Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-04-18, n. 201202265

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-04-18, n. 201202265
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201202265
Data del deposito : 18 aprile 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03713/2010 REG.RIC.

N. 02265/2012REG.PROV.COLL.

N. 03713/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3713 del 2010, proposto da P G S, rappresentato e difeso dall'avv. N F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Premosello, 36;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. VI n. 02190/2009, resa tra le parti, concernente IRROGAZIONE DELLA SANZIONE DISCIPLINARE DELLA RIDUZIONE DELLO STIPENDIO


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2012 il Cons. A B e uditi per le parti l’avvocato S, su delega dell’avv. Falvella, e l’avvocato dello Stato Urbani Neri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

P G S propone ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 2190/09 del Consiglio di Stato, Sesta Sezione, con la quale è stato respinto l’appello avverso la sentenza TAR Lazio,Roma, I ter , n. 4248/03 .

Afferma il ricorrente, dirigente del ministero dell’Interno in servizio presso la prefettura di Salerno, che con la predetta sentenza di primo grado era stato respinto il ricorso proposto avverso la sanzione disciplinare della riduzione dello stipendio per un mese e della mancata valutabilità del servizio prestato nel 1997, disposta con decreto del 5 agosto 1997.

Avverso tale decisione lo S aveva proposto appello al Consiglio di Stato, che si è espresso con la sentenza sopra citata, di reiezione della impugnazione proposta.

Ad avviso del ricorrente la decisione del Consiglio di Stato sarebbe suscettibile di revocazione per errore di fatto, violazione degli artt. 16 e 17 DPR 3/1957 e dell’art. 12 delle disposizioni sulle leggi in generale (preleggi).

Infatti, il collegio giudicante avrebbe sbagliato nell’affermare che il dottor S non era rientrato in servizio presso l’Amministrazione, nonostante gli inviti rivolti, da intendersi come ordine puntualmente impartito in via gerarchica.

Gli errori, in particolare, sarebbero due:

1. il dottor S non si sarebbe mai assentato dal servizio durante l’attività di Presidente del Consorzio Salernitano Trasporti Pubblici (CSTP), avendo svolto tale attività al di fuori dell’orario di servizio;

2. gli inviti rivolti non sarebbero qualificabili come ordini, trattandosi di meri inviti.

Ciò configurerebbe un’errata percezione del fatto (cosiddetto abbaglio dei sensi) che giustificherebbe la revocazione della decisione impugnata.

Deduce, poi, il ricorrente un secondo motivo di impugnazione: errore di fatto, violazione degli artt. 119 e 120 DPR 3/1957, violazione dell’art. 86 RD 642/1907 e violazione dell’art. 112 c.p.c.

Infatti, il collegio d’appello avrebbe errato nel ritenere che non fosse decorso il termine di 90 giorni previsto dall’art. 120 del DPR 3/1957, mente era stato puntualmente dedotto che il procedimento disciplinare era iniziato con la contestazione degli addebiti in data 23 luglio 1996 e si era concluso in data 5 agosto 1997. In questo arco temporale, il procedimento aveva subito una sospensione di 63 giorni per l’accesso agli atti (disposto con sentenza TAR n. 254/1997). Da tale ricostruzione in fatto, dovrebbe discendere l’avvenuto superamento del termine di 90 giorni all’uopo previsto per la conclusione del procedimento disciplinare.

Inoltre, il collegio giudicante non avrebbe in alcun modo valutato, configurando un caso di omessa pronuncia, neanche un altro motivo di estinzione del procedimento disciplinare, pure dedotto espressamente: la violazione dell’art. 119 t.u. n. 3/1957: infatti, dopo la sentenza del Tar che aveva disposto l’accesso agli atti, l’Amministrazione avrebbe riattivato il procedimento disciplinare ben oltre il termine decadenziale di trenta giorni.

