Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-10-13, n. 201007493

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-10-13, n. 201007493
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201007493
Data del deposito : 13 ottobre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01282/2010 REG.RIC.

N. 07493/2010 REG.SEN.

N. 01282/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 1282 del 2010, proposto da:
Comune di L'Aquila, rappresentato e difeso dall'avv. P G, con domicilio eletto presso Alfredo Petillo, in Roma, via Guido D'Arezzo N. 18;

contro

Sebastiano D'Attilio, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv. R L, con domicilio eletto presso Scar Soc. Ligal Service Roma 2009, in Roma, via dei Dardanelli n. 27;

per la riforma della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA - SEZIONE I n. 00563/2009, resa tra le parti, concernente ISTANZA RIQUALIFICAZIONE SUOLI.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta, alla camera di consiglio del 27 luglio 2010, la relazione del Consigliere S C, nessuno essendo ivi comparso fra le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO

Con ricorso notificato il 28 settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre, l’odierno appellato, nella sua qualità di comproprietario di un terreno sito nel Comune de L’Aquila, individuato al catasto terreni al fg. 82 partt. 129, 130, 244 e 995 e destinato a « verde pubblico » secondo le previsioni del piano regolatore generale approvato con delibere della Giunta regionale 21 febbraio 1979, n. 14 e 6 luglio 1979, n. 162/33, chiedeva al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, sede de L’Aquila, di voler dichiarare l’illegittimità del silenzio-inadempimento tenuto dal Comune sull’istanza da lui avanzata in data 3 aprile 2009 per l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica alla predetta area di sua proprietà stante l’intervenuta scadenza del vincolo urbanistico ad essa impresso, non avendo ottenuto in mérito alcuna risposta dall’Amministrazione comunale.

L’adìto Tribunale, in assenza di costituzione dell’intimata amministrazione comunale, accoglieva il ricorso, ritenendo che “alla rituale istanza presentata dal ricorrente, il comune di L’Aquila ha opposto un immotivato silenzio che, a termini dell’art. 2 della L. 241/90, non è conforme al modello legale che impone la conclusione di ogni procedimento … con provvedimento espresso e motivato”.

Con atto di appello notificato il 3 febbraio 2010 e depositato il successivo 17 febbraio, il Comune de L’Aquila ha chiesto la riforma della prefata statuizione a suo avviso “ingiusta e gravatoria”, deducendo i seguenti due motivi di appello:

- violazione e falsa applicazione dell’art. 44 comma 1 quinquies L.R. n° 11 del 3 marzo 1999 in relazione al mancato decorso del termine di un anno per la conclusione del procedimento;

- contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alla necessità di rideterminazione della destinazione urbanistica delle aree mediante variante specifica.

L’originario ricorrente ha resistito al gravame, chiedendone la reiezione.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla camera di consiglio del 27 luglio 2010.

DIRITTO

1. – L’appello è fondato e dev’essere accolto, alla stregua della fondatezza del primo motivo di gravame, con il quale si sostiene che “contrariamente al decisum in prime cure, in tanto il silenzio serbato dal Comune può definirsi in termini di inadempimento in quanto sia completamente scaduto il termine a sua disposizione per provvedere a quanto richiesto e tale termine non è quello di quarantacinque giorni indicato dal ricorrente e condiviso dal T.A.R. bensì quello, ben superiore, fissato dall’art. 44 della L.R. n° 11/1999 … nel caso in esame, l’odierno appellato ha frettolosamente avviato l’azione processuale, senza attendere la consumazione del termine per la formazione del silenzio-inadempimento: di tal che discende che il ricorso … proposto è inammissibile”.

In proposito, la Sezione invero rileva che, è pacifico in giurisprudenza che, qualora il vincolo del piano regolatore generale sia scaduto ( del che nella fattispecie non si controverte fra le parti ) senza che, a termini dell'articolo 2, comma 1, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, si sia provveduto all'approvazione del piano particolareggiato ovvero all'approvazione del progetto esecutivo o definitivo di opera pubblica, da un lato la nuova disciplina edificatoria applicabile all'area interessata corrisponde a quella stabilita dall'articolo 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10 ( C.d.S., sez. V, 18 marzo 2003, n. 1443;
3 ottobre 1992, n. 924;
da ultimo, Cons. St., IV, 12 agosto 2005, n. 1468 ) e dall’altro siffatta situazione di inedificabilità pressoché assoluta ha carattere provvisorio, dovendo l’Amministrazione procedere il più rapidamente possibile all'obbligatoria integrazione del piano divenuto parzialmente inoperante;
il privato può in tal caso, nell'inerzia della Amministrazione, agire in via giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio rifiuto ( C.d.S., Sez. IV, 05 aprile 2005, n. 1560 ), ai fini della cui formazione resta comunque ferma la necessità, tra l’altro, che sia decorso il termine, entro il quale il provvedimento doveva essere assunto.

Orbene il términe ( solo il cui spirare può dar luogo alla violazione dell’obbligo di provvedere e rendere ammissibile la tipizzazione giurisdizionale del silenzio davanti al giudice amministrativo: Cons. St., IV, 29 maggio 2008, n. 2572 e Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2008, n. 8384 ) del “procedimento di definizione delle aree per le quali sono scaduti i vincoli urbanistici ai sensi dell'art. 2 della legge n. 1187/1968 promosso a seguito di diffida ad adempiere da parte dei proprietari interessati” è, nella Regione Abruzzo, fissato, con carattere “perentorio”, in “un anno” ( art. 44, comma 1-quinquies, della L.R. 3 marzo 1999, n. 11 ).

Trattasi, in realtà, di términe, che, a differenza di quanto ritiene l’appellato, non può intendersi riferito al solo caso di cui al comma 1-ter dello stesso art. 44 ( e cioè al caso, ivi previsto, di provvedimento da adottarsi dal Commissario ad acta nell’esercizio dei poteri sostitutivi affidati dalla norma stessa alla Provincia in caso di inerzia del Comune nell’attivazione del relativo procedimento con le forme e le modalità di cui al comma 1-bis, ovvero di provvedimento adottato dallo stesso Comune pur dopo “la nomina del Commissario ad acta” nel “rispetto dei termini” a questo “assegnati” ), giacché il citato comma 1-quinquies stabilisce in via generale il términe di conclusione del predetto tipo di procedimento, sia da parte del Commissario ad acta che da parte dell’Amministrazione Comunale, con specifico riferimento, per quanto riguarda in particolare quest’ultima, “anche” ( e dunque non solo ) ai “casi di cui al comma 1-ter”.

Del resto, l'art. 29, co. 2, della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall'art. 19 della legge n. 15 dell'11 febbraio 2005 entrata in vigore il 9 marzo 2005 ( ratione temporis applicabile alla fattispecie ), attribuisce alla competenza delle regioni e degli enti locali la regolamentazione delle "materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale …” ( con salvezza della regolamentazione del diritto d'accesso e di quanto stabilito in "in tema di giustizia amministrativa" ), mentre, fino all'entrata in vigore di una diversa disciplina adottata dalle regioni in forza dell'art. 29, co. 2, citato, per l'art. 22 della legge n. 15 del 2005 i procedimenti amministrativi "sono regolati dalle leggi regionali vigenti" e dunque lo specifico procedimento di cui si tratta resta normato dal veduto art. 44 della L.R. n. 11/1999.

Detto art. 44, peraltro, laddove stabilisce altresì, al già citato comma 1-bis, un términe ( pari a quello fissato nella diffida del privato ed in ogni caso non inferiore a 45 giorni ), entro il quale il Comune interessato “provvede a dare comunicazione dell'avvio del procedimento agli interessati ed all'Amministrazione Provinciale”, consente, in caso di suo infruttuoso decorso, la sola promozione dell’intervento sostitutivo attribuito alla Provincia (come chiaramente si ricava dall’incipit del comma stesso “per l'applicazione di quanto disposto al punto 1, lettera b), comma 1 del presente articolo”) e non certo l’accertamento giudiziale della illegittimità dell’inerzia del Comune: e ciò sia perché la violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento prescritto dal citato comma 1-bis ha portata solo formale e non sostanziale e non dunque tale di per sé da poter configurare quella violazione dell’obbligo di provvedere che rappresenta strutturalmente elemento costitutivo del silenzio-rifiuto e che si realizza solo con il decorso del termine normativamente prescritto per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento stesso;
sia perché il riferimento a "quanto stabilito in materia di giustizia amministrativa" ( contenuto nell’art. 29 della legge n. 241/1990 come sostituito dall'art. 19 della legge n. 15 del 2005, che recita, al comma primo: "le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche" ) non può che essere letto nel senso della necessità di garantire l'uniformità dei procedimenti giurisdizionali avverso gli atti di tutte le pubbliche amministrazioni con riferimento a qualsiasi disposizione che abbia riflessi sul processo ( perché tale da influire sulle condizioni o modalità di tutela in giudizio di situazioni giuridiche soggettive ), donde la necessità, nel caso di specie, conformemente a tale “ratio”, di poter ritenere maturato il silenzio-rifiuto, nella tipologia di procedimenti disciplinati dalla veduta legge regionale, solo allorché l’Amministrazione non abbia provveduto, nel termine di un anno assegnatole dalla norma per la conclusione del procedimento ( irrilevante pertanto restando l’inosservanza di eventuali altri termini meramente infraprocedimentali ), alla adozione di alcun atto significativo di (ri)pianificazione dell’area in questione.

Pertanto, non essendo alla data di proposizione del ricorso di primo grado trascorso un anno dall’istanza di parte del 3 aprile 2009, si ravvisa nel caso all’esame l’assenza di un presupposto dell’azione, che deve dunque ritenersi inammissibile.

2. – L’appello è quindi fondato nei sensi di cui sopra ed il ricorso di primo grado dev’essere, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarato inammissibile.

Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti.

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