Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-09-25, n. 201404817

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-09-25, n. 201404817
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404817
Data del deposito : 25 settembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06824/2012 REG.RIC.

N. 04817/2014REG.PROV.COLL.

N. 06824/2012 REG.RIC.

N. 07008/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 6824 del 2012, proposto dal MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI e dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, nonché da SERVIZI INTEGRATI PER LA LOMBARDIA E LA LIGURIA - SETTORE INFRASTRUTTURE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

SINTESI S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Lombardi, Gianluca Gariboldi, Mauro Pisapia e Daniele Vagnozzi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via G. Bazzoni, 3,

nei confronti di

ITINERA S.p.a. (già IMPRESA GRASSETTO S.p.a.), in proprio e quale capogruppo del r.t.i. costituito con Pizzarotti &
C. S.p.a., CO.GE. Costruzioni Generali S.p.a., Gelfi Costruzioni S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;



2) nr. 7008 del 2012, proposto da ITINERA S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, quale capogruppo del r.t.i. costituito con Pizzarotti &
C. S.p.a., CO.GE. Costruzioni Generali S.p.a., Gelfi Costruzioni S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Emilio Carlo Maria Magnoni, Giovanni Balocco, Alessandro Mazza e Mariano Protto, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Maria Cristina, 2,

contro

SINTESI S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mauro Pisapia, Giuseppe Lombardi, Gianluca Gariboldi e Daniele Vagnozzi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via G. Bazzoni, 3,

nei confronti di

- MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI e MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, non costituiti;
- PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE PER LA LOMBARDIA E LA LIGURIA (già SERVIZI INTEGRATI PER LA LOMBARDIA E LA LIGURIA - SETTORE INFRASTRUTTURE), in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito;
- IMPRESA GRASSETTO S.p.a. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;

entrambi per l’annullamento e/o la riforma,

previa sospensione dell’esecuzione,

della sentenza nr. 1276/2012, pubblicata l’8 maggio 2012 e non notificata, resa dal T.A.R. della Lombardia, Sezione Seconda, nella causa nr. 611/2006 sul ricorso proposto da Sintesi S.p.a. contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero della Giustizia, il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la Lombardia e la Liguria (già Servizi Integrati per la Lombardia e la Liguria – Settore Infrastrutture), l’Impresa Grassetto S.p.a., Itinera S.p.a. (già Grassetto Lavori S.p.a.), nella parte in cui ha accolto il ricorso principale proposto da Sintesi S.p.a.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sintesi S.p.a.;

Viste le memorie prodotte dalla appellante Itinera S.p.a. (in data 31 maggio 2014) e dalla appellata Sintesi S.p.a. (in date 12 e 19 ottobre 2012 e 25 maggio 2014 in entrambi i giudizi, in data 13 giugno 2014 nel solo giudizio nr. 7008 del 2014) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2014, il Consigliere R G;

Uditi l’avv. dello Stato Bruni per le Amministrazioni appellanti, gli avv.ti Gariboldi e Pisapia per l’appellata Sintesi S.p.a. e l’avv. Protto per la appellante Itinera S.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero della Giustizia, unitamente a Servizi Integrati per la Lombardia e la Liguria – Settore Infrastrutture (cui è poi subentrato il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la Lombardia e la Liguria) hanno proposto appello, previa istanza cautelare di sospensiva, avverso la sentenza con la quale il T.A.R. della Lombardia ha accolto il ricorso della società Sintesi S.p.a. finalizzato all’accertamento dell’illegittimità e abusività dell’occupazione dell’area di proprietà della medesima società, alla conseguente condanna alla immediata restituzione in favore della ricorrente della suddetta area, libera da persone e cose e previa rimessione in pristino, alla ulteriore condanna delle Amministrazioni resistenti e della società Itinera S.p.a. (quale capogruppo del r.t.i. concessionario dell’esecuzione dell’opera e dello svolgimento della originaria procedura di esproprio), in solido tra loro, al pagamento in favore della ricorrente dei danni tutti da quest’ultima subiti e subendi dalla data di occupazione a quella di effettiva restituzione.

A sostegno dell’appello sono stati dedotti i seguenti motivi :

1) difetto di giurisdizione del T.A.R. (nella parte in cui il giudice adito non ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario cui, secondo l’indirizzo della Corte di Cassazione, spetta la cognizione su vicende del tipo di quella che occupa, non avendo alcuna rilevanza il fatto che il potere espropriativo sia originariamente attribuito all’amministrazione, in quanto il successivo venir meno di tale attribuzione, circoscritta nel tempo direttamente dal legislatore, determina una situazione assimilabile ad una vera e propria carenza assoluta di potere);

