Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-04-08, n. 202102852

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-04-08, n. 202102852
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102852
Data del deposito : 8 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/04/2021

N. 02852/2021REG.PROV.COLL.

N. 01910/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1910 del 2019, proposto da
Comune di Aversa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

R V, rappresentato e difeso dall'avvocato L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 6325/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di R V;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2021 il Cons. Giordano Lamberti e udito l’avvocato L C, in collegamento da remoto, ai sensi degli artt. 4, comma 1, del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e 25 del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - L’appellato (parte ricorrente in primo grado) ha rappresentato che: - in data 20.12.1989, aveva acquistato un immobile sito nel Comune di Aversa (distinto in catasto al foglio n. 5, p.11a n. 5082), costituito da piano terra e parziale primo piano, realizzato negli anni 20, confinante a sud con il cimitero comunale;
- in data 1.3.1995, aveva presentato al Comune una richiesta di concessione in sanatoria per condonare gli interventi di demolizione e ricostruzione del capannone adiacente al fabbricato preesistente;
- con certificazione del 28.3.2002, l’amministrazione, nell’evidenziare che l’istruttoria relativa all’istanza di sanatoria era ancora in corso, attestava che “l'area sulla quale sorge l'opera abusiva non risulta sottoposta a vincoli di cui agli arti. 32 e 33 della l. n. 47 del1983”; - in data 8.3.2010, il Comune di Aversa rilasciava il permesso di costruire in sanatoria n. 348 del 2010 e, in data 28.2.2011, veniva autorizzato, con decreto n. 3/2011, l’esercizio dell’attività di autocarrozzeria;
- successivamente, il ricorrente aveva ottenuto il rilascio del permesso di costruire n. 130 del 28.2.2011, per l’esecuzione di un intervento di demolizione e ricostruzione del fabbricato, ed in particolare di opere edili “finalizzate: a) all'adeguamento/miglioramento antisismico della struttura portante in travi con sostituzione della stessa in c.a.;
b) alla realizzatione di tompanature perimetrali in sostituzione di quelle esistenti costituite da pannelli di lamiera coibentata;
c) per la realizzazione di un piano interrato ad uso deposito;
d) nonché di una pensilina a ridosso di parte della recinzione prospettante via Fermi, costituita da struttura portante e sostegni in acciaio ad uso ricovero autovetture”
, dando quindi avvio alle opere nei termini previsti e procedendo all’esecuzione dell’80% delle stesse;
- con la nota n. 16484 del 16.5.2017, l’amministrazione comunicava l’avvio del procedimento volto all’annullamento del permesso di costruire n. 130 del 2011, rilevando che l’immobile in oggetto ricadeva in fascia di rispetto cimiteriale e che con il citato permesso: 1) era stata di fatto assentita un’altezza del piano interrato superiore a quella di m. 2,50 raffigurata nei grafici di progetto, con conseguente aumento di volumetria;
2) “la rampa di scale che dà accesso al pianto interrato e la pensilina metallica previste in progetto invadono la fascia di terreno sulla quale deve essere realizzata una strada di piano prevista dal PRG” ;
tuttavia, nel medesimo atto, l’amministrazione comunicava che le segnalate problematiche avrebbero potuto essere rimosse mediante la presentazione di una SCIA in variante, ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. n. 380 del 2001;
per tale ragione, l’appellato presentava la SCIA n. 25427 del 27.7.2017, con la quale comunicava che avrebbe provveduto a contenere l’altezza del piano interrato entro il limite di 2,50 ed a spostare la rampa di accesso del medesimo al fine di non invadere la strada di Piano prevista dal PRG;
- con la nota n. 26113 del 2.8.2017, l’amministrazione inviava una nuova comunicazione di avvio del procedimento, finalizzato all’annullamento, non solo del permesso a costruire n. 130 del 2.3.2011, ma anche del precedente permesso in sanatoria n. 348 dell’8.3.2010 e della SCIA da ultimo presentata.

