Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-11, n. 201600595

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-11, n. 201600595
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600595
Data del deposito : 11 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01629/2015 REG.RIC.

N. 00595/2016REG.PROV.COLL.

N. 01629/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1629 del 2015, proposto da:
Comune di Padova, rappresentato e difeso dagli avv. M L e F L, con domicilio eletto presso F L in Roma, Via del Viminale N. 43;

contro

Aedilmap Srl, rappresentato e difeso dagli avv. S L, L P e A M, con domicilio eletto presso A M in Roma, Via Federico Confalonieri N. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 00998/2014, resa tra le parti, concernente accertamento insussistenza diritto amministrazione a percepire contributo costruzione;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Aedilmap Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2016 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Lorenzoni, Lotto e Reggio d'Aci, in dichiarata delega dell’avvocato A. Manzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In data 3.6.2009 l’Università degli Studi di Padova ha stipulato con la Aedilmap s.r.l. un preliminare di vendita di cosa futura avente ad oggetto un costruendo edificio didattico a servizio del Dipartimento di Medicina e Biologia da realizzarsi – previa variante ad un piano di lottizzazione - in area direzionale.

In data 15.9.2009 il comune, che aveva approvato la variante, ha rilasciato alla Impresa il relativo permesso di costruire, determinando quanto dovuto a titolo di contributo per oneri urbanizzazione secondaria e di costruzione.

La società ha versato il contributo con riserva di ripetizione, ha ultimato i lavori ed ha quindi stipulato con l’Università il contratto definitivo di compravendita.

Quindi la società ha proposto ricorso al TAR Veneto sostenendo che l’edificio avrebbe dovuto restare esente dal contributo di costruzione.

Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito tribunale ha accolto il ricorso rilevando da un lato che l’edificio universitario in questione costituisce opera di urbanizzazione secondaria, esente dal contributo ai sensi dell’art. 17 comma 3 lettera c) T.U. n. 380 del 2001;
dall’altro che in ogni caso la struttura è stata realizzata dal privato su incarico e per conto dell’università.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dal soccombente comune di Padova il quale ne ha chiesto l’integrale riforma, deducendo sei motivi di impugnazione.

Si è costituita l’originaria ricorrente, che ha domandato la conferma della decisione di primo grado.

Le Parti hanno presentato memorie e note di replica, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

All’udienza del 28 gennaio 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO

L’appello è fondato.

Come è noto, l’art. 1 della legge n. 10 del 1977 ha introdotto nell’ordinamento il principio fondamentale secondo cui ogni attività comportante trasformazione urbanistico/edilizia del territorio partecipa agli oneri da essa derivanti.

Tale principio dell’onerosità del permesso di costruire è oggi confermato dall’art. 11 comma 2 del T.U. n. 380 del 2001, il quale poi precisa all’art. 16 che il relativo contributo è costituito da due quote, commisurate rispettivamente all’incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione dell’edificio assentito.

Rispetto a tale regime generale, l’art. 17 del citato T.U. contempla alcune ipotesi di riduzione o esonero dal contributo di costruzione, ipotesi che devono considerarsi – e questo profilo va sottolineato - tassative e di stretta interpretazione proprio perché, come si è detto, derogatorie rispetto alla regola della normale onerosità del permesso.

Per quanto rileva nella presente controversia, l’art. 17 comma 3 lettera c) prevede dunque che il contributo di costruzione non è dovuto “ per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.

Come si vede, l’esenzione di cui si discute riguarda in realtà due ben diverse e non confondibili ipotesi, relative da un lato alla realizzazione di opere di interesse generale realizzate dagli enti competenti;
dall’altro alle opere di urbanizzazione eseguite anche da privati.

La sentenza impugnata ha nel caso di specie essenzialmente ritenuto che l’edificio universitario realizzato da Aedilmap in vista della sua vendita all’Università configuri la realizzazione di un’opera di urbanizzazione.

Tuttavia la sentenza stessa adombra l’ipotesi che l’edificio dovesse godere dell’esenzione anche per l’altro titolo, trattandosi cioè di una struttura di interesse generale.

A parere di questo Collegio tale commistione non è condivisibile, non potendo l’esenzione ricollegarsi simultaneamente a due diverse qualificazioni formali dello stesso bene che in realtà non sembra possano coesistere.

E tuttavia, visto quanto statuito dalla sentenza impugnata, in questa sede vanno esaminati entrambi i profili della questione interpretativa.

Ciò premesso, con il motivo che per ragioni di aderenza al testo normativo conviene prioritariamente esaminare il comune sostiene che l’edificio in questione non può ritenersi “opera pubblica realizzata dall’Università” come la disposizione di riferimento richiede.

Il mezzo è fondato.

Come risulta evidente, la concessione del beneficio per il titolo in rassegna postula la ricorrenza di due requisiti, l’uno obiettivo l’altro soggettivo.

Nel caso in esame è indubbia la presenza del requisito oggettivo richiesto dall’art. 17 comma 3 lettera c) prima parte, e cioè la finalizzazione dell’edificio universitario al soddisfacimento di un interesse generale.

Manca invece il requisito soggettivo e cioè la realizzazione dello stesso da parte di un ente istituzionale.

In tale prospettiva è da tempo acquisito che l’esenzione può essere riferita anche ad un’opera di interesse generale realizzata da un privato per conto di un ente pubblico.

