Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-07-11, n. 202306760

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-07-11, n. 202306760
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202306760
Data del deposito : 11 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/07/2023

N. 06760/2023REG.PROV.COLL.

N. 03570/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3570 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati U G, G F R, con domicilio eletto presso lo studio U G in Triuggio, via dei Ciliegi, nn. 16-18;

contro

Comune di Introbio, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato G V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Introbio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2023 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati U G e Teresa Gigliotti per delega di G V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Lombardia invocava: i) l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti in capo al Comune di Introbio per procedere alla trascrizione nei confronti della ricorrente del provvedimento di accertamento d’inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale prot. n. 1592 del 9 aprile 2009 sui beni immobili censiti al foglio 31, mappali 601 - subalterni 705, 706 e 707 -, 4322, 4323, 4324, 4326, 4327, 4329 e 4331;
ii) l’accertamento dell’illegittimità della trascrizione;
iii) la condanna del Comune al risarcimento dei danni conseguenti all’illecita trascrizione.

2. Il TAR, dinanzi al quale il giudizio giungeva a seguito di traslatio judicii del Tribunale di Lecco, respingeva il ricorso, rilevando che il provvedimento di acquisizione gratuita n. 1592/2009, benché emesso solo nei confronti di uno dei due coniugi comproprietari, aveva comunque ad oggetto l’intera proprietà del compendio immobiliare, non la quota di comproprietà, sicché correttamente esso era stato trascritto anche nei confronti dell’odierna ricorrente, che, pur essendo ben consapevole della sua esistenza, non lo aveva impugnato.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originaria ricorrente che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: a) l’appellante non avrebbe avuto l’obbligo di impugnare il provvedimento di acquisizione gratuita n. 1592/2009, atteso che il suddetto atto non la individua come destinataria, sicché il detto atto non sarebbe illegittimo, dovendosi ritenere limitato all’acquisizione quota parte dei beni in comunione. Pertanto, la nota di trascrizione nei registri immobiliari effettuata anche a carico della sig.ra -OMISSIS- e della quota del 50% di comproprietà dei beni, in assenza di un valido titolo che esplicitamente consenta di effettuare detta pregiudizievole trascrizione anche a suo carico sarebbe illegittima. Infatti, né l’ordinanza comunale del 19.03.1997, né l’atto acquisitivo del 9.04.2009 sarebbero mai stati notificati alla sig.ra -OMISSIS- già comproprietaria dei beni da molti anni prima dell’avvio del procedimento del 1997. Pertanto, la tesi sposata dal TAR Lombardia finirebbe anche per violare i principi generali in tema di tutela contro le attività della pubblica amministrazione scolpiti dagli art. 24 e 113 della Costituzione, ledendo diritti garantiti direttamente dalle citate norme costituzionali, come pure i principi generali in tema di partecipazione al procedimento amministrativo fissati dalla L. 241/1990, le regole in tema di sanzioni ex L. 689/1981 ed anche le regole in tema di sanzioni edilizie ex art. 31 del DPR 380/2001 e dell’art. 7 della L. 47/1985, il tutto ignorando gli evidenti profili di nullità, inefficacia ed invalidità anche ex art. 21 septies della L. 241/1990 ed illegittimità dell’atto trascrittivo contestato: b) non sarebbe corretto in subordine ritenere che dal contesto delle domande proposte in sede giudiziale introduttiva davanti al Tribunale di Lecco non sia stato implicitamente gravato anche il provvedimento del 09.04.2009, considerato che, se adito in via di giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo può riconoscere che i presupposti per la trascrizione non esistono e giudicare incidentalmente che gli atti che pretendono di atteggiarsi come presupposti sono inesistenti oppure esistenti ma nulli, invalidi ed inefficaci, e che in realtà il petitum sostanziale riguarderebbe anche la contestazione giudiziale di questi atti, seppure espresso nelle forme tipiche di un atto di citazione civile con giudizio poi proseguito – per effetto della disposta “translatio judicii” davanti al giudice amministrativo;
c) non sarebbe corretta la valutazione del primo giudice che ha respinto la domanda risarcitoria. Da ultimo, l’appellante ripropone i motivi di primo grado.

4. Costituitosi in giudizio, il Comune di Introbio ne invoca il rigetto anche in ragione di quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione nel giudizio penale di cui è stata parte l’odierna appellante.

5. Nelle successive difese l’appellante insiste nelle proprie conclusioni e propone questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per interpretare se quanto disposto dagli artt. 1, 7 ed 8 della Carta Europea dei diritti dell’Uomo sia ostativo rispetto ad una normativa nazionale, come quella introdotta dall’art. 31 del DPR 380/2001 nel senso interpretato dal TAR Lombardia nella sentenza appellata in via incidentale, che impone di poter privare della legittima proprietà un soggetto rimasto estraneo al procedimento amministrativo sottostante l’adozione della misura acquisitiva al patrimonio comunale sulla sola base di essere comproprietario delle aree oggetto di tale provvedimento.

6. Con le memorie prodotte in viste dell’odierna udienza l’amministrazione comunale chiede la condanna dell’appellante all’integrale refusione delle spese processuali e del pagamento indennitario ex artt. 96 c.p.c. e 26 C.P.A.

7. Dal canto suo l’appellante sostiene che giusto quanto previsto dall’art. 654 del c.p.p., la sentenza della Corte di Cassazione n. 47281/2009, oltre a non far stato nei confronti del comune che non sarebbe stato parte di quel giudizio penale, comunque non sarebbe idonea ad incidere sul presente processo, poiché la ritenuta sussistenza di un fatto in sede penale non potrebbe riverberarsi in automatico anche in sede giudiziale amministrativa, ove il giudicante conserverebbe la propria autonomia nella valutazione dei medesimi fatti sottesi alle ragioni prospettate dalle parti. I rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo sarebbero retti dai principi dell’autonomia e della separazione tra le due magistrature, rilevando che l’effetto vincolante del giudicato penale, nel giudizio amministrativo, riguarda soltanto i “fatti materiali” e non già la qualificazione giuridica dei medesimi.

8. Preliminarmente, occorre chiarire le domande oggetto dell’odierno giudizio quali desumibili dall’atto di citazione proposto dall’odierna appellante nei confronti del Comune di Introbio. Dall’esame dell’atto in questione si desume che le domande proposte sono quelle descritte supra al par. 1, sicché non si evince alcuna domanda di caducazione (in termini di nullità, annullamento o anche solo inefficacia) del provvedimento di acquisizione gratuita n. 1592/2009. Questa precisazione consente di ritenere infondato il secondo motivo di appello. Del resto non deve essere trascurato che la circostanza che l’odierno giudizio riguardi un’ipotesi di giurisdizione esclusiva non si traduce nell’attrazione di ogni possibile domanda nelle forme del giudizio in materia di diritti soggettivi, registrandosi una possibile convivenza tra le regole sostanziali e processuali a tutela degli interessi legittimi, specie per ciò che concerne la disciplina sulla decadenza e quelle a tutela dei diritti soggettivi, ivi compresa quella in tema di prescrizione.

9. Tanto premesso, e prima di procedere oltre con lo scrutinio, degli ulteriori motivi è opportuno ricostruire sinteticamente in fatto le plurime vicende processuali che hanno interessato gli immobili oggetto del presente contenzioso: a) con sentenza n. 2581 del 21.9.2001 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza n. 2657 del 21.10.1999 della Corte d’Appello di Milano, condannando il Sig. -OMISSIS-, (marito dell’odierna appellante e comproprietario) per aver eseguito opere edilizie in zona agricola, in contrasto con gli strumenti urbanistici, ex art. 20 c. 1 della L. n. 47/1985;
b) l’opposizione di terzo promossa dalla sig.ra -OMISSIS- avverso l’esecuzione della sanzione penale accessoria è stata respinta dalla Suprema Corte di Cassazione sez. III penale n.47281 del 11.12.2009;
c) il ricorso contro l’ordinanza comunale di demolizione e rimessione in pristino n. 4 del 19.3.1997, è stato respinto con sentenza Tar Lombardia sez. II n. 3790 del 15.5.2001, pronuncia confermata dal Consiglio di Stato;
d) il ricorso del -OMISSIS- contro il provvedimento n. 1592 del 9.4.2009, di accertamento dell’ordine di inottemperanza all’ingiunzione a demolire comunale è stato respinto dal Tar Lombardia sez. II con la sentenza n-OMISSIS-/2018 passata in giudicato;
e) i ricorsi contro i dinieghi ai condoni promossi dalla figlia e dal marito dell’appellante, sono stati respinti dal Tar Lombardia sez. II con la sentenza n.-OMISSIS-/2017 ed i ricorsi in appello avverso la sentenza sono stati respinti dal Consiglio di Stato con la sentenza n. -OMISSIS-/2019.

10. Quanto al primo motivo di appello deve osservarsi che secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio è legittima l'ordinanza demolitoria d'abuso edilizio notificata ad uno solo dei comproprietari dell'opera in ragione della natura della sanzione ripristinatoria, finalizzata al ripristino dei valori giuridici offesi dalla realizzazione dell'opera abusiva. Sicché è sufficiente la notifica dell'ordinanza di demolizione, così come degli atti consequenziali, ad uno solo dei comproprietari o responsabile dell'illecito, dovendo questi provvedere, in ragione della funzione ripristinatoria e non sanzionatoria dell'atto, ad eliminare l'illecito pena la perdita della propria quota ideale di comproprietà. Fatta salva la tutela del comproprietario pretermesso che potrà impugnare il provvedimento sanzionatorio entro il termine decorrente dalla piena conoscenza dell'ingiunzione (cfr. da ultimo Cons. St., Sez. II, 9 gennaio 2023, n. 253;
Id., 4 gennaio 2021, n. 88). L’ordinanza di demolizione come l’ordinanza che dispone l’acquisizione del bene non notificati a tutti i proprietari sono legittimi nei confronti dei loro destinatari, potendo solo i comproprietari pretermessi agire al fine di far valere l’illegittimità derivante dall’omessa notifica dal momento in cui il detto provvedimento entra nella loro sfera di conoscenza secondo le ordinarie regole che disciplinano l’onere di impugnazione dei provvedimenti amministrativi. Nella fattispecie non è in discussione che almeno dalla proposizione del giudizio civile ritrasposto in questa sede da parte dell’odierna appellante la stessa fosse a conoscenza del provvedimento di acquisizione dei beni de quibus a favore dell’amministrazione comunale. Il provvedimento in questione però è rimasto inoppugnato, avendo l’odierna appellante scelto di non chiederne la caducazione dinanzi al TAR territorialmente competente. Da ciò deriva che in questa sede non è possibile contestare l’avvenuto trasferimento della proprietà dei beni ivi indicati, non dovendosi peraltro dimenticare che il trasferimento della proprietà è sancito non dalla trascrizione, che non ha efficacia reale, ma dalla formazione del titolo di acquisizione del diritto domenicale in favore dell’amministrazione comunale.

11. In ragione di ciò è del tutto irrilevante la questione di pregiudizialità per contrasto con il diritto dell’Unione Europea prospettata dall’appellante, dovendosi imputare a quest’ultima la scelta di non azionare i rimedi interni, ossia non aver impugnato gli atti amministrativi che hanno comportato la perdita del suo diritto di proprietà, alla stregua di quanto invece fatto con l’opposizione di terzo avverso la sanzione accessoria contenuta nella pronuncia penale nei confronti del marito comproprietario, quando ne è venuta a conoscenza.

12. Quanto, infine, alla domanda di risarcimento del danno, correttamente il primo giudice ne ha valutato l’infondatezza in quanto la stessa appellante era perfettamente a conoscenza degli abusi compiuti dal marito, tanto che la pronuncia della Corte di Cassazione n.47281 del 11.12.2009, che ha respinto l’opposizione di terzo promossa dall’odierna appellante ha affermato, tra l’altro, che: “E' infondato, il motivo 2a), con il quale la ricorrente sostiene di essere una terza di buona fede, perché la sua condizione di buona o di mala fede doveva essere valutata in riferimento all'epoca di realizzazione dell'immobile abusivo e non al tempo successivo alla consumazione del reato. Come esattamente osservato dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, il giudice dell'esecuzione ha, con congrua ed adeguata motivazione, desunto la mancanza di buona fede della ricorrente non solo dal suo comportamento successivo alla consumazione del reato, ma anche da quello anteriore, non essendo ipotizzabile che al coniuge convivente dell'autore dell'abuso e comproprietario del terreno e dell'originario capannone, potesse sfuggire, con un minimo di diligenza, che nella sua proprietà il marito stava realizzando un nuovo capannone abusivo.”. Inoltre quest’ultima avrebbe dovuto impugnare i provvedimenti dell’amministrazione, lamentandone l’illegittimità per non essergli stati notificati, ma come ribadito più volte ha scelto di non farlo. Le dette circostanze testimoniano l’assenza di quella diligenza richiesta per evitare il danno di cui all’art. 30 comma 3 c.p.a., che esclude la possibilità di ottenere un risarcimento del danno da parte dell’amministrazione, fatta salva l’eventuale azione risarcitoria che l’odierna appellante potrà legittimamente intentare nei confronti del responsabile degli abusi in questione.

13. Quanto alla domanda di condanna per lite temeraria avanzata dall’amministrazione comunale si ritiene che non ne ricorrano i presupposti, in ragione del fatto che, pur essendo oramai gli atti inoppugnati, l’amministrazione a rigore avrebbe dovuto notificarli anche all’appellante comproprietaria dei beni.

14. L’appello in esame deve, dunque, essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi