Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-08-23, n. 202407218

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-08-23, n. 202407218
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202407218
Data del deposito : 23 agosto 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/08/2024

N. 07218/2024REG.PROV.COLL.

N. 00293/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 293 del 2023, proposto da:
C B, C P C, B V, rappresentati e difesi dall'avvocato D S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e la Provincia di Vibo Valentia, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria, Commissione regionale per il patrimonio culturale della Calabria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , non costituiti in giudizio;

per la riforma:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. 01909/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e per la Provincia di Vibo Valentia, e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Catanzaro, Cosenza e Crotone;

Visto il decreto presidenziale n. 6/2023, con il quale è stata accolta l’istanza di superamento dei limiti dimensionali previsti dai decreti del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016 e n. 127 del 16 ottobre 2017

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2024 il Consigliere Lorenzo Cordì e udito, per parte appellante, l’avvocato D S;

Lette le conclusioni rassegnate dalle parti.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I sig.ri C B, C P C e B V hanno appellato la sentenza n. 1909/2022, con la quale il T.A.R. per la Calabria (Sezione Prima) ha respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dagli odierni appellanti.

1.1. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado i signori B, C a V avevano chiesto:

i ) di accertare e dichiarare la sussistenza dei presupposti del danno da ritardo e da disturbo, nonché da illecito omissivo permanente da parte dell’Amministrazione;

ii ) di dichiarare l’illegittimità della mancata definizione del procedimento avviato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e per la Provincia di Vibo Valentia, in ottemperanza alla sentenza n. 1847/2017 del T.A.R. per la Calabria;

iii ) di dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dal Commissario ad Acta sull’istanza dell’1.7.2018;

iv ) di condannare l’Amministrazione ad emanare il provvedimento di rimozione del vincolo apposto con D.M. del 20.11.1996, in coerenza con le risultanze istruttorie e la proposta formulata dalla Soprintendenza territorialmente competente in data 9.2.2018 (nota prot. n. 1348).

1.2. Con il successivo ricorso per motivi aggiunti i sig.ri B, C e V avevano chiesto l’annullamento:

i ) della nota prot. n. 834 del 15.2.2019, con cui la Commissione regionale per il Patrimonio Culturale presso il Segretariato Regionale per la Calabria aveva deliberato, all’unanimità, il mantenimento del provvedimento di tutela previsto dal D.M. del 20.11.1986;

ii ) del verbale n. 3 del 12.3.2018 e della relativa deliberazione;

iii ) del D.M. 20.11.1996 ivi richiamato, e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.

2. Le domande articolate dagli odierni appellanti sono riferite ad una complessa vicenda fattuale che occorre procedere a ricostruire. A tal fine si osserva che gli appellanti sono proprietari - pro indiviso ed in uguale misura - di un terreno edificabile di estensione pari a 1000 mq., sito in località Cofino del Comune di Vibo Valentia (foglio 34, particella n. 572). Tale immobile era stato ricompreso in “ zona semintensiva ” del P.R.G. comunale del 1966 e il Comune aveva rilasciato il permesso di costruire n. 4436 del 18.10.1995, per la realizzazione di un fabbricato da adibire a civile abitazione. Gli appellanti avevano, quindi, stipulato un contratto di appalto con la ditta Patania Costruzioni s.a.s., versando – a titolo di acconto – l’importo pari a euro 5.165,00. Dopo il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la stipula di una polizza fideiussoria, si era dato avvio ai lavori in data 25.1.1996. Tuttavia, in data 26.1.1996, la Soprintendenza archeologica della Calabria aveva intimato la sospensione dei lavori (provvedimento prot. n. 563), emanando, di seguito, due decreti di occupazione temporanea, finalizzati a consentire - tra il 21.2.1996 e il 22.7.1996 e tra il 23.7.1996 e il 22.11.1996 - lo svolgimento di indagini archeologiche. Successivamente, l’Amministrazione aveva adottato il D.M. del 20.11.1996, dichiarando il terreno di interesse archeologico e sottoponendolo al relativo regime di protezione.

2.1. Tale provvedimento era stato impugnato dinanzi al T.A.R. per la Calabria che aveva, però, respinto il ricorso con sentenza n. 309/1998, confermata dalla sentenza n. 1026/2007 di questa Sezione del Consiglio di Stato. Nel respingere il ricorso in appello, la Sezione aveva evidenziato, ex aliis , come la valorizzazione degli elementi fattuali sopravvenuti al vincolo avrebbe potuto rilevare solo ai fini del riesame in sede di autotutela, ove ne fossero ricorsi i presupposti.

2.2. Le odierne parti appellanti avevano, quindi, chiesto al Ministero di esercitare i poteri di riesame, con istanza del 19.2.2008. Con nota del 7.5.2008, prot. n. 2275, la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria aveva respinto tale istanza, ritenendo non sussistenti i presupposti per l’esercizio di tale potere. Tale decisione era stata confermata dal successivo provvedimento emesso all’esito del ricorso gerarchico proposto dai sig.ri B, C e V.

2.3. Le parti appellanti avevano, quindi, impugnato la decisione dinanzi al T.A.R. evidenziando, in sintesi, l’insussistenza dei presupposti per il mantenimento del vincolo, anche in ragione dell’intervenuto rilascio da parte del Comune di un ulteriore permesso di costruire per l’edificazione di una “ imponente struttura ” sul terreno contiguo. Con ordinanza n. 86/2009 il T.A.R. aveva disposto una verificazione sullo stato dei luoghi, da effettuarsi a cura della Direzione regionale paesaggistica della Calabria, la quale aveva, poi, incaricato – per l’espletamento delle attività - la dott.ssa Z, archeologa presso la Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio. Dopo lo svolgimento di alcune attività istruttorie, la funzionaria incaricata della verificazione non aveva depositato il proprio elaborato, e il T.A.R. aveva sollecitato l’adempimento con ordinanza n. 108/2010. Con la successiva sentenza n. 29/2011 il T.A.R. aveva annullato il Decreto del Direttore generale per i Beni Archeologici dell’allora Ministero per i beni e le attività culturali del 22.9.2008, con cui era stato respinto il ricorso gerarchico avverso la nota della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria n. 2275 del 7.5.2008, recante il rigetto dell’istanza del 19.2.2008 di revisione del vincolo ex art. 128, comma 3, D.Lgs. n. 42/2004. Il T.A.R. aveva, quindi, ordinato all’Amministrazione di provvedere a riesaminare il ricorso gerarchico.

2.4. In ottemperanza alla sentenza l’Amministrazione aveva incaricato il dott. Ardovino di verificare le condizioni per il riesame del vincolo con nota prot. 3253 del 5.4.2011, entro il termine di trenta giorni dal conferimento dell’incarico. Gli appellanti hanno dedotto che tali adempimenti non erano stati, tuttavia, eseguiti e, pertanto, avevano chiesto di ottenere il rilascio di copia della relazione scientifica redatta dalla dott.ssa Z, in precedenza incaricata della verificazione (v., supra , punto 2.3). L’istanza di accesso agli atti non era stata, tuttavia, accolta e, per tale ragione, le parti avevano adito il T.A.R. che, con sentenza n. 1645/2011 aveva ordinato all’Amministrazione di rilasciare copia della relazione, reiterando tale ordine con la successiva sentenza n. 241/2013, con la quale era stato nominato come Commissario ad Acta per tale adempimento il Prefetto di Catanzaro. Dopo la sentenza l’Amministrazione aveva, tuttavia, comunicato al Prefetto di non essere in possesso della relazione della dott.ssa Z e, a seguito di un nuovo sollecito, aveva comunicato l’impossibilità di effettuare l’accesso ai luoghi per eventuali visite ispettive.

2.5. In data 15.12.2014 la Soprintendenza aveva autorizzato – su istanza e a spese degli odierni appellanti - l’esecuzione di una campagna di scavi con metodo stratificato anche al fine di verificare la persistenza di un interesse archeologico attivo e di accertare la sussistenza di elementi di fatto sopravvenuti rispetto all’istruttoria che aveva condotto all’emanazione del vincolo. A seguito di tali verifiche erano stati rinvenuti alcuni reperti (embrici, coppe, frammenti ceramici, frammenti di anfore e pithos , nonché una struttura muraria) (doc. n. 11 del fascicolo di primo grado degli appellanti). I sig.ri B, C e V avevano, quindi, chiesto nuovamente alla Soprintendenza di avviare il procedimento di riesame e rimozione del vincolo archeologico (nota del 19.9.2016). La Soprintendenza aveva comunicato di aver avviato il procedimento per l’eventuale riesame, di competenza della Commissione regionale (prot. 2223 del 27.9.2016). I sig.ri B, C e V avevano, successivamente, adito nuovamente il T.A.R. per far dichiarare il perdurante inadempimento dell’Amministrazione e il Giudice aveva accolto tale domanda con la sentenza n. 1847/2017, con la quale aveva ordinato all’Amministrazione di concludere i provvedimenti avviati entro il termine di 180 giorni dal deposito della sentenza.

2.6. Con nota prot. n. 7485 dell’11.8.2017 la Soprintendenza aveva evidenziato che:

i ) il saggio n. 1 degli scavi eseguiti si era dimostrato privo di strutture e negli strati di terreno scavati erano stati rinvenuti pochi materiali archeologici;

ii ) il saggio n. 2 aveva consentito di rinvenire frammenti ceramici e laterizi;

iii ) il saggio n. 3 aveva consentito di rinvenire numerosi frammenti e una struttura muraria costituita da un doppio paramento di laterizi disposti di taglio, con riempimento interno di pietrame e laterizi fratti.

2.6.1. La Soprintendenza aveva, quindi, proposto la revisione del vincolo, limitando il vincolo diretto alla superficie del muro (comprensivo di una fascia di rispetto di un metro in tutte le direzioni) e modificando il vincolo da diretto ad indiretto per la restante parte della particella in esame. In data 7.12.2017 la Soprintendenza aveva comunicato l’avvio del procedimento per la revisione del vincolo. Le parti avevano formulato osservazioni, proponendo la rimozione integrale del vincolo, con impegno ad asportare in unico blocco la struttura muraria e a curarne il trasferimento presso il Museo di Vibo Valentia o altro museo, senza oneri per l’Amministrazione. Con nota del 9.2.2018 la Soprintendenza aveva comunicato di ritenere suscettibile di accoglimento la proposta, rimettendo, comunque, la valutazione finale alla Commissione regionale per il Patrimonio Culturale, e facendo presente come fosse necessario coinvolgere il Segretariato Regionale per individuare la collocazione della struttura muraria, stante le competenze assegnate dal Regolamento di organizzazione del Ministero del 2014. Gli odierni appellanti avevano, quindi, formalizzato il loro impegno con atto notarile, trasmesso alla Commissione regionale per il Patrimonio Culturale della Calabria.

2.7. In data 1.7.2018 le parti avevano, comunque, sollecitato l’intervento sostitutivo del Commissario ad Acta, stante una nuova stasi nell’azione amministrativa. Successivamente, avevano adito il T.A.R. (che si è, poi, pronunciato con la sentenza oggetto del presente giudizio di appello) per ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio-inadempimento rispetto all’istanza di revisione/rimozione del vincolo, il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per i comportamenti posti in essere dall’Amministrazione, e la condanna della stessa ad adottare il provvedimento richiesto. Dopo la proposizione del ricorso, l’Amministrazione aveva inviato alle parti la nota del 6.4.2018 con la quale la Commissione Regionale aveva, tuttavia, statuito il mantenimento del vincolo. Gli odierni appellanti avevano, quindi, proposto ricorso per motivi aggiunti chiedendo l’annullamento del provvedimento confermativo del vincolo.

3. Esaurita la ricostruzione della vicenda fattuale, si osserva come il T.A.R. per la Calabria abbia dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio (nella parte relativa al dedotto inadempimento dell’Amministrazione) e abbia rigettato la domanda di risarcimento del danno. Inoltre, il T.A.R. ha respinto la domanda di annullamento formulata con il ricorso per motivi aggiunti.

4. I sig.ri B, C e V hanno, quindi, proposto ricorso in appello, suddiviso in vari “ capitoli ” che saranno di seguito esaminati. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni in epigrafe chiedendo di respingere il ricorso in appello. In vista dell’udienza pubblica dell’11.7.2024 le sole Amministrazioni hanno depositato memoria conclusionale. Gli appellanti hanno, invece, depositato istanza di rinvio della trattazione del merito del ricorso in appello, esponendo che, in data 20.3.2024, la Soprintendenza aveva invitato le stesse a incaricare una ditta per il trasporto della struttura muraria rinvenuta nel terreno di proprietà e che, all’esito di tale operazione, si sarebbe verificata la sussistenza dei presupposti per la rivalutazione del vincolo. All’udienza dell’11.7.2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Preliminarmente il Collegio ritiene non sussistenti i presupposti per accordare il rinvio della trattazione del merito della controversia, richiesto dagli appellanti con l’istanza depositata in data 5.7.2024.

5.1. In termini generali si osserva che, come evidenziato da questo Consiglio di Stato, “ nell’ordinamento afferente al processo amministrativo non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso o alla cancellazione della causa dal ruolo, atteso che le stesse hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell'udienza o la cancellazione della causa dal ruolo, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della decisione spetta comunque al giudice ”. E “ ciò, in quanto la richiesta di cancellazione della causa dal ruolo ovvero di rinvio della trattazione di una causa deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi ragioni idonee ad incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo sia regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti ” ( cfr ., Consiglio di Stato, Sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6414;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 ottobre 2015, n. 3911;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 aprile 2023, n. 3901). Inoltre, va considerato come risponda “ all’esigenza di ordinato svolgimento della giustizia che i ricorsi, una volta fissati, siano decisi, poiché la fissazione di un ricorso preclude, con la saturazione del ruolo di udienza, la conoscenza di altra controversia ” (Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 1997, n. 696, il cui principio – affermato nella vigenza del previgente ordinamento processuale – deve ritenersi valevole anche per il codice del processo amministrativo, stante il medesimo meccanismo di fissazione dei ricorsi).

5.2. Deve, altresì, notarsi come la previsione di cui all’art. 73, comma 1- bis , c.p.a. non consenta di disporre, su istanza di parte, la cancellazione della causa dal ruolo, e il rinvio della trattazione della causa possa essere disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che lo dispone.

5.3. Nel caso di specie, non si ravvisano i casi eccezionali ai quali fa riferimento il disposto normativo sopra indicato. Infatti, deve considerarsi, in primo luogo, come l’istanza risulta fondata su una nota della Soprintendenza che non ha, invero, comunicato, con certezza, l’apertura di un procedimento di revisione del vincolo, ma ha invitato le parti ad incaricare una ditta per la rimozione della struttura muraria, indicando, che, all’esito, avrebbe valutato la sussistenza dei presupposti per la rimozione del vincolo, ferme restando le valutazioni, sul punto, dell’Ente superiore preposto alla revisione. In questo contesto, non è pronosticabile una definizione a breve del procedimento amministrativo, tenuto conto anche delle pregresse vicende, in relazione alle quali gli stessi appellanti hanno stigmatizzato il verificarsi di numerosi periodi di stasi dell’azione amministrativa. Inoltre, l’eventuale revisione del vincolo non esaurirebbe il dovere decisorio del Collegio sul merito della controversia, rendendo, in ipotesi, improcedibile la sola domanda articolata originariamente con il ricorso per motivi aggiunti o comportando, in caso di integrale riconoscimento del bene della vita, la cessazione in parte qua della materia del contendere;
permarrebbe, tuttavia, la necessità di decidere le domande risarcitorie formulate dalla parte;
pertanto, il differimento della trattazione della controversia (in difetto, anche, di ipotesi di rinuncia alle ulteriori domande) non garantirebbe un’integrale chiusura della controversia, che andrebbe, comunque, decisa quanto meno nella parte relativa alla domanda risarcitoria, e, anche per tale ragione, non risulta necessario né opportuno procrastinare la decisione.

6. Entrando, quindi, in medias res può seguirsi l’ordine dei motivi allestito dagli appellanti, prendendo l’abbrivio dal “ capitolo 1 ” del ricorso in appello, relativo al capo 4 della sentenza, con il quale il T.A.R. ha dichiarato in parte inammissibile e, in altra parte, ha respinto il ricorso per motivi aggiunti, relativo alla riconferma integrale del vincolo apposto nel 1996.

6.1. Prima di procedere alla disamina delle censure articolare, giova illustrare i contenuti del capo di sentenza impugnato dagli appellanti. A tal fine si osserva come il Giudice di primo grado abbia statuito che:

i ) il T.A.R. aveva respinto, con sentenza n. 309/1998, il ricorso proposto avverso il D.M. 20.11.1996, dichiarativo dell’interesse particolarmente importante, ai sensi della legge n. 1089/1939, di numerose aree site in località Cofino di Vibo Valentia, fra le quali quelle comprese nella particella 572 del foglio 34, di proprietà dei sig.ri B, C e V;

ii ) tale pronuncia era stata confermata dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 1026/2007;

iii ) di conseguenza, il Giudice Amministrativo aveva ritenuto legittimo il D.M. del 1996, e tale legittimità non poteva essere messa, ulteriormente, in discussione, con conseguente inammissibilità delle censure avverso tale decreto, contenute nel ricorso per motivi aggiunti.