Ma in questa ipotesi – secondo consolidata giurisprudenza - l’esenzione spetta soltanto qualora ( come avviene nella concessione di opera pubblica e in altre analoghe figure organizzatorie) lo strumento contrattuale utilizzato consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia operato. ( cfr. ex multis V Sez. n. 536 del 1999 e n. 1901 del 2000).

In altri termini, l’esenzione spetta solo se il privato abbia agito quale organo indiretto dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega.

Nel caso all’esame invece la costruzione – come riportato nelle premesse – è stata edificata dall’impresa sulla base di un preliminare di vendita di cosa futura stipulato con l’Ateneo padovano: pertanto, come evidenziato da recente e condivisibile giurisprudenza, la costruzione è avvenuta alla stregua di una tipologia negoziale che non aveva determinato l’affidamento da parte dell’Università di un incarico formale per la realizzazione di un’opera. ( cfr. IV Sez. n. 3421 del 2014).

Il fatto che l’Università possa essersi ingerita dettando istruzioni per la concreta configurazione dell’edificio, da un lato risulta del tutto usuale in questa tipologia di compravendita;
dall’altro e soprattutto non può valere a cancellare le differenze radicali che intercorrono – quanto a causa funzionale, passaggio del rischio, produzione dell’effetto traslativo etc. – tra la concessione o l’appalto da una parte e il contratto di vendita di cosa futura dall’altra.

Del resto, anche a non voler considerare questi profili prettamente civilistici, deve pur ricordarsi che l’ordinamento interno – sulla scia della normativa comunitaria – tipicizza in modo tassativo attraverso il codice degli appalti gli strumenti che la pubblica amministrazione può utilizzare per la realizzazione delle opere pubbliche: di talchè, ove in luogo di questi strumenti l’Amministrazione utilizzi la compravendita per procurarsi il bene, deve presumersi che la qualificazione di esso quale opera pubblica consegue al prodursi dell’effetto traslativo e non lo precede.

Come è noto, in passato la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in sede consultiva ha affermato che l'esperibilità della vendita di cosa futura da parte della Pubblica amministrazione (nella specie di un immobile) è in astratto ammissibile, anche se in concreto condizionata dalla ricorrenza di situazioni eccezionalissime e dalla necessità - dettata dalla finalità di evitare intenti elusivi del principio tendenziale e generale del procedimento d'appalto - che l'Amministrazione valuti preventivamente la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di realizzazione delle opere pubbliche. ( cfr. Ag. n. 2 del 2000).

Questo Collegio dubita della perdurante validità di tale pur autorevole insegnamento a fronte della evoluzione della vincolante normativa comunitaria e a fronte delle previsioni contenute nel sopravvenuto codice degli appalti, secondo cui la esecuzione di opere e lavori da parte dell’Amministrazione non può che essere oggetto di contratti di concessione o appalto.

E tuttavia – non essendo questa la sede per valutare la legittimità di un assetto contrattuale che ha condotto le parti a prescindere da ogni profilo di evidenza pubblica – ciò che qui conta è che in definitiva e in termini piani l’Università non ha formalmente realizzato l’opera, in quanto ha omesso di utilizzare gli unici strumenti contrattuali all’uopo apprestati dall’ordinamento.

Specularmente, sempre in termini piani, la società costruttrice non ha mai conseguito dall’Ateneo un appalto o concessione ad evidenza pubblica ma ha semplicemente venduto ad esso un immobile ( costruito in base a un preliminare di un contratto ad effetti obbligatori) e non può pertanto pretendere un beneficio spettante ai privati solo se essi hanno edificato per conto della mano pubblica.

In conclusione deve escludersi – sia nell’ottica civilistica sia soprattutto in quella pubblicistica - che nel caso all’esame si trattasse di un’opera di interesse generale realizzata da un ente competente.

A quanto sin qui osservato va solo aggiunto, per completezza, che in realtà se si fosse veramente trattato di un’opera pubblica di interesse statale realizzata dall’ente competente, la disciplina del permesso di costruire e dei relativi oneri contenuta nel Titolo II del T.U. edilizia sarebbe stata in radice inapplicabile, giusta il disposto dell’art. 7 comma 1 lettera b) del DPR n. 380 del 2001.

Con il secondo motivo l’appellante comune di Padova deduce che ha errato il Tribunale nel qualificare in via principale l’edificio universitario come opera di urbanizzazione eseguita da privati in esecuzione di strumenti urbanistici.

Anche questo mezzo è fondato.

Come è noto, l’art. 4 secondo comma della legge n. 847 del 1964 e s.m. ( con previsione ora sostanzialmente confermata dall’art. 16 comma 8 del T.U.) qualifica come opere di urbanizzazione secondaria – per quanto ci interessa - le scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore dell’obbligo.

Secondo il TAR, che ha condiviso l’impostazione della ricorrente, un edificio universitario costituisce appunto struttura per l’istruzione superiore dell’obbligo.

Tale conclusione non sembra condivisibile, innanzi tutto sul piano testuale perché nella tradizione amministrativa è ben scolpita la differenziazione tra gli istituti di istruzione dei vari ordini e gradi e quelle che l’art. 33 Cost. designa come istituzioni di alta cultura università e accademie.

A prescindere da questi labili rilievi, sul decisivo piano sistematico deve in estrema sintesi ricordarsi da un lato che la citata legge n. 847/1964 in tanto ha per la prima volta elencato le opere di urbanizzazione secondaria in quanto ha contestualmente facoltizzato i comuni ad accendere mutui per