Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-06-11, n. 202003733

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-06-11, n. 202003733
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003733
Data del deposito : 11 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/06/2020

N. 03733/2020REG.PROV.COLL.

N. 05791/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5791 del 2019, proposto da
Todima s.r.l., ABS Costruzioni Integrate s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall'avvocato V S, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato M D P in Roma, viale Cesare Fracassini, n. 25;

contro

Comune di Celano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato R C, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, n. 35/B;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, Sezione Prima, n. 00167/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Celano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 28 maggio 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 5, e con le modalità di cui allo stesso art. 84, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il Cons. Stefano Fantini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- La Todima s.r.l. e la ABS Costruzioni Integrate s.r.l. hanno interposto appello nei confronti della sentenza 23 marzo 2019, n. 167 del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sez. I, che ha respinto il loro ricorso avverso la determinazione dirigenziale del Comune di Celano in data 21 settembre 2018, con cui sono state annullate in autotutela le lettere di invito e gli atti consequenziali relativi alla procedura di affidamento dei lavori previsti nell’ambito del progetto di riqualificazione urbana, sociale e culturale delle aree degradate nei rioni Muricelle Stazione, Tribuna e Vaschette.

Le ricorrenti hanno presentato la propria offerta in nome e per conto del costituendo R.T.I., che, all’esito della gara, è risultato destinatario di proposta di aggiuidicazione, approvata dall’amministrazione con determina n. 446 del 17 luglio 2018.

In data 3 ottobre 2018 la mandataria Todima ha ricevuto comunicazione dell’annullamento in autotutela della gara motivata nella considerazione della presenza nelle lettere di invito di vizi insanabili.

Con il ricorso in primo grado hanno impugnato l’annullamento in autotutela delle lettere di invito, deducendo la non tempestiva comunicazione dell’autotutela, il vizio motivazionale del provvedimento impugnato, e chiedendo altresì la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.

2. - La sentenza appellata ha dichiarato il ricorso improcedibile per sopravvenuto di fetto di interesse in ragione della mancata impugnazione della delibera di G.C. n. 217 del 13 ottobre 2018 e della determina n. 682 del 14 dicembre 2018, di avvio del nuovo procedimento di gara, e comunque lo ha respinto nella considerazione del carattere non viziante della omessa comunicazione individuale della decisione di non aggiudicare l’appalto e della legittimità del provvedimento di annullamento per il mancato rispetto, da parte della lex specialis , dell’art. 95, comma 10- bis , del d.lgs. n. 50 del 2016, in tema di tetto massimo attribuibile al punteggio economico, disattendendo altresì la domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.

3.- Con il ricorso in appello il R.T.I. Todima ha criticato la sentenza di primo grado deducendone l’erroneità nella considerazione che l’annullamento del provvedimento di annullamento della gara, atto presupposto, comporta la caducazione degli atti deliberativi ed indittivi di una nuova procedura, atti conseguenziali, reiterando, nel merito, talune censure svolte in primo grado avverso la determina n. 530 del 21 settembre 2018, e insistendo per la domanda di risarcimento del danno e di indennizzo.

4. - Si è costituito in resistenza il Comune di Celano, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito dell’appello.

5. - All’udienza del 28 maggio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il primo motivo si appunta sulla statuizione di improcedibilità (invero non emergente nel dispositivo della sentenza) per omessa impugnazione della delibera di G.C. n. 217 del 13 ottobre 2018, di presa d’atto dell’intervento in autotutela e di invito a procedere con una nuova gara, e della determina n. 682 del 14 dicembre 2018, con cui si è dato avvio alla procedura di gara, assumendosi che violi la logica della conseguenzialità tra atti ed il meccanismo della caducazione, che esonera il ricorrente dall’onere di impugnare gli atti conseguenziali rispetto all’atto presupposto impugnato, a condizione che non vengano in giuoco posizioni di terzi.

Il motivo è fondato.

Si enuclea infatti tra il provvedimento di annullamento della gara e quello di indizione della successiva un rapporto di intima connessione, idoneo ad escludere la ravvisabilità di una mera illegittimità derivata, e piuttosto a configurare l’automatica caducazione.

In tale senso si è indirizzata la giurisprudenza, secondo cui l’intervenuta impugnazione dell’atto presupposto esonera il ricorrente dall’onere di contestare anche l’atto conseguenziale, attesa l’automatica sua caducazione per effetto dell’eventuale annullamento del primo;
pertanto non si verifica alcuna acquiescenza del ricorrente, già gravatosi nei confronti dell’annullamento in autotutela di tutta la procedura d’appalto e dell’aggiudicazione in suo favore, solo perché egli non abbia poi impugnato il bando della nuova gara (in termini Cons. Stato, IV, 7 giugno 2004, n. 3617;
V, 14 aprile 2000, n. 2237).

2. - Il secondo motivo critica la sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittimo il provvedimento di annullamento in autotutela della gara per avere la lex specialis violato la prescrizione di cui all’art. 95, comma 10- bis , del d.lgs. n. 50 del 2016, volto a stabilire il tetto massimo per il punteggio economico entro il trenta per cento, mentre nel caso di specie la lettera di invito attribuisce all’offerta economica cinquanta punti (sommando il ribasso e l’offerta temporale). Deducono le appellanti che, data la peculiarità dell’appalto, il minore tempo di esecuzione dei lavori va apprezzato come elemento qualitativo, di precipuo interesse pubblico.

Il motivo è infondato, se non anche inammissibile.

Il profilo di inammissibilità eccepito dal Comune di Celano è ravvisabile nel fatto che l’appello contesta solo tale motivo di illegittimità della lettera di invito, mentre la determinazione gravata in primo grado ne ha evidenziati due, e dunque non solo il mancato rispetto dell’art. 95, comma 10- bis , ma anche dell’art. 95, comma 14- bis , del d.lgs. n. 50 del 2016 (che vieta l’attribuzione di punteggio per l’offerta di opere aggiuntive, mentre la lettera di invito prevede l’attribuzione di punti 50 all’offerta migliorativa).

Può peraltro prescindersi dall’eccezione di inammissibilità, in quanto la sentenza, pur dando atto che il provvedimento è fondato su di una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali idonea a sostenerlo, ha accertato la violazione dell’art. 95, comma 10- bis , da parte della lettera di invito, che attribuisce alla componente economico-temporale fino a 50 punti.

Infatti nel sistema della lettera di invito in esame il ribasso percentuale e l’offerta temporale vengono associati come componenti dell’offerta economica, con attribuzione, rispettivamente, di massimo 10 e massimo 40 punti, mentre l’offerta migliorativa rappresenta, in modo invero non schietto, la componente tecnica dell’offerta..

3. - Il terzo motivo reitera poi la domanda di risarcimento del danno (a titolo di responsabilità precontrattuale) od in alternativa di pagamento dell’indennizzo da revoca ex art. 21- quinquies della legge n. 241 del 1990, in misura pari al dieci per cento dell’importo dell’appalto, e cioè nella misura di euro 88.780,67.

Anche tale motivo è infondato se non anche inammissibile.

Si traduce infatti nella reiterazione del motivo di primo grado senza sottoporre a critica la statuizione di primo grado che aveva escluso la pretesa risarcitoria per mancata prova sia dell’ an che del quantum debeatur . Nel processo amministrativo d’appello, al contrario, è inammissibile, per violazione del dovere di specificità dei motivi sancito dall’art. 101 Cod. proc. amm., la mera riproposizione delle censure sviluppate in primo grado effettuata dalla parte appellante (Cons. Stato, IV, 14 febbraio 2017, n. 625).

E’ comunque anche infondata la pretesa di indennizzo, in quanto il provvedimento contestato è un annullamento ai sensi dell’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990 disposto in ragione dell’illegittimità della lettera di invito, e non già una revoca, cui, solamente, è correlato l’indennizzo, per fare fronte al riequilibrio economico di un provvedimento intervenuto a “sanare” una inopportunità sopravvenuta o nell’esercizio dello ius poenitendi .

In ogni caso, la giurisprudenza, nel precisare che l’indennizzo ex art. 21- quinquies deve essere limitato alle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara, ne ha sempre escluso l’applicabilità in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, quali l’aggiudicazione provvisoria, ovvero, nel vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, una mera proposta di aggiudicazione (approvata, nella fattispecie controversa, con la determina dirigenziale n. 466 del 17 agosto 2018), che non è provvedimento definitivo (in termini, tra le tante, Cons. stato, III, 21 gennaio 2013, n. 339).

4.- Alla stregua di quanto esposto, pur dovendo dichiararsi procedibile il ricorso di primo grado, lo stesso è comunque infondato e l’appello deve essere respinto.

Sussistono tuttavia, in ragione dell’esito della controversia, i motivi prescritti dalla legge per compensare tra le parti le spese di giudizio.

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