Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-09-07, n. 201704248

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-09-07, n. 201704248
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704248
Data del deposito : 7 settembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/09/2017

N. 04248/2017REG.PROV.COLL.

N. 01481/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1481 del 2008, proposto da:
S R e S M, entrambi rappresentati e difesi dall'avvocato S C, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato A S in Roma, largo Messico, 7;

contro

Regione Calabria, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato B S, con domicilio eletto presso lo studio legale Casalinuovo &
Associati in Roma, viale delle Milizie, 19;

nei confronti di

Consiglio Regionale della Regione Calabria, in persona del Presidente pro tempore , non costituito in giudizio;
Fincalabra s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, SEZIONE II n. 01983/2006, resa tra le parti, concernente revoca per giusta causa componenti del consiglio di amministrazione di Fincalabra s.p.a., nonché risarcimento danni.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il Cons. V P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Risulta dagli atti che con deliberazione n. 4 del 16 gennaio 2006, la giunta della Regione Calabria disponeva la revoca per giusta causa – ai sensi dell’art. 20, comma 6 l.r. 11 gennaio 2006, n. 1 ( Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra finanziaria regionale per l’anno 2006 art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8/2002) )– dei sigg.ri S R, Marafioti Pasquale e S M, quali componenti del consiglio di amministrazione di Fincalabra s.p.a. ( Società finanziaria regionale per lo sviluppo economico della Calabria ), società a partecipazione maggioritaria della Regione costituita ai sensi dell’art. 1 della l. r. 30 aprile 1984, n. 7 ( Partecipazione della Regione alla Società finanziaria regionale per lo sviluppo economico della Calabria ) ed avente come obiettivo statutario “ di concorrere, nel quadro della politica di programmazione economica della Regione, allo sviluppo economico e sociale della Calabria ”.

Con successiva deliberazione dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale n. 4 del 24 gennaio 2006, veniva poi decisa la nomina di sei componenti del medesimo consiglio di amministrazione, tra cui il suo presidente.

Avverso le suddette delibere i tre membri revocati proponevano ricorso al Tribunale amministrativo della Calabria, chiedendone l’annullamento in ragione dei seguenti vizi:

1) Eccesso di potere sub specie sviamento di potere, perplessa ed omessa motivazione;

2) Eccesso di potere sub specie travisamento dei fatti, contraddittorietà nella motivazione, manifesta ingiustizia e violazione della prassi amministrativa;

3) Violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990;

4) Illegittimità costituzionale dell’art. 20, 6° comma, della legge regionale n. 1/2006;

5) Eccesso di potere sub specie incompetenza assoluta .

Con il medesimo gravame essi domandarono il risarcimento dei danni subìti in conseguenza degli atti impugnati.

Nel costituirsi in giudizio, la Regione Calabria eccepiva preliminarmente l’inammissibilità del gravame, rilevandone comunque, nel merito, l’infondatezza.

Con ordinanza 6 aprile 2006, n. 260 (poi riformata da Cons. Stato, V, 30 maggio 2006, n. 2622), il giudice adito accoglieva la proposta istanza cautelare, limitatamente peraltro alla deliberazione dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale n. 4 del 24 gennaio 2006.

Con sentenza 18 dicembre 2006, n. 1983, il Tribunale amministrativo della Calabria, dopo aver rilevato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, dichiarava inammissibile il ricorso.

Avverso tale decisione i sigg.ri S R e S M interponevano appello, deducendo innanzitutto la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, in virtù del fatto che il potere di revoca esercitato dall’amministrazione avrebbe natura pubblicistica ed autoritativa, non essendo per contro riconducibile all’esercizio delle facoltà privatistiche proprie di un socio della società per azioni.

Riproponeva inoltre, nel merito del gravame, i motivi di ricorso non esaminati dal primo giudice.

La Regione Calabria si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello poiché infondato.

All’udienza del 6 luglio 2017, rilevata dal Collegio l’assenza delle parti costituite in giudizio, la causa passava in decisione.

DIRITTO

Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, l’appello appare fondato quanto alla preliminare questione della giurisdizione del giudice adito.

In argomento, la sentenza impugnata così riporta: “ Risulta, invero, per tabulas che la delibera di revoca impugnata è stata adottata dalla Regione Calabria, socia di maggioranza della Fincalabra S.p.a., ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, 6 comma, della l. r. n. 1/2006 e 2449 - 2450 c.c., in virtù di specifiche condotte integranti violazione di obblighi legali e statutari inerenti la qualità di amministratore e sindaco.

La natura eminentemente privatistica, per le ragioni già esposte, del potere nella specie esercitato dalla Regione, impone la qualificazione in termini di diritto soggettivo della posizione giuridica soggettiva azionata dai ricorrenti.

Il gravame proposto avverso la predetta delibera di revoca esula pertanto dalla sfera di giurisdizione del giudice amministrativo, rientrando in quella del giudice ordinario ”.

Gli appellanti, preso atto che il convincimento del primo giudice si fondava sul precedente di Cass. SS.UU., 15 aprile 2005, n. 7799, evidenziano che il principio di diritto ivi esposto non trova applicazione nel caso di specie, poiché presuppone che il potere di nomina e revoca degli amministratori della società attribuito all'ente pubblico “ abbia natura squisitamente privata ”, il che qui non si verifica.

Nel caso esaminato dal giudice civile, infatti, lo statuto della società partecipata espressamente riconduceva il potere di nomina in capo al socio pubblico alla disciplina di cui all’art. 2458 [ora 2449] Cod. civ., essendosi conseguentemente in presenza “ non di un potere pubblico, ma essenzialmente di una potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente ad una situazione giuridica societaria ”.