1.2 - Secondo il Comune, il permesso di costruire n. 348 dell’8.3.2010 sarebbe stato illegittimamente rilasciato “ in quanto il fabbricato è stato realizzato all'interno della fascia di rispetto cimiteriale di cui all'art. 338 del A.D. n. 1265 del 1934”; non sarebbe stato possibile condonare l’immobile in virtù di quanto previsto dall’art. 33, comma 1, della L. n. 47 del 1985, secondo cui “ non sono suscettibili di sanatoria le opere quando siano in centrato con....d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”; anche il permesso n. 130 del 2.3.2011 relativo ad opere di ristrutturazione del manufatto in precedenza condonato avrebbe dovuto essere annullato, in quanto rilasciato sul presupposto della legittimità del richiamato permesso in sanatoria n. 348 dell’8.3.2010, oltre che per vizi propri “contestati con nota n. 16484 del 16.5 .2017”.

Con la nota n. 36464 del 2017, l’amministrazione, nel confermare integralmente le motivazioni addotte nel citato preavviso, disponeva l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire in sanatoria n. 348 dell’8.3.2010, del permesso a costruire n. 130 del 2.3.2011 e della SCIA n. 25427 del 27.7.2017.

2 – L’appellato ha impugnato questi ultimi provvedimenti avanti il T.A.R. per la Campania che, con la sentenza n. 6325/2018, ha accolto il ricorso: a) accertando la sussistenza della dedotta violazione del termine dei 18 mesi assegnati dall'art. 21 nonies della L. 241/1990 per procedere all’annullamento in autotutela di provvedimenti autorizzatori;
b) ravvisando la carenza di istruttoria con riferimento alla preesistenza di un edificio risalente nel tempo ed alla mancata valutazione dell’esatta portata degli interventi assentiti.

3 – Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di Aversa, deducendo che l’immobile oggetto degli interventi a cui si riferiscono sia il condono che il successivo permesso di costruire, poi annullati in autotutela, ricade in fascia di rispetto cimiteriale, ex art. 33 R.D. 27/07/1934 n. 1265.

Secondo il Comune in tale fascia sussiste un vincolo assoluto di inedificabilità che inibisce qualunque possibilità di intervento e preclude, a norma dell’art. 33 della Legge n. 47/1985, anche il rilascio di un titolo edilizio in sanatoria;
qualora quest’ultimo venga rilasciato in violazione di tale divieto assoluto di edificabilità, il provvedimento emesso non sarebbe affetto da una mera illegittimità, ma da una vera e propria nullità, atteso che risulterebbe in contrasto con norme imperative di legge poste a tutela dell’igiene e della sicurezza pubblica.

3.1 - Da un altro punto di vista, rileva la sussistenza di una rappresentazione della situazione di fatto, ad opera di chi ha prodotto la domanda di condono edilizio, che nega la sussistenza di qualunque vincolo incidente sulla zona dell’intervento oggetto di tale richiesta;
né potrebbe configurarsi alcun affidamento rilevante in capo al privato, quando lo stesso non abbia evidenziato l’esistenza del vincolo derivante dalla fascia di rispetto cimiteriale.

3.2 – Infine, deduce che l’abuso edilizio oggetto del condono, poi annullato, consisterebbe in una struttura totalmente nuova ed autonoma, ovvero in un’opera realizzata ex novo, che utilizza il manufatto risalente agli anni venti, con destinazione rurale, soltanto come appoggio parziale.

4 - L’appello, nelle sue plurime articolazioni che possono essere esaminate congiuntamente, non deve trovare accoglimento.

In fatto: è pacifico che l’immobile oggetto degli interventi, a cui si riferiscono i titoli edilizi oggetto di annullamento in autotutela, ricade effettivamente all’interno della fascia di rispetto cimiteriale ex art. 33 R.D. 27.7.1934, n. 1265.

E’ altrettanto pacifico che l’immobile – edificato negli anni ’20 – era preesistente all’apposizione del vincolo.

Su un piano generale, il detto vincolo successivo, anche se assoluto, in base agli artt. 32 e 33 della l. 47/1985, non preclude il rilascio della sanatoria, consentendola se vi è il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo ( cfr . Cons. St. Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5549;
6 maggio 2013, n. 2409).

4.1 – Nello specifico, deve inoltre rilevarsi che, anche in base alla peculiare disciplina del vincolo in questione ( cfr. art. 33, comma 7, del R.D. n. 1265 del 1934), è comunque consentita, per gli edifici esistenti, l’esecuzione di interventi di ristrutturazione edilizia.

Tale categoria di intervento edilizio ( cfr . art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001), pur consistendo essenzialmente negli “ interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ”, include anche gli interventi “ consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente ”.

E’ alla luce di tale precisazione che risulta particolarmente pertinente il rilievo del T.A.R., secondo cui i provvedimenti impugnati sarebbero carenti di un’adeguata istruttoria e motivazione in riferimento all’esatta individuazione degli interventi posti in essere, suscettibili di rapportarsi in modo differente rispetto al vincolo in questione.

Ferma tale condivisibile conclusione, che le censure svolte dal Comune in questa sede non sono idonee a superare, deve rilevarsi che, con il permesso in sanatoria n. 348 dell’8.3.2010 (ed anche con il successivo permesso a costruire n. 130 del 2011), l’amministrazione ha sanato un intervento di parziale demolizione e ricostruzione del fabbricato, non potendosi dunque immediatamente aderire - in assenza di specifici riscontri - alla tesi del Comune secondo cui si sarebbe trattato della realizzazione di un edificio ex novo, né a tal fine pare determinante il fatto che siano stati utilizzati “profilati in ferro, travi e pilastri”, che non rilevano al fine di determinare se il nuovo edificio rispetta le caratteristiche dimensionali del precedente.

Per altro, come rimarcato dal T.A.R., la prospettazione perorata dall’amministrazione durante questo giudizio risulta in contrasto con la condotta della stessa amministrazione che, con la nota n. 16484 del 16.5.2017, si era limitata a rilevare nel permesso n. 130 del 2.3.2011 altre difformità ritenute superabili mediante la semplice presentazione di una SCIA.

4.2 – Alla luce delle considerazioni che precedono deve dunque trovare conferma la statuizione del giudice di primo grado nel punto in cui ha ravvisato un evidente difetto di istruttoria nella parte in cui il provvedimento ha omesso di considerare che l’immobile risultava edificato negli anni venti e, dunque, in epoca antecedente all’imposizione del vincolo cimiteriale per effetto del R.D. n. 1254/1934.

Invero, in ragione di tale dato, l’ammissibilità dell’attività edilizia posta in essere su tale edificio preesistente avrebbe dovuto essere oggetto di specifica qualificazione e valutazione da parte della P.A., non potendosene predicare l’illegittimità assoluta e la certa contraria al vincolo cimiteriale.

5 – Tale esito comporta la non configurabilità alla radice di un provvedimento nullo nel senso prospettato dal Comune, dal momento che la disciplina del vincolo in questione non vieta l’attività di ristrutturazione di immobili edificati in un’epoca antecedente all’apposizione del vincolo.

Su un piano più in generale, la giurisprudenza ha in ogni caso evidenziato che “ l'affermazione della sussistenza della nullità di un permesso a costruire comporterebbe gravi turbamenti all'esigenza di certezza dei rapporti di diritto pubblico…in quanto, anche se le alienazioni del bene non incidono sui poteri repressivi di cui è titolare l'amministrazione, pure i subacquirenti sarebbero esposti in ogni tempo ad una declaratoria di nullità, per atti divenuti inoppugnabili e richiamati negli atti notarili di alienazione. Una tale grave conseguenza della nullità, che la legge pur potrebbe astrattamente prevedere per la più indefettibile tutela del territorio, non è stata prevista dal legislatore, neppure con il richiamato art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 ” (Cons. St., Sez. VI, n. 5266/2013).

6 – Alla luce delle considerazioni esposte deve essere confermata anche l’accertata violazione del termine previsto dall’art. 21 novies della l. 241/90.

Con l’art. 6 della legge n. 124 del 2015 - volta ad implementare la certezza dei rapporti giuridici – sono state introdotte due importanti modifiche alla suddetta norma: a) la fissazione del termine massimo di diciotto mesi per la valida adozione dell’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori e attributivi di vantaggi economici;
b) la previsione, con il comma aggiunto 2-bis, della possibilità di annullare, anche dopo quel termine, i provvedimenti ottenuti sulla base di dichiarazioni false, ma solo quando la falsità è stata accertata in sede penale con sentenza passata in giudicato.

