Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-08-26, n. 201905871
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Pubblicato il 26/08/2019
N. 05871/2019REG.PROV.COLL.
N. 04219/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4219 del 2010, proposto dai signori S T e T D R, rappresentati e difesi dagli avvocati S S D e A Z, con domicilio eletto presso lo studio BDL in Roma, via Bocca di Leone, n. 78,
contro
il Comune di Corato, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato V C Iambrenghi, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via Vincenzo Picardi, n. 4/B,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 475/2009, resa tra le parti, concernente il diniego di una concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Corato;
Viste le memorie e le memorie di replica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2019, il Consigliere A M e uditi per le parti l’avvocato A Z e l’avvocato V C Iambrenghi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto avanti il T.A.R. per la Puglia la signora Maddalena P impugnava la determinazione prot. n. 24050/95 del 27 agosto 1996 a firma dell’assessore all’urbanistica ed edilizia del Comune di Corato, con la quale le veniva negata la richiesta concessione edilizia per un intervento su una palazzina ottocentesca di proprietà per asserito contrasto con le norme tecniche di attuazione della zona di riferimento (“B1”), applicabili in ragione dell’avvenuta qualificazione dello stesso come nuova costruzione e non ristrutturazione, peraltro correlata a pregressa lesione per eventi sismici.
2. Il Tribunale, con la sentenza n. 475/2009, respingeva il ricorso, compensando le spese di giudizio, ritenendo corretta la qualificazione giuridica dell’intervento operata dal Comune: nel caso di specie, infatti, sarebbe dirimente il tempo trascorso tra la presentazione dell’originario progetto (1983) e di quello ora rigettato (1995), con ciò essendo venuto meno quel requisito di contiguità temporale tra demolizione e ricostruzione richiesto dalla giurisprudenza per potersi parlare di ristrutturazione anche nel vigore della disciplina definitoria applicabile ratione temporis (art. 31, lett. d ), della l. n. 457/1978). Del tutto inconferente parrebbe invece il richiamo alla l. 14 maggio 1981, n. 219, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 19 marzo 1981, n. 75, recante ulteriori interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981: sia in quanto la connaturata temporaneità della relativa disciplina la renderebbe inapplicabile al caso di specie, stante il tempo trascorso;sia perché la prevista « semplificazione procedurale non implica in sé l’irrilevanza della disciplina urbanistica “vigente ”».
3. Avverso la ridetta sentenza hanno presentato appello i signori S T e T D R, nella loro qualità di acquirenti dei diritti sul sedime del palazzo nel frattempo demolito giusta atto notarile in data 30 luglio 1997, chiedendone l’annullamento.
Con un unico, articolato motivo di ricorso, essi hanno in particolare contestato la qualificazione giuridica dell’intervento come nuova costruzione e non ristrutturazione, con ciò imponendone l’assoggettamento alla sopravvenuta disciplina urbanistica ostativa in termini di altezza e volumetria. Pur consci del tempo trascorso tra l’avvenuta demolizione e la successiva richiesta di ricostruzione, ne invocano l’eccezionale irrilevanza in ragione dell’aver agito in situazione necessitata - rectius , obbligata - dall’avvenuta adozione di ordinanza di messa in sicurezza n. 108 in data 29 novembre 1980 a cagione delle riscontrate lesioni conseguite al sisma, reiterando un’istanza già presentata nel 1987, ma inopinatamente rimasta senza esito da parte del Comune. La riconducibilità dell’intervento alla disciplina speciale di cui alla l. n. 219/1981, laddove menziona espressamente proprio gli interventi di ristrutturazione edilizia degli edifici e delle abitazioni comunque colpiti dall’evento sismico, sostituendo al regime concessorio di cui all’art. 9, lett. a ) e b ), della l. 28 gennaio 1977, n.10, quello autorizzatorio, confermerebbe l’invocata equiparazione, in un’ottica di favor nei confronti dell’attività di recupero delle aree colpite dal terremoto, della ristrutturazione edilizia al regime giuridico del restauro e risanamento conservativo.
4. Con memoria depositata in data 30 giugno 2010 si è costituito in giudizio il Comune di Corato, opponendosi all’appello e chiedendone il rigetto.
In vista dell’udienza le parti hanno presentato memorie e memorie di replica. Il Comune ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello sia in quanto gli odierni appellanti non avrebbero alcun interesse alla decisione, essendo subentrati, per loro esplicita ammissione, nella proprietà di un’area di sedime, non dell’immobile originario, già demolito;sia in quanto genericamente reiterativo dei motivi di doglianza già avanzati nel giudizio di prime cure;gli appellanti ribadiscono la propria contraria prospettazione, confutando altresì ridetta inammissibilità nella memoria depositata in data 18 giugno 2019, avendola impropriamente la difesa del Comune correlata alla mancata puntualizzazione degli elementi da cui desumere la fragilità delle conclusioni del giudice di prime cure.
5. All’udienza del 9 luglio 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
6. Preliminarmente il Collegio ritiene di dover esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune appellato: l’appello ripercorre in chiave critica le opzioni ermeneutiche della sentenza di primo grado e in quanto tale ne consente lo scrutinio contenutistico;quanto alla rilevata carenza di interesse, oltre che essere prospettata in violazione del divieto dei nova , essa può ritenersi assorbita nel merito, di cui peraltro contribuisce a delineare i confini, come di seguito meglio esplicitato.
7. Nel merito, il ricorso è infondato.
8. Punctum pruriens dell’odierna decisione è la riconducibilità o meno dell’intervento oggetto del diniego di concessione edilizia in data 27 agosto 1996 al paradigma definitorio della ristrutturazione edilizia o a quello della nuova costruzione, con ciò impattando nelle sopravvenute disposizioni urbanistiche, ostative in termini di altezza e volumetrie consentite nella zona di interesse.
La tesi degli appellanti fa leva sulla asserita incontestata identità, anche volumetrica e di sagoma, tra l’edificio demolito e quello oggetto della richiesta presentata in data 6 ottobre 1995, “neutralizzando” il cospicuo lasso di tempo intercorso tra la demolizione e la richiesta ricostruzione da un lato avuto riguardo alla doverosità della prima, in ottemperanza al precetto di apposita ordinanza sindacale;dall’altro addebitando all’inerzia del Comune sulle proprie precedenti iniziative la necessità di attivarsi nuovamente al fine di avere riscontro alle proprie legittime aspettative.
Essa non è condivisibile.
9. Rileva il Collegio come dirimente, ai fini della confutazione della ricostruzione di parte, si paleserebbe già di per sé l’oggettivo iato frapposto tra la demolizione, concretamente avvenuta e comunicata come ultimata nel 1985, pur in assenza di un titolo specifico, e la asserita ricostruzione del medesimo immobile, cui si riferisce l’istanza degli appellanti e, ancor prima, una variante progettuale della signora P datata 12 maggio 1987.
Ma anche a voler prescindere da tale innegabile anomalia procedurale, nel caso di specie mancano entrambi i requisiti perché possa parlarsi di ristrutturazione edilizia, come correttamente ritenuto dal T.A.R. e ancor prima dal Comune di Corato.
10. La nozione di “ristrutturazione edilizia” ha subito nel tempo modifiche e aggiustamenti, sempre funzionali alla finalità ad essa naturaliter sottesa di incoraggiare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, così da ricomprendervi espressamente anche la ricostruzione conseguente a previa demolizione, in passato affidata all’elaborazione pretoria. Benché, in particolare, l’ipotesi di ricostruzione di un manufatto demolito o crollato sia stata espressamente inserita del d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380, solo a seguito della novella allo stesso apportata ad opera della l. 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del d.l. n. 69/2013, essa risultava già ammessa in ambito pretorio, ancorché con precise delimitazioni oggettive.
Scopo del legislatore, infatti, è sempre stato quello di agevolare il recupero estetico e funzionale di manufatti già inseriti nel tessuto edilizio, senza determinare un incremento del carico urbanistico dell’area considerata. In tale contesto, pur in assenza di esplicita previsione in tal senso, già in passato si ammetteva la qualificazione come “ristrutturazione edilizia” anche della ricostruzione conseguente a previa demolizione, purché nel rispetto della sagoma e del volume preesistenti e, soprattutto, nella rilevata unitarietà temporale dell’intervento (cfr. ex plurimis , Cons. Stato, Sez. V, 15 febbraio 2000, n. 1906;id. 27 settembre 1999, n. 1183;24 febbraio 1999, n. 197;Sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4011).
10.1. Accanto e a rafforzare la richiesta sovrapponibilità tra i due manufatti, la giurisprudenza ha dunque da sempre richiesto anche la richiamata “contiguità” temporale tra i due interventi: solo la vicinanza tra demolizione e ricostruzione, infatti, dimostra l’unicità del disegno di recupero del patrimonio edilizio preesistente e nel contempo consente di provarne l’effettiva omogeneità contenutistica. La ratio della ragionevole prossimità del tempo della ricostruzione a quello della demolizione, criterio privo di riscontro positivo, va individuata infatti proprio nell’esigenza di assicurare un rapporto di necessaria strumentalità dell’abbattimento alla successiva ricostruzione (Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5791). « Nelle ipotesi di demolizione e ricostruzione, l’intervento non può essere ascritto alla categoria della ristrutturazione edilizia qualora l’opera difetti del requisito della contestualità tra demolizione e successiva ricostruzione, ancor più nel caso in cui l’edificio realizzato sia di dimensioni differenti dal preesistente » (v. Cons. Stato, Sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5662).
11. Ora, nel caso di specie secondo gli appellanti l’identità tra i due manufatti sarebbe incontestata tra le parti e incidentalmente riconosciuta dal Tribunale: così argomentando, essi continuano a sottrarsi all’onere di fornirne la relativa prova, o quanto meno di affermarne un qualsiasi principio, pretermettendo totalmente le contrarie affermazioni del Giudice di prime cure.
