Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-04-23, n. 201902573
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Pubblicato il 23/04/2019
N. 02573/2019REG.PROV.COLL.
N. 06724/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA IALIANA
IN NOME DEL POPOLO IALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 6724 del 2013, proposto da
D'A I A, rappresentata e difesa dall'avvocato A G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D S in Roma, via Augusto Bevignani, n. 9;
contro
Comune di Bisceglie, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato A L, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ombrone, n. 12 Pal. B;
nei confronti
G Rosanna, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Seconda, n. 00215/2013, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bisceglie;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2019 il Cons. V P ed uditi per le parti gli avvocati Guantario e Mazzella, quest’ultimo in dichiarata delega di Loiodice;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITO
1.Con delibera di giunta n. 133 del 30 aprile 2008, il Comune di Bisceglie manifestava la volontà di stabilizzare, mediante procedura concorsuale, il personale precedentemente utilizzato con contratti di collaborazione a tempo determinato;la procedura di stabilizzazione veniva peraltro subordinata al positivo superamento, da parte degli interessati, di un vero e proprio concorso mediante prova scritta, prova teorico-pratica e prova orale.
Tra il personale da stabilizzare vi era la dott.ssa D’A I A la quale, dal 1° aprile 1997 al 29 ottobre 2001, a seguito di una procedura selettiva per titoli, aveva svolto per un totale di quarantaquattro mesi diversi progetti di lavori socialmente utili all'interno dell'amministrazione comunale di Bisceglie con mansioni di ragioniera e negli anni successivi attività lavorativa con diversi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
La predetta non superava però le prove orali della procedura indetta per la stabilizzazione, riportando il punteggio di 17/30, derivante dalla media dei voti attribuiti dai singoli membri della commissione, pari a 21/30 + 15/30 + 15/30, invece del minimo richiesto di 21/30.
2. Avverso tale esito l’interessata proponeva ricorso al Tribunale ammnistrativo della Puglia, deducendone l’illegittimità sotto diversi profili e con motivi aggiunti impugnava la deliberazione di giunta municipale n. 418 del 15 dicembre 2009, avente ad oggetto “ Modifica parziale piano occupazionale 2009 e dotazione organica provvisoria ”, nonché la delibera di rettifica n. 425 del 28 dicembre 2009.
3. Costituitosi in giudizio, il Comune eccepiva in primo luogo la tardività del ricorso, allegando che i risultati della prova orale erano stati resi noti all’esito della seduta, cioè il 9 ottobre 2009, e che il gravame era stato notificato solamente il 24 dicembre 2009;nel merito ne contestava comunque l’infondatezza.
4. Con sentenza 13 febbraio 2013, n. 215, il giudice adito respingeva il gravame, sul presupposto che la commissione di concorso avesse correttamente applicato i criteri valutativi prefissati.
5. Avverso tale decisione l’interessata interponeva appello, deducendo un solo articolato motivo di doglianza (“ Error in iudicando. Ingiustizia diffusa. Ingiustizia per travisamento della censura della ricorrente. Violazione e falsa applicazione dei criteri di valutazione delle prove orali fissate dalla Commissione giudicatrice nella seduta del 13.7.2009. Violazione dell’art. 3 della l. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità manifesta, irragionevolezza, sviamento e contraddittorietà. Violazione dell’art. 12 d.P.R. 387/1994. Violazione dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere. Illogicità manifesta e contraddittorietà ”) e riproponendo anche i motivi aggiunti, non esaminati.
6. Costituitosi anche nel giudizio di appello, il Comune di Bisceglie ribadiva l’eccezione di tardività del ricorso originario, come pure la mancata dimostrazione che, applicando diversi criteri valutativi, la ricorrente avrebbe potuto conseguire in concreto l’utilità richiesta;nel merito deduceva l’infondatezza dell’appello, chiedendone la reiezione.
7. All’udienza pubblica del 28 marzo 2019, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
8. L’infondatezza nel merito dell’appello consente di prescindere dall’esame delle preliminari eccezioni sia di tardività dell’originario ricorso, sia di carenza di interesse per la mancanza di prova da parte dell’interessata che, applicando il diverso propugnato criterio di valutazione delle prove, ne sarebbe derivato il positivo superamento della selezione concorsuale.
8.1. Con l’unico motivo di gravame l’appellante contesta in primo luogo la sentenza impugnata per aver negato – in linea di principio – che la griglia valutativa di cui all'allegato 10) del verbale n. 1 del 13 luglio 2009 della Commissione di concorso imponesse di applicare a ciascuna risposta (relativa ad ogni singola domanda per le sei materie d’esame) il punteggio ivi previsto, ossia punti da 0 a 6 per ciascuno dei cinque criteri valutativi da applicarsi a ciascuna materia.
In estrema sintesi, l’appellante contesta ai commissari di concorso di essersi limitati ad esprimere un voto complessivo “secco” per ciascuna delle sei materie, senza specificare il voto attribuito per ciascuno dei cinque parametri valutativi;il tutto con l’aggravante di un grave errore metalogico, dovuto al travisamento dei criteri prefissati dalla Commissione stessa.
L’esame analitico dei voti espressi dai commissari, per ciascuna materia, consentirebbe infatti di verificare che anche coloro che avevano conseguito il massimo punteggio alla prova orale (30/30) avrebbero riportato solo 5 punti a materia anziché 6 (punteggio massimo per ciascuna materia ).
Ciò sarebbe imputabile ad un’erronea interpretazione dei criteri valutativi, avendo i commissari creduto di dover applicare il punteggio da O a 6, anziché ai singoli criteri valutativi, alle singole materie.
Sulla base di queste premesse, l’appellante individua il presunto equivoco in cui sarebbe incorso il primo giudice, muovendo dalla premessa (a suo avviso errata) che “ ciascuna domanda consentiva l’attribuzione di max 5 punti, uno per ciascun parametro valutativo della risposta, per un totale di massimo 6 punti per ciascun criterio, in relazione alle sei domande poste al candidato ”: tale affermazione, infatti, sarebbe in primo luogo assurda sul piano logico, in quanto vi sarebbe incompatibilità tra il presupporre l’applicabilità massima di 5 punti per ciascuna domanda (ossia per ciascuna materia ) ma poi ammettere che il punteggio massimo per ciascun criterio sia di 6 punti.
Al primo giudice sarebbe inoltre sfuggito che nella specie non si trattava di decidere in astratto sulla sussistenza o meno del difetto di motivazione, a fronte dell’attribuzione di un punteggio numerico complessivo, bensì di applicare la “regola di autolimite” espressamente fissata dalla Commissione (secondo cui per ciascuna materia la Commissione avrebbe dovuto attribuire un punteggio da 0 a 6 punti alla luce di ciascun criterio).
Sotto diverso profilo, l’appellante rileva che “ l’impugnato schiacciamento della motivazione nel censurato voto globale per ogni materia, privo dell'apparato di scomposizione del voto, per ciascun criterio predisposto, integrante la griglia valutativa, non può essere considerato idoneo a consentire la ricostruzione dell'iter logico giuridico seguito dalla Commissione nell'attribuire i punteggi ”. Da qui l’ulteriore vizio di eccesso di potere per violazione del principio dell’autolimite.
Ancora, la mancata attribuzione del voto finale in aderenza e conformità ai chiari e specifici criteri valutativi prefissati dalla Commissione non avrebbe consentito all’appellante “ di collegare le concrete caratteristiche della sua prova orale ai punteggi numerici, così da permetterle (pur in assenza di un'analitica espressione di giudizio, in forma letteraria) di ricostruire l' iter logico giuridico seguito dalla Commissione e di verificare la correttezza ”;ciò a maggior ragione in quanto i cinque criteri valutativi non avrebbero potuto “ essere schiacciati e annullati in un unico voto, sotto pena di vanificare la specificità e pregnanza di ciascun criterio, uno ontologicamente diverso dall'altro ”.
8.2. Il motivo, nelle sue diverse declinazioni, non è fondato.
Risulta infatti, dalla tabella di cui all’allegato n. 10 al verbale n. 1 del 13 luglio 2009 della Commissione di concorso, concernente i criteri di valutazione delle prove orali, che relativamente ad ognuno dei cinque sub -parametri (o criteri) contemplati poteva essere espresso un punteggio tra 0 e 6 punti, con possibilità per la Commissione di attribuire a ciascun candidato un punteggio massimo di 30.
E’ dunque acclarato, per tabulas , che il punteggio da 0 a 6 era relativo ai criteri da utilizzare nel valutare le singole domande (ossia le materie d’esame).
Essendo sei le materie delle prove orali e 30 il punteggio massimo a disposizione di ciascun commissario, il punteggio massimo attribuibile a ciascuna di esse non poteva dunque che essere pari a cinque.
L’errore logico in cui incorre l’appellante, ben evidenziato dal primo giudice, è quello di confondere e sovrapporre tra loro i termini “ materie ” oggetto di valutazione e “ criteri ” sulla cui base effettuare tale valutazione: in particolare, sul presupposto che ciascun commissario avesse a disposizione 6 punti per ogni criterio per valutare le risposte, erroneamente ritiene che si trattasse dei punti dagli stessi attribuibili a ciascuna domanda.
In realtà si trattava dei punti a disposizione per valutare complessivamente tutte le risposte, non riferendosi la griglia di cui all’allegato 10 a ciascuna domanda (o materia ), bensì solamente ai criteri di giudizio (per tutte le domande o materie d’esame).
Dal richiamato allegato n. 10 al verbale n. 1 della Commissione risulta infatti che il punteggio massimo di 30 punti attribuibile per la valutazione della prova orale era stato suddiviso in cinque sub -parametri (o criteri ), ciascuno dei quali valutabile da 0 a 6 punti, ossia:
- carattere della risposta con riferimento alla sua pertinenza con il quesito rivolto (da 0 a 6);
- competenza sull’argomento (da 0 a 6);
- linguaggio tecnico (da 0 a 6);
- capacità di orientamento nell’ambito del quesito rivolto (da 0 a 6);
- capacità di sintesi (da 0a 6).
In breve, ciascuna domanda consentiva l’attribuzione di un massimo di 5 punti – uno per ciascun parametro valutativo della risposta – per un totale di massimo 6 punti per ciascun criterio, in relazione alle sei domande poste al candidato.
Non è quindi fondato, in quanto smentito dalle risultanze in atti, il presupposto stesso del gravame, secondo cui nel caso di specie “ doveva applicarsi […] la regola di autolimite, espressamente fissata dalla Commissione, secondo cui, per ciascuna materia, la Commissione avrebbe dovuto attribuire un punteggio da 0 a 6 punti alla luce di ciascun criterio ”.
Neppure può trovare accoglimento l’ulteriore censura relativa all’attribuzione, da parte dei commissari, di un voto complessivo finale per ciascuna materia, anziché di una serie di “sotto-voti” per ciascun criterio valutativo della predetta griglia, che soli avrebbero consentito a ciascun candidato (tra cui l’appellante) di comprendere sotto quale specifico profilo la loro prova sarebbe risultata carente.
Va infatti confermato al riguardo il principio – dal quale non vi è ragione di discostarsi, nel caso di specie – per cui anche successivamente all’entrata in vigore della l. 7 agosto 1990, n. 241, il complessivo voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove o ai titoli nell’ambito di un concorso pubblico o di un esame – in mancanza di una contraria disposizione – esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della Commissione stessa, contenendo in se stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni (quale principio di economicità amministrativa di valutazione).
Ciò in quanto tale voto unitario assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato, nonché la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa Commissione esaminatrice, di criteri di massima valutazione che l’omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l’espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto ( ex multis , Cons. Stato, IV, 1° agosto 2018, n. 4745;VI, 11 febbraio 2011, n. 913).
D’altronde “ il voto numerico attribuito dalle Commissioni esaminatrici alle prove scritte o orali di un concorso pubblico o di un esame di abilitazione esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé la sua motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, atteso che quando il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle prove scritte nell’esame è quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per l’ammissione all’esame orale, tale punteggio, già nella varietà della graduazione con la quale si manifesta, esterna una sintetica valutazione che si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato ” (Cons. Stato, V, 30 novembre 2015, n. 5407).
