Consiglio di Stato, sez. II, sentenza breve 2023-04-19, n. 202303983

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza breve 2023-04-19, n. 202303983
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303983
Data del deposito : 19 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/04/2023

N. 03983/2023REG.PROV.COLL.

N. 09584/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 9584 del 2022, proposto da
Gestione Ottimale Risorse Idriche – GORI S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati M P, E B L, A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente-ARERA, in persona del legale rappresentante, per legge con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Commissario Straordinario dell’Ente d’Ambito Sarnese Vesuviano, Ente Idrico Campano, Raffaella Bosso, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 1838/2022, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ARERA;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 marzo 2023 il Cons. A E B e uditi per le parti gli avvocati E B L e l’avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società appellante, gestore del servizio idrico in Campania, impugna la sentenza con cui il TAR della Lombardia ha respinto il ricorso proposto avverso la sanzione inflittale dall’ARERA per la contestata violazione di disposizioni in materia di regolazione tariffaria in materia di raccolta dei dati necessari per la tariffazione e di corrispettivi per il servizio di depurazione.

2. In punto di fatto, occorre osservare che – come peraltro puntualmente ricostruito nella sentenza gravata – con deliberazione 29/2014/E/idr, l’Autorità ha approvato tre verifiche ispettive nei confronti di tre gestori del servizio idrico integrato aventi ad oggetto le tariffe per gli anni 2012 e 2013 e la restituzione della remunerazione del capitale investito per il periodo dal 21 luglio 2011 al 31 dicembre 2011.

3. In attuazione di tale programma, l’ARERA ha effettuato, nei giorni 15, 16, 17 e 18 aprile 2014, la verifica ispettiva presso la società GORI spa, gestore dell’Ambito Territoriale Ottimale–ATO 3 “Sarnese Vesuviano” della Regione Campania.

4. La stessa società, con nota del 9 maggio 2014, ha integrato la documentazione acquisita in sede di verifica ispettiva.

5. Con deliberazione n. 380/2014/S/idr, l’Autorità ha avviato un procedimento nei confronti di GORI per l’accertamento di possibili violazioni delle disposizioni relative alla raccolta dei dati necessari alla definizione delle tariffe del servizio idrico integrato nonché all’applicazione dei corrispettivi per il servizio di depurazione e per l’adozione dei relativi provvedimenti sanzionatori e prescrittivi.

6. Con nota del 12 settembre 2014, la società ha presentato istanza di accesso ai documenti, riscontrata dal responsabile del procedimento con nota prot. 25237 del 16 settembre 2014, chiedendo anche di essere sentita in audizione finale davanti al Collegio dell’Autorità.

7. Con nota del 3 ottobre 2014, GORI ha presentato una memoria difensiva.

8. Con nota prot. 6788 del 4 marzo 2016, il responsabile del procedimento ha comunicato le risultanze istruttorie.

9. Con nota del 2 novembre 2016, la società ha presentato una memoria di replica.

10. Il 16 maggio 2017 si è svolta l’audizione finale innanzi al Collegio, nel corso della quale GORI ha presentato una memoria conclusiva.

11. Con deliberazione n. 63/2018/S/idr dell’8 febbraio 2018, l’ARERA ha accertato la violazione:

- di disposizioni in materia di raccolta dei dati e delle procedure del Metodo tariffario provvisorio per la determinazione delle tariffe negli anni 2012 e 2013 (art. 1, co. 1, e art. 7, co. 1, della deliberazione n. 585/2012/R/idr;
art. 8, co. 4, e pt.

3.4.4 della determinazione 2/2012 TQI);

- dell’art. 9, co. 1, della deliberazione 585/2012/R/idr, per aver applicato parte dei corrispettivi inerenti al servizio di depurazione a utenti non serviti dal relativo impianto.

Per questo, l’Autorità ha irrogato a GORI una sanzione pecuniaria di 491.000 euro (di cui 107.000 euro per le violazioni in materia di raccolta dei dati e delle procedure e 384.000 per quelle relative ai corrispettivi del servizio di depurazione), e le ha prescritto di restituire gli importi addebitati agli utenti a titolo di tariffa di depurazione per gli anni 2012 e 2013.