2) violazione dell’art. 2058, comma 2, e dell’art. 2933, comma 2, cod. civ. e dei principi elaborati a riguardo dall’adito Consiglio di Stato;
violazione dell’art. 125 cod. proc. amm. (laddove non si è tenuto conto del principio civilistico in base al quale tutte le volte - come nella fattispecie per cui è causa - in cui la restitutio in integrum comporta una oggettiva eccessiva onerosità per l’amministrazione responsabile dell’illecito o comporta un pregiudizio all’economia nazionale, non vi è spazio per valutazioni diverse da parte dell’amministrazione e spetta al giudice il potere di attribuire al danneggiato la sola tutela per equivalente);

3) violazione dell’art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, degli artt. 99 e 112 cod .proc. civ. e dei limiti esterni di giurisdizione;
violazione degli artt. 31 e 117 del cod. proc. amm. (la statuizione con cui si è imposto all’Amministrazione, d’ufficio ed in assenza di domanda della parte privata, di effettuare entro sei mesi la scelta tra restituzione del terreno e adozione del provvedimento di acquisizione sanante limita inammissibilmente la sfera di autonomia dell’Amministrazione, essendo stato fissato dal giudice, con determinazione officiosa ed imperativa, un termine per provvedere a tale scelta, in assenza di alcuna norma che fissi siffatto termine o che abiliti il giudice a fissarlo ed al di fuori di una istanza a riguardo dell’interessato, nonché al di fuori sia delle garanzie processuali sia degli stessi presupposti sostanziali espressamente previsti per l’azione di cui agli artt. 31 e 117 del cod. proc. amm.);

4) erronea determinazione del danno da occupazione;
violazione dell’art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001 (nella parte in cui non si è tenuto conto di ciò che risultava dagli atti, ossia della pacifica circostanza che i terreni dell’appellata erano stati dati in affitto, e pertanto la misura del danno da occupazione andava rapportata al canone di affitto pagato dal fittavolo, unico reddito di fatto percepibile durante il periodo programmato di vigenza del rapporto di affitto;
l’art. 42 bis , infatti, prevede che il criterio di forfetizzazione del danno da occupazione in misura del 5 % annuo sul valore di mercato dell’area possa essere utilizzato solo in via sussidiaria, “ …se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno ”).

Si è costituita in giudizio l’appellata Sintesi S.p.a., replicando con diffuse argomentazioni alle doglianze di parte appellante e chiedendone la reiezione.

II. Avverso la medesima sentenza del T.A.R. di Milano ha proposto appello, a sua volta chiedendone la riforma previa sospensione, anche la società Itinera S.p.a., deducendo i seguenti motivi :

1) in relazione al difetto di legittimazione passiva di Itinera S.p.a.: erronea e/o carente motivazione, errore grave e manifesto, travisamento dei fatti (nella parte in cui è stata attribuita anche al r.t.i. concessionario la responsabilità dell’occupazione illegittima de qua, atteso che il mandato conferito dall’Amministrazione alla concessionaria non può certo estendersi anche alle condotte omissive illegittime della p.a. espropriante ed al risarcimento del danno da queste cagionato, in violazione del divieto generale del neminem laedere ;
errato è inoltre il riferimento alla pregressa pronuncia della Corte d’Appello di Milano, che secondo il primo giudice vincolerebbe con forza di giudicato ogni valutazione sul profilo che qui rileva);

2) con riferimento ai criteri dettati dal primo giudice per la quantificazione del danno: erronea e/o carente motivazione, errore grave e manifesto, omissione e/o carenza di istruttoria, travisamento dei fatti (non essendosi considerato, nel caso di specie, che l’area in precedenza non era edificabile, ma agricola, in quanto alla data di apposizione del vincolo asseritamente decaduto, il 9 marzo 1987, l’area della società Sintesi S.p.a. non aveva vocazione edificatoria, così che la variante al P.R.G. non aveva escluso né limitato un preesistente ius aedificandi ;
inoltre, il giudice di prime cure ha erroneamente richiamato, ai fini dell’individuazione del valore venale del suolo, la C.T.U. disposta dalla Corte d’Appello di Milano nel giudizio civile, tra le medesime parti, conclusosi con la sentenza nr. 1965 del 2002, dal momento che le attività peritali svolte in un diverso procedimento non potevano assumere un valore probante nel presente giudizio).

Anche in questo giudizio, si è costituita l’appellata Sintesi S.p.a., controdeducendo articolatamente ai rilievi di parte appellante e chiedendo la reiezione del gravame.

III. Alla camera di consiglio del 16 ottobre 2012, fissata per l’esame delle domande incidentali di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, queste sono state differite sull’accordo delle parti, per essere abbinate alla trattazione del merito.

IV. All’udienza pubblica del 24 giugno 2014, le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. In via del tutto preliminare, va disposta la riunione degli appelli in epigrafe ai sensi dell’art. 96 cod. proc. amm., trattandosi di impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza del T.A.R. della Lombardia.

2. Ciò premesso, per una migliore comprensione delle statuizioni che seguiranno, giova fornire una sommaria ricostruzione della vicenda amministrativa e processuale per cui è causa.

2.1. La società Sintesi S.p.a. è proprietaria di un’area posta tra i Comuni di Milano, Rho e Bollate, oggetto di un procedimento espropriativo promosso dal Ministero dei Lavori Pubblici, finalizzato alla realizzazione di un nuovo istituto penitenziario.

Tale procedimento è stato realizzato attraverso la scelta di un concessionario per la progettazione, direzione dei lavori, espletamento delle procedure e costruzione del carcere;
la scelta è stata effettuata attraverso licitazione privata aggiudicata al r.t.i. avente quale capogruppo la Impresa Grassetto S.p.a., successivamente incorporata dalla Itinera S.p.a.

2.2. Nell’ambito della procedura così avviata, è stata disposta l’occupazione d’urgenza delle aree della predetta società, effettuata in data 10 giugno 1996.

2.3. Nelle more del formale completamento della procedura espropriativa, la società medesima ha proposto opposizione alla determinazione dell’indennità di esproprio e di occupazione.

Con sentenza nr. 1965 del 26 luglio 2002, la Corte d’Appello di Milano ha determinato l’indennità di occupazione a favore di Sintesi S.p.a., non pronunciandosi però sulla domanda relativa all’indennità di esproprio, in mancanza dell’adozione del decreto espropriativo.

Avverso la suindicata pronuncia l’interessata ha proposto ricorso per cassazione, poi definito con la sentenza nr. 21434 del 12 ottobre 2007, che ha confermato le statuizioni del giudice d’appello.

2.4. Nel frattempo, essendo stata completata l’opera pubblica, senza però la formale adozione di un decreto di esproprio, Sintesi S.p.a. ha proposto ricorso dinanzi al T.A.R. della Lombardia, chiedendo in via principale la condanna dell’Amministrazione statale e del concessionario alla restituzione delle aree, ormai occupate senza titolo, oltre al risarcimento del danno, da corrispondere in ogni caso, ossia anche in caso di mancata restituzione del fondo.

2.5. Successivamente, è stato adottato il decreto di esproprio, subito impugnato dall’interessata con ulteriore ricorso dinanzi al medesimo T.A.R. siccome emesso dopo la scadenza dei termini dell’occupazione legittima.

2.6. Il T.A.R. adito, con una prima sentenza (poi passata in giudicato), ha deciso quest’ultima impugnazione annullando il decreto di esproprio, in quanto intervenuto oltre i termini di legge;
con successiva decisione, oggetto dei presenti appelli, ha così definito il giudizio afferente alla domanda risarcitoria e di restitutio in integrum :

- ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Impresa Grassetto S.p.a. in liquidazione;

- ha dichiarato irricevibile la domanda riconvenzionale proposta dall’Avvocatura dello Stato nell’interesse delle Amministrazioni statali, al fine di ottenere la dichiarazione di manleva a carico della concessionaria;

- ha accolto la domanda principale, condannando tutte le parti intimate, in solido, al risarcimento del danno da quantificarsi col meccanismo di cui all’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., oltre al pagamento delle spese di causa.

2.7. A seguito della sentenza da ultimo citata, pur avendo la società ricorrente richiesto a tutte le Amministrazioni interessate di darvi tempestiva esecuzione, e pur risultando effettivamente nominato il responsabile del relativo procedimento, l’Amministrazione e Itinera S.p.a hanno impugnato, con i due autonomi appelli oggi all’esame della Sezione, la sentenza de qua così come esposto nella narrativa in fatto.

2.8. Per completezza espositiva, si aggiunge che fra le parti è tuttora in corso anche giudizio di ottemperanza dinanzi al primo giudice per l’esecuzione della sentenza di primo grado, essendo intervenuti:

- un nuovo invito ad adempiere da parte della società istante, rimasto tuttavia anch’esso privo di riscontro;

- un’ordinanza (nr. 1383 del 2013) con la quale il T.A.R. ha assegnato alle parti intimate un termine ulteriore per l’adozione di un eventuale decreto di acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, ed inoltre, per quanto riguarda la determinazione del valore del bene da acquisire, ha ribadito le conclusioni già raggiunte in ordine alla natura edificatoria dell’area occupata, come già stabilito dalla Corte di Cassazione all’esito del contenzioso civile sulla determinazione dell’indennità di occupazione ed alla rilevanza a tal fine delle conclusioni alle quali è giunto il C.T.U. nominato nell’ambito del medesimo contenzioso civile;

- un decreto di acquisizione delle aree oggetto di occupazione, adottato ai sensi del precitato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001;

- il reclamo ritualmente proposto da Sintesi S.p.a. avverso tale ultimo provvedimento, sul quale il giudice adito non risulta ad oggi essersi pronunciato.

3. Tutto ciò premesso, l’appello proposto dall’Amministrazione si appalesa infondato e va respinto, mentre l’appello proposto da Itinera S.p.a. risulta solo parzialmente fondato, e va conseguentemente accolto nei limiti che verranno appresso precisati.

4. In ordine logico, va esaminato prioritariamente il primo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con cui è eccepita l’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione, richiamandosi l’orientamento della giurisprudenza ordinaria secondo cui, nei casi in cui l’occupazione divenga illegittima per il decorso del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e/o del decreto di occupazione senza che sopravvenga il decreto di esproprio, si verserebbe in ipotesi di carenza assoluta di potere e, quindi, le relative controversie spetterebbero al giudice ordinario.

Tuttavia, l’eccezione così formulata risulta inammissibile perché preclusa dalla mancata impugnazione della sentenza (nr. 7968 del 18 giugno 2009) con cui il Tribunale di Milano, cui la stessa Sintesi S.p.a. si era a suo tempo rivolta con la medesima domanda poi proposta dinanzi al T.A.R., ha declinato la propria giurisdizione.

Al riguardo, del tutto pertinente è il richiamo di parte appellata all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui una sentenza che declina la giurisdizione può, se del caso, essere contestata con i rimedi previsti per tale sentenza (nella specie: appello dinanzi alla competente Corte civile di appello), ma non può essere rimessa in discussione mediante eccezione o regolamento preventivo di giurisdizione, né nel giudizio a quo né nel giudizio riassunto, atteso che sia l’art. 11, comma 2, cod. proc. amm., che l’art. 59, comma 2, della legge 18 giugno 2009, nr. 69, attribuiscono alla sentenza che declina la giurisdizione l’attitudine a passare in giudicato formale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 16 dicembre 2011, nr. 24).

Giova aggiungere, se ve ne fosse bisogno, che tale attitudine a passare in giudicato è connotato non solo delle sentenze declinatorie della giurisdizione del giudice amministrativo (giusta anche la previsione dell’art. 9 cod. proc. amm., che come è noto ha codificato l’istituto di matrice giurisprudenziale del giudicato implicito sulla giurisdizione), ma, ovviamente, anche di quelle del giudice ordinario ex art. 37 cod. proc. civ.

A fronte di tali piani argomenti, essendosi quindi indubitabilmente formato inter partes un giudicato sulla giurisdizione, nessuna rilevanza ha il fatto – su cui insiste l’Amministrazione appellante – che non vi fu tempestiva riassunzione del giudizio a seguito della suindicata sentenza nt. 7968 del 2009 (circostanza dovuta anche al fatto che all’epoca già pendeva giudizio dinanzi al T.A.R. della Lombardia, che Sintesi S.p.a. aveva instaurato parallelamente a quello intentato presso il Tribunale ordinario).

5. Sempre seguendo la successione logica delle questioni sollevate nei due appelli in esame, va poi delibato il primo mezzo proposto da Itinera S.p.a., col quale questa reitera l’eccezione di proprio difetto di legittimazione passiva, contestando l’opposta statuizione del T.A.R., il quale ha desunto la responsabilità solidale delle Amministrazioni e della società odierna appellante - quest’ultima in qualità di concessionaria della procedura di esproprio - dalle statuizioni rese in sede civile dalla Corte d’Appello e dalla Corte di Cassazione, assumendo che le stesse avrebbero valore di giudicato sul punto in contestazione.

Parte appellante assume l’erroneità di tale conclusione, ribadendo il proprio avviso secondo cui le statuizioni rese nel giudizio civile suindicato, relativo all’opposizione all’indennità di occupazione stabilita dall’Amministrazione espropriante, non sarebbero idonee a vincolare il giudice amministrativo nel presente giudizio.

5.1. Sotto tale profilo il motivo non è privo di fondatezza, dovendo al riguardo richiamarsi il noto principio per cui l’efficacia preclusiva del giudicato presuppone non solo l’identità soggettiva delle parti, ma anche l’identità oggettiva delle cause, e quindi l’identità del petitum e della causa petendi fatti valere nei due giudizi (cfr. Cass.civ., sez. I, 8 agosto 2013, nr. 19017;
Cass.civ., sez. II, 15 novembre 2012, nr. 20003;
Cass. Civ., sez. III, 24 gennaio 2007, nr. 1514).

Appare evidente che nel caso di specie – così come evidenziato da parte appellante - tale identità non vi è, in quanto nel precedente giudizio civile si faceva questione dell’obbligo di corrispondere l’indennizzo (il cui ammontare era oggetto di contestazione), e pertanto in quella sede la solidarietà è stata affermata quale conseguenza pressoché automatica del fatto che l’intera gestione della procedura espropriativa era stata affidata dall’Amministrazione ad un soggetto privato (e facendo espressamente salvi i rapporti interni fra di essi);
laddove nella presente fattispecie si controverte di responsabilità risarcitoria da illecito, e quindi il titolo azionato afferisce ad un comportamento contra jus, ossia l’occupazione usurpativa dell’area di proprietà dell’originaria ricorrente, rispetto al quale la solidarietà passiva dei danneggianti avrebbe tutt’altro fondamento, dovendo accertarsi in concreto se tutte le parti convenute abbiano effettivamente concorso nell’illecito ex art. 2055 cod. civ.

Pertanto, la questione non è tanto quella di richiamarsi a una forza vincolante di un pregresso giudicato intervenuto tra la parti (vincolatività che non sussiste, per le ragioni appena evidenziate), ma piuttosto quella di verificare se gli elementi di fatto addotti dall’originaria istante, e più in generale le risultanze in atti, siano o meno idonei a suffragare la conclusione per cui tutte le parti intimate in prime cure, e quindi anche Itinera S.p.a., abbiano concorso nell’illecita occupazione de qua, e quindi debbano – così come chiesto dalla ricorrente – essere chiamate a rispondere in solido dei relativi danni.

5.2. Sotto tale ultimo profilo, la appellante Itinera S.p.a. assume di essere esente da qualsivoglia responsabilità, avendo più volte sollecitato, una volta conclusi i lavori, la tempestiva emanazione del decreto di esproprio, la cui competenza era espressamente riservata all’Amministrazione: l’ultimo di tali solleciti risulta effettuato in data 27 settembre 2002, allorché erano ancora pendenti i termini della procedura di esproprio (prorogati con apposito provvedimento fino al 23 marzo 2003).

5.2.1. Per converso la appellata non contesta in fatto tale ricostruzione, assumendo però che le produzioni documentali in primo grado, mediante le quali l’odierna appellante sostiene di aver documentato l’assenza di profili di colpa a proprio carico, avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili perché tardive: infatti, tali produzioni avvennero in una fase processuale in cui i termini per il deposito di memorie e documenti ex art. 73, comma 1, cod. proc. amm., erano stati riaperti dal T.A.R. con espresso e specifico riferimento alla domanda riconvenzionale di manleva proposta dall’Amministrazione col proprio ricorso incidentale (poi dichiarato irricevibile), non potendo dunque tale riapertura risolversi in una generale “sanatoria” estensibile a qualsivoglia produzione fuori termine.

Quest’ultima obiezione non può essere condivisa, dal momento che la produzione di primo grado era del tutto pertinente rispetto alle ragioni che avevano determinato la riapertura dei termini, essendo la domanda riconvenzionale dell’Amministrazione intesa proprio allo scopo di far valere l’esclusione della propria responsabilità rispetto a quella dell’impresa concessionaria;
di modo che i documenti di che trattasi, afferenti ai rapporti interni tra Ente concedente e impresa concessionaria nella fase della scadenza dei termini per l’adozione del decreto di esproprio e della successiva occupazione sine titulo, una volta entrati nel giudizio per dimostrare l’asserita impossibilità di escludere ogni responsabilità dell’Amministrazione concedente, possono certamente essere utilizzati anche al diverso scopo di sostenere l’esenzione in concreto dalla medesima responsabilità del soggetto concessionario.

5.2.2. Tutto ciò premesso, la Sezione reputa che la responsabilità solidale delle Amministrazioni convenute e di Itinera S.p.a., così come affermata dal primo giudice, sia meritevole di conferma.

E, difatti, dalla documentazione prodotta dalla stessa odierna appellante emerge:

- che effettivamente la società Grassetto S.p.a. (dante causa della appellante) aveva, in pendenza dei termini di conclusione delle procedure ablatorie, più volte sollecitato l’adozione del decreto prefettizio di esproprio;

- che, proprio a seguito di tali solleciti, vi era stata l’ulteriore proroga dei termini al 23 marzo 2003, con decreto del Provveditore alle Opere Pubbliche del 5 febbraio 2001;

- che la mancata adozione del decreto di esproprio nei confronti di Sintesi S.p.a dipese dalla pendenza del contenzioso giudiziale da questa instaurato in relazione all’entità dell’indennità di occupazione;

- che, peraltro, dopo la definitiva scadenza del termine la società odierna appellante non ritenne più di attivarsi per sollecitare l’adozione di un qualsiasi provvedimento che ponesse fine alla perdurante occupazione sine titulo, non rinvenendosi in atti alcun ulteriore atto o documento riconducibile a detta società (eccezion fatta per una nota datata 22 marzo 2005, che costituisce una mera risposta alla richiesta di chiarimenti sullo stato del procedimento pervenuta dalla Commissione di collaudo).

Di conseguenza, risulta per tabulas che la società concessionaria – la quale, pure, finché erano pendenti i termini della procedura espropriativa aveva reiteratamente sollecitato una “rituale” conclusione della procedura medesima – dopo la scadenza di detti termini rimase sostanzialmente inerte per ben quattro anni, pur essendo perfettamente a conoscenza del protrarsi dell’occupazione dell’area in questione, ormai non più sorretta da valido titolo legittimante.

Quanto sopra è sufficiente, ad avviso della Sezione, a ritenere provata la corresponsabilità di Amministrazione e concessionaria nell’illecito per cui è causa: infatti, è evidente che il soggetto che è stato delegato dall’Amministrazione per l’esecuzione delle attività espropriative non può ritenersi esonerato, per il solo fatto che i termini procedimentali siano scaduti, dal dovere di fare tutto quanto è in proprio potere per evitare l’indefinito protrarsi di una situazione contra jus che la sua stessa attività, inizialmente legittima, ha di fatto contribuito a determinare.

A tale conclusione induce l’applicazione dei comuni principi in tema di responsabilità aquiliana, laddove si assume in giurisprudenza, da un lato, che ai fini dell’individuazione del nesso causale per omissione può rilevare anche la violazione di un generico obbligo di impedire l’evento lesivo derivante da una specifica situazione tale da imporre il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui, ben potendo siffatta situazione scaturire anche da pregressa attività posta in essere dall’agente (cfr. Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2012, nr. 3876;
Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2004, nr. 14484), ovvero da uno specifico rapporto negoziale o di altra natura esistente fra il danneggiante ed il danneggiato (cfr. Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2006, nr. 12111;
id., 30 giugno 2005, nr. 13957), e, per altro verso, che l’omissione può connotarsi dell’elemento oggettivo della colpa anche in caso di mera inerzia a fronte di una situazione pregiudizievole in atto, nota all’agente e che quest’ultimo avrebbe avuto la possibilità di impedire o far cessare (cfr. Cass. civ., sez. III, 14 giugno 1999, nr. 5880).

6. Può passarsi poi all’esame del secondo motivo di appello dell’Amministrazione, incentrato sulla asserita, erronea mancata applicazione degli artt. 2058, comma 2, e 2933 cod. civ., con riferimento alla parte della sentenza in cui, prima di ordinare la restituzione dei suoli illegittimamente occupati, il primo giudice ha rilevato l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle predette disposizioni derogatorie rispetto alla possibilità di disporre il risarcimento in forma specifica.

Il motivo è infondato.

Al riguardo, va innanzi tutto rilevato che il T.A.R., nel passaggio motivazionale in questione, si è limitato ad evidenziare, richiamando pregressa e consolidata giurisprudenza, come il semplice fatto dell’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fosse ex se ostativo all’esecuzione specifica.

Ciò premesso in via generale, nella specie non risultavano in atti allegazioni ed elementi tali da far emergere l’eccessiva onerosità della restitutio in integrum , e men che meno il possibile pregiudizio all’economia nazionale: circostanze che – è quasi superfluo sottolinearlo - avrebbero dovuto essere specificamente provate dall’Amministrazione convenuta, e non semplicemente presunte sulla base della mera esistenza di un’opera pubblica.

Al di là dei piani rilievi che precedono, è lecito perfino dubitare dell’ammissibilità della doglianza sotto il profilo dell’interesse a sostenerla (o, quanto meno, dell’attualità di tale interesse), se si considera:

- che l’ordinamento predispone a favore dell’Amministrazione occupante uno specifico strumento per evitare la restituzione delle aree anche indipendentemente dalla prova dei presupposti di fatto richiesti dalle norme sopra richiamate, e cioè, appunto, l’acquisizione “sanante” oggi disciplinata dall’art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001;

- che, peraltro, tale strumento è stato in concreto impiegato dall’Amministrazione nel caso che qui occupa (come già evidenziato al precedente punto 2.8), di modo che ogni esigenza pubblicistica che l’Amministrazione ritenesse sussistente poteva essere, e di fatto è stata, pienamente salvaguardata.

7. Privo di pregio è anche il terzo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con cui si assume l’illegittimità dell’ordine impartito dal primo giudice al fine – tra l’altro – di indurre l’adozione di un decreto di acquisizione ai sensi del più volte citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001, trattandosi di incombente riconducibile a potestà originaria della p.a., non conculcabile da un ordine giurisdizionale, e peraltro nella specie neanche richiesto dalla parte ricorrente.