Al riguardo, la giurisprudenza dominante alla quale aderisce il Collegio ha chiarito che il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa. Si arriverebbe infatti all’inammissibile conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione. È fatta salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990 ( cfr . Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 19 gennaio 2017, n. 250;
Consiglio di Stato, sez. VI, 13/07/2017, n. 3462).

Di fatto: la disposizione dirigenziale impugnata (n. 36464 del 30.10.2017) si colloca ben oltre il termine finale fissato dal legislatore per l’esercizio del potere di autotutela. Di conseguenza, come già rilevato dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3462 del 13.7.2017), non può che concludersi nel senso che: “ È illegittimo il provvedimento di annullamento d'ufficio del permesso di costruire intervenuto oltre il termine perentorio di 18 mesi stabilito dall'art. 21 nonies l. n. 241 del 1990, così come novellato dalla l. n. 124 del 2015, già in vigore — "ratione temporis" — al momento dell'adozione dell'atto di secondo grado ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3462 del 13.7.2017).

6.1 – Non appare neppure condivisibile il rilievo del Comune, secondo cui l’esito favorevole della domanda di sanatoria sarebbe stata causata da una rappresentazione fuorviante del richiedente, che avrebbe dichiarato che non sussistevano vincoli.

Al riguardo, in primo luogo, valgono le considerazioni già svolte, non potendosi concludere con certezza, in assenza di una specifica indagine istruttoria da parte dell’amministrazione, che la sussistenza del vincolo possa ritenersi immediatamente ostativa degli interventi realizzati.

Inoltre, nonostante allo stato debba ritenersi incontestato tra le parti che l’immobile oggetto degli interventi cui si riferiscono i titoli edilizi oggetto di annullamento in autotutela ricade in area vincolata, deve rilevarsi come non si possa affermare che all’epoca della domanda sussistesse un’analoga situazione di certezza, come comprovato dal fatto che in data 28.3.2002 la stessa amministrazione aveva attestato che “ l'area sulla quale sorge l'opera abusiva, di cui all'istante: di concessione edilizia in sanatoria, non risulta sottoposta a vincoli di cui agli artt. 32 o 33 della legge n. 47 del 28.2.1985 e successive modificatimi ed integrazioni”.

Alla luce di tali considerazioni non appare censurabile la valutazione del T.A.R. secondo cui, nel caso in esame, non può configurarsi una dolosa o colposamente grave rappresentazione, ad opera del ricorrente, della situazione di fatto, in particolare relativamente ai vincoli incidenti sulla zona dell’intervento oggetto di domanda di condono prima, e di ulteriore attività edilizia poi.

A sostengo di tale assunto, il Giudice di primo grado, oltre alla già citata certificazione del 28.3.2002, ha ulteriormente e condivisibilmente evidenziato “ come sulla questione appare comunque esservi stata un’ampia interlocuzione tra il privato e il Comune di Aversa, il quale ultimo, in occasione dell'invio della nota n. 16484 del 17.5.2017 ("avviso di avvio del procedimento tendente all'annullamento del permesso a costruire n. 130 del 2.3.2011") ha addirittura “suggerito” al destinatario di superare le criticità in detta occasione rilevate, mediante "presentazione, anche attraverso SCIA ai sensi dell'art. 22 del DPR n. 38012001, di apposita variante con la quale siano risolte le problematiche di cui agli stessi punti 1) e 2)" (adempimento poi effettivamente assolto chi Virgilio, pur se la presentata SCIA è stata successivamente anch'essa annullata con il provvedimento di autotutela qui in esame), quindi anche il Comune oggi resistente non può dirsi esente da colpe nell'aver consolidato un'apparenza di piena legittimità in occasione dei procedimenti per il rilascio dei permessi di costruire n. 348/2010 e n. 130/2011 ”.

7 – In definitiva, per le ragioni esposte, l’appello non deve trovare accoglimento.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi