Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-06-01, n. 202204495

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-06-01, n. 202204495
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204495
Data del deposito : 1 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/06/2022

N. 04495/2022REG.PROV.COLL.

N. 00286/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 286 del 2019, proposto da
Compagnia Portuale di Crotone, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentats e difess dall'avvocato F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S Z in Roma, piazza dei Santi Apostoli, 66

contro

Autorita' di Sistema Portuale di Gioia Tauro e dello Stretto, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 250/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorita' di Sistema Portuale di Gioia Tauro e dello Stretto e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 27 maggio 2022 il Pres. Claudio Contessa.

Udito l’avvocato F F per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con provvedimento in data 28 giugno 2017, l’Autorità Portuale di Gioia Tauro ha respinto l’istanza di rilascio di concessione demaniale marittima in sanatoria presentata dalla ricorrente ed avente ad oggetto un’area di circa 1.195 mq. (di cui 665 occupati da una palazzina a due piani adibita ad uso uffici con annessi servizi igienici, campo di bocce con annesso magazzino e cortile con recinzione) sita in Crotone, alla via Porto Vecchio n. 2/4, ed identificata in catasto al foglio di mappa n. 38, p. lla n. 434.

La società ricorrente, impresa esercente le attività portuali connesse alla movimentazione delle merci, scaduta la concessione n. 2/90 in data 31 dicembre 1990, ha continuato ad occupare l’area per cui è causa.

Con una prima istanza del 12 febbraio 2007, ne ha chiesto “il rinnovo” e, in seguito, in data 19 novembre 2007 il rilascio in sanatoria.

All’esito di un procedimento protrattosi per lungo tempo, è stato adottato il diniego su indicato, fondato sulle seguenti testuali ragioni:

a) “la debenza erariale maturata a titolo di occupazione abusiva di beni del demanio marittimo…, al di là di sporadiche ed irrituali richieste di rateizzazione, si pone come condizione ostativa all’assentimento del titolo, per come evidenziato dall’Agenzia del Demanio con nota prot. 2009/10497/FC del 4 agosto 2009;

b) non sussiste il requisito del profilo soggettivo che sostanzia il rapporto concessorio basato sull’intuitus personae, atteso che codesta società cooperativa ha posto in essere una condotta reiteratamente ostativa al ripristino dello status quo ante, non ottemperando all’ingiunzione di sgombero emessa da questa Autorità Portuale;

c) inoltre il manufatto per il quale è stata richiesta la concessione demaniale marittima in sanatoria non appare adeguabile alle vigenti norme sismiche ”.

L’odierna appellante impugnava il provvedimento in questione dinanzi al TAR della Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria contestandone sotto diversi aspetti l’illegittimità.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale adìto ha respinto il ricorso dichiarandolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla Compagnia Portuale di Crotone s.c.a.r.l. la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi di censura:

1) Erroneità della sentenza impugnata per violazione di legge Art. 2 e 3 della legge

241/1990 - Violazione di legge art. 2 e 3 legge 241/1990 - art. 12 Dpr 328/1952 -

D.M. 14/01/ 2008, punto 8 – costruzioni esistenti - Eccesso di potere per errore di fatto e travisamento dei presupposti, carenza di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà –omessa o errata considerazione del primo motivo di ricorso;

2) Erroneità della sentenza impugnata per violazione di legge artt. 42 e 46, art. 97 Cost. – Violazione di legge art. 36 e 37 cod. nav ed art. 8 e 10, 13 del regolamento di esecuzione del codice della navigazione, Art. 2 e 3 della Legge 241/1990 - difetto di istruttoria, mancato parere agenzia del demanio, contraddittorietà, ragionevolezza, proporzionalità, ingiustizia manifesta e violazione del principio di buona fede – proporzionalità - Violazione del principio del legittimo affidamento.

Si sono costituiti in giudizio l’Autorità dei sistemi portuali dei mari Tirreno meridionale e Ionio (già: Autorità portuale di Gioia Tauro) e il Ministero delle Infrastrutture e del trasporti (in seguito: Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili) i quali hanno concluso nel senso della reiezione dell’appello.

All’udienza di smaltimento del giorno 27 maggio 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla Compagnia Portuale di Crotone s.c.a.r.l. avverso la sentenza del TAR della Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento in data 28 giugno 2017 con il quale l’Autorità Portuale di Gioia Tauro (in seguito: Autorità dei sistemi portuali dei mari Tirreno meridionale e Ionio) ha respinto l’istanza di rilascio di una concessione demaniale marittima in sanatoria per un’area di complessivi 1.195 mq (di cui 655 mq coperti con manufatti) esistente all’interno dell’area Portuale di Crotone.

2. Con il primo motivo di appello la Compagnia Portuale di Crotone s.c.a.r.l. lamenta che erroneamente il TAR abbia respinto il ricorso di primo grado fondandosi sul carattere plurimotivato dell’impugnato provvedimento di diniego e sulla sostanziale condivisibilità (quanto meno) del motivo di rigetto fondato sull’impossibilità di adeguare il manufatto insistente sull’area alle vigenti norme sismiche.

Lamenta al riguardo l’appellante che dalla documentazione in atti emergerebbe invece l’erroneità del giudizio relativo all’impossibilità di adeguare il manufatto in parola.

Al contrario, il fatto che – successivamente all’adozione dell’impugnato provvedimento di diniego e a seguito di ulteriori interlocuzioni – l’Ufficio Genio Civile Opere Marittime abbia rilasciato invece un parere favorevole (28 luglio 2017) dimostrerebbe di per sé l’illegittimità in parte qua dell’impugnato provvedimento di diniego e, conseguentemente, l’erroneità sul punto della sentenza appellata.

Con il secondo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado anche in relazione agli altri due profili di criticità posti a fondamento dell’impugnato provvedimento di diniego (si tratta: i ) del mancato pagamento, nel corso del tempo, dei canoni da utilizzazione senza titolo dei beni del demanio marittimo, nonché ii ) della carenza del necessario requisito soggettivo dell’ intuitus personae derivante – fra l’altro – alla mancata ottemperanza all’ingiunzione di sgombero impartita in data 30 maggio 2013).

Quanto al primo aspetto l’appellante obietta, fra l’altro, che il mancato pagamento dei canoni in questione è stato dovuto (fra l’altro) al mancato riscontro alla richiesta di parziale compensazione del quantum dei canoni dovuti con gli importi relativi ai costi degli interventi di manutenzione straordinaria eseguiti sul bene.

Quanto al secondo aspetto, l’appellante obietta che risulti a ben vedere irragionevole contestare alla stessa un complesso di condotte nel loro complesso idonee a determinare il venir meno del necessario rapporto fiduciario fra l’amministrazione e il concessionario.

Sotto tale aspetto, in particolare, il primo Giudice avrebbe erroneamente omesso di valutare:

- il mancato riscontro, protrattosi per lunghissimo tempo, alle istanze volte al rinnovo della concessione demaniale detenuta sull’area dalla stessa Compagnia appellante “ da tempo immemore ”;

- il fatto che, nonostante l’intervenuta scadenza del titolo concessorio, la Capitaneria di porto prima e l’Autorità portuale poi avessero continuato a rapportarsi in modo esclusivo con la stessa appellante per tutte le questioni relative alla gestione dell’area, ingenerando nella stessa il legittimo affidamento di un (più o meno imminente) favorevole esito dell’istanza di rinnovo della concessione;

- il fatto che l’eccessiva durata del procedimento instaurato a seguito dell’istanza di rinnovo (e infine conclusosi con l’adozione del provvedimento impugnato in primo grado) non può comunque risolversi in danno del richiedente, pena la violazione dei generali canoni di proporzionalità e ragionevolezza che necessariamente devono ispirare l’operato delle amministrazioni pubbliche;

- la circostanza per cui la posizione di occupante sine titulo dell’area protrattasi a partire dagli anni Novanta fosse stata dalla (allora competente) Capitaneria di porto di Crotone “ non solo consentita e tollerata, ma indirettamente anche cristallizzata come prassi attraverso la richiesta dei canoni nonché l’autorizzazione dell’esecuzione dei lavori di manutenzione ”;

- la ‘ singolarità’ dell’ingiunzione di sgombero adottata nel corso del 2013 in quanto adottata nella pendenza del procedimento di rinnovo della concessione e a ben sei anni dalla proposizione della relativa istanza;

- la sostanziale contraddittorietà dell’operato dell’Ufficio del Genio civile il quale dapprima aveva illegittimamente adottato un parere di natura meramente soprassessoria (in tal modo non ottemperando a propri precisi obblighi) mentre, successivamente all’adozione del provvedimento di rigetto impugnato in primo grado, aveva infine adottato un parere favorevole circa la compatibilità delle opere con le vigenti norme sismiche;

- la circostanza secondo cui, ai sensi dell’articolo 37, Cod. nav. (nella formulazione ratione temporis rilevante), nonché ai sensi degli articoli 8 e 10 del relativo Regolamento di esecuzione, “ la Compagnia aveva diritto al rinnovo della concessione senza formalità istruttorie ”.

2.1. I motivi in questione, che possono essere esaminati in modo congiunto, sono infondati.

2.1.1. Il primo Giudice ha condivisibilmente richiamato il consolidato orientamento in base al quale, a fronte di provvedimenti di segno negativo di carattere plurimotivato ( i.e .: fondati su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare il provvedimento di diniego), è sufficiente che una sola di tali ragioni resista alle censure, perché il provvedimento nel suo complesso non sia suscettibile di annullamento (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 4 aprile 2022, n. 2441; id ., V, 24 agosto 2021, n. 6025; id ., IV, 1° luglio 2021, n. 5018).

Ebbene, in sintesi, il provvedimento di diniego in data 28 giugno 2017 risultava fondato essenzialmente su tre autonome ragioni ostative:

i ) la debenza erariale maturata a titolo di occupazione abusiva dei beni demaniali (sia nei confronti dell’Autorità portuale che dello Stato), “ al di là di sporadiche ed irrituali richieste di rateizzazione ”;

ii ) l’insussistenza del requisito soggettivo del c.d. ‘ intuitus personae ’, in ragione della condotta reiteratamente ostativa posta in essere dall’appellante circa il ripristino dello status quo ante dell’area (anche attraverso la mancata ottemperanza all’ingiunzione di sgombero emessa dall’Autorità portuale in data 30 maggio 2013);

iii ) l’insuscettibilità del manufatto realizzato sull’area ad essere adeguato alle vigenti normative sismiche.

Osserva al riguardo il Collegio che, anche a prescindere da qualunque considerazione relativa al profilo richiamato sub iii ), il provvedimento negativo impugnato in primo grado trova adeguato supporto nell’ambito delle ragioni dinanzi esposte sub i ) e sub ii ).

2.1.2. Quanto al primo profilo, non risulta adeguatamente contestato in atti che l’appellante, occupante sine titulo dell’area almeno dal gennaio del 1991, a seguito della scadenza della concessione in precedenza rilasciata, non abbia provveduto nel corso degli anni al pagamento delle indennità derivanti dall’occupazione dell’area (comunque protrattasi nel tempo e per un periodo di circa trent’anni), in tal modo violando le previsioni dell’articolo 8 del decreto-legge n. 400 del 1993.

Dal provvedimento impugnato in primo grado emerge che, alla data della sua adozione, il totale delle pendenze a tale titolo maturate dall’appellante ammontasse ad euro 171.627,76.

L’appellante non ha allegato plausibili ragioni a giustificazione di un’inadempienza così grave e prolungata, limitandosi soltanto a riferire di avere in alcune occasioni proposto istanze di rateizzazione dell’insoluto (ma senza fornire alcuna prova in ordine all’esito di tali istanze e circa il quantum dell’importo comunque pagato), sì da indurre a ritenere che l’inadempimento sia stato pressoché integrale nel corso degli anni.

Né a conclusioni diverse può giungersi in relazione alla circostanza del mancato riscontro da parte dell’amministrazione all’istanza di compensazione fra gli importi dovuti a titolo di canone concessorio e quelli asseritamente spettanti all’appellante medesima in ragione degli interventi di manutenzione straordinaria eseguiti sul bene.

Il motivo in parola non può trovare accoglimento in quanto (in disparte la questione relativa al se il pagamento dei canoni di concessione demaniale sia in astratto suscettibile di compensazioni in favore del privato concessionario in considerazione dei presunti crediti che questi vanti) non risultano comunque in atti le condizioni affinché si potesse procedere a tale compensazione e non risultando – fra l’altro – in modo certo l’ammontare dei presunti crediti da portare in compensazione.

Concludendo sul punto deve ritenersi che il provvedimento di rigetto impugnato in primo grado risultasse adeguatamente fondato anche solo sulla circostanza del mancato versamento dei canoni dovuti per le utilizzazioni senza titolo dei beni demaniali marittimi per cui è causa.

2.1.3. Quanto al secondo dei richiamati profili (e più in generale) il Collegio osserva che l’amministrazione prima e il TAR poi abbiano correttamente individuato nel caso in esame la carenza dei presupposti per esprimere nei confronti dell’appellante un giudizio di complessiva affidabilità soggettiva.

Al riguardo il provvedimento impugnato in primo grado ha correttamente attribuito particolare rilevanza alla circostanza per cui l’appellante non abbia mai dato esecuzione all’ingiunzione di sgombero del 30 maggio 2013 a seguito della comunicazione di notizia di reato in data 8 marzo 2013 per il reato di occupazione abusiva di spazi demaniali marittimi ai sensi degli articoli 54 e 1161 Cod. nav. (il provvedimento in questione fu notificato in data 20 giugno 2013 all’appellante e da questa non è stato mai impugnato, divenendo in tal modo definitivo).

A prescindere infatti dagli esiti della vicenda penale in parola, ciò che qui rileva è che l’appellante abbia proseguito nel corso degli anni a detenere senza alcun titolo il bene per cui è causa, disattendendo anche uno specifico ordine di sgombero definitivo ed efficace.

Tale circostanza, di per sé sola, giustifica la valutazione dell’amministrazione appellata, la quale ha ravvisato in quanto rilevato i sintomi di “ una condotta reiteratamente ostativa al ripristino dello status quo ante ” e, in via mediata, il venir meno del necessario intuitus personae il quale, nell’ambito dei rapporti concessori, si fonda su un ineludibile vincolo fiduciario (nel caso in esame irrimediabilmente compromesso dalla condotta permanentemente abusiva dell’appellante).

Concludendo anche su tale punto deve quindi ritenersi che il provvedimento di rigetto impugnato in primo grado risultasse adeguatamente fondato anche solo sulla circostanza della mancata liberazione dell’area, in violazione dell’espresso ed efficace ordine di sgombero disposto nel maggio del 2013.

2.1.4. Ai limitati fini che qui rilevano (e fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto esposto retro , sub 2.1.2 e 2.1.3) il Collegio osserva comunque:

- che è irrilevante ai fini del decidere la circostanza per cui, nel corso degli anni dell’occupazione abusiva, le amministrazioni di tempo in tempo interessate abbiano continuato a rapportarsi con la stessa appellante. Tale circostanza, lungi dal configurare in capo alla stessa una qualche forma di affidamento incolpevole in ordine al possesso dell’area, si giustifica semplicemente per la necessità di individuare un centro di imputazione a fronte delle condotte (il più delle volte abusive e quindi sanzionabili) realizzate dalla stessa appellante nel corso del tempo in ragione dell’abusiva occupazione dell’area;

- che, per le medesime ragioni, non trova riscontro in atti la tesi secondo cui la Capitaneria di porto di Crotone avrebbe “ non solo consentita e tollerata, ma indirettamente anche cristallizzata come prassi ” l’abusiva occupazione dell’area da parte dell’appellante;

- che l’ordinanza di sgombero del 2013, in quanto adottata a distanza di oltre dieci anni dalla scadenza del titolo legittimante e in assenza di qualunque sua valida reiterazione, non presentava alcun profilo di ‘ singolarità’ , ma rappresentava piuttosto la risposta doverosa (anche se probabilmente non tempestiva) da parte dell’Autorità competente a una ingiustificata situazione di occupazione abusiva protrattasi longe et ultra ;

- che non risulta allegata da parte dell’appellante alcuna circostanza effettiva volta a suffragare la tesi secondo cui la stessa avrebbe vantato un vero e proprio “ diritto al rinnovo della concessione senza formalità istruttorie ”, anche ai sensi dell’articolo 37, Cod. nav. e degli articoli 8 e 10 del relativo Regolamento di esecuzione. Ai ben limitati fini che qui rilevano si osserva comunque che l’appellante non risulta aver mai proposto alcuna azione in giudizio (a fronte della lamentata inerzia dell’Amministrazione) volta ad ottenere il riconoscimento di tale preteso diritto, in tal modo limitandosi a determinare il consolidamento di una situazione di abusività mai sanata nel corso di una vicenda di durata più che trentennale.

3. Per le ragioni esposte il ricorso in appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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