12. GORI ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR della Lombardia, deducendo i seguenti motivi di ricorso.

12.1. Illegittimità per violazione degli artt. 24, 97 Cost., dell’art. 41 Carta di Nizza, dell’art. 6 della CEDU, dell’art. 2, co. 20, lett. c), della legge n. 481 del 1995, dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981, dell’art. 4, co. 2, del DPR n. 244 del 2001, delle delibere ARERA n. 380/2014/S/idr e n. 243/2012/E/com;
eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca e violazione del giusto procedimento.

In particolare, la società ha denunciato sia la violazione del termine di novanta giorni dalla chiusura delle verifiche ispettive entro cui avrebbe dovuto essere notificata la contestazione degli addebiti, sia l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, determinato dall’ARERA nella comunicazione di avvio del procedimento e a cui dovrebbe riconoscersi natura perentoria.

12.2. Illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 2, co. 20, lett. c), della legge n. 481 del 1995, delle deliberazioni ARERA n. 347/2012/R/idr e n. 585/2012/R/idr, della determina ARERA n. 2/2012 TQI, dell’art. 3 della legge n. 241 del 90;
per eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto d’istruttoria e difetto di motivazione.

In particolare, la società ha contestato la fondatezza degli addebiti mossi dall’Autorità, sia in punto di mancato rispetto della disciplina in materia di trasmissione dei dati e di procedure del metodo tariffario transitorio, sia riguardo all’applicazione di corrispettivi inerenti al servizio di depurazione a utenti non serviti dal relativo impianto.

12.3. Illegittimità per violazione dell’art. 6 CEDU;
per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 698 del 1981, dell’art. 2, co. 20, lett. c), della legge n. 481 del 1995, della deliberazione

ARERA

243/2012/E/com;
eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria carente.

In particolare, la società ha sostenuto che difettasse l’elemento soggettivo necessario per l’applicazione della sanzione.

12.4. In subordine: illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981 per contrasto con l’art. 117, co. 1 Cost., in relazione all’art. 6, co. 2, della CEDU.

Secondo la società, l’art. 3 della legge n. 689 del 1981 sarebbe incostituzionale se interpretato nel senso di non imporre all’Amministrazione di motivare in punto di elemento soggettivo.

12.5. Illegittimità per violazione dell’art. 11 della legge n. 689 del 1981 e della deliberazione ARERA n. 243/2012/E/com.

In particolare, si contesta il difetto di motivazione da cui sarebbe affetto il provvedimento, dato che l’Autorità avrebbe omesso l’indicazione dell’importo base della sanzione, degli aumenti e delle riduzioni, così impedendo la verifica dell’applicazione dei criteri per la sua quantificazione.

13. Con la sentenza appellata, il TAR ha respinto il ricorso.

14. La società ha impugnato la pronuncia, denunciando l’erroneità nel giudizio su ciascuna delle censure dedotte in primo grado e sostanzialmente riproposte in appello.

15. Nel giudizio di secondo grado, si è costituita l’ARERA, domandando il rigetto dell’impugnazione.

16. Nel corso del processo, le parti hanno depositato documenti e scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi.

DIRITTO

17. Il primo motivo di appello, nella parte in cui si sostiene che il TAR abbia errato nel ritenere infondata la censura relativa al superamento del termine di conclusione del procedimento fissato dalla stessa ARERA, merita di essere accolto.

18. A tale conclusione, si perviene attraverso una disamina, in via generale, delle problematiche connesse al tempo dell’esercizio del potere sanzionatorio dell’Amministrazione.

19. In quest’ambito, viene innanzitutto in rilievo la legge n. 689 del 1981, il cui Capo I (intitolato “Sanzioni amministrative”) si applica, ai sensi dell’art. 12, «per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro», salvo che sia diversamente stabilito, dunque anche ai procedimenti sanzionatori delle autorità indipendenti (sul punto si v., tra le tante, Cons. St., sez. VI, sent. n. 1832 del 2020), compresi quelli dell’ARERA (come si evince dall’art. 45, co. 5, del d.lgs. n. 93 del 2011, il quale, nell’escludere per quest’autorità la possibilità di pagamento rateale della sanzione di cui all’art. 26 della legge n. 689 del 1981, lascia chiaramente intendere, a contrario, che si applichino le altre norme del medesimo testo, come confermato anche dal successivo periodo, in cui si precisa che il termine per la notifica della contestazione dell’illecito per i residenti in Italia «di cui all’articolo 14, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689» è di 180 giorni, invece che di 90, come previsto in via ordinaria).

19.1. Questa legge delinea un procedimento sanzionatorio scandito in due fasi: la prima è deputata all’accertamento della violazione e si conclude con la sua contestazione al trasgressore;
la seconda è finalizzata alla decisione dell’autorità competente, contempla l’esercizio del diritto di difesa dell’interessato (mediante presentazione di scritti difensivi e documenti nonché audizione, se richiesta) e si conclude con l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione oppure con un provvedimento motivato di archiviazione.

19.2. Per la prima fase, l’art. 14 della legge n. 689 del 1981 prevede un termine entro cui la violazione deve essere contestata al trasgressore e al soggetto eventualmente obbligato in solido al pagamento della sanzione (immediatamente o mediante notifica da effettuarsi, per i residenti in Italia, entro 90 giorni – estesi a 180 per i procedimenti dell’ARERA – e, per i residenti all’estero, entro 360 giorni) ed esso ha senza dubbio natura perentoria, perché l’ultimo comma della disposizione citata stabilisce che il suo superamento comporta che «l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue».

19.3. Nella legge n. 689 del 1981, non è invece indicato espressamente un termine per la conclusione della fase decisoria e la lacuna, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, in particolare civile, non potrebbe essere colmata mediante applicazione della legge n. 241 del 1990, in quanto la disciplina sulle sanzioni amministrative costituirebbe un sistema organico e compiuto, speciale rispetto alla normativa generale sul procedimento (tra le tante, si v. Cass. civ., ss. uu., sent. n. 9591 del 2006 e sez. I, sent. n. 6965 del 2018).

19.4. Pertanto, salvo i casi in cui vi siano leggi speciali che prevedono termini di decadenza specifici (come avviene, per esempio, per le misure previste dal codice della strada e per le sanzioni tributarie), in linea generale le Amministrazioni potrebbero esercitare la potestà punitiva entro il termine di prescrizione quinquennale indicato dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 e suscettibile di essere interrotto (si v., tra le tante, Cass. civ., ss. uu., sent. n. 9591 del 2006 e, con riferimento alle controversie sulle sanzioni amministrative delle autorità indipendenti che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, Cass. civ., sez. II, sentt. n. 1621 e n. 9517 del 2018, relative, rispettivamente, alla Consob e alla Banca d’Italia).

20. Tuttavia, pur considerando gli indirizzi giurisprudenziali innanzi richiamati, il Collegio ritiene che debba porsi in adeguata luce la differenza, e la distinzione, tra il termine di prescrizione di cui all’art. 28 della legge n. 689 del 1981 e il termine di conclusione del procedimento.

20.1. A tal proposito, occorre considerare che, come si evince dal citato art. 28, l’illecito amministrativo è fatto costitutivo, per la parte pubblica, del «diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni», che sorge nel momento in cui è stata commessa la violazione e si prescrive in un termine di cinque anni da quel giorno.

20.2. Come, su un piano generale, l’illecito aquiliano è fonte dell’obbligazione risarcitoria del danneggiante e del correlato diritto di credito del danneggiato (che è soggetto a prescrizione), così anche l’illecito amministrativo determina l’insorgere di un rapporto obbligatorio di natura sostanziale tra il trasgressore – che, violando la norma, ha arrecato pregiudizio ai beni di rilievo pubblico da questa protetti – e l’Amministrazione, cui è affidata la funzione di tutelare quei beni.

20.3. Il termine di cui all’art. 28 è dunque previsto per l’esercizio di un diritto e ha natura sostanziale (come afferma peraltro anche Cass. civ., ss. uu., sent. n. 9591 del 2006), come confermato dal fatto che può essere interrotto secondo le norme del codice civile, ossia mediante atti da cui si evinca la volontà dell’Amministrazione creditrice di riscuotere la somma, tra cui quelli che danno avvio, impulso e conclusione al procedimento sanzionatorio.

20.4. A differenza dell’illecito aquiliano, rispetto al quale il danneggiato, per ottenere il risarcimento, deve formulare una domanda all’autorità giudiziaria (che, ai sensi dell’art. 2907 cod. civ., provvede alla tutela giurisdizionale dei diritti), nel caso di quello amministrativo è la pubblica autorità, direttamente e unilateralmente, ad accertare i presupposti della sanzione e, talvolta, persino a determinarne il contenuto, nell’esercizio di un potere discrezionale finalizzato alla protezione di beni e interessi pubblici (potestà che viene talora ricondotta nell’ampio genere della “autotutela”), nei limiti della cornice edittale delineata dal legislatore e sotto il controllo del giudice (il quale, in questa materia, è dotato anche di un potere sostitutivo, quantomeno limitatamente all’entità della misura: per l’autorità giudiziaria ordinaria, si v. l’art. 6, co. 12, del d.lgs. n. 150 del 2011, mentre per il giudice amministrativo si consideri che la materia rientra tra quelle devolute alla giurisdizione di merito, ai sensi dell’art. 134, co. 1, lett. c), cod. proc. amm.).

20.5. Il «diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni» e il potere dell’Amministrazione di emanare l’ordinanza-ingiunzione sono dunque correlati, perché il primo, pur derivando dall’illecito, è determinato dal secondo e da esso dipende;
ma sono altresì distinti, perché diversi sono i piani su cui si muovono, essendo il primo attinente al rapporto obbligatorio tra privato e Amministrazione e il secondo inerente all’esercizio del potere unilaterale di conformare tale rapporto.

20.6. Ne deriva che il termine posto dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 attiene alla prescrizione di un diritto e non all’esercizio del potere, rispetto al quale sorge dunque l’esigenza d’individuare un termine diverso e specifico, che possa garantire «la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effettività del suo diritto di difesa, che richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione» (Corte cost., sent. n. 151 del 2021, la quale ha ritenuto di non poter sanare un’eventuale omissione normativa, «essendo rimessa alla valutazione del legislatore l’individuazione di termini che siano idonei ad assicurare un’adeguata protezione agli evocati principi costituzionali, se del caso prevedendo meccanismi che consentano di modularne l’ampiezza in relazione agli specifici interessi di volta in volta incisi»).

20.7. A tal fine, il giudice è chiamato a interpretare le varie norme che vengono in rilievo, comprese quelle «che regolano casi simili o materie analoghe» e financo i «principi generali dell’ordinamento» (art. 11 disp. prel. cod. civ.), per verificare se da questi sia ricavabile un termine per l’esercizio del potere sanzionatorio.

21. Per quanto attiene la potestà punitiva dall’ARERA – che è l’oggetto della presente controversia – l’art. 45 del d.lgs. n. 93 del 2011 affida alla stessa Autorità il compito di disciplinare, «con proprio regolamento, nel rispetto della legislazione vigente in materia, […] i procedimenti sanzionatori di sua competenza, in modo da assicurare agli interessati la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio in forma scritta e orale, la verbalizzazione e la separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie».

21.1. Con questo regolamento, l’Autorità è chiamata a stabilire, in via generale e preventiva, anche il termine di conclusione dei propri procedimenti sanzionatori: benché il citato art. 45 non lo prescriva espressamente, questo potere-dovere può farsi discendere dall’art. 2, co. 5, della legge n. 241 del 1990, secondo cui «fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza».

21.2. Il procedimento sanzionatorio è infatti una specie – in quanto regolato da «specifiche disposizioni normative» – del genere del procedimento amministrativo (in questi termini si v. anche Corte cost., sent. n. 151 del 2021, secondo cui esso è «riconducibile nel paradigma dell’ agere della pubblica amministrazione») e quest’affermazione è valida a maggior ragione per le autorità indipendenti, che svolgono funzioni di natura «amministrativa discrezionale, il cui esercizio comporta la ponderazione dell’interesse primario con gli altri interessi pubblici e privati in gioco» (sul punto si v. Corte cost., sent. n. 13 del 2019, riferita all’AGCM ma espressione di principi generali e argomentata, tra l’altro, in riferimento alla possibilità per l’autorità di concludere il procedimento sanzionatorio accettando gli impegni del privato, attribuita anche all’ARERA;
sulla natura amministrativa delle autorità indipendenti, per l’impossibilità di configurare, nell’ordinamento italiano, un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione, si v. anche Cass. civ., sez. I, sent. n. 7341 del 2002).

21.3. La legge n. 241 del 1990, dunque, ben può essere applicata per colmare eventuali lacune delle discipline particolari – tra cui, appunto, quelle che regolano l’irrogazione di sanzioni da parte delle autorità indipendenti – specie laddove essa esprima principi generali correlati al dovere di garantire i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, co. 2, lett. m), Cost., come avviene appunto per l’obbligo di provvedere entro un termine certo, in forza del richiamo operato dall’art. 29, co.

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