Un ulteriore motivo di revocazione viene individuato, poi, nell’errore di fatto e nella violazione dell’art. 103, comma 2, DPR 3/1957: il Collegio, infatti, ha affermato che l’avvio dell’azione disciplinare non sarebbe caratterizzato da notevole ritardo, tenuto conto che l’invito formale rivolto al dott. S, da parte del prefetto di Salerno, a rientrare nei ranghi dell’Amministrazione di appartenenza risalirebbe all’aprile del 1996, mentre l’atto di contestazione è del successivo 23 luglio. Ad avviso del ricorrente, invece, occorrerebbe individuare, quale dies a quo , la data del 15 maggio 1995, nella quale lo stesso dottor S aveva informato il prefetto dell’avvenuto conferimento della delega a svolgere l’incarico in questione da parte del sindaco di Sarno.

Deduce, inoltre, il ricorrente un ulteriore errore di fatto e violazione dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 29/1993,violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione dell’art. 2 c.p. Infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il dottor S non avesse mai richiesto l’autorizzazione a proseguire l’attività di presidente del CSTP dopo il reinsediamento degli organi elettivi presso il comune di Sarno e che tale attività fosse comunque incompatibile con il rapporto di lavoro e che non potesse applicarsi il disposto di cui all’art. 1, comma 60, della legge n. 662/1996.

Tutto ciò sarebbe frutto di errore: con nota del 15 maggio 1996 il dottor S aveva comunicato ad ogni effetto alla prefettura il proseguimento dell’attività, “ove nulla osti da parte dell’Amministrazione”. L’elenco, poi, delle ipotesi in cui gli incarichi sono vietati sarebbe rigorosamente riservata dal legislatore alle fonti primarie e secondarie, senza possibilità di introdurre ulteriori divieti in sede amministrativa.

Ancora, si chiede il ricorrente perché nel caso di specie non sia stata fatta applicazione, quale norma più favorevole, dell’art. 1, comma 60, della legge 23 dicembre 1996 n. 662.

Il ricorrente deduce, altresì, errore di fatto e violazione degli artt. 3 e 97 Cost.: infatti il collegio giudicante non avrebbe riscontrato disparità di trattamento in relazione all’analoga posizione del collega della prefettura di Sarno, dottor N A. Anch’egli rappresentante del disciolto comune di Scafati in senso al CSTP ed eletto vicepresidente, con prosecuzione dell’attività anche dopo la ricostituzione degli organi elettivi del comune rappresentato.

Al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, l’attività disciplinare non avrebbe natura vincolata, ma discrezionale e, quindi, sarebbe evidente che avrebbe dovuto trovare ingresso la valutazione della censura di disparità di trattamento svolta in proposito dal ricorrente.

Il ricorrente propone quale motivo ulteriore di revocazione l’errore di fatto e violazione degli artt. 106 e 107, comma 1, del DPR 3/1957, violazione del’art. 112 c.p.c. e artt. 24 e 97 Cost. Nel caso di specie, infatti, al contrario di quanto ritenuto nella sentenza impugnata, avrebbe fatto difetto la motivazione relativa alla rimessione dell’affare alla commissione di disciplina.

Da ultimo, il ricorrente deduce errore di fatto e violazione degli artt. 11 e 112 DPR 3/1957, violazione dell’art. 6 della Convenzione sui diritti dell’uomo, violazione dell’art. 112 c.p.c. e artt. 24 e 97 Cost. Ed invero, il collegio giudicante ha ritenuto non adeguatamente provato che il dottor S, impegnato in altra attività di servizio, fosse impedito dal delegare tale ultima incombenza, e potesse così partecipare alla riunione della commissione di disciplina.

Quale ultimo motivo di revocazione il ricorrente deduce la violazione degli artt. 3, 111 e 113 (comma 2) Cost., violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, violazione dell’art. 65 RD n. 12/1941, violazione dell’art. 45, comma 2, RD n. 1054/1954, violazione dell’art. 112 c.p.c. Infatti, il collegio avrebbe omesso di pronunciarsi sulle censure poste con le memorie del 15 settembre 2008 e del 2 gennaio 2009 (in relazione al documentato ed obiettivo impedimento a partecipare alla seduta della commissione di disciplina).

Da ultimo, sottolinea il ricorrente che le questioni emerse avrebbero dovuto essere rimesse all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Si è costituito in giudizio il ministero dell’Interno, il quale chiede la declaratoria di inammissibilità del presente ricorso, senza che residuino spazi per una rimessione all’Adunanza Plenaria.

Infatti, la revocazione di una sentenza potrebbe essere disposta solo ove si configuri una falsa percezione della realtà e cioè una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che ha portato il giudice ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo, escluso invece dagli atti e documenti di causa oppure l’inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato attraverso tali atti e documenti. Nel caso di specie, invece, il ricorrente lamenterebbe la non correttezza delle valutazioni che il collegio giudicante ha tratto dall’esame dei fatti e degli atti depositati.

In sostanza,il dottor S con il presente ricorso riproporrebbe le stesse argomentazioni già valutate e respinte dal TAR e dal Consiglio di Stato.

Con successiva istanza il ricorrente ha chiesto che venisse disposto il deferimento dell’esame della presente decisione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che sia fondata l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso sollevata dalla Difesa erariale.

Ed invero, premesso che non si ravvisano i presupposti per rimettere l’esame del presente ricorso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, il dottor S non ha dedotto alcun errore revocatorio, ma ha piuttosto invocato un sostanziale riesame delle sue censure, utilizzando surrettiziamente lo strumento della revocazione per introdurre un inammissibile terzo grado di giudizio.

Infatti, il supposto errore relativo al fatto che egli, al contrario di quanto affermato nella sentenza, non avrebbe mai cessato di svolgere la propria attività di servizio anche in pendenza dell’incarico presso il CSTP, è questione irrilevante, non avendo portata decisiva ai fini della decisione assunta. Ciò che rileva è che il dott. S non ha ottemperato all’invito del prefetto di Salerno a cessare dall’attività non autorizzata, invito la cui qualificazione esula dall’alveo dell’errore di fatto per essere annoverata nell’ambito delle valutazioni, in quanto tali sottratte al riesame revocatorio.

Ad analoghe conclusioni occorre giungere quanto alla ritenuta erroneità della decisione sul punto della intervenuta estinzione o meno del procedimento disciplinare, trattandosi di valutazione sub specie juris esulante dall’alveo revocatorio.

Pure ad analoghe conclusioni, e per le stesse motivazioni, occorre giungere in ordine al terzo motivo di revocazione, con il quale il ricorrente lamenta l’erroneità della ritenuta tempestività dell’avvio del procedimento disciplinare, così come in relazione al quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta l’errata percezione della mancanza di autorizzazione per l’incarico in questione: infatti, risulta che il Consiglio di Stato abbia espressamente affermato che la mera comunicazione a suo tempo rivolta all’Amministrazione non fosse sufficiente a soddisfare i requisiti di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 29/1993. Inoltre, il collegio giudicante ha ritenuto, e ciò si manifesta come espressione di attività valutativa, che l’incarico in questione necessitasse di previa autorizzazione.

Palesemente appartenenti alla sfera valutativa sono poi i motivi di ricorso nn. 5 e 6, con i quali il dottor S lamenta la mancata valutazione della disparità di trattamento con il collega Auricchio e la sussistenza di un idoneo supporto motivazionale al deferimento alla commissione di disciplina.

Quanto, poi, alla mancata considerazione dell’impedimento a presenziare alla riunione della commissione di disciplina per un concomitante impegno di servizio, è sufficiente rilevare che il collegio giudicante era ben consapevole di tale concomitanza, ma ha ritenuto che essa, di per sé. non fosse sufficiente per dimostrare l’impossibilità dell’incolpato di partecipare alla discussione in sede disciplinare. Nessuna svista, pertanto, ma una valutazione delle risultanze documentali in atti

In conclusione, nessun elemento suscettibile di rilievo sotto il profilo revocatorio risulta addotto dal ricorrente, con conseguente inammissibilità del ricorso in esame.

Giustificati motivi consentono di compensare tra le parti le spese di giudizio.

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