Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-10-24, n. 202309198

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-10-24, n. 202309198
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309198
Data del deposito : 24 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/10/2023

N. 09198/2023REG.PROV.COLL.

N. 08841/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8841 del 2022, proposto da Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Admiral Gaming Network S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F C, F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio F L in Roma, via G. P. Da Palestrina n.47;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 3519/2022


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Admiral Gaming Network S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2023 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati F L e l'avvocato dello Stato Francesca Subrani.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso con cui la parte appellata ha chiesto l’annullamento della nota con cui l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva ribadito la richiesta di pagamento di una somma mensile, pari ad euro trecento,00 per ciascuno degli apparecchi in eccedenza rispetto ai prestabiliti parametri numerico-quantitativi, installati presso il suo esercizio commerciale, numero a sua volta calcolato in proporzione al numero di apparecchi regolarmente eserciti dalla predetta appellata.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, dopo avere contestato nel merito la decisione avversa, eccepiva, con apposito motivo d’appello, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

La parte appellata si costituiva in giudizio, opponendosi all’accoglimento dell’appello in quanto infondato in fatto e in diritto.

DIRITTO

I. – Il motivo di appello sulla giurisdizione.

Deve preliminarmente procedersi all’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo proposta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con apposito motivo di impugnazione.

Si premette fin da ora che l’eccezione è fondata, non ritenendo il Collegio di doversi discostare dal recente precedente della Sezione (Cons. Stato, VII, n. 4988/2023), che in una identica controversia ha appunto declinato la giurisdizione sulla base della ricostruzione normativa e delle considerazioni, di seguito riportate e condivise.

I.1. – La tesi dell’appellante.

Secondo l’appellante la controversia coinvolgerebbe un diritto soggettivo e non un interesse legittimo della società appellata, poiché la legge imporrebbe all’Autorità amministrativa un vincolo a tutela diretta e specifica dell’interesse privato corrispondente al diritto soggettivo al mantenimento in esercizio di apparecchi in numero eccedente la misura massima consentita.

L’oggetto del contendere, infatti, sarebbe costituito da corrispettivi di natura esclusivamente patrimoniale e non coinvolgerebbe l’accertamento dell’esistenza o del contenuto della concessione, né la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio, né poteri discrezionali-valutativi nella determinazione dei corrispettivi dovuti, rientrando, dunque, la controversia nella riserva di giurisdizione ordinaria prevista per le cause concernenti canoni o corrispettivi dovuti dal concessionario.

I.2. – La contraria tesi dell’appellata.

Secondo la società appellata, invece, sarebbe in discussione non il corrispettivo in sé, ma il criterio di determinazione dello stesso individuato dall’Amministrazione finanziaria con i provvedimenti impugnati, nell’esercizio della discrezionalità espressamente riconosciuta dalla controversa previsione normativa oggetto di causa. La legge, infatti, non disciplinerebbe anche il criterio in concreto da adoperare per l’individuazione degli apparecchi di intrattenimento da considerare in esubero rispetto a quelli, invece, rientranti nel numero consentito. Da cui deriverebbe una discrezionalità interpretativo-valutativa-applicativa rispetto alla quale la società appellata sarebbe titolare di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo.

I.3. – L’oggetto del contendere.

La controversia si incentra sull’interpretazione ed applicazione dell’art. 1 co. 81 lett. f) L. 220/2010, disciplinante la peculiare fattispecie in cui sia riscontrata in un certo esercizio commerciale un numero di apparecchi di intrattenimento riconducibili a più concessionari in misura superiore al limite di contingentamento previsto.

La richiamata disposizione normativa si inserisce in un complesso contesto disciplinare che occorre brevemente riassumere, indicando i profili di più pertinente interesse in questa sede.

I.5. – Il quadro normativo di riferimento.

L’art. 1 co. 81 L. n. 220/2010, al fine di un più efficace contrasto del gioco illecito e dell'evasione fiscale nel settore del gioco, ha previsto la realizzazione da parte dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, tenuto conto del potenziamento delle proprie risorse umane, e anche avvalendosi della collaborazione della Società italiana degli autori ed editori (SIAE) e del Corpo della guardia di finanza, nell'anno 2011 di un programma straordinario di almeno trentamila controlli in materia di giochi pubblici, con particolare riferimento ai settori del gioco on line, delle scommesse nonché del gioco praticato attraverso apparecchi da intrattenimento e divertimento, con la precisazione che in relazione a quest'ultimo, in particolare, il programma dei controlli era preordinato al perseguimento, tra l’altro, dei seguenti obiettivi:

- lett. a): realizzare, sulla base della banca dati di cui all'articolo 22 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, l'accurata ricognizione della distribuzione sul territorio degli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni;

- lett. b): conseguentemente, identificare quali e quanti apparecchi risultino installati in ciascun esercizio commerciale, locale o punto di offerta del gioco in eccedenza rispetto ai parametri numerico-quantitativi già stabiliti a tale riguardo con decreti dirigenziali dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

- lett. c): prevedere che ciascun concessionario fornisca all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, anche senza previa richiesta da parte della stessa, tutti i dati, i documenti e le informazioni utili ai fini della ricognizione;

- lett. d): consentire a ciascun concessionario, nonché a ciascun soggetto dallo stesso legittimamente incaricato nell'ambito dell'organizzazione della rete di raccolta del gioco, di mantenere installati negli esercizi commerciali, nei locali ovvero nei punti di offerta del gioco gli apparecchi che risultano in eccedenza, ai sensi della lettera b), previo pagamento, fino alla data di adozione del decreto di cui alla lettera g), di una somma mensile pari a euro 300, dovuta solidalmente dai soggetti sopra indicati per ciascuno degli apparecchi di cui al comma 6 dell'articolo 110 del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni;

- lett. e): irrogare ai concessionari, che non forniscano i dati, i documenti e le informazioni di cui alla lettera c), una sanzione amministrativa pecuniaria, per ogni mancata comunicazione, non inferiore nel minimo a euro 500 e non superiore nel massimo a euro 1.500, per la quale non è ammesso quanto previsto dall'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni;

- lett. f): ripartire fra tutti i concessionari per la raccolta del gioco attraverso apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, in proporzione percentuale al numero di apparecchi che agli stessi risultano formalmente riferibili in relazione al numero dei nulla osta rilasciati, il pagamento delle somme di cui alla lettera d) per gli apparecchi che, all'esito della ricognizione, risultano in eccedenza ma non riferibili a un singolo concessionario;
prevedere, fermo restando quanto disposto dagli articoli 39 e seguenti del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, e dall'articolo 110, comma 9, del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, il pagamento delle somme di cui alla lettera d), anche per gli apparecchi non muniti del nulla osta, da parte dei soggetti responsabili dell'installazione degli apparecchi medesimi;

- lett. g): pervenire all'adozione di un nuovo decreto direttoriale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato recante la determinazione dei parametri numerico--quantitativi per l'installazione e l'attivazione, in ciascun esercizio commerciale, locale o punto di offerta del gioco, degli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, nel rispetto di taluni criteri.

- lett. h): verificare che ciascun concessionario interessato disponga conseguentemente la rimozione degli apparecchi che risultano in eccedenza rispetto ai nuovi parametri di cui alla lettera g);

- lett. i): irrogare ai concessionari, ai proprietari di apparecchi e ai titolari degli esercizi, dei locali o, comunque, dei punti di offerta del gioco, singolarmente in relazione alle accertate responsabilità, una sanzione amministrativa pecuniaria di importo mensile pari a euro 300 per ciascuno degli apparecchi installati in eccedenza rispetto ai limiti previsti dal decreto direttoriale di cui alla lettera – lett. g) fino alla data di effettiva rimozione degli apparecchi in eccedenza, che deve essere effettuata entro tre mesi dalla data di efficacia del predetto decreto;

- lett. l): procedere, trascorso il termine di cui alla lettera i), alla rimozione forzata degli apparecchi con oneri a carico dei soggetti responsabili, nei confronti dei quali è irrogata altresì una sanzione amministrativa pecuniaria fino a euro 1.000 per ciascun apparecchio.

Lo scopo, quindi, dei controlli è costituito dalla predisposizione di un’anagrafe degli apparecchi da gioco attivi e dei locali ove sono ubicati, nel dichiarato intento di assicurare un maggiore controllo nell’ottica di contrastare il gioco illecito e possibili fenomeni di frode fiscale.

All’esito dei programmati contratti è prevista, alla lett. g) dell’art. 1 co. 81 L. 220/2010, l’emanazione di un decreto direttoriale con il quale si ridetermineranno i parametri indicativi del numero di apparecchi da gioco suscettibili di installazione ed attivazione entro determinati ambienti aperti al pubblico.

Sino ad allora, ai concessionari ed ai soggetti dagli stessi legittimamente incaricati nell’ambito dell’organizzazione della rete di raccolta del gioco che intendessero mantenere gli apparecchi già installati in esubero rispetto al limite già previsto ed ancora vigente è riconosciuta dalla lett. d) siffatta facoltà, pagando una somma di denaro, prestabilita direttamente dalla legge in € 300,00 al mese per ogni apparecchio.

Come detto, nella causa in esame si controverte sull’applicazione della lett. f) che regolamenta il pagamento di siffatta indennità nell’ipotesi in cui gli apparecchi in esubero appartengano a differenti concessionari e non ad uno soltanto, come nella lett. d).

Il che, quindi, pone in rilievo, ai fini della decisione della dedotta questione di giurisdizione, la disciplina di cui alla lett. d), costituendone la lett. f) una proiezione peculiare non determinante un’obbligazione pecuniaria di diversa natura, discutendosi, infatti, pur sempre della somma di € 300,00 mensile prevista per il mantenimento degli apparecchi in esubero rispetto al prestabilito limite di contingentamento.

I.6. – La questione di giurisdizione

I.6.1. – Come noto, la questione di giurisdizione deve essere risolta e decisa secondo il generale criterio del petitum sostanziale, concepito e seguito dalla giurisprudenza sin dal c.d. “concordato del 1930” tra Corte di Cassazione (Sezioni Unite del 15 luglio 1930 n. 2680) e Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria 14 giugno 1930 n.1 e 28 giugno 1930 n.2) ed implicante la rilevanza, non già della prospettazione delle parti, bensì della situazione giuridica soggettiva a tutela della quale l’interessato agisce in giudizio e che deve essere identificata non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (Cass. Sez. U. 31 luglio 2018, n. 20350;
cfr. pure, tra le tante: Cass. Sez. U. 7 settembre 2018, n. 21928;
Cass. Sez. U. 15 settembre 2017, n. 21522;
Cass. Sez. U. 11 ottobre 2011, n. 20902;
il principio è del tutto pacifico: cfr. ancora, a titolo esemplificativo, le recenti Cass. Sez. U. 30 novembre 2022, n. 35307 e Cass. Sez. U. 10 novembre 2022, n. 33242).

Il che pone in rilievo la qualificazione quale interesse legittimo o diritto soggettivo della situazione giuridica soggettiva connessa all’interesse per la cui tutela la società appellata abbia agito in giudizio, a sua volta dipendente dal riconoscimento del provvedimento impugnato quale atto autoritativo esplicativo di una potestà pubblicistica valutativo-discrezionale.

I.6.1.1. – Il Consiglio di Stato osserva che la giurisprudenza amministrativa (cfr., per tutte, Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 marzo 2006 n. 962;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 05/06/2013, n.3111) ha sempre e costantemente sostenuto che l'attività di raccolta delle scommesse e di organizzazione/esercizio di concorsi pronostici, riservata allo Stato e ad altre Amministrazioni, integra, alla stregua dell'ordinamento vigente, un servizio pubblico suscettibile di concessione in gestione a terzi (Cass. SS.UU., ord. 1 aprile 2003 n. 4994 e Cons. Stato, Sez. VI, 22 aprile 2004 n. 2330).

La causa del potere riconosciuto alla Pubblica amministrazione persegue non solo (e non tanto) lo scopo di assicurare un congruo flusso di entrate all'erario, quanto piuttosto quello di garantire, a fronte della espansione del settore, l'interesse pubblico alla regolarità e moralità del servizio e, in particolare, la prevenzione della sua possibile degenerazione criminale (cfr., in particolare, Cass. pen., SS.UU., 26 aprile 2004 n. 3272): ne consegue che l'attività di raccolta delle scommesse sportive in esame va qualificata quale servizio pubblico, con la conseguenza che per i giudizi concernenti il settore trova applicazione l’art. 133 co.1 lett. c), secondo cui rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie inerenti in tema di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi.

I.6.1.2. – La richiamata disposizione normativa costituisce la trasposizione dell’art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, poi trasfuso nell'art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, dopo la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Consulta nella parte in cui si estendeva la giurisdizione esclusiva sino a comprendere anche le controversie in tema di servizi pubblici aventi ad oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi (sentenza della Corte cost. 6 luglio 2004 n. 204).

Ed invero, secondo la Corte Costituzionale (par. 3.4.2.), la formulazione dell'art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, quale recata dall'art. 7, comma 1, lettera a), della legge n. 205 del 2000, confliggeva con i criteri ai quali deve ispirarsi la legge ordinaria quando voglia riservare una "particolare materia" alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ed infatti, non soltanto (e non tanto) il riferimento ad una materia (i pubblici servizi) dai confini non compiutamente delimitati (se non in relazione all'ipotesi di concessione prevista fin dall'art. 5 della legge n. 1034 del 1971), quanto, e soprattutto, quello a "tutte le controversie" ricadenti in tale settore rende evidente che la "materia" così individuata prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicché, inammissibilmente, la giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo, del normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi. Ma, in tal modo, viene a mancare il necessario rapporto di species a genus che l'art. 103 Cost. esige allorché contempla, come "particolari", rispetto a quelle nelle quali la pubblica amministrazione agisce quale autorità, le materie devolvibili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La materia dei pubblici servizi può, infatti, essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l'esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990).

Sicché, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 33, comma 1, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi» anziché le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (così come era previsto fin dall'art. 5 della legge n. 1034 del 1971), ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore (così come era previsto dall'art. 33, comma 2, lettere c e d).

I.6.1.3. – La Corte di Cassazione (S.U. n. 23418/2020) ha delimitato i confini del riparto di giurisdizione del contenzioso in questione, statuendo che in tema di concessioni di pubblici servizi, le controversie relative alla fase esecutiva del rapporto successiva all'aggiudicazione sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario - riguardante le indennità, i canoni e altri corrispettivi -, al quale spetta di giudicare sulle questioni inerenti all'adempimento e/o all'inadempimento della concessione con indagine diretta alla determinazione dei diritti e degli obblighi dell'amministrazione e del concessionario, nonché di valutare, in via incidentale, la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione del corrispettivo;
resta ferma, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo nei casi in cui non si verta nell'ambito di un rapporto paritetico tra le parti, ossia allorquando l'amministrazione, sia pure successivamente all'aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di eventuali altri poteri riconosciuti dalla legge, o comunque adotti atti autoritativi in un procedimento amministrativo disciplinato dalla L. n. 241 del 1990, oltre che nei casi tassativamente previsti, come quello di cui all'art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a. (Cass., S.U., 18 dicembre 2018, n. 32728;
Cass., S.U., 8 luglio 2019, n. 18267;
Cass., S.U., 18 dicembre 2019, n. 33691).

Il menzionato orientamento espressivo del richiamato principio di diritto supera, in una logica di evoluzione del "diritto vivente", la tradizionale posizione assunta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art.

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