Al riguardo, se anche può condividersi l’assunto di fondo di parte appellante secondo cui il giudice amministrativo non può ordinare all’Amministrazione l’adozione di un decreto di acquisizione “sanante”, essendo tale attività espressione di un potere autonomo e incoercibile del p.a. (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2014, nr. 1344;
peraltro, più di recente la Sezione ha rimesso la questione al vaglio dell’Adunanza plenaria: cfr. ord. 3 luglio 2014, nr. 3347), tuttavia nel caso di specie risulta chiarissimo dal tenore letterale della sentenza impugnata che un siffatto ordine non vi è stato, essendo stato solo ordinato all’Amministrazione di far cessare un illecito ancora in itinere, riconosciuto quale fonte di responsabilità extracontrattuale in accoglimento della domanda attorea, con l’indicazione a tal fine di diverse vie alternative, una sola delle quali era l’adozione di un decreto di acquisizione.

Ritiene la Sezione che un tale ordine possa essere ricondotto al potere del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera c ), c.p.a., di condannare l’Amministrazione “ all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio ” (e ciò senza pregiudizio dell’ulteriore questione, oggetto dell’ordinanza nr. 3347 del 2014 sopra richiamata e che in questa sede non rileva, se in caso di inerzia della p.a. l’adozione del decreto di acquisizione sia coercibile in sede di ottemperanza per tramite di Commissario ad acta ).

In altri termini, il primo giudice si è in sostanza limitato a imporre all’Amministrazione il raggiungimento di un risultato, ossia la cessazione dell’occupazione sine titulo , lasciando alla sua discrezionalità la scelta della modalità più idonea a perseguirlo e al tempo stesso più conforme all’interesse pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 1344 del 2014, cit.).

8. Col quarto e ultimo motivo di appello dell’Amministrazione, con specifico riferimento alla quantificazione del danno risarcibile, si contesta l’applicazione analogica del criterio del 5 % del valore venale di cui al citato art. 42 bis per la liquidazione del danno da occupazione, assumendosi che nella stessa impostazione della norma si tratta di un criterio sussidiario, destinato a trovare applicazione solo ove dagli atti non emerga una diversa entità del danno, e che – appunto - nel caso di specie, essendovi prova del fatto che il terreno per cui è causa era dato in locazione ad un fittavolo, il danno dovrebbe essere equivalente al canone da questo corrisposto.

Al riguardo, la Sezione reputa superfluo approfondire la questione generale se, in ipotesi di occupazione abusiva di immobile che il proprietario aveva concesso in locazione a terzi, il danno da mancato godimento del bene cagionato dall’occupazione sia destinato a esaurirsi nei canoni di locazione che il proprietario avrebbe dovuto (o potuto) percepire nel periodo dell’illegittima occupazione;
ciò in quanto nella specie non può dirsi che in atti vi sia piena prova della situazione di fatto sulla quale l’Amministrazione fonda la propria doglianza.

In particolare, sarebbe stato onere della parte pubblica provare specificamente l’esistenza del rapporto locatizio, il titolo su cui lo stesso si fondava (non essendo a tal fine sufficiente la mera circostanza che nelle sentenze intervenute nel giudizio civile inter partes si faccia cenno, in modo generico e del tutto atecnico, alla presenza di “ coltivatori diretti ” sull’area per cui è causa) e soprattutto la durata di siffatto rapporto (non essendo irrilevante, nella stessa prospettazione di parte appellante, un’eventuale scadenza contrattuale intervenuta durante il periodo di occupazione sine titulo );
inoltre, occorrerebbe la prova del fatto che durante l’occupazione, e a causa di essa, la società proprietaria del suolo non abbia più percepito i canoni di locazione, ovvero che questi siano stati corrisposti a terzi, al fine di comprovare l’asserita immedesimazione tra il danno subito e la mancata percezione dei canoni medesimi.

Di tutte queste circostanze l’Amministrazione appellante non ha fornito alcuna prova, di modo che l’assunto su cui si fonda la censura resta nei limiti di un’asserzione apodittica e priva di alcun concreto riscontro in atti (neanche nella forma del “ principio di prova ” suscettibile di indurre la Sezione ad approfondimenti officiosi).

9. Discorso diverso va fatto, invece, per l’ultimo motivo d’appello articolato dalla appellante Itinera S.p.a., anch’esso afferente alla quantificazione del danno risarcibile, il quale risulta in parte fondato, come subito appresso si dirà.

9.1. La Sezione ritiene di dover affrontare primariamente la questione dell’efficacia nel presente giudizio delle risultanze della C.T.U. disposta in sede civile nel giudizio sull’opposizione alla stima, culminato nelle sentenze della Corte d’Appello di Milano nr. 1965 del 2002 e della Corte di Cassazione nr. 21434 del 2007.

Al riguardo, escluso che tali sentenze possano avere forza di giudicato fra le parti (giusta quanto si è rilevato sub 5.1 circa la non identità dei giudizi), il punto da approfondire è, molto più semplicemente, se gli accertamenti tecnici sopra richiamati possano far stato, e fino a che punto, nel presente giudizio.

In tema, l’indirizzo prevalente in giurisprudenza è nel senso che il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto ed in virtù del principio dell’unità della giurisdizione, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse parti, e da esse desumere elementi che, al di fuori dei casi di opponibilità dell’accertamento derivante dal giudicato, devono, peraltro, costituire oggetto di autonoma valutazione dei fatti sottoposti alla sua cognizione (cfr. Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2014, nr. 7698;
id., 14 maggio 2013, nr. 11555).

Così stando le cose, appare del tutto ragionevole in via di principio che il T.A.R. abbia ritenuto di tener conto delle risultanze della C.T.U. già esperita tra le parti, ancorché disposta in diverso giudizio e insuscettibile di costituire giudicato vincolante, quanto all’individuazione del valore di mercato dell’immobile su cui calcolare il danno da illegittima occupazione.

9.2. Tuttavia, proprio perché non vincolante, il criterio così indicato dal primo giudice va corretto e riequilibrato in relazione al protrarsi dell’occupazione illegittima per cui è causa, la quale risulta aver avuto una durata più che decennale, permanendo dal 24 febbraio 2003 (data della scadenza dell’ultimo termine prorogato per l’ultimazione della procedura di esproprio) fino al 31 luglio 2013 (data del decreto di acquisizione sanante emesso dall’Amministrazione, tuttora valido ed efficace ancorché oggetto di contestazione giudiziale).

Pertanto, è evidente che ai fini di una corretta applicazione del criterio di calcolo del danno indicato dal primo giudice occorre individuare il valore di mercato per ciascun anno di occupazione sulla base del regime urbanistico dei suoli, e su questo di volta in volta applicare il parametro normativo del 5 %.

Tali rilievi aiutano a comprendere il perché il valore individuato nella C.T.U. richiamata dal giudice di prime cure, pur correttamente assunto come parametro di partenza, possa costituire appunto solo la base per un calcolo del valore venale dell’immobile che voglia essere pienamente aderente alla realtà: infatti, poiché la predetta C.T.U. è stata esperita nel 2002 (e, quindi, ben prima dell’inizio dell’occupazione sine titulo ), le parti chiamate a individuare l’ammontare del danno da risarcire, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., dovranno verificare se i dati accertati in tale sede abbiano conservato attualità anche negli anni successivi, in ragione delle eventuali variazioni della destinazione urbanistica dell’area medio tempore intervenute e delle fluttuazioni del mercato immobiliare, e solo all’esito di tale accertamento procedere all’individuazione del valore di mercato anno per anno e applicare su di esso il ricordato parametro del 5 %.

9.3. Inoltre, al fine di integrare il decisum di primo grado sul punto e di meglio orientare l’attività da compiere, giova evidenziare come non possa in alcun modo condividersi quanto sostenuto dalla appellante in altra parte del motivo qui esaminato, e cioè che nella specie sarebbe erroneo ritenere applicabile all’area di che trattasi il regime urbanistico delle c.d. “zone bianche” (argomento sulla base del quale il primo giudice ha riconosciuto all’area de qua vocazione edificatoria, sia pure nei limiti previsti dalla legge per le zone prive di strumento urbanistico).

In sostanza, si assume che il regime delle “zone bianche” sarebbe dettato solo per le aree, già edificabili, che siano state gravate da vincolo espropriativo successivamente scaduto per decorso del termine quinquennale di efficacia: laddove nel caso di specie, anteriormente alla variante con la quale nel 1987 sull’area per cui è causa fu imposto il vincolo preordinato alla realizzazione della struttura penitenziaria, detta area aveva destinazione agricola e non edificatoria.

L’argomentazione non persuade, essendo evidente che la norma di cui all’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, nr. 10, è dettata in via generale per i Comuni sprovvisti di P.R.G., ed è stata sempre interpretata e applicata nel senso che il regime da essa previsto si applica in tutti i casi di decadenza di un vincolo espropriativo, senza alcuna considerazione di quale fosse la disciplina di zona antecedentemente all’apposizione del vincolo;
non merita accoglimento, dunque, la prospettazione di parte appellante secondo la quale la decadenza del vincolo introdotto nel 1987 avrebbe fatto “rivivere” la destinazione agricola antecedente, come se la variante non vi fosse mai stata e in modo da escludere l’applicabilità del regime delle “zone bianche”.

10. In conclusione, s’impone una decisione di integrale reiezione dell’appello proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dalle altre Amministrazioni statali, mentre il secondo appello, proposto da Itinera S.p.a., risulta meritevole di accoglimento solo in parte, per le ragioni e nei limiti che si sono precisati.

Ne discende la parziale riforma della sentenza di primo grado, nel senso di integrare e precisare i criteri indicati dal primo giudice ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm. per la quantificazione del danno risarcibile come indicato al precedente 9.

11. In considerazione della peculiarità e della complessità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi