Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-11-04, n. 201907505

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-11-04, n. 201907505
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907505
Data del deposito : 4 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/11/2019

N. 07505/2019REG.PROV.COLL.

N. 01806/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1806 del 2019, proposto da
D D A R, rappresentato e difeso dagli avvocati E P, A D G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E P in Roma, via di S. Basilio, 61;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Ministri pro tempore , e Corte dei Conti, in persona del Presidente pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono ex lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segreteria Generale – Ufficio Studi e Rapporti Interistituzionali -Servizio per il personale Magistrature, Segretariato Generale, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima, 9 gennaio 2019, n. 284, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Corte dei Conti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2019 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati A D G e dello Stato Valentina Fico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio il dott. Angelo Raffaele De Dominicis, magistrato della Corte dei Conti, premesso di aver compiuto il settantesimo anno di età il 14 aprile 2015 e che, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 1569 del 13 maggio 2014, era stata accolta la sua domanda di permanenza in servizio ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 per un quinquennio a decorrere dal 15 aprile 2015, ha impugnato la nota del 18 maggio 2015 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato Generale, Ufficio Studi e Rapporti Interistituzionali, Servizio per il personale della magistrature (di seguito “Presidenza del Consiglio” ) con la quale gli era stata data notizia della revoca del trattenimento in conseguenza di sopravvenute modifiche legislative e del collocamento a riposo.

1.1. In particolare, in detta nota si comunicava al ricorrente che, in applicazione dell’art. 1 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 114, “la scadenza dei trattenimenti in servizio già disposti è stata rideterminata dal legislatore stesso al 31 dicembre 2014, come nel suo caso, ovvero fino alla data di scadenza del trattenimento in servizio, se fissata in data anteriore al 31 dicembre 2015 ”;
e che si sarebbe, pertanto, provveduto contestualmente, “con successivo provvedimento vincolato, a rideterminare la data di scadenza del trattenimento in servizio già concesso (…) fissandola al 31 dicembre 2015 e a disporre il conseguente collocamento a riposo d’ufficio” .

1.2. Il ricorso per l’annullamento di tale provvedimento, nonché del precedente decreto del 13 maggio 2014, nella parte in cui aveva disposto che il trattenimento in servizio per cinque anni a decorrere dal 15 aprile 2015 era accordato “salva l’applicazione di un’eventuale normativa sopravvenuta che riformi la materia” , è stato affidato ai seguenti motivi di censura: “I) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 3, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, N. 114, eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, violazione del principio del legittimo affidamento;
II) incostituzionalità dell’art. 1 del D.L. n. 90/2014 per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e dell’art. 1, secondo paragrafo, del Protocollo n. 1, violazione del principio del legittimo affidamento, ed eccesso di potere;
III) illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del D.L. n. 90/2014 per violazione del principio di irretroattività dell’azione amministrativa, illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui hanno applicato l’art. 1, comma 3, del D.L. 90/2014 in via retroattiva, violazione del principio del legittimità affidamento, violazione dell’art. 11 delle preleggi;
IV) Illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del D.L. 24 giugno 2014 n. 90 in relazione agli artt. 3, 77, comma 2, 97, 117, comma 1 e dell’art. 18 del D.L. n. 83/2015 in relazione all’art. 3 Cost.;
V) violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della L. 241/90 e s.m.i., violazione del principio del giusto procedimento;
VI) carenza di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 della L. 241/90 e s.m.i. VII) incompetenza assoluta, carenza di legittimazione, carenza di potere, violazione e falsa applicazione dell’art. 4 D. L.vo 165/2001 e s.m.i.”

1.3. Per il ricorrente gli atti gravati, che disponevano la rideterminazione della data di scadenza del trattenimento in servizio già concessagli con il D.P.C.M. 13 maggio 2014, erano illegittimi e viziati di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere sotto plurimi profili.

1.4. In particolare, con le doglianze così articolate il ricorrente ha sostenuto che: a) secondo una corretta interpretazione dell’art. 1, comma 3, del d.l. n. 90 del 2014, i trattenimenti in servizio già prorogati e disposti dovevano essere fatti salvi per tutta la durata originariamente prevista; b) la disciplina sopravvenuta, in applicazione della quale si era proceduto alla controversa rideterminazione della scadenza del trattenimento in servizio, non potesse avere efficacia retroattiva, sì da incidere sui diritti già acquisiti in base alla normativa previgente, salvo ragioni imperative di interesse generale che però, nel caso di specie, non sussistono, non potendo costituire adeguata giustificazione l’astratto perseguimento di un beneficio per la finanza pubblica; c) il precedente D.P.C.M., con il quale gli era stato accordato di rimanere in servizio per un ulteriore quinquennio, aveva ingenerato in lui un legittimo affidamento, ingiustificatamente leso dalla normativa sopravvenuta di cui al d.l. 90 del 2014 e dagli atti che ne avevano fatto applicazione; d) il mancato trattenimento era irragionevole e sproporzionato e vi sarebbe disparità di trattamento con i magistrati ordinari, i cui incarichi direttivi erano stati invece prorogati sino al 31 dicembre 2016; e) il provvedimento impugnato, emanato in seguito ad un istanza con cui si richiedeva se il trattenimento in servizio fosse confermato o revocato, non era stato preceduto da un preavviso di rigetto; f) la motivazione del provvedimento del 18 maggio 2015 era insufficiente, considerata anche la posizione consolidata in suo favore; g) l’atto in questione, non di mera gestione, ma di indirizzo politico- gestionale, era stato emanato da Ufficio incompetente (in particolare, da un Ufficio, seppure apicale, del Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio Studi e Rapporti Interistituzionali, anziché dall’Ufficio del Ministero della Funzione Pubblica).

1.5. Nel ricorso si è prospettata, pertanto, l’incostituzionalità, sotto diversi profili, dell’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014 (per violazione degli articoli 3, 24, 77 comma 3, 97, 113 e 117 della Costituzione), nella parte in cui la norma, abrogando l’istituto del trattenimento in servizio di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 503 del 1992, fissava al 31 dicembre 2015 la cessazione dal servizio dei magistrati già destinatari dei relativi provvedimenti, assumendo la rilevanza della questione ai fini della decisione, poiché l’atto impugnato aveva respinto l’istanza del ricorrente in applicazione della detta normativa.

1.6. Il ricorrente ha, quindi, chiesto anche l’accertamento del suo diritto a permanere in servizio sino al settantacinquesimo anno di età (come stabilito nel decreto di proroga n. 1569/2014) e il risarcimento del danno arrecatogli dai provvedimenti impugnati.

2. Con la sentenza in epigrafe, nella resistenza delle Amministrazioni intimate, il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, ritenendolo non meritevole di favorevole valutazione per l’infondatezza delle censure formulate.

3. Per la riforma della sentenza il ricorrente ha proposto appello, deducendone l’erroneità e ingiustizia per i seguenti motivi: “I. Error in procedendo e in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in l. 11 agosto 2014, n. 114. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, violazione del principio del legittimo affidamento;
II. Error in iudicando e in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990 e s.m.e
. i., violazione del principio del giusto procedimento. Carenza di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 della l. 241/1990 e s.m.e.i.;
III. Error in iudicando e in procedendo. Incompetenza assoluta. Carenza di legittimazione, carenza di potere. Violazione e falsa applicazione dell’9" data-article-version-id="b6ebb045-b336-5dc8-a646-d797cd19fe03::LR58B366C20046AF4A8049::2008-06-20" href="/norms/laws/itatextgucwtx5v4ddf90w/articles/itaart1khhla9bpn9kuoo?version=b6ebb045-b336-5dc8-a646-d797cd19fe03::LR58B366C20046AF4A8049::2008-06-20">art.4 D.Lgs. 165/2001 e s.m.i.;
IV. Error in iudicando e in procedendo. Incostituzionalità dell’art. 1 del d.l. n. 90/2014 per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e dell’art. 1 secondo paragrafo del Protocollo n. 1, Violazione del principio del legittimo affidamento, eccesso di potere. Illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 3, d.l. n. 90/2014 per violazione del principio di irretroattività dell’azione amministrativa. Illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui hanno applicato l’art. 1, comma 3, del d.l. 90/2014 in via retroattiva. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 11 delle Preleggi. Illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 3 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 in relazione agli artt.3, 77 co. 2, 97, 117, co. 1 e dell’art. 18 del d.l. n. 83/2015 in relazione all’art. 3 Cost.;
V. Error in procedendo e in iudicando. Irragionevole disparità di trattamento.

3.1. L’appellante ha, dunque, reiterato la domanda risarcitoria già formulata in primo grado in relazione ai danni economici conseguenti alla revoca della permanenza in servizio per un quinquennio, riconosciutagli dal precedente decreto.

3.2. Ha chiesto, infine, rimettersi alla Corte Costituzionale la questione di incostituzionalità dell’art. 1, comma 3, del d.l. 90/2014 per violazione degli articoli 3, 24, 77 comma 2, 97, 113 e 117 della Costituzione.

3.3. Hanno resistito all’appello la Presidenza del Consiglio e la Corte dei Conti, argomentandone l’infondatezza e insistendo per il rigetto.

3.4. All’udienza pubblica del 27 giugno 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4. L’odierno appello verte sulle questioni sottese alla peculiare disciplina recata, in materia di trattenimento in servizio, per il personale di magistratura dal d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114 (recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”).

4.1. In particolare, le critiche dell’appellante si appuntano sulle modalità di applicazione, ad opera degli atti impugnati in prime cure, della disciplina di cui all’art. 1, comma 3, del citato decreto in base al quale “Al fine di salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio, pur se ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che alla data di entrata in vigore del presente decreto ne abbiano i requisiti ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 , e successive modificazioni, sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore” .

5. Tanto premesso, i motivi di appello avverso la sentenza impugnata possono essere, dunque, così sintetizzati.

5.1. Con il primo motivo di gravame l’appellante censura le statuizioni della sentenza che hanno dato rilievo all’inciso, contenuto nel decreto di assenso al trattenimento in servizio, che faceva “salva l’applicazione di una normativa sopravvenuta che riformi la materia” , non potendo, a suo avviso, la situazione giuridica soggettiva effettivamente riconosciuta da detto decreto ritenersi condizionata ad eventuali (ed ipotetiche) sopravvenienze normative.

Avrebbe dunque errato la sentenza appellata a non ritenere che la cessazione dei trattenimenti in corso debba considerarsi generale per tutti i magistrati alla scadenza del 31 dicembre 2015, tranne che per quelli il cui trattenimento in servizio fosse stato previsto in data anteriore all’entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2014, in conformità al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, espressamente richiamato nella disciplina sui trattenimenti.

5.2. Con il secondo motivo di impugnazione si censurano i capi della sentenza appellata che hanno respinto il quinto e il sesto motivo del ricorso di prime cure, con cui si lamentava l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto e la carenza di motivazione della revoca del solenne procedimento di trattenimento in servizio.

5.3. Con il terzo motivo di gravame l’appellante torna invece a dolersi dell’incompetenza assoluta dell’Ufficio che ha emanato la decisione di revoca del trattenimento, atto di indirizzo politico- amministrativo e non già rientrante nell’area della gestione.

In particolare, la revoca del D.P.C.M. n. 1569 del 13 maggio 2014 avrebbe dovuto avere forma di esternazione di atto ad esso uguale e contrario in virtù del principio del contrarius actus , ovvero forma di nuovo D.P.C.M., dotato altresì di adeguata motivazione.

5.4. Il quarto motivo di appello è volto a censurare la sentenza impugnata laddove ha respinto i motivi di doglianza con cui si lamentava la violazione dei principi di irretroattività dell’azione amministrativa e la lesione del legittimo affidamento riposto nelle situazioni soggettive perfette e consolidate, sorte all’esito di procedimenti conclusi o esauriti, rispetto alle quali la pubblica amministrazione non detiene alcuna facoltà di revoca.

Avrebbe dunque errato il primo giudice a non dichiarare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per avere applicato in via retroattiva l’art. 1, comma 3, del d.l. n. 90/2014, contro gli articoli 3, 77, secondo comma e 117 Cost. e i principi affermati dai precedenti orientamenti della giurisprudenza costituzionale.

L’appellante ha quindi censurato la sentenza impugnata in quanto motivata per relationem alle sole statuizioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 133 del 10 giugno 2016.

5.5. Infine, con il quinto e ultimo motivo di gravame l’appellante ha contestato la sentenza appellata nella parte in cui ha disconosciuto la disparità di trattamento in danno del magistrato ricorrente, non riconoscendo la lesione dei diritti quesiti consolidati in capo a quest’ultimo e fornendo un’interpretazione non costituzionalmente orientata della disciplina di cui al d.l. n. 90 del 2014.

6. L’appello è infondato.

6.1. Non merita, invero, censura la sentenza di prime cure che ha correttamente ricostruito e interpretato la disciplina normativa in materia di trattenimento in servizio nell’ambito del pubblico impiego, applicabile alla fattispecie qui al vaglio.

In primo luogo, la sentenza appellata ha bene rilevato che, già nella disciplina previgente all’adozione del d.l. n. 90 del 2014, l’istituto del trattenimento in servizio oltre l’età pensionabile nell’ambito dei rapporti di lavoro di pubblico impiego, introdotto dall’art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (emanato in attuazione della delega dell’art. 3 l. 23 ottobre 1992, n. 421 recante norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici) aveva subito una radicale trasformazione per effetto delle modifiche introdotte a detta norma dall’art. 72, commi 7 e 9, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla l. 6 agosto 2008 n. 133, sì da diventare “istituto da considerare ormai eccezionale a causa delle esigenze generali di contenimento della spesa pubblica espressamente perseguito con la manovra di cui allo stesso decreto legge” (cfr. Cons. di Stato, VI, 24 gennaio 2011, n. 479;
VI, 2 maggio 2012, n. 2518).

In particolare, per effetto di tali modifiche normative, la domanda di trattenimento in servizio da facoltà dell’impiegato sottoposta ad un mero atto di volontà sulla base del tenore testuale della norma (che nel testo originario prevedeva, infatti, la facoltà “dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio ... per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi” ), era stata in concreto rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione: il pubblico dipendente non era quindi più titolare di un diritto soggettivo perfetto al prolungamento in servizio (qualificato dalla giurisprudenza amministrativa come un vero e proprio diritto potestativo a permanere in servizio per il periodo indicato dalla legge: così Cons. di Stato, IV, 21 febbraio 2005, n. 573), ma di un interesse legittimo, valutabile dall’amministrazione in relazione alla sussistenza di determinati presupposti, correlati da un lato “alle esigenze organizzative e funzionali” dell’amministrazione (con carattere di priorità), dall’altro alla specifica situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, “in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi”.

L’art. 1, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014 ha abrogato tutte le norme vigenti in materia di trattenimento in servizio (in particolare, l’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, l’art. 72, commi 8, 9 e 10 del d.l. 112 del 2008, convertito dalla legge n.133/2008 e l’art. 9, comma 31, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122).

Detta norma, ai commi 2 e 3, ha dettato una disciplina transitoria, stabilendo testualmente che: “2. Salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono revocati.

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