6.2. Il T.A.R. ha, poi, respinto le ulteriori censure richiamando la sentenza n. 1026/2007 di questo Consiglio, secondo la quale:

i ) “ nella particella in esame […] indagini archeologiche, condotte attraverso carotaggi, [avevano] messo a nudo la presenza di uno strato archeologico spesso da 60 cm. ad 1 mt., da riconnettersi all'area sacra di Cofino, una delle aree sacre più vaste e monumentali della colonia greca di Hipponion;
area che
[aveva] restituito, insieme ad importanti strutture di edifici, tre favisse contenenti un'enorme quantità di materiale di grande pregio, oggi in massima parte esposto presso il museo di Vibo Valentia. Sempre in detta particella [erano] stati individuati, oltre al materiale ceramico, al carbone ed alle ossa, tutti attestanti la presenza di strati archeologici, anche, e in misura consistente, laterizi non usurati, misti a calcarenite [a dimostrazione della presenza di edifici di culto] . La particella 572 [era] poi interessata alla presenza di una via Sacra - accertata mediante lo studio della fotografia aerea- [di particolare] valore documentario ”;

ii ) “ la ragionevolezza della motivazione e la completezza dell’istruttoria [resistevano] all’esito del controllo di mera legittimità riservato al Giudice amministrativo, mentre la valorizzazione degli elementi fattuali al vincolo [poteva] rilevare solo ai fini del riesame in sede di tutela, [qualora ne fossero ricorsi i presupposti]”.

6.2.1. Inoltre, il T.A.R. ha osservato che, dalla motivazione del provvedimento di conferma del vincolo, erano, comunque, evincibili le ragioni a sostegno del mancato venir meno delle esigenze di tutela che ne avevano giustificato l’imposizione, dandosi atto delle varie sentenze del Giudice amministrativo che avevano riconosciuto la sussistenza dell’interesse archeologico all’interno delle cinta murarie delle città greche e romane. Il T.A.R. ha, altresì, evidenziato che:

i ) l’area oggetto di vincolo rientra all’interno della cinta muraria dell’antica Hipponion, e si trova a pochissima distanza da un importante tempio, scoperto nel Novecento dall’archeologo P O;

ii ) i saggi effettuati avevano consentito di rinvenire un tratto di muro antico, una tubazione antica in terracotta, strati archeologici e frammenti ceramici di varia natura;

iii ) non aveva rilievo la circostanza relativa alla dedotta sterilità del terreno, atteso che la tutela vincolistica archeologica può fondarsi anche su mere presunzioni, e il vincolo tutela non solo i reperti in sé, ma la complessiva superficie destinata illo tempore all’insediamento umano;

iv ) era, pertanto, da considerarsi legittimo l’operato dell’Amministrazione, anche in ragione del fatto che il vincolo archeologico ha come obiettivo primario quello di tutelare il patrimonio archeologico dello Stato ed essendo l’attività dell’Amministrazione diretta a tutelare il patrimonio nella sua interezza, comprendendo anche il contesto naturale in cui si trova.

7. Passando ad esaminare i motivi di ricorso in appello si deve riscontrare, in primo luogo, come gli appellanti abbiano ritenuto corretta la decisione del Giudice di primo grado nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti, in relazione alle censure articolare avverso il D.M. 20.11.1996, la cui impugnazione sarebbe stata finalizzata esclusivamente a “ pronosticare la rimozione/emendazione dell’atto a seguito del corretto scrutinio dell’istanza di riesame, sorretta da univoche evidenze istruttorie e valutative, promananti dalla medesima Amministrazione resistente ” (capitolo “ A.1 ”, f . 19 del ricorso in appello). Gli appellanti hanno, comunque, esposto di ritenere il punto “ non utile ai fini del giudizio finale ”, e hanno, quindi, ritenuto di non censurarlo. Di conseguenza, il Collegio deve prendere atto della circostanza che la pronuncia del T.A.R. per la Calabria è transitata in parte qua in rem iudicatam , e la statuizione di inammissibilità è, quindi, estranea al dovere decisorio di questo Giudice.

8. Nei successivi capitoli A.

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