Ad avviso degli appellanti, dunque, il giudice di prime cure avrebbe dovuto far applicazione del principio per cui, qualora il potere di nomina e revoca dei componenti del consiglio di amministrazione di una s.p.a. rinvenga la propria fonte in una specifica previsione di legge (diversa dal citato art. 2449, già art. 2458), ovvero in uno statuto il cui contenuto sia stato eteronomamente imposto dalla legge, tale potere avrebbe natura pubblicistica, in quanto accordato all'Ente pubblico dalla legge per il perseguimento di interessi pubblici, con l’ulteriore conseguenza di essere soggetto alle regole proprie degli atti amministrativi, giurisdizione compresa.

Ritiene il Collegio che nel caso di specie debba farsi applicazione della distinzione – fatta propria da Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10 (a tenore della quale gli atti di un ente pubblico di costituzione, modificazione ed estinzione di una società esprimono una potestà pubblica e la loro impugnazione è del giudice amministrativo, mentre è del giudice ordinario la controversia sugli atti conseguenti all’utilizzo del modello societario, attraverso i quali l’ente pubblico esercita i poteri ordinari dell’azionista: cfr. già Cons. Stato, V, 18 dicembre 2009, n. 8392 e Cass., SS.UU., ord. 31 luglio 2006, n. 1728) – tra atti prodromici ed atti successivi negoziali di carattere societario: i quali vanno tra loro tenuti ben distinti sul piano logico, cronologico e giuridico.

Gli atti prodromici – prettamente pubblicistici e soggetti come tali alla giurisdizione amministrativa – attengono al processo decisionale, che da ultimo si esterna nel compimento di un atto giuridico infra-societario.

Con quest’ultimo atto, pur sempre imputabile all’ente pubblico, l’ente spende la sua capacità di diritto privato e pone in essere un atto societario (ad es. costituzione di una società, acquisto o vendita di quote societarie, modifica o scioglimento della stessa, ecc.).

La richiamata pronuncia nomofilattica, in particolare, afferma che sussiste la “ giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti unilaterali prodromici ad una vicenda societaria, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società, o di parteciparvi, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima. […].

Gli atti prodromici attengono al processo decisionale, che da ultimo si esterna nel compimento di un negozio giuridico societario ”.

In particolare, nel caso della figurata costituzione di una società vengono in evidenza aspetti organizzatori, essendo evidente l’incidenza della relativa scelta sulla struttura dell’ente.

A maggior ragione, dunque, in questa fattispecie si impone una chiara separazione del momento pubblicistico, rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo, e quello privatistico, spettante al giudice ordinario.

Nel caso di specie, la decisione della Regione Calabria di revocare tre membri del consiglio di amministrazione della partecipata Fincalabra s.p.a. per sostituirli con altri (compreso il presidente) non appare di suo riducibile ad una mera vicenda di carattere infra-societario, dove normalmente (quando il socio che così agisce è un privato) le decisioni prodromiche in sé non rivelano per l’ordinamento generale perché i motivi che le muovono restano nelle intime motivazioni economiche del soggetto imprenditoriale;
ma è piuttosto espressione di una valutazione squisitamente pubblicistica (anche se poi troverà esplicazione in attività iure privatorum ), di uso del potere discrezionale della pubblica amministrazione e dunque di cura di quegli interessi pubblici che, istituzionalmente, fanno capo a quella amministrazione pubblica. È dunque un atto amministrativo vero e proprio.

Riprova ne è qui, tra l’altro, la circostanza estrinseca che nel caso su cui si controverte la legge regionale riserva tale specifico potere non alla Giunta – organo esecutivo dell’amministrazione cui compete, tra l’altro, il concreto esercizio dei diritti derivanti dalle partecipazioni societarie – bensì proprio al Consiglio regionale, ossia all’organo legislativo e di indirizzo politico dell’ente territoriale.

Tale attribuzione, prevista dall’art. 3, comma 1, lett. b) , della l.r. 30 aprile 1984, n. 7, rientra del resto – significativamente – tra le disposizioni che quella legge regionale testualmente definisce «inderogabili» dall’autonomia delle parti: inderogabilità che non è conciliabile con il ristretto ambito dei rapporti endo-societari.

Per contro, l’art. 8 della medesima legge regionale espressamente attribuisce invece alla Giunta l’esercizio dei diritti sociali: « Per le azioni di proprietà della regione, il diritto di intervento nell'assemblea di Fincalabra e di voto, è esercitato dal Presidente della Giunta o dall'assessore da lui delegato in conformità delle delibere della Giunta ».

Anche dal confronto tra le due previsioni, dunque, trova conforto il rilievo che il potere di nomina (e quindi di revoca) dei componenti del consiglio di amministrazione esula dalla vicenda societaria in quanto tale, e si risolve piuttosto in un atto amministrativo, prodromico a quella, sul quale il giudice ordinario non può avere competenza perché di suo non concerne o meglio non tocca altrui diritti soggettivi, e dunque chiamato a decidere dell’impugnazione può essere solo il giudice amministrativo.

In ragione di quanto sopra, va accolto il primo motivo di appello, avendo erroneamente il primo giudice declinato la propria giurisdizione.

Il conseguente annullamento della sentenza, con rinvio degli atti al primo giudice affinché – in diversa composizione collegiale – si pronunci sulle questioni a suo tempo sottopostegli dagli odierni appellanti, fa sì che il Collegio non possa pronunciarsi sulle (ulteriori) doglianze di merito riproposte in appello.

La complessità delle questioni affrontate giustifica peraltro l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite dell’attuale grado di giudizio.

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