Il T.A.R., infatti, nell’attribuire preminente rilievo al lasso di tempo intercorso tra l’avvenuta demolizione e la presentazione del successivo progetto di ricostruzione (oltre 10 anni), ha ritenuto di poter prescindere dalla considerazione, purtuttavia affermata, « che l’asserita conformità del progetto del nuovo fabbricato al vecchio sia oggetto di contestazione in punto di fatto». Il che non ne implica affatto, come strumentalmente sostenuto dai ricorrenti, l’accettazione contenutistica, in assenza peraltro di allegazioni probatorie al riguardo da parte dell’onerata ricorrente;bensì semplicemente l’averne postergato la rilevanza rispetto alla mancanza di una « ragionevole “contiguità” materiale e temporale tra demolizione e richiesta di ricostruzione ».
12. Affermano dunque gli appellanti di essere stati costretti alla demolizione dalla necessità di ottemperare all’ordinanza di messa in sicurezza (non di abbattimento, pertanto) dell’immobile de quo , esperito peraltro ogni possibile tentativo per salvaguardarne la consistenza, con ciò comprensibilmente determinando il procrastinarsi della stessa. Se quanto detto giustifica l’avvenuto differimento della demolizione al novembre 1985, come da relativa comunicazione al Comune, non altrettanto è a dirsi per la presentazione del progetto di ricostruzione, che avrebbe comunque dovuto essere coevo.
A ciò si aggiunga che la soluzione di continuità tra demolizione e (fedele) ricostruzione pare dimostrata per tabulas dall’avvenuta sottoscrizione, in data 16 novembre 1983, da parte dei danti causa degli odierni appellanti di un preliminare di vendita con i rappresentanti legali della società “Gammariello F.e C. S.n.c.” nel quale i primi si impegnavano a demolire l’immobile « allo scopo di poter utilizzare il suolo di risulta per la costruzione di un nuovo edificio » sulla base della presentazione di apposita istanza di concessione ad edificare da parte della seconda. L’ottenimento della ridetta concessione costituiva condizione sospensiva di efficacia del contratto de quo . Nessun cenno a tale originario progetto, effettivamente presentato nel 1983 dalla ridetta società, è dato rinvenire nella ricostruzione della vicenda prospettata dagli appellanti.
La sedicente richiesta originaria, che essi avrebbero legittimamente scelto di non “compulsare”, optando piuttosto per una nuova presentazione, siccome in loro facoltà a fronte dell’inerzia serbata dal Comune sulla prima, si innesta dunque su tale progetto del 1983, costituendone dichiaratamente una variante. Ciò trova conferma nella certificazione urbanistica, pure versata in atti, a firma del Sindaco del Comune di Corato in data 15 gennaio 1998, nella quale si dà appunto atto dell’avvenuta presentazione da parte della società “Gammariello S.n.c.” di apposita pratica edilizia n. 400/1983, seguita da una variante in data 12 maggio 1987 prot. 10760 (presumibilmente a firma della signora Maddalena P). Se è vero, dunque, che il Comune è rimasto inerte non sottoponendo tale pratica alla Commissione edilizia, lo è altrettanto che a dolersene avrebbero dovuto essere a tempo debito i richiedenti originari e non, dopo quasi un decennio di inattività, gli appellanti, subentrati alla società presumibilmente proprio in ragione dell’effetto risolutivo sull’accordo intercorso con i signori P del diniego della richiesta concessione edilizia.
13. Rileva ancora il Collegio come secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, alle cui risultanze intende adeguarsi, i richiamati requisiti per distinguere la ristrutturazione per demolizione e ricostruzione dalla nuova costruzione risultano inscindibilmente connessi tra di loro. La decorrenza del tempo, infatti, vanifica sostanzialmente la possibilità di procedere « con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione » (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475;in casi analoghi la Sezione ha preteso che l’immobile esista quanto meno in quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo di consistenza, possano farlo giudicare presente nella realtà materiale: Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 1990, n. 293, e 20 dicembre 1985, n. 485).
L’individuazione delle pregresse consistenze, pure affermate identiche da parte appellante, manca delle richiamate certezze, a maggior ragione necessarie visto il lasso di tempo trascorso, il mutamento dei soggetti coinvolti e la documentata statuizione convenzionale di dar luogo separatamente alla demolizione dell’immobile, per garantire sulla medesima area la realizzazione di un - originariamente imprecisato - autonomo progetto costruttivo.
14. Quanto detto appare assorbente dell’ulteriore motivo di doglianza, ovvero la ritenuta inapplicabilità da parte del Giudice di prime dell’invocata l. n. 219/1981: sul punto il Collegio ritiene infatti di dover condividere l’affermazione del T.A.R. per la Puglia in forza della quale la qualificazione giuridica dell’intervento (nel caso di specie come nuova costruzione) è assorbente dell’individuazione del regime giuridico di riferimento, non potendo trovare applicazione quello, presupponente la ristrutturazione edilizia, dettato per il restauro o risanamento conservativo. Ciò a prescindere dalla possibilità o meno di applicare un regime palesemente agevolativo in funzione emergenziale a distanza di oltre un decennio dall’evento e senza alcuna oggettiva ragione che ne giustifichi la ritardata fruizione.
15. Conclusivamente, pertanto, l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza del T.A.R. per la Puglia n. 475/2009.
16. Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione della complessità giuridica della questione.