8.3.Il rigetto dell’unico motivo di appello, concernendo il merito della controversia, risulta assorbente delle ulteriori doglianze dedotte in primo grado con motivi aggiunti e tuzioristicamente riproposte in appello;in ogni caso esse sono infondate.
L’appellante deduce innanzitutto che le deliberazioni di giunta n. 418 del 15 dicembre 2009 e n. 425 del 28 dicembre 2009 (aventi ad oggetto, rispettivamente, “ modifica parziale piano occupazionale 2009 e dotazione organica provvisoria ” e “ modifica parziale piano occupazionale 2009 e dotazione organica provvisoria – rettifica deliberazione di G.M. n. 418 ”) sarebbero state illegittime per violazione dell’art. 39 della l. n. 449 del 1997, nonché dell’art. 6 del d.lgs n. 165 del 2001 e del d.lgs n. 267 del 2000.
In particolare, non sarebbe stato rispettato, nell’ iter della loro approvazione, il principio per cui la definizione delle dotazioni organiche deve avvenire, tra l’altro, nell’ambito della programmazione triennale, previo parere dell’ufficio contabile e previa consultazione delle organizzazioni sindacali.
La doglianza non merita favorevole considerazione, avendo il Comune di Bisceglie documentato il rispetto delle disposizioni di cui all’art. 39, commi 1 e 19, della l. n. 449 del 1997: premessa infatti – ab origine – l’esistenza di una regolare pianificazione triennale del fabbisogno di personale, a seguito della conclusione della procedura concorsuale l’amministrazione ha rivalutato le proprie esigenze di carattere organizzativo, prendendo atto delle sopravvenute necessità ( ex art. 6 d.lgs. n. 165 del 2001).
Per l’effetto, previa acquisizione del parere di regolarità contabile ( ex art. 49 del d.lgs. n. 267 del 2000) e consultazione delle organizzazioni sindacali ( ex art. 6 del d.lgs. n. 267 del 2000), ha operato una revisione parziale del piano occupazionale.
Il che risulta essere avvenuto proprio con la deliberazione di giunta n. 425 del 28 dicembre 2009 (recante appunto “ Modifica parziale piano occupazionale 2009 e dotazione organica provvisoria - rettifica deliberazione di G.M. n. 418 del 15.12.2009 ”).
Non è quindi rilevante, né corretta, la censura secondo cui le consultazioni (in quanto tali, prive di rilievo vincolante) sarebbero state tardivamente effettuate, senza poter dunque apportare alcuna utilità partecipativa;né ha pregio il formalistico rilievo per cui “ l’amministrazione, dopo aver proceduto ai riassetto della dotazione organica, non fornisce alcun cenno in ordine all'impatto sulla spesa, così sottraendosi alla verifica del contenimento della medesima richiesto dalla normativa di cui si deduce la violazione ”, sostanziandosi la censura nel tentativo di chiedere al giudice amministrativo di attingere il merito delle scelte discrezionali amministrative in ordine all’organizzazione dei pubblici uffici.
Ciò ancor più risulta evidente in ordine all’ulteriore rilievo per cui la decisione del Comune di Bisceglie sarebbe contraria al principio generale del buon andamento, avendo “ proceduto intempestivamente alla soppressione dei posti oggetto del concorso per la stabilizzazione delle n. 14 unità di collaboratori coordinati e continuativi, quando i termini per l’impugnativa della determinazione n. 545/2009 erano ancora pendenti ”, rilevo che non individua in realtà alcun evidente ed obiettivo profilo di illegittimità procedimentale, bensì presuppone un giudizio di opportunità e valore antitetico a quello svolto dall’amministrazione.
Per quanto infine riguarda le censure dedotte con il secondo dei motivi aggiunti (“ Violazione e falsa applicazione dei criteri di valutazione delle prove orali fissate dalla Commissione giudicatrice nella seduta del 13.7.2009 - Violazione dell'art. 3 della L. 24111990 - Eccesso di potere per illogicità manifesta, irragionevolezza, sviamento e contradditorietà - Violazione dell'art. 12 DPR 38711994 – Violazione dell'art. 97 Cost ”) valgono invece le considerazioni già esposte in ordine al motivo principale di appello.
9. Alla stregua delle osservazioni svolte l’appello va respinto.
La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del grado di giudizio.