Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-11-14, n. 201405601

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-11-14, n. 201405601
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201405601
Data del deposito : 14 novembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04740/2014 REG.RIC.

N. 05601/2014REG.PROV.COLL.

N. 04740/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4740 del 2014, proposto da:
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , e U.T.G. – Prefettura di Milano, in persona del Prefetto pro tempore , entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Sanitaria Ceschina &
C. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. A G, dall’Avv. V A, dall’Avv. L F e dall’Avv. Sergio Vacirca, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Sergio Vacirca in Roma, via Flaminia, n. 195;
Immobiliare Ciampi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. A G, dall’Avv. L F, dall’Avv. Sergio Vacirca e dall’Avv. V A, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Sergio Vacirca in Roma, via Flaminia, n. 195;

nei confronti di

Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaele Izzo, dall’Avv. Antonello Mandarano e dall’Avv. Paola Cozzi, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Raffaele Izzo in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 01007/2014, resa tra le parti, concernente il silenzio serbato dall’Amministrazione sullo sgombero di un immobile abusivamente occupato


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio di Sanitaria Ceschina &
C. s.p.a. e di Immobiliare Ciampi s.r.l. e del Comune di Milano;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2014 il Cons. M N e uditi per le parti l’Avv. Angiolini, l’Avv. Vergerio di Cesana su delega dell’Avv. Izzo, nonché l’Avvocato dello Stato Figliolia;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Sanitaria Ceschina &
C. s.p.a. e Immobiliare Ciampi s.r.l. adivano il T.A.R. Lombardia per chiedere che fosse accertata l’illegittimità – per violazione dell’art. 2 della l. 241/1990 – del silenzio serbato dal Comune di Milano sulle istanze che hanno inviato tra l’aprile ed il giugno 2013 al Comune stesso, all’A.M.S.A. s.p.a., alla Prefettura ed alla Questura di Milano, nelle quali veniva rappresentata l’occupazione abusiva dell’immobile di loro proprietà situato in Piazza Stuparich, n. 18, da parte di esponenti di un centro sociale milanese, e richiesto l’intervento dell’autorità comunale al fine di addivenire allo sgombero.

2. Le ricorrenti in prime cure chiedevano, inoltre, che l’Amministrazione fosse condannata al risarcimento dei danni subiti per effetto della mancata o ritardata adozione del provvedimento.

3. Si costituiva nel primo grado di giudizio il Comune di Milano, deducendo, oltre all’infondatezza nel merito, l’inammissibilità del ricorso poiché non sarebbe configurabile il potere di ordinanza sollecitato dalle ricorrenti.

3.1. Il Comune di Milano proponeva, altresì, ricorso incidentale, chiedendo il risarcimento dei danni cagionati alla città dalla situazione di degrado in cui versa l’immobile di Piazza Stuparich, n. 18, ed altri tre complessi di proprietà delle ricorrenti.

4. Si costituiva nel primo giudizio anche il Ministero dell’interno, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e l’inammissibilità del ricorso per assenza di obbligo di provvedere.

5. Il T.A.R. Lombardia, con sentenza non definitiva n. 1007 del 23.4.2004, accoglieva il ricorso, limitatamente all’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dalla p.a. e, per l’effetto, ordinava al Comune di Milano e, se del caso, alla Prefettura di Milano, di provvedere – entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza – sulle istanze presentate dalle ricorrenti.

5.1. Contestualmente il primo giudice fissava l’udienza pubblica del 18.12.2014 per la decisione delle domande risarcitorie.

6. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno, lamentandone l’erroneità per aver accolto il ricorso di primo grado, che invece dovrebbe ritenersi inammissibile e, comunque, infondato nel merito, e ha chiesto, previa sospensione, la riforma della decisione impugnata.

7. Si è costituito nel presente grado di giudizio anche il Comune di Milano, proponendo appello incidentale volto a far annullare la sentenza impugnata, previa sospensione dei suoi effetti, e a far respingere il ricorso originario.

8. Si sono altresì costituite le società appellate, ricorrenti in prime cure, chiedendo di respingere gli avversari gravami in quanto infondati.

