Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-13, n. 202001826

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-13, n. 202001826
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001826
Data del deposito : 13 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/03/2020

N. 01826/2020REG.PROV.COLL.

N. 08480/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8480 del 2014, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie, 114;

contro

Ministero dell’economia e delle finanze;
Comando generale della Guardia di Finanza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sede di Roma, Sez, II, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il consigliere L L e uditi per le parti gli avvocati Francesco Nardocci su delega dichiarata dell’avvocato L P e l’avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso avanti il T.a.r. per il Lazio – Roma il sig. -OMISSIS-, all’epoca sottufficiale della Guardia di Finanza, ha impugnato il provvedimento del Comandante in seconda della Guardia di Finanza del 15 dicembre 2005, con cui gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

In ricorso sono state articolate le seguenti censure:

- incompetenza del Comandante in seconda della Guardia di Finanza, potendo la sanzione de qua essere disposta solo con decreto ministeriale;

- illegittimità dell’irrogazione della sanzione, disposta quale mera conseguenza di una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. senza alcun autonomo scrutinio dei fatti, che, oltretutto, lumeggerebbero l’assenza di responsabilità del ricorrente.

2. Con la sentenza in epigrafe indicata il T.a.r. (che già aveva respinto l’istanza cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-, rimasta inoppugnata) ha rigettato il ricorso.

3. L’interessato ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure di prime cure.

Si sono costituite in resistenza le Amministrazioni intimate.

Con ordinanza n.-OMISSIS-l’istanza cautelare formulata in ricorso è stata respinta, “ considerato che, ad un sommario esame, la sentenza impugnata appare congruamente motivata ed immune dalle censure prospettate dall’appellante ”.

Il ricorso è stato, alfine, discusso alla pubblica udienza del 30 gennaio 2020, in vista della quale il solo appellante ha versato in atti difese scritte.

4. Il ricorso in appello è manifestamente infondato.

4.1. Quanto alla censura di incompetenza del Comandante in seconda della Guardia di Finanza, il Collegio osserva che:

- già l’art. 4, comma 2, l. n. 189 del 1959, nel testo vigente ratione temporis , stabiliva, per quanto qui di interesse, che “ il Comandante generale presiede a tutte le attività concernenti l'organizzazione, il personale, l'impiego, i servizi tecnici, logistici e amministrativi, i mezzi e gli impianti della Guardia di finanza ”: l’ampiezza della locuzione utilizzata (“ tutte le attività concernenti … il personale ”) comprendeva, dunque, già allora anche la materia disciplinare;

- il successivo d.lgs. n. 165 del 2001 ha, poi, ristretto le competenze dell’organo politico alle sole “ funzioni di indirizzo politico ”, assegnando tutti i compiti di gestione del personale alla dirigenza amministrativa, abrogando implicitamente, in tal modo (cfr. art. 15 preleggi), tutte le previgenti disposizioni che attribuivano ai Ministri concreti poteri di disciplina del rapporto di lavoro;

- la novella ribadiva dunque, sotto altra prospettiva, il principio di diritto già desumibile dalla previgente disciplina, secondo cui al Comandante generale della Guardia di finanza spettavano tutti i compiti di gestione del personale, ivi incluso l’esercizio della potestà sanzionatoria (cfr. articoli 55 e ss. d.lgs. n. 165 del 2001;
in proposito, v. anche C.g.a., 3 maggio 2013 n. 435);

- oltretutto, la disposizione citata dal ricorrente (art. 61, l. n. 599 del 1954), vigente ratione temporis ma oggi abrogata, faceva riferimento non ad un decreto del Ministro, ma ad un “ decreto ministeriale ”, locuzione che, nel particolare caso della Guardia di Finanza, non inquadrata nella struttura del Ministero della difesa (la l. n. 599 si riferiva ad Esercito, Marina ed Aeronautica), implica che il Comandante generale esercitava le competenze che, per il settore della difesa, spettavano alla Direzione generale per il personale militare del Ministero della difesa, i cui decreti, evidentemente, avevano ed hanno natura “ ministeriale ”;

- tale assetto, peraltro, è stato espressamente confermato e riconosciuto dagli artt. 2135 e 2149 cod. ord.mil.;

- il Comandante generale della Guardia di finanza aveva delegato al Comandante in seconda del Corpo, tra l’altro, l’esercizio della potestà sanzionatoria con determinazione prot. n. 246000 del 28 luglio 2005.

4.2. Quanto alla censura attinente al merito della sanzione, il Collegio osserva che:

- ai sensi dell’art. 653, comma 1- bis , c.p.p. “ la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso ”;

- la disposizione non si riferisce alle sole sentenze emanate a seguito di dibattimento, ma genericamente a “ tutte le sentenze penali irrevocabili di condanna ”, locuzione ampia che prescinde dal rito seguito ed in cui rientrano, dunque, anche le sentenze di condanna rese ai sensi dell’art. 444 c.p.p.;

- del resto, l’art. 445, comma 1- bis , c.p.p., anche nel testo vigente ratione temporis , sanciva che “ salve diverse disposizioni di legge [nella specie non ricorrenti], la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna ” e, comunque, espressamente escludeva le previsioni dell’art. 653 c.p.p. dalla generale inefficacia della sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. nei “ giudizi civili o amministrativi ”;

- il compimento, da parte dell’incolpato, di una condotta truffaldina penalmente rilevante era, dunque, per l’Amministrazione un dato accertato ed indiscutibile;

- sulla base di tale oggettivo ed insuperabile dato di fatto, l’Amministrazione ha condotto un’autonoma valutazione dei riflessi disciplinari di siffatta condotta dell’incolpato, stimandola, con valutazione non inficiata da macroscopici profili di illogicità (del resto, non specificamente censurati dal ricorrente), incompatibile con il mantenimento dello status di appartenente alla Guardia di Finanza.

5. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso in appello va rigettato.

6. Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

6.1. Poiché il rigetto del ricorso si fonda su ragioni manifeste, sono integrati i presupposti per applicare, nella misura di cui al dispositivo, la sanzione di cui all’art. 26, comma 2, c.p.a., così come interpretato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 18 febbraio 2020 n. 1234 e 28 dicembre 2016 n. 5497), cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d], c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione, in conformità ai principi di massima elaborati, in termini generali, dalla Corte di cassazione ( ex multis , Sez. VI, 12 maggio 2017 n. 11939 e 2 novembre 2016 n. 22150).

7. La condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies , lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.

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