Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-19, n. 201501427
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N. 01427/2015REG.PROV.COLL.
N. 07820/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7820 del 2014, proposto da:
E S, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Stefano D'Ercole, N P, con domicilio eletto presso Stefano D'Ercole in Roma, piazza di S. Andrea della Valle, 6;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati, costituitisi in giudizio;Federazione Italiana Tabacchi, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Livia Grazzini, con domicilio eletto presso Livia Grazzini in Roma, Via Leopoldo Serra, 32, costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del LAZIO –Sede di ROMA - SEZIONE II n. 05705/2014, resa tra le parti, concernente disciplina in materia di esercizio della vendita di tabacchi lavorati presso gli impianti di distribuzione carburanti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e di Federazione Italiana Tabacchi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2015 il Consigliere F T e uditi per le parti gli Avvocati Palombi, Grazzini e l'Avvocato dello Stato Collabolletta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma – ha respinto il ricorso di primo grado, proposto dalla odierna parte appellante ENI Spa, volto ad ottenere l’annullamento del D.M. 21 febbraio 2013, n. 38, “Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 aprile 2013, n. 89, e - in particolare - dell’art. 6 di tale decreto, recante la disciplina in materia di esercizio della vendita di tabacchi lavorati presso gli impianti di distribuzione carburanti.
L’appellante aveva articolato tre macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere.
In particolare ci si doleva (prima censura) della disciplina delle distanze posta dall’art. 6, comma 2, del D.M. n. 38/2013, contestandosi la diversificazione della disciplina delle rivendite speciali da istituire presso gli impianti di distribuzione di carburanti, posta dall’art. 6 del D.M. n. 38/2013, da quella di tutte le altre rivendite speciali, posta dall’art. 4 del predetto decreto ministeriale.
Inoltre, (seconda doglianza) si era sostenuto che l’art. 6 del dM citato contrastasse con l’art. 28 del decreto-legge n. 98/2011 e con l’art. 83-bis, comma 17, del decreto legge n. 112/2008, perché il comma 8 art. 28 fissava solo limiti dimensionali, ma non di distanza da altre rivendite ordinarie.
Ulteriore censura era quella secondo la quale l’art. 53 del D.P.R. n. 1074/1958 assimilava, ai fini dell’istituzione delle rivendite speciali, le stazioni di servizio automobilistico alle stazioni ferroviarie, marittime, tranviarie, automobilistiche e delle aviolinee, nonché alle caserme ed alle case di pena: ciò rendeva incomprensibile il distinguo dell’art. 6 rispetto alla previsione generale dell’art. 4 del dM.
Inoltre, l’art. 6 del D.M. n. 38/2013, diversificando gli impianti di distribuzione di carburanti da tutti gli altri luoghi presso i quali possono essere istituite le rivendite speciali ai sensi dall’art. 4 del citato dM, introduceva una disciplina ingiustamente discriminatoria.
Il T ha innanzitutto accolto l’eccezione di inammissibilità del mezzo per carenza di interesse, sollevata dalle Amministrazioni originarie resistenti e dalla Federazione Italiana Tabaccai interveniente ad opponendum, sostenendo che le limitazioni previste dall’art. 6 del D.M. n. 38/2013 per l’istituzione di rivendite di tabacchi lavorati presso gli impianti di distribuzione carburanti, non inciderebbero direttamente sulla sfera giuridica della società appellante e, quindi, non potrebbero ritenersi autonomamente impugnabili.
Poi, senza recesso dalla superiore statuizione, ha preliminarmente ricostruito l’ordito normativo sotteso alla controversia ed ha scrutinato gli argomenti di merito dichiarandone la inaccoglibilità.
Più partitamente (capo 3 della sentenza) ha escluso la fondatezza della seconda doglianza ed ha sostenuto che l’art. 28, comma 8, lettera b), del decreto-legge n. 98/2011 dovrebbe coordinarsi con l’art. 24, comma 42, del medesimo decreto legge n. 98/2011, laddove si precisa che l’istituzione di rivendite speciali sarebbe possibile solo ove si sia riscontrata un'oggettiva ed effettiva esigenza di servizio.
L’art. 6 del D.M. n. 38/2013 avrebbe quindi introdotto una disciplina speciale (rispetto a quella posta dall’art. 4 del medesimo decreto ministeriale);per dare attuazione alla puntuale disposizione dell’art. 28, comma 8, lettera b), del decreto-legge n. 98/2011 - nella parte in cui si afferma che negli impianti di distribuzione carburanti “è sempre consentito.. l'esercizio della rivendita di tabacchi”, il comma 13 del citato art. 6 prevede che sia permesso, sempre, “il rilascio ovvero il rinnovo del patentino ai sensi degli articoli 7 e 8”.
Inoltre, (primo motivo) le ulteriori censure erano infondate, prosegue il TAR, alla luce del citato art. 24, comma 42 del citato decreto-legge n. 98/2011: la istituzione di rivendite speciali sarebbe possibile, ma solo ove si sia riscontrata un'oggettiva ed effettiva esigenza di servizio, da valutarsi in ragione dell'effettiva ubicazione degli altri punti vendita già esistenti nella medesima zona di riferimento.
L’avversato art. 6 del dM terrebbe conto, per il TAR, della capillare diffusione sul territorio nazionale della rete degli impianti di distribuzione di carburanti, che varrebbe a giustificare le differenze disciplinari tra tali impianti e tutti gli altri luoghi indicati dall’art. 4, comma 2, del predetto decreto ministeriale (stazioni ferroviarie;istituti di pena, etc);l’art. 24, comma 42, lett. e), del decreto legge n. 98/2011 - nel prevedere l’istituzione di rivendite speciali “solo ove..”
non imporrebbe una disciplina unitaria delle rivendite speciali.
Quanto alla invocata disposizione di cui all’art. 53 del D.P.R. n. 1074/1958 - che assimilava, ai fini dell’istituzione delle rivendite speciali, le stazioni di servizio automobilistico alle stazioni ferroviarie, marittime, tranviarie, automobilistiche e delle aviolinee, nonché alle caserme ed alle case di pena – detta norma sarebbe oramai superata dall’evoluzione della rete nazionale degli impianti di distribuzione di carburanti rispetto al 1958.
Quanto alle ulteriori doglianze, il T ha osservato che non vi sarebbe contrasto tra l’art. 4, comma 2, lett. g), del D.M. n. 38/2013, che (attraverso l’espresso richiamo dei siti di cui all’art. 6 del medesimo decreto ministeriale) include gli impianti di distribuzione carburanti tra i luoghi ove potrebbero essere istituite le rivendite speciali, e il predetto art. 6, che disciplina autonomamente l’istituzione di rivendite speciali presso tali impianti, perché - come già evidenziato - le stazioni di servizio automobilistico, pur rientrando tra i luoghi destinati all’istituzione di rivendite speciali, tuttavia mostrano, specificità rilevanti.
L’art. 6 del D.M. n. 38/2013, pur diversificando gli impianti di distribuzione di carburanti da tutti gli altri luoghi presso i quali potrebbero essere istituite le rivendite speciali ai sensi dall’art. 4,
non risulterebbe, quindi, ingiustamente discriminatorio: dovrebbe rammentarsi infatti che nelle premesse al D.M. n. 38/2013, si è stabilito di dovere «contemperare l’esigenza di garantire all’utenza una rete di vendita adeguatamente dislocata sul territorio con l’interesse pubblico della tutela della salute”.
Infine (punto 6), la disciplina regolamentare posta dai commi 3 e 4 dell’art. 6 del D.M. n. 38/2013 non sarebbe affatto in contrasto con la disciplina legislativa posta dall’art. 28, comma 8, lett. b), del decreto legge n. 98/2011.
La predetta disposizione dell’art. 28, comma 8, lett. b), del decreto legge n. 98/2011 - nel richiedere per l’esercizio della rivendita di tabacchi presso gli impianti di distribuzione carburanti “la costruzione o il mantenimento di locali chiusi, diversi da quelli al servizio della distribuzione di carburanti, con una superficie utile minima non inferiore a 30 mq” - fisserebbe soltanto un requisito minimo.
Non appariva quindi censurabile, per il TAR, che, nell’esercizio della discrezionalità insita nella potestà regolamentare di cui all’art. 24, comma 42, del medesimo decreto legge n. 98/2011 - con l’art. 6 il D.M. n. 38/2013 abbia subordinato l’istituzione delle rivendite presso gli impianti di distribuzione di carburanti alla presenza di un locale chiuso (diverso da quelli posti al servizio della distribuzione di carburanti) avente una superficie utile minima di 30 metri quadrati, se tale locale sia dedicato “esclusivamente alla vendita di tabacchi lavorati”, ed abbia previsto altresì che, qualora il locale chiuso sia dedicato, oltre che alla vendita di tabacchi lavorati, anche alla vendita di prodotti o di servizi diversi, ivi inclusi cibi e bevande ovvero al pagamento dei carburanti erogati, il locale chiuso debba avere una superficie utile minima non inferiore a 50 metri quadri.
L’odierna appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha in particolare sostenuto che l’avere invocato la tutela del diritto alla salute sia stato del tutto errato.
L’art. 6 riconosce il diritto potestativo di ottenere/rinnovare il c.d. “patentino”;quest’ultimo consente di vendere tabacchi. Soltanto, ciò avviene in relazione a forniture erogate da rivendite ordinarie e con aggio da queste fissato.
Le limitazioni, quindi, non mirerebbero affatto a tutelare la salute, ma semmai a perpetuare una rendita di posizione in favore delle rivendite ordinarie, frustrando le esigenze di liberalizzazione di cui in ultimo al D.L. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011 (c.d. decreto "salva Italia").
Tanto che la stessa Autorità Garante ha sostenuto che l’avversato dM violerebbe l’art. 34 del D.L. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011.
Ha poi riproposto in chiave critica tutte le doglianze di cui al mezzo di primo grado, chiedendone l’accoglimento.
Parte appellata ha chiesto la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla camera di consiglio del 21ottobre 2014 la trattazione della causa, su concorde richiesta delle parti, è stata differita al merito.
Tutte le parti processuali hanno depositato scritti difensivi e repliche volte a puntualizzare e ribadire le rispettiva censure.
Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. L’appello è solo parzialmente fondato, nella parte in cui si propone di rimuovere la statuizione di inammissibilità contenuta nella sentenza impugnata: esso va in parte qua accolto, e deve pertanto affermarsi che il ricorso di primo grado era ammissibile.
2. L’appello (come già il ricorso di primo grado) è per il resto infondato e deve essere disatteso.
3. La prima questione da risolvere attiene, come appena accennato, alla esattezza – o meno- della statuizione di inammissibilità resa dal T.
3.1. Ritiene il Collegio che – quanto a tale specifico versante - le critiche appellatorie colgano nel segno.
Per il vero la accurata ricostruzione del primo giudice sotto il profilo dogmatico è certamente encomiabile, priva di mende e per larga parte condivisibile. Essa si allinea alla pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato(ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 18-11-2013, n. 5451), secondo cui, premessa la natura amministrativa dell'atto regolamento - non riconducibile alla categoria degli atti politici, per i quali (ai sensi dell'art. 7, co. 1, CPA - D.Lgs. 104/2010) non è ammesso sindacato giurisdizionale amministrativo – natura amministrativa che consente la impugnazione dello stesso e, quindi, la sua sindacabilità da parte del Giudice Amministrativo, in ciò adempiendo a quanto prescritto dall'art. 113, secondo comma Cost., la concreta ammissibilità dell' impugnazione del regolamento (e, quindi, anche la necessità di impugnarlo entro il termine decadenziale previsto) non può che presupporre la sussistenza dell'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), che sorge in presenza di una lesione e/o pregiudizio attuale.
Il primo giudice, però, non ha esattamente tratto le conclusioni di quanto affermato in premessa, allorché non ha tenuto conto che per l’appellante – titolare di numerose stazioni di carburante - la lesione non è solo potenziale, ma reale, laddove si consideri che, stante le chiare previsioni del regolamento, una eventuale attivazione finalizzata ad ottenere l’autorizzazione all’apertura di una rivendita speciale in numerosi distributori dalla stessa posseduti sarebbe senza dubbio frustranea.
E’ ben vero che nel detto regolamento sono contenute disposizioni generali ed astratte atte ad applicarsi in una congerie di casi: è parimenti rispondente al vero, però, che, nella parte in cui le gravate disposizioni impongono i (contestati) limiti restrittivi, esse sono idonee ad arrecare un pregiudizio - sicuro e non solo potenziale - alla posizione dell’appellante.
Potendo quindi dirsi attuale e certa la lesione dell'interesse protetto, può in materia traslarsi la ratio di quella giurisprudenza che, in presenza di clausole del bando preclusive, ne consente la immediata impugnabilità a prescindere dall’avere- o meno - ricevuto un concreto diniego fondato sulle disposizioni che si avversano.
Invero le disposizioni del regolamento, nella parte in cui introducono gli avversati limiti dimensionali e sulle distanze, sono nella sostanza autoapplicative;autorizzano la emissione di dinieghi supportati dal (solo) richiamo alla prescritta norma regolamentare: pare al Collegio, perciò, che l’interesse attuale e diretto e concreto sussistesse e sussista e che il ricorso di primo grado fosse ammissibile.
4. Rimossa la statuizione di inammissibilità, e ribadito che non ricorre nel caso di specie l’evenienza di cui all’art. 105 cpa (peraltro, nel caso in esame, il T ha comunque doppiato la motivazione esaminando anche le censure di merito), può adesso essere esaminato il merito della causa, tenuto conto appunto della circostanza che – lodevolmente, è bene rimarcarlo - il T ha comunque preso in esame funditus le censure di merito, respingendole.
4.1. Il T ha fondato il proprio giudizio reiettivo su due disposizioni (una di legge e, l’altra regolamentare) e su una considerazione.
Le disposizioni (che di seguito si trascrivono) invocate a supporto della statuizione reiettiva si rinvengono, l’una, nell’art. 24 comma 42 del d.L. 6-7-2011 n. 98 (recante Norme in materia di gioco) “a) ottimizzazione e razionalizzazione della rete di vendita, anche attraverso l'individuazione di criteri volti a disciplinare l'ubicazione dei punti vendita, al fine di contemperare, nel rispetto della tutela della concorrenza, l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita capillarmente dislocata sul territorio, con l'interesse pubblico primario della tutela della salute consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico non giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi;”
e l’altra nelle premesse al dM 21 febbraio 2013, n. 38, recante Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo, che si riporta nella parte di interesse: “considerato il regime regolatorio vigente per la vendita dei tabacchi lavorati e attesa l'esigenza che tale regime risulti comunque compatibile con gli interessi pubblici della tutela della concorrenza e della salute, a loro volta funzionali alla tutela degli interessi dei consumatori;
Considerata altresì la necessità di contemperare l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita adeguatamente dislocata sul territorio con l'interesse pubblico della tutela della salute, consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico che non sia giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi e che sia, invece, tendente ad incentivarla oltre la sua naturale quantificazione;
Valutato che la razionalizzazione della rete di vendita, consistente tra l'altro nell'indicazione ed applicazione di criteri volti a disciplinare l'ubicazione dei punti vendita, previene ed esclude il possibile sovradimensionamento ingiustificato della rete di vendita e, conseguentemente, costituisce strumento necessario al fine di non alterare l'offerta di tabacchi in misura non corrispondente all'entità della stessa;”.
La “considerazione” su cui si è fondata la statuizione reiettiva, invece, riposa nel convincimento per cui (come segnalato nelle memorie di primo grado dell’interveniente ad opponendum Federazione dei tabaccai) “la ratio della disposizione dell’art. 53 del D.P.R. n. 1074/1958 - che assimila, ai fini dell’istituzione delle rivendite speciali, le stazioni di servizio automobilistico alle stazioni ferroviarie, marittime, tranviarie, automobilistiche e delle aviolinee, nonché alle caserme ed alle case di pena - deve ritenersi oramai superata dall’evoluzione della rete nazionale degli impianti di distribuzione di carburanti rispetto al 1958”.
4.2. Muovendo da detti pilastri motivazionali, il T ha ritenuto che le esigenze di tutela della salute indicate nelle norme surrichiamate, abbiano consentito le limitazioni di distanze e dimensioni contenute negli avversati artt. 4 e 6 del d.M. 21 febbraio 2013, n. 38 ;per altro verso, la “considerazione” prima richiamata renderebbe legittima la differenziazione restrittiva contenuta sub art. 6 citato, rispetto alle previsioni di cui all’art. 4 del citato d.M.
4.3. Il Collegio, ritiene si debbano distinguere ed esaminare separatamente –anche sulla scorta delle censure appellato rie - le critiche mosse alla disciplina delle distanze contenuta nel citato art. 6 del d.M. 21 febbraio 2013, n. 38 da quelle dirette ad avversare le prescrizioni dimensionali dei locali, pure contenute nel citato articolo.
4.4. Prima di passare all’esame delle dette critiche, però, sotto il profilo logico appare prioritaria la disamina della macrodoglianza, articolata nelle prime 25 pagine dell’atto di appello.
Ivi parte appellante ha ampiamente richiamato il testo della Segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 21.6.2013 ed ha sostenuto che le disposizioni dell’avversato dM (massime, l’art. 6 in punto di distanze) abbiano avuto ed abbiano natura e portata “anticoncorrenziale”, come peraltro in parte riconosciuto dalla Seconda Sezione di questo Consiglio di Stato con il parere n. 3054/2014.
4.5. Il Collegio non concorda con detta opinione.
In disparte la circostanza – acutamente segnalata dalla interveniente Federazione Italiana Tabaccai - che a seguito dei chiarimenti resi dall’Agenzia delle Entrate e diretti all’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, quest’ultima ha in parte rivisto la propria posizione (Comunicato, AGCM n. 23 del 9.6.2014), risolvendosi a non impugnare un provvedimento applicativo del Regolamento n. 38/2013, giova precisare che:
I) l’art. 34 (recante : “Liberalizzazione delle attività economiche ed eliminazione dei controlli ex-ante”)del D.L. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011 (c.d. decreto "salva Italia") così ha disposto:
“1. Le disposizioni previste dal presente articolo sono adottate ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché per assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai beni e servizi sul territorio nazionale.
2. La disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l'ordinamento comunitario, che possono giustificare l'introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità.
3. Sono abrogate le seguenti restrizioni disposte dalle norme vigenti:
a) il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area;
b) l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio di una attività economica;
c) il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;
d) la limitazione dell'esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;
e) la limitazione dell'esercizio di una attività economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore;
f) l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi;
g) l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attività svolta.
4. L'introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a previa autorizzazione l'esercizio di un'attività economica deve essere giustificato sulla base dell'esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità.
5. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è tenuta a rendere parere obbligatorio, da rendere nel termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione del provvedimento, in merito al rispetto del principio di proporzionalità sui disegni di legge governativi e i regolamenti che introducono restrizioni all'accesso e all'esercizio di attività economiche.
6. Quando è stabilita, ai sensi del comma 4, la necessità di alcuni requisiti per l'esercizio di attività economiche, la loro comunicazione all'amministrazione competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione e l'attività può subito iniziare, salvo il successivo controllo amministrativo, da svolgere in un termine definito;restano salve le responsabilità per i danni eventualmente arrecati a terzi nell'esercizio dell'attività stessa.
7. Le Regioni adeguano la legislazione di loro competenza ai principi e alle regole di cui ai commi 2, 4 e 6.
8. Sono escluse dall'ambito di applicazione del presente articolo le professioni, il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea, i servizi finanziari come definiti dall'art. 4 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e i servizi di comunicazione come definiti dall'art. 5 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato”.
II) Detta norma, tuttavia, faceva temporalmente seguito ad una pregressa disposizione liberalizzatrice, contenuta nell’art. 3 (recante abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche) del dL 13-8-2011 n. 138,
laddove era stato espressamente chiarito che “Comuni, Province, Regioni e Stato, entro il 30 settembre 2012, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di:
a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale;
d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;
e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.” .
III) Il doveroso coordinamento di detta normativa implica che in via di principio non sia precluso alla legge (e, su disposizione di quest’ultima, a cascata, alle fonti secondarie attuative) di imporre restrizioni ad attività “che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica”, quale, indubbiamente, è quella relativa alla rivendita di prodotti da fumo.
IV) la disposizione “fonte” del contestato Regolamento adottato con decreto ministeriale n. 38/2013 si rinviene nel D.L. 6-7-2011 n. 98, all’art. 24 comma 42, che così si esprime: “Con regolamento emanato entro il 31 marzo 2013, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal Ministro dell'economia e delle finanze sono dettate disposizioni concernenti le modalità per l'istituzione di rivendite ordinarie e speciali di generi di monopolio, nonché per il rilascio ed il rinnovo del patentino, secondo i seguenti principi: a) ottimizzazione e razionalizzazione della rete di vendita, anche attraverso l'individuazione di criteri volti a disciplinare l'ubicazione dei punti vendita, al fine di contemperare, nel rispetto della tutela della concorrenza, l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita capillarmente dislocata sul territorio, con l'interesse pubblico primario della tutela della salute consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico non giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi.
V) Non è quindi arbitrario fare discendere, da tale disposizione di legge, il convincimento per cui ogni misura “liberalizzatrice”, ove incidente sulla rivendita di generi di monopolio, dettava prescrizioni che dovevano tenere conto della circostanza del “necessario contemperamento della tutela della concorrenza, l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita capillarmente dislocata sul territorio, con l'interesse pubblico primario della tutela della salute consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico non giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi” .
VI) E parimenti il Collegio ritiene che la diretta – e chiarissima – prescrizione della lett. a) del comma 42 del citato art. 24, in quanto disposizione specifica diretta a normare in via generale la rivendita di generi di monopolio, costituisca la “norma speciale” alla quale debba rapportarsi la – equiordinata ed addirittura contenuta nello stesso testo di legge- disposizione di cui al comma 8 dell’art. 28 (recante Razionalizzazione della rete distributiva dei carburanti) D.L. 6-7-2011 n. 98, di seguito riportata: “Al fine di incrementare la concorrenzialità, l'efficienza del mercato e la qualità dei servizi nel settore degli impianti di distribuzione dei carburanti, è sempre consentito in tali impianti:
a) l'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), della legge 25 agosto 1991, n. 287, fermo restando il rispetto delle prescrizioni di cui all'articolo 64, commi 5 e 6, e il possesso dei requisiti di onorabilità e professionali di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;
b) l'esercizio dell'attività di un punto di vendita non esclusivo di quotidiani e periodici senza limiti di ampiezza della superficie, nonché, tenuto conto delle disposizioni degli articoli 22 e 23 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293, l'esercizio della rivendita di tabacchi, nel rispetto delle norme e delle prescrizioni tecniche che disciplinano lo svolgimento delle attività di cui alla presente lettera, presso gli impianti di distribuzione carburanti con una superficie minima di 500 mq, a condizione che, per la rivendita di tabacchi, la disciplina urbanistico-edilizia del luogo consenta all'interno di tali impianti la costruzione o il mantenimento di locali chiusi, diversi da quelli al servizio della distribuzione di carburanti, con una superficie utile minima non inferiore a 30 mq;
c) la vendita di ogni bene e servizio, nel rispetto della vigente normativa relativa al bene e al servizio posto in vendita, a condizione che l'ente proprietario o gestore della strada verifichi il rispetto delle condizioni di sicurezza stradale”.
VII) Nell’ipotesi di apparente conflitto di norme, la risoluzione passa per i consueti criteri di prevalenza fondati sulla “forza” (lex superior derogat inferiori”), “risalenza” (“lex posterior derogat priori”) e “ambito di disciplina” (“lex specialis derogat generali”).
Se anche si volesse ravvisare un’apparente antinomia tra le disposizioni succitate (sebbene non coeve) aventi pari “forza”, secondo il criterio di specialità la prevalenza spetterebbe al comma 42 dell’art. 24, anche tenuto conto della circostanza che il comma 8 dell’art. 28 fa salvo il rispetto delle disposizioni primarie di cui agli articoli 22 e 23 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293, in punto di “rivendita” di tabacchi.
Invero, il punto nodale, che parte appellante non ha adeguatamente soppesato riposa in una circostanza: nel citato comma 8 dell’art. 28, il termine “rivendita di tabacchi” è usato quale sinonimo di “messa in vendita”, “spaccio” etc, e non invece nel senso tecnico di “rivendita speciale”.
Ciò risulta da una serena disamina della detta disposizione, laddove si consideri che risulta ivi espressamente richiamato (oltre l’art. 22) l’art. 23 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293 .
E laddove si ponga mente locale alla circostanza che tale ultima disposizione, disciplina il c.d. “patentino” per la rivendita di tabacchi.
Se così è, quindi, il detto comma 8 dell’art. 28 non ha voluto sancire che “nel settore degli impianti di distribuzione dei carburanti” debba “sempre” essere consentita l’installazione di una “rivendita speciale”, ma solo che ivi, debba “sempre” essere consentito lo spaccio, la vendita, di tabacchi, eventualmente a mezzo di rilascio di “patentino” (essendosi espressamente richiamato l’art. 23 della legge “madre” n. 1923 del 1957).
Ritiene il Collegio quindi, di potere far discendere da tale disamina il convincimento per cui, in via astratta, la portata “anticoncorrenziale” del decreto si misuri nel rispetto della prescrizione “madre” di cui al comma 42 dell’art. 24 del D.L. 6-7-2011 n. 98 e tenuto conto - quindi - della necessità di contemperare concorrenza e salvaguardia della salute, lesa, quest’ultima, da una offerta di prodotti da fumo sproporzionata rispetto alla domanda.
La radicale critica appellatoria, secondo la quale ogni restrizione contenuta nel Regolamento approvato con il contestato dM spiegherebbe portata anticoncorrenziale per diretto contrasto con il comma 8 dell’art. 28 richiamato, va quindi disattesa.
5. Passando adesso ad esaminare quali siano, in concreto, le censure articolate avverso la disciplina delle distanze contenuta nel dM n. 38/2013 si evidenzia quanto segue.
5.1. La prima critica (sintetizzabile con la espressione “straripamento di potere”) articolata nell’atto di appello, secondo cui il detto decreto avrebbe creato un quarto “genus” di rivendita, in spregio alla tripartizione contenuta nella legge primaria (rivendita ordinaria, speciale, e patentino, ex artt. 21-23- della legge -12-1957 n. 1293) costituisce non accoglibile forzatura.
Invero l’art.