9. Con ordinanza n. 2908 del 3.7.2014 veniva respinta l’istanza cautelare formulata dal Ministero dell’Interno, appellante principale, e dal Comune di Milano, appellante incidentale.

10. Con successivi provvedimenti prot. n. 502388/14 e prot. n. 502393/14 del 5.8.2014 il Comune di Milano, ritenendo che non sussistessero i presupposti per l’esercizio dei poteri extra ordinem previsti dagli artt. 50 e 54 del T.U.E.L., respingeva le istanze formulate dalle società.

11. Avverso tali provvedimenti queste ultime proponevano ricorso per inottemperanza avanti al T.A.R. Lombardia.

12. Le parti, nel presente giudizio, affidavano alle rispettive memorie le deduzioni e le controdeduzioni sul merito della causa in vista della camera di consiglio del 23.10.2014, fissata per la discussione del merito.

13. Infine nella camera di consiglio del 23.10.2014, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

14. L’appello principale, proposto dal Ministero dell’Interno, e quello incidentale, proposto dal Comune di Milano, sono entrambi infondati e vanno respinti.

15. Deve precisarsi che il Comune di Milano, come già accennato, ha dato riscontro alle istanze delle società originarie ricorrenti, emanando due provvedimenti espressi, ma ciò non toglie persistente attualità alla definizione, nel merito, del presente giudizio.

15.1. Il Collegio non ignora il tradizionale e ben consolidato orientamento di questo Consiglio, alla stregua del quale anche in sede di appello, nel rito speciale sul silenzio, oggetto del giudizio è “ soltanto la questione dell’obbligo di provvedere dell’Amministrazione, a cui è estranea ogni altra che sia inconferente rispetto alla controversia, unica e specifica, dell’asserita inerzia dell’Amministrazione a seguito di istanza ” e “ se perciò risulta che l’Amministrazione abbia provveduto in risposta alla detta istanza ed in esecuzione della sentenza al riguardo, con la cessazione della situazione all’origine della controversia, il ricorso deve essere di conseguenza dichiarato improcedibile ” (Cons. St., sez. VI, 18.9.2009, n. 5627).

15.2. Nel caso di specie non può tuttavia trascurarsi che il giudizio avanti al T.A.R. Lombardia è proseguito, previa conversione del rito disposta dal primo giudice ai sensi dell’art. 117, comma 6, c.p.a., e pende tuttora, con udienza pubblica fissata alla data del 18.12.2014, per l’esame delle due domande risarcitorie, rispettivamente proposte dalle società, odierne appellate, e dal Comune di Milano, appellante incidentale.

15.3. Ora è indubbia la persistente utilità della pronuncia sulla illegittimità del silenzio a fini risarcitori, rammentando la previsione dell’art. 34, comma 3, c.p.a., secondo la quale “ quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste ai fini risarcitori ”.

15.4. Tale disposizione, pur concernente l’azione di annullamento, è espressiva di un generale principio che non può non valere anche per l’accertamento dell’illegittimo silenzio, pena la mortificazione della tutela risarcitoria posta a presidio e a ristoro del cittadino, dall’art. 2- bis della l. 241/1990 e dall’art. 117 c.p.a., avverso l’inerzia dell’Amministrazione.

15.5. Anche prescindendo dunque dalla pur ipotizzabile sussistenza di un loro interesse morale all’accertamento della legittimità del loro silenzio, tanto basta a ritenere dunque, sia in capo al Ministero appellante principale che in capo al Comune appellante incidentale, persistente l’interesse alla definizione del gravame, in questo giudizio di secondo grado, nonostante la sopravvenienza dei provvedimenti espressi, salvo quanto si dirà, appresso, in riferimento alla distinta situazione processuale del Ministero e del Comune nel presente giudizio.

16. Ciò premesso in limine litis e in via generale sulla procedibilità dell’appello, principale e incidentale, occorre qui di seguito esaminare le singole censure mosse alla sentenza impugnata dal Ministero dell’Interno e dal Comune di Milano.

17. Il Ministero appellante principale deduce, anzitutto, che giammai le ricorrenti in prime cure avrebbero censurato il supposto silenzio dell’Amministrazione statale, avendo rivolto le proprie doglianze esclusivamente nei confronti dell’Amministrazione comunale.

17.1. Non a ragion veduta, pertanto, il primo giudice avrebbe condannato il Ministero a provvedere nell’ipotesi di inerzia comunale, giacché l’inerzia del Ministero in nessun modo sarebbe stata oggetto del ricorso proposto in primo grado.

17.2. La sentenza meriterebbe in parte qua di essere annullata, avendo violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ai sensi degli artt. 39 c.p.a. e 112 c.p.c., disponendo adempimenti a carico di amministrazioni statali senza che le stesse abbiano mai assunto, nella prospettazione delle medesime società ricorrenti, alcuna legittimazione processuale passiva.

17.3. Il motivo è infondato.

17.4. Il T.A.R. meneghino ha rigettato l’eccezione relativa al difetto di legittimazione passiva, sollevata dal Ministero in primo grado, “ in considerazione dei poteri attribuiti alla Prefettura dall’art. 54, d. lgs. n. 267/2000 ” (p. 7 della sentenza impugnata).

17.5. Il Ministero muove da un erroneo presupposto nell’assumere, per quanto implicitamente, che la sentenza avrebbe accertato la sua inerzia senza domanda di parte, poiché la sentenza non ha stigmatizzato l’inerzia dell’Amministrazione statale, non facendosi in essa minimo riferimento ad una presunta inerzia del Prefetto, ma una volta ritenuto sussistente l’obbligo, in capo al Sindaco, di provvedere in ordine alla richiesta entro trenta giorni, ha statuito, in applicazione dell’art. 54, comma 11, del T.U.E.L., l’obbligo suppletivo di provvedere, da parte del Prefetto “ per quanto di competenza ” e “ se del caso ”, laddove il Comune avesse persistito nell’inerzia.

17.6. Al riguardo deve qui osservarsi che i poteri contingibili ed urgenti, laddove non esercitati dal Sindaco, possano essere esercitati, in via suppletiva, dal Prefetto, in quanto l’art. 54, comma 11, del T.U.E.L. prevede che il Prefetto, quale titolare dell’ufficio periferico del Ministero dell’Interno, possa intervenire “ con proprio provvedimento ”, appunto, “ nel caso di inerzia del Sindaco ”.

17.7. Ora il giudice di prime cure si è limitato a constatare il silenzio, da parte del Sindaco, e a prevedere che, laddove esso fosse proseguito anche nei trenta giorni successivi alla comunicazione della sentenza, ad esso debba porre rimedio e termine, come del resto prevede anche il T.U.E.L., l’autorità prefettizia.

17.8. L’art. 117, comma 4, c.p.a. stabilisce che il giudice del silenzio conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto e, se egli può nominare, ai sensi del comma 3, un commissario ad acta già nella sentenza che dispone l’obbligo di provvedere, ben può disporre, con la medesima sentenza e con un provvedimento ben assimilabile, almeno quoad effectum , alla nomina commissariale, che il Prefetto emani un provvedimento espresso in luogo dell’Amministrazione comunale, peraltro in puntuale applicazione dell’art. 54, comma 11, T.U.E.L.

18. Non si può pertanto condividere la censura della difesa erariale nella parte in cui deduce il vizio di ultrapetizione nel quale sarebbe incorsa la sentenza per aver imposto al Prefetto un obbligo non richiesto nemmeno dalle stesse ricorrenti.

18.1. Con tale statuizione la sentenza, lungi dall’affermare o anche dal solo implicitamente presupporre l’inerzia del Prefetto, altro non ha fatto che riaffermare l’intervento sostitutivo previsto dalla disposizione ad opera dell’Autorità prefettizia, ritualmente evocata in giudizio – nel quale essa ha avuto modo ampiamente di difendersi in punto di legittimazione passiva – e debitamente notiziata, già da molto tempo addietro, della situazione emergenziale venutasi a creare.

18.2. L’istanza del 30.4.2013, successivamente reiterata l’8.5.2013, era stata infatti inviata al Comune di Milano e, per conoscenza, alla Prefettura e alla Questura di Milano, sicché queste erano perfettamente consapevoli della situazione, venutasi a creare, e della richiesta di intervento rivolta alle autorità comunali.

18.3. La sentenza, diversamente da quanto assume la difesa erariale nella memoria depositata per la camera di consiglio del 23.10.2014, non ha del resto inteso comprimere la discrezionalità che la disposizione dell’art. 54, comma 11, del T.U.E.L. lascia all’intervento sostitutivo del Prefetto, poiché si è limitata ad affermare l’obbligo di provvedere in modo espresso da parte del Comune e, se del caso e per quanto di competenza, del Prefetto, senza statuire in alcun modo se sussistessero o meno i presupposti previsti dall’art. 54 per l’attivazione del Comune o, in via sostitutiva, del Prefetto, presupposti lasciati all’ampia valutazione discrezionale delle Amministrazioni, come la sentenza stessa (pp. 6-7) expressis verbis non ha mancato di chiarire .

18.4. In ogni caso, anche volendo prescindere dalle superiori considerazioni, il Comune di Milano, come detto, ha provveduto sulle istanze e pertanto l’appello del Ministero, sotto tale profilo, non sembra più confortato da alcun persistente interesse, nemmeno ai fini risarcitori, per la semplice ragione che la sentenza in alcun modo ha accertato la sua inerzia, come si è appena precisato, e che anche una ipotetica inerzia, pur in via sostitutiva, del Prefetto non sarebbe più ipotizzabile dopo un provvedimento espresso sopravvenuto, per quanto di diniego, da parte del Comune.

19. La specificità delle esposte ragioni induce a ritenere infondata anche la seconda eccezione di inammissibilità sollevata dal Ministero appellante, il quale ha lamentato, nel ricorso (pp. 5-6), come fosse solo il Comune di Milano il destinatario delle diffide volte a conseguire lo sgombero degli immobili occupati.

19.1. Tale circostanza, per quanto sia vera, non inficia la correttezza della statuizione adottata dal primo giudice che, come detto, non ha censurato alcuna inerzia prefettizia, ma ha solo statuito che questa dovesse, espressamente, rispondere all’istanza del privato – di cui essa era stata messa innegabilmente a conoscenza – nell’ipotesi di persistente inottemperanza del Comune anche al dictum giudiziale.

19.2. Anche tale motivo di appello, quindi, va respinto.

20. Nemmeno l’appello del Ministero è meritevole di accoglimento nella parte in cui deduce, nel merito, l’infondatezza del ricorso originariamente proposto e lamenta che il primo giudice, nell’accoglierlo, avrebbe erroneamente trascurato che le ordinanze contingibili ed urgenti non possono essere adottate tutte le volte in cui le situazioni anche di ordine e sicurezza pubblica possono essere fronteggiate con gli strumenti ordinari.

20.1. Anche tale valutazione attiene alla ricorrenza dei presupposti previsti dell’art. 54 del d. lgs. 267/2000, sui quali il giudice di prime cure, come già accennato, non ha alcun modo inteso esprimersi (p. 6 della sentenza impugnata), in rigorosa osservanza di quanto prevede l’art. 34, comma 2, c.p.a., secondo cui in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, sicché il motivo è destituito anch’esso di fondamento.

20.2. Il T.A.R. lombardo, con valutazione – come tra breve si vedrà meglio – complessivamente immune da censura, si è solo limitato ad affermare, infatti, che il Comune avrebbe avuto l’obbligo di rispondere, con provvedimento espresso, sull’istanza intesa a sollecitare l’esercizio dei poteri di cui agli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. da parte del Sindaco e tanto non sulla base della ritenuta ricorrenza dei relativi presupposti, ma sull’assunto che ragioni di giustizia sostanziale, in un caso del genere, impongano al Comune di rispondere con un provvedimento espresso.

20.3. Di qui, in conclusione, anche l’infondatezza dell’ultimo e complesso motivo di censura articolato dal Ministero.

21. Ne segue che, pertanto, l’appello principale deve essere respinto.

22. Per analoghe ragioni, seppur con le specificazioni che ora si faranno, deve essere respinto anche l’appello incidentale proposto dal Comune di Milano.

23. Con un primo motivo di appello incidentale (pp.

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