:
Pomilia Gas società cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati E S e E R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E S in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
contro
Comune di Offlaga (Bs), in persona del Sindaco in carica
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati G S, F B, S V e P R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato P R in Roma, via Marcello Prestinari, n. 13;
nei confronti di
Gp Infrastrutture S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Maurizio Zoppolato, con domicilio eletto presso lo studio Maurizio Piero Zoppolato in Roma, via del Mascherino, n. 72;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lombardia – Sez. staccata di Brescia, Sezione II n. 1634/2016, resa tra le parti, concernente annullamento della determinazione n. 81 del 27/04/2016 del Comune di Offlaga di ritiro in autotutela del precedente provvedimento n. 100 del 23/04/2016, recante l'aggiudicazione della gara per l'affidamento del servizio distribuzione del gas alla Coop. Pomilia Gas Società Cooperativa s r.l.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Offlaga e di Gp Infrastrutture S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2017 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Abbamonte su delega di Soprano, Sina e Zoppolato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, la società cooperativa Pomilia Gas, come in atti rappresentata e difesa, impugnava la sentenza, meglio distinta in epigrafe, con la quale il TAR per la Lombardia – sezione staccata di Brescia aveva respinto il ricorso proposto avverso gli atti con i quali il Comune di Offlaga aveva disposto il ritiro in autotutela dell’atto di aggiudicazione definitiva, in proprio favore, della gara indetta per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas e contestualmente proceduto al temporaneo affidamento diretto, in via d’urgenza, alla controinteressata Gp Infrastrutture s.r.l., terza graduata e precedente gestore del servizio.
2.- A sostegno del gravame:
a ) premetteva che, con delibera consiliare n. 26/2010 del 28 settembre 2010, il Comune di Offlaga aveva indetto una gara, tramite procedura ristretta e da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento a terzi del servizio pubblico di distribuzione del gas naturale, secondo le modalità previste dal vigente art. 14 del d. lgs. n. 164/2000, alle condizioni stabilite nello schema di contratto di servizio, con assunzione, giusta la normativa di riferimento, dell’onere di rimborso delle spese al gestore uscente (Gas Plus Reti S.r.l.);
b ) esponeva che gli atti di indizione della gara erano stati impugnati dal gestore uscente, che aveva proposto numerosi giudizi, complessivamente preordinati alla contestazione delle modalità di svolgimento della nuova procedura;
c ) chiariva che – rigettati tutti i ricorsi, sia in prime che in seconde cure – il Comune, con determinazione n. 100 del 23 aprile 2013, aveva, alfine, disposto l’aggiudicazione definitiva della gara in proprio favore: ne aveva ricevuto comunicazione con nota prot. n. 1952 del 24 aprile 2013, a riscontro della quale aveva tempestivamente provveduto ad inoltrare alla stazione appaltante, con nota del 20 maggio 2013, tutta la documentazione necessaria alla stipula del relativo contratto di servizio;
d ) rammentava che anche avverso tale aggiudicazione era stato proposto ricorso da parte del gestore uscente, anch’esso definitivamente respinto dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5732 del 21.11.2014;
e ) esponeva che – pur a chiusura del lungo contenzioso e a fronte della sollecita trasmissione di tutta l’ulteriore documentazione necessaria alla prosecuzione dell’ iter procedimentale – il Comune fosse rimasto inerte in ordine alla stipula del contratto: anzi – a distanza di oltre due anni dall’aggiudicazione definitiva – con nota prot. n. 2631 dell’8 giugno 2015 aveva inopinatamente comunicato l’avvio del procedimento preordinato al di ritiro in autotutela della delibera di n. 26 del 28.09.2010 (recante la decisione di procedere alla liquidazione del rimborso al gestore uscente ed alla attivazione di nuova ed autonoma procedura selettiva), sul presupposto che la scelta di farsi carico del detto rimborso potesse risultare non più corrispondente al pubblico interesse, laddove la somma da pagare fosse di fatto risultata – a seguito del giudizio arbitrale avviato da Gas Plus per determinare il valore del rimborso medesimo – superiore al valore emergente dalla perizia eseguita prima dell’indizione della gara in questione;
g ) aggiungeva che, con successiva deliberazione n. 23 del 24 settembre 2015, il Consiglio Comunale aveva poi effettivamente deciso che, ove appunto il rimborso de quo fosse risultato superiore rispetto a quello inizialmente stimato, l’Amministrazione avrebbe senz’altro ritirato in autotutela tutti gli atti di gara;
h ) chiariva di essere tempestivamente insorta contro siffatta determinazione con ricorso formalizzato presso il TAR Brescia, successivamente integrato da motivi aggiunti, con il quale aveva denunziato in primis l’illegittimità dell’inerzia del Comune nella stipula del contratto e quindi – dopo che, con sopravvenuta deliberazione n. 7 del 7 aprile 2016, il Comune, ritenendo effettivamente superiore al previsto l’ammontare da corrispondere al gestore uscente, come quantificato all’esito del giudizio arbitrale, aveva deciso di ritirare gli atti di procedura, con pedissequo affidamento del servizio in proroga al gestore uscente – anche avverso quest’ultima determinazione;
i ) si doleva che, con sentenza n. 1634/2016, pubblicata in data 29 novembre 2016, il TAR avesse respinto il ricorso proposto.
3.- Sulle esposte premesse, impugnava la ridetta statuizione, lamentandone la complessiva illegittimità ed invocandone l’integrale riforma, con annullamento degli atti impugnati e condanna al risarcimento del danno patito.
4.- Nella resistenza del Comune intimato e della controinteressata Gp Infrastrutture s.r.l. – entrambi intesi ad argomentare l’infondatezza del gravame – alla pubblica udienza del 23 novembre 2017, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello è, nei sensi e nei limiti delle considerazioni che seguono, fondato e merita di essere accolto, per quanto di ragione.
2.- Con il primo motivo di appello la Pomilia Gas denunzia l’erroneità della sentenza gravata, nella parte in cui ha escluso l’illegittimità degli atti impugnati – ed in particolare della gravata deliberazione consiliare n. 7 del 7 aprile 2016, con cui il Comune di Offlaga aveva disposto la revoca degli atti della gara – per violazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990, asseritamente non ricorrendo nella fattispecie alcuno dei necessari presupposti idonei a legittimare, ai sensi della ridetta disposizione, l’esercizio del potere di autotutela.
In particolare, l’appellante rileva anzitutto che la circostanza (addotta dal Comune a sostegno giustificativo della disposta revoca) della sopravvenuta impossibilità di sostenere l’onere del rimborso spettante al gestore uscente (essendo quest’ultimo risultato - a seguito della decisione arbitrale intervenuta sul punto, in quanto presumibilmente conforme alla stima operata dal consulente tecnico all’uopo designato – ben maggiore rispetto a quello stimato inizialmente, con un incremento superiore al 1500% ), non costituirebbe affatto una situazione non prevedibile al momento di indizione della gara.
A suo dire, siffatta imprevedibilità risulterebbe, per contro, smentita per tabulas , in quanto:
a ) nelle stesse premesse dell’atto di revoca si dava expressis verbis atto della circostanza che il gestore uscente avesse chiesto un rimborso decisamente superiore a quello stimato dall’Ente (€ 4.469.737,12 €, a fronte degli € 141.320), ciò che doveva far quantomeno e ragionevolmente presagire una possibile e significativa rideterminazione;
b ) nello stesso elaborato peritale predisposto dai tecnici comunali (nella prospettiva di adozione della delibera n. 26/2010, con la quale si era deciso di procedere al nuovo affidamento) si dava puntualmente conto del carattere dichiaratamente provvisorio, approssimativo e revisionabile della stima;
c ) il rischio di non trovare un accordo sul quantum del rimborso e di dover, per tal via, accedere ad un giudizio arbitrale dagli incerti esiti, finalizzato alla sua determinazione contenziosa, era chiaro e, dunque, calcolato già all’atto dell’assunzione delle decisioni revocate.
Alla luce di siffatto ordine di rilievi, in definitiva, il mutamento della situazione di fatto – rispetto a quello assunto a fondamento della decisione di procedere all’affidamento con apposita procedura evidenziale – sarebbe stato tutt’altro che imprevedibile, non legittimandosi, perciò solo, il ricorso all’autotutela e la correlata compressione dei maturati affidamenti.
3.- La censura, così come articolata, non appare persuasiva.
Osserva il Collegio come l’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990, nella vigente formulazione (quale risultante dalle modifiche da ultimo introdotte ad opera del d. l. n. 133/2014, convertito in l. n. 164/2014), impone di distinguere, in relazione ai diversi profili di praticabilità del potere di revoca dei provvedimenti amministrativi non meno che ai sottesi impegni giustificativi gravanti sull’Amministrazione, tra:
a ) revoca per sopravvenienza di interessi , ammessa senza particolari limiti ( arg. ex art. 97 Cost., avuto riguardo al necessario e dinamico adeguamento dell’azione amministrativa alla salvaguardia del pubblico interesse);
b ) revoca per sopravvenienza di norme , non codificata ma implicita nella clausola rebus sic stantibus ;
c ) revoca per sopravvenienza di fatti , ora ammessa solo in caso di imprevedibilità del mutamento della situazione fattuale sussistente al momento di adozione del provvedimento;
d ) revoca penitenziale , esclusa per i provvedimenti di matrice autorizzatoria e per quelli attributivi di vantaggi economici.
Naturalmente, a parte l’ipotesi non concretamente rilevante dello jus poenitendi , non ogni sopravvenienza (imprevedibile, in quanto concerna fatti) può legittimare il ricorso al potere di revoca, ma solo la modificazione (del quadro normativo o, appunto, dei presupposti fattuali dell’azione amministrativa) che incida in grado apprezzabile sull’interesse pubblico di attribuzione, in termini di cui l’Amministrazione – quanto ad effettività , concretezza ed attualità – è tenuta a dare adeguato conto in sede giustificativa (in tale, concreto senso dovendo acquisirsi – a ben considerare – l’autonomo richiamo normativo alla ipotesi di sopravvenienza di interessi : la quale postula, per l’appunto, una rilevante immutazione del contesto - de jure o de facto - in cui si muove la dinamica amministrativa e ne fonda, al contempo, la relativa giustificazione sul piano assiologico: cfr. art. 97 Cost.).
4.- Con riferimento alla fattispecie sub c ) – che viene in considerazione nel caso di specie – importa notare che (per effetto della riscrittura della disposizione) mentre, prima della riforma, il negligente apprezzamento del fatto non precludeva l’iniziativa revocatoria, ma – rilevando al più sotto la specie di regola di comportamento – legittimava, fermo il legittimo ritiro dell’atto, il riconoscimento dei danni a titolo latu sensu precontrattuale, ora è in gioco la stessa validità sub specie acti della misura revocatoria, destinata ad essere annullata, su iniziativa di parte, laddove l’Amministrazione abbia preteso di ritirare un suo provvedimento in forza di sopravvenienze fattuali che – alla luce di un qualificato canone di diligenza e di un contestualizzato apprezzamento ex fide bona – avrebbe potuto (e – quindi – dovuto) prevedere al momento di confezione della propria primigenia volontà provvedimentale.
5.- Se ne può desumere che il ridetto e positivo criterio della prevedibilità vada, per l’appunto, apprezzato, nel farsi dell’azione amministrativa, non in termini assoluti ed obiettivi, ma relativi e soggettivi , id est alla luce delle conoscenze concretamente acquisite e di quelle, comunque, diligentemente acquisibili dal decisore pubblico al momento di definizione degli esiti del procedimento amministrativo: avendo, con ciò, riguardo, per un verso, alle effettive emergenze istruttorie e, per altro verso, al grado qualificato della diligenza gravante sui soggetti pubblici, in quanto siano istituzionalmente dotati dei migliori e più efficaci strumenti di acquisizione ed apprezzamento dei fatti, semplici o complessi, procedimentalmente rilevanti.
6.- È su tali basi che occorre allora vagliare – alla luce dell’articolato motivo di ricorso – la questione se la significativa e sopravvenuta rimodulazione del rimborso dovuto al precedente gestore all’esito dell’attivato giudizio arbitrale potesse essere o meno circostanza “prevedibile” dalla stazione appaltante allorché si determinò a bandire la nuova gara, accettando di sobbarcarsi l’onere del rimborso in questione.
È avviso del Collegio che l’esito del giudizio arbitrale dovesse considerarsi in concreto obiettivamente imprevedibile: ciò non nel senso che le parti coinvolte non potessero ragionevolmente mettere in conto, secondo l’ id quod plerumque accidit , gli esiti (pur sempre, per definizione, potenzialmente sfavorevoli) della controversia (e, con essi, la possibile rimodulazione in graviorem partem della somma dovuta), ma nel diverso senso – l’unico rilevante, nella specie – che non potessero prevederne un così macroscopico e rilevante incremento .
In altri termini, l’imprevedibilità non può certo parametrarsi ai meri esiti della controversia – in quanto tali imprevedibili per definizione ovvero, reciprocamente, a prevedibile esito alternativo – ma solo alla misura del relativo accertamento, cioè, in concreto, alla discrasia quantitativa tra l’originaria stima effettuata dall’Amministrazione e quella accertata dagli arbitri .
Al qual fine – sulla base di ricorrenti massime di esperienza, parimenti rilevanti a disegnare i confini di un apprezzamento diligente dei fatti – nessun conto può farsi, specie in un giudizio affidato ad arbitri privati, sulla notoria tendenza delle parti a strutturare il petitum sulla proposizione di una esorbitante stima delle azionate pretesa patrimoniali, sovente ispirata alla auspicata ricerca di una soluzione prospetticamente intermedia, in una – pur non plausibile – logica quasi transattiva.
Se ne deve dedurre che – a dispetto di ogni possibile diligenza in existimatione rei - il Comune intimato abbia recepito come del tutto imprevedibile (di là dalla mera ed iniziale conoscenza della esorbitante richiesta privata) un incremento del rimborso dovuto dagli originari € 141.320 a ben oltre 2 mln. di euro, certamente in grado di impattare, come tale, sulle scarne risorse finanziarie dell’Ente.
Si giustifica, per tal via, proprio alla luce dell’invocato art. 21 quinquies , l’assunzione di una determinazione di revoca della originaria opzione, con la quale si era scelto di pagare le somme dovute e di procedere al nuova assegnazione concorsuale.
7.- A fronte dei rilievi che precedono – a dispetto delle doglianze anche su questo concorrente profilo formulate da parte appellante – l’invocazione, da parte del Comune, di pretese (ed asseritamente insussistenti) modificazioni normative sopravvenute (invocazione verisimilmente ispirata al tentativo di “blindare” la divisata misura revocatoria, legittimandola sulla scorta di un più solido jus superveniens ) appare, in ogni caso, irrilevante: e ciò nel senso, esattamente colto e valorizzato dalla impugnata statuizione di prime cure, che, anche nella concreta assenza di una norma effettivamente incisiva dell'originario assetto degli interessi, a giustificare la misura di autotutela appare sufficiente (e, quindi, assorbente) l’argomentata sopravvenienza del fatto.
8.- Quanto alla effettiva esistenza di un concreto ed attuale interesse pubblico a supporto della determinazione rimotiva, vale osservare che, anche sotto questo profilo, siffatto interesse pare adeguatamente valorizzato in termini di sproporzionata ed ingestibile incidenza sulle scarne risorse pubbliche dell’Ente, che ha indotto a rimodulare l’originaria scelta.
Benvero, come è noto, motivazioni di carattere finanziario, ed in particolare sopravvenute difficoltà economiche, possono indubbiamente costituire valide ragioni di revoca degli atti di una gara, le quante volte le stesse siano concretamente ed oggettivamente esistenti nonché puntualmente dimostrate (cfr. ex permultis Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2013, n. 4809).
9.- Vale, a questo punto, osservare, nondimeno, che l’appellante argomenta – sotto distinto e concorrente profilo critico – l’insussistenza di “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” connotati di attualità e concretezza, in quanto:
a ) alla data di adozione della delibera di revoca, il lodo arbitrale (che costituiva il solo e unico atto avente valore giuridico rilevante ai fini dell’attestazione del valore del rimborso) non era, in realtà, stato ancora pronunziato (constando esclusivamente della stima peritale ivi depositata dal consulente designato);
b ) in ogni caso, terminato il giudizio arbitrale, la parte interessata avrebbe potuto comunque proporre appello davanti ad un secondo Collegio di Arbitri, ai sensi dell’art. 24, comma 8, R.D. n. 2578/1925, per cui il valore effettivo del rimborso dovuto al gestore uscente sarebbe stato determinato in via definitiva soltanto dopo molti mesi (se non addirittura anni).
Con ciò, in buona sostanza, all’atto della sua adozione (che è l’unico momento temporale di riferimento per apprezzare le condizioni di legalità dell’azione amministrativa, posto che tempus recit actum ) il provvedimento di revoca degli atti di gara si sarebbe fondato unicamente su un generico (perché non specificato) e astratto (perché meramente potenziale) timore di non poter sostenere l’onere del rimborso spettante al gestore uscente.
Sul punto, l’apprezzamento dei primi giudici – fondato sull’implausibile valorizzazione a posteriori della pronunzia del lodo e sulla argomentata impraticabilità, pur sempre ex post facto , dell’opzione impugnatoria – sarebbe, allora, in tesi erroneo e non motivato.
10.- La doglianza non persuade.
La narrativa in fatto che precede ed il tenore testuale delle determinazioni assunte confermano che alla revoca della gara l’Amministrazione si è risolta allorché ebbe ad acquisire consapevolezza – attraverso la lettura della consulenza tecnica d’ufficio stilata in sede arbitrale – del reale onere economico che sarebbe prevedibilmente gravato sulle proprie risorse finanziarie.
Siffatto apprezzamento – che non è alterato dalla astratta possibilità di dar corso ad una eventuale impugnativa del lodo, dagli esiti evidentemente non garantiti – legittima, in quanto adeguatamente motivato, la scelta operata.
Né a diverso rilievo può indurre l’ulteriore censura formulata dall’appellante, secondo la quale l’insostenibilità economica del rimborso sarebbe stata, in realtà, meramente presunta e, in ogni caso, affrontabile mediante opportuno ricorso a plausibili operazioni contabili (contrazione di un mutuo, aumento del canone della aggiudicanda concessione etc.): si tratta, invero, di apprezzamenti rimessi alla discrezionalità valutativa della pubblica amministrazione, che non inficiano – in quanto risultino adeguatamente ponderati, ragionevolmente bilanciati e coerentemente valutati – la legittimità di non procedere alla stipula del contratto, nonostante la compromissione della aspettative maturate in proposito. Ciò anche in considerazione della dubbia possibilità che il ricorso a siffatti strumenti potesse realmente sterilizzare il rischio di compromettere l’equilibrio economico-finanziario del Comune.
11.- L’appellante contesta, altresì, la sentenza impugnata, nella parte in cui ha disatteso l’eccepita incompetenza del Consiglio comunale (in luogo della Giunta) alla assunzione del provvedimento di revoca.
In realtà, di fatto, la decisione di procedere all’esercizio dei poteri di autotutela in relazione alla decisione di bandire la gara (con corresponsione diretta dell’indennizzo al gestore uscente da parte del Comune) è stata correttamente adottata dal Consiglio Comunale (con la deliberazione 24.9.15 n. 23 e poi definitivamente con deliberazione 7.4.16 n. 7), trattandosi di decisioni afferenti la modalità di gestione dei pubblici esercizi, a suo tempo adottate con deliberazione 28.9.10 n. 26.
Non viene, perciò, in considerazione la regola che rimette, in termini generali, alla Giunta gli atti attuativi dell’indirizzo politico-amministrativo dell’Ente.
12.- La sentenza appellata viene, altresì, censurata nella parte in cui il giudice di primo grado – nel pronunciarsi sulla istanza di risarcimento dei danni – ha limitato il risarcimento spettante al solo interesse negativo (cioè il rimborso delle spese sostenute per partecipare alla gara), così come, del resto, stabilito dal Comune di Offlaga nella impugnata delibera di C.C. n. 7/2016.
Nell’assunto critico dell’appellante, una volta accertata la (non contestata) sussistenza della responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione comunale nella vicenda di causa, sarebbe spettato anche - nel rispetto degli artt. 1175, 1223, 1337 e 2043 del c.c. - il risarcimento della voce di danno costituita dal cd. interesse positivo, ovvero dal “mancato utile” conseguito dalla Pomilia Gas a seguito della disposta revoca dell’aggiudicazione definitiva (astrattamente quantificabile nella misura forfettaria del 10% dell’importo offerto in sede di gara).
In ogni caso, anche a voler confinare il danno nell’alveo dell’interesse negativo, sarebbe spettato il ristoro della perdita di chances , che i primi giudici avevano inopinatamente denegato per asserito difetto di prova.
13.- Il motivo è infondato.
Premesso che – in difetto di appello incidentale sul punto – deve tenersi per ferma, in quanto coperta dal giudicato, l’affermazione della sussistenza dei presupposti per l’imputazione della responsabilità precontrattuale (onde la questione controversa attiene esclusivamente ai criteri di quantificazione del danno), osserva la Sezione che il primo giudice si è correttamente attenuto ai principi regolatori della materia (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez, V, 6 novembre 2017, n. 5091), laddove ha affermato:
a ) che il danno precontrattuale è riconducibile al solo interesse negativo , ossia all’interesse a non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose;
b ) che vi rientrano sia il danno emergente (corrispondente alle spese sostenute per partecipare alla gara e in previsione della conclusione del contratto) che il lucro cessante (correlativo alla perdita di ulteriori occasioni contrattuali, vanificate a causa dell’impegno derivante dall’aggiudicazione non sfociata nella stipulazione);
c ) che deve essere escluso il ristoro dell’interesse positivo ( id est del mancato guadagno - cd. utile d’impresa - prospetticamente derivante dall’esecuzione del contratto non venuto ad esistenza;
d ) che – in ogni caso – il danno risarcibile deve essere comprovato, giusta la regola generale dell'onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa avanzata: con il che nel giudizio risarcitorio non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica, nel giudizio di legittimità, l’applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.
Nella specie, il primo giudice ha correttamente riconosciuto, in termini di danno emergente, le spese di partecipazione alla gara (pari ad € 9.082,31) e le cd. “spese di trasferta” (pari ad € 2.207,59 €), in quanto puntualmente dimostrate.
Correttamente, ancora, ha escluso la ristorabilità delle spese legali sostenute per fronteggiare il contenzioso originato dalla gara poi revocata, trattandosi di oneri destinati a trovare una definitiva ed esclusiva regolamentazione nelle sentenze emesse all’esito dei relativi giudizi.
Ha poi, astrattamente riconosciuto la risarcibilità del lucro cessante (sempre nei limiti dell’interesse negativo), che – tuttavia – ha disconosciuto per difetto di prova delle opportunità contrattuali asseritamente perdute.
Erra, allora, l’appellante, laddove pretende il ristoro delle chances perdute con riferimento, magari forfettizzato, ai mancati utili potenzialmente rinvenibili dalla stipula del contratto perduto: è evidente che siffatto danno rientra nel lucro cessante da interesse positivo, come tale non risarcibile, come chiarito, nella prospettiva della responsabilità precontrattuale.
14. – Con distinto mezzo, la società appellante censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha respinto la doglianza intesa a prospettare l’illegittimità della decisione, assunta dall’Amministrazione comunale intimata sempre con la delibera consiliare n. 7/2016, di far proseguire alla controinteressata Gas Plus, nella qualità di precedente gestore, il servizio di distribuzione del gas sul territorio comunale in regime di prorogatio , stipulando a tal fine un accordo con quest’ultima per disciplinare la prosecuzione del detto servizio fino al subentro del nuovo gestore individuato all’esito della prevista gara d’ambito.
In proposito, l’appellante lamenta il contrasto con i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, che governano la soggetta materia.
All’uopo ribadisce che, in base alle condizioni proposte inizialmente dal Comune nella Deliberazione di C.C. n. 23/2015 (con cui si era comunicato l’avvio del procedimento di revoca in proprio danno) Gas Plus avrebbe dovuto versare “ la somma omnicomprensiva una tantum di € 200.000,00 (duecentomilaeuro), al netto di imposte ed accessori tutti, nonché l’importo di € 20.000,00 (ventimilaeuro), a titolo di canone annuo e per ciascun anno di gestione, sino all’intervenuto affidamento del servizio al gestore scelto all’esito della gara d’ambito ” e che, per contro, la stessa aveva, bensì, prospettato la propria disponibilità a proseguire la gestione del servizio medesimo, formulando tuttavia una proposta di accordo migliorativa rispetto alle suddette condizioni inizialmente proposte dal Comune, accollandosi il pagamento oltre che della “ somma omnicomprensiva una tantum di euro 200.000,00 ”, anche della diversa somma di “ euro 30.000,00 (euro trentamila) a titolo di canone per ogni anno di gestione del servizio ” a fronte dei € 20.000,00 indicati nella suddetta proposta del Comune.
Con ciò, la gestione del servizio di distribuzione era stata, di fatto, asseritamente affidata a trattativa privata a Gas Plus, senza che la stazione appaltante svolgesse alcuna procedura pubblica per selezionare il gestore del detto servizio.
15.- La censura è fondata.
Il T.A.R. ne ha disposto la reiezione sull’argomentato assunto che “ il ritiro in autotutela degli atti di gara (dalla deliberazione consiliare n. 26/2010 fino alla determinazione di aggiudicazione definitiva 23/4/2013 n. 100) [aveva] provocato la loro definitiva eliminazione dal mondo giuridico, cosicché il gestore uscente si [sarebbe] trovato a beneficiare di una gestione di fatto ”, peraltro legittimata dall’art. 14, comma 7, del cit. D.Lgs. n. 164/2000 ai sensi del quale “ Gli enti locali avviano la procedura di gara non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio. Il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento [...]”.
Osserva, tuttavia, la Sezione che il Comune di Offlaga non ha inteso, avuto riguardo alle divisate condizioni economiche della gestione affidata, disporre la mera proroga del contratto per la gestione del servizio di distribuzione del gas originariamente stipulato con la Gas Plus nell’anno 1982, ma ha, di fatto, proceduto ad un sostanziale rinnovo dell’originario contratto, negoziando condizioni diverse rispetto a quelle ivi stabilite, in base alle quali Gas Plus si è impegnata a pagare un canone più elevato e la somma una tantum di € 200.000 che non era prevista nella precedente convenzione.
È, invero, noto, infatti, che la proroga consiste nel mero differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario, laddove il rinnovo comporta una “nuova negoziazione” tra il soggetto privato e la pubblica amministrazione, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse (Cons. Stato, Sez. III, 22 gennaio 2016, n. 209).
Se ne deve desumere che la ridetta rinegoziazione, esitata nella prefigurazione di condizioni contrattuali significativamente diverse da quelle originarie (all’evidenza intese a tenere complessivo e rimodulato conto della situazione venutasi a determinare all’esito del giudizio arbitrale finalizzato alla inopinata quantificazione dell’indennizzo dovuto al gestore uscente), deve considerarsi alla stregua di una vera e propria trattativa privata, come tale assunta in spregio dei principi di libera concorrenza, quali imposti dalle regole evidenziali e fuori dai casi eccezionalmente e tassativamente previsti (cfr. art. 57 d. lgs. n. 163/2006 ed ora – in attuazione della dir. 24/2914/UE, l’art. 63 d. lgs. n. 50/2016).
16.- In definitiva, alla luce del complesso delle considerazioni che precedono, l’appello merita di essere respinto nella parte in cui argomenta l’illegittimità della disposta revoca e il mancato riconoscimento, in sede risarcitoria, del danno da perdita di chances ;merita, per contro, di essere accolto, relativamente alla illegittima proroga del contratto, disposta a favore del precedente gestore.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.