Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-11-21, n. 202210258

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-11-21, n. 202210258
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202210258
Data del deposito : 21 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/11/2022

N. 10258/2022REG.PROV.COLL.

N. 00398/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 398 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ufficio Territoriale del Governo Barletta Andria Trani, Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n.-OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Barletta Andria Trani e di Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In data 29 giugno 2018, l’appellante ha presentato alla Prefettura di Barletta una istanza volta al rilascio del decreto di nomina a guardia particolare giurata, a seguito della proposta di lavoro come guardia giurata presso un istituto di vigilanza locale, con contestuale richiesta della relativa licenza per porto di pistola.

All’esito dell’istruttoria, dopo aver comunicato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, la Prefettura ha rigettato l’istanza, accertando a carico del richiedente i seguenti rilievi penali:

- in data 8 aprile 1999, condanna per il reato di falsità materiale;

- in data 12 aprile 2012, condanna alla pena di anni uno di reclusione per dichiarazione di falsità del DURC, confermata nei successivi gradi di giudizio.

- in data 1 giugno 2010, deferimento all’Autorità Giudiziaria per le ipotesi di reato di cui agli artt. 482 c.p. (falsità materiale commessa dal privato) e 640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e agli artt. 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) del d.lgs. n. 74/2000 all’art. 76 D.P.R. n. 445/2000, a seguito del quale il relativo procedimento penale si è concluso con il non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

- in data 8 aprile 1999 sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, per i reati di cui agli artt. 477 (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative) e 482 (falsità materiale commessa dal privato in certificati) c.p., con relativa condanna a mesi due di reclusione (pena sospesa);

- in data 10 maggio 2010, sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, emessa per i reati in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, con relativa condanna al pagamento dell’ammenda di € 2.400,00;

- in data 19 aprile 2011, decreto penale di condanna per omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali, ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.l. n. 463/1983, con relativa condanna al pagamento della multa di € 2.580,00 (pena sospesa);

- in data 21 febbraio 2013, sentenza emessa dal Giudice di pace del Tribunale di Andria per il reato di cui all’art. 595, comma 1, c.p. (diffamazione), con condanna al pagamento della multa di € 300,00;

- in data 13 novembre 2017, sentenza emessa nell’ambito del procedimento penale per le ipotesi di reato di cui agli artt. 367 c.p. (simulazione di reato) e 642 c.p. (fraudolento danneggiamento dei beni assicurati), con dichiarazione di non doversi procedere a causa dell’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione;

Sulla scorta di tali elementi e preso atto del parere sfavorevole formulato dalla Questura di Bari, la Prefettura ha escluso la sussistenza in capo all’istante del requisito della buona condotta e della assoluta affidabilità, prescritto dalla legge per i titolari di licenze di polizia e per le guardie giurate in relazione alle delicate mansioni svolte.

L’interessato ha proposto ricorso innanzi al Tar Puglia, contestando la violazione di legge, in relazione al dettato di cui agli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. e l’eccesso di potere per illogicità, erroneo presupposto di fatto e di diritto e ingiustizia manifesta, in quanto – a detta del ricorrente – i precedenti penali posti a fondamento del provvedimento reiettivo non sarebbero di per sé ostativi al rilascio del porto d’armi.

Il Tar adito ha rigettato il ricorso, considerando i provvedimenti avversati immuni dai prospettati vizi. Il Giudice di primo grado ha, in primo luogo, dato risalto alla necessità che chi intenda svolgere attività di guardia particolare giurata tenga una condotta irreprensibile e immune da censure e, in secondo luogo, ritenuto che nel caso di specie il ricorrente si fosse reso responsabile, nel corso degli anni, di una pluralità di fatti censurabili, peraltro per fattispecie che, denotando una propensione a frodare le regole della pacifica convivenza, ex se non risultano confacenti a chi richieda autorizzazioni di polizia.

L’appellante ha impugnato la citata pronuncia, previa istanza sospensiva, riproponendo le censure non accolte in primo grado, in chiave critica nei confronti della gravata sentenza.

Nella camera di consiglio del 27 febbraio 2020, la Sezione ha rigettato l’istanza cautelare.

Le amministrazioni appellate si sono costituite tardivamente in data 9 novembre 2022. Di tale costituzione, pertanto, il Collegio non può tenere conto.

Alla udienza pubblica del 10 novembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Com’è noto, il conferimento della qualifica di guardia particolare giurata, cui accede in via ordinaria anche il rilascio di porto d’armi, rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del R.D. 18 giugno 1931, n. 773. Il loro rilascio, pertanto, è condizionato alla verifica della sussistenza dei requisiti generali di cui all’art. 11 e 43 del medesimo decreto, nonché a quelli specificamente richiesti dalla norma di riferimento.

Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110/1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti».

Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che «deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi».

L’art. 11 del T.U.L.P.S. prevede che, «salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione».

L’art. 43, con specifico riferimento ai requisiti soggettivi necessari ai fini del rilascio della licenza di porto d’armi, dispone che «oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:

a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;

c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi».

Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 43, secondo comma).

L’art. 138, infine, relativo nello specifico al titolo di guardia particolare giurata, nel disciplinare i requisiti soggettivi delle guardie giurate particolari, al comma 1, n. 4), prescrive, tra gli altri, il requisito di «non avere riportato condanna per delitto».

Sulla scorta del suesposto quadro normativo, non hanno pregio le deduzioni attoree volte a lamentare l’erroneità e l’ingiustizia della sentenza di prime cure nella misura in cui il Tar avrebbe omesso di apprezzare che i delitti commessi dall’interessato non corrispondono a quelli che gli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. considerano ostativi al rilascio della licenza di porto d’armi.

Va infatti rilevato che, nel caso di specie, l’esame dell’istanza di rilascio del porto d’armi, proprio per le ragioni per le quali il titolo di polizia è richiesto, presuppone l’esito positivo dell’accertamento dei requisiti soggettivi per la nomina a guardia particolare giurata, cui la licenza di porto d’armi accede.

Con riferimento a tale controllo preliminare, la Prefettura ha accertato a carico dell’istante plurimi rilievi penali che, sebbene astrattamente inidonei a determinare l’automatico rigetto dell’istanza di rilascio del porto d’armi, assumono tuttavia carattere ostativo al rilascio del decreto di nomina a guardia particolare giurata. Infatti, i requisiti soggettivi prescritti dall’art. 138 T.U.L.P.S., ai fini del rilascio del decreto di nomina in esame, sono ancor più stringenti di quelli richiesti per il rilascio della licenza di portare armi, attesa la delicatezza delle mansioni svolte dalle guardie giurate. In questi casi, l’art. 138 del T.U.L.P.S. non contiene un elenco dei reati ostativi al rilascio dell’autorizzazione, ma richiede genericamente l’assenza di condanne per delitto. Ciò in quanto nella valutazione dei requisiti per il rilascio del decreto di nomina in esame si richiede un accertamento, per certi versi più stringente, che vada oltre i giudizi di affidabilità e di non pericolosità formulati nel corso dell’istruttoria per il rilascio della licenza di porto d’armi, imponendosi anche la verifica della condotta del richiedente, che deve essere improntata al massimo rispetto della legalità.

La Prefettura, in coerenza con il dettato normativo, non ha ritenuto che i delitti commessi dall’istante fossero ostativi al rilascio del porto d’armi, ma ha rilevato che i rilievi penali ascritti al richiedente «incidono sfavorevolmente nella valutazione circa il possesso degli imprescindibili requisiti della buona condotta e dell’assoluta affidabilità, necessariamente richiesti dalle vigenti disposizioni di legge per i titolari di licenza di polizia e in particolare per le guardie particolari giurate in relazione alle delicate mansioni dalle stesse svolte».

Nella suddetta prospettiva, non può essere revocata in dubbio la rilevanza e il numero degli addebiti mossi all’appellante, rispetto ai quali l’istruttoria compiuta appare adeguata, vieppiù se si considera la delicatezza del servizio reso dalle guardie giurate particolari, cui si riconnette, in via ordinaria, la disponibilità di armi.

Tanto refluisce in negativo sulla fondatezza della censura formulata con l’atto di appello, in quanto non pertinente rispetto alla motivazione del provvedimento impugnato in primo grado.

Deve in definitiva escludersi, oltre al difetto di istruttoria, l’assenza di vizi interni al processo di valutazione della condotta del soggetto interessato per come condizionata dal quadro normativo di riferimento.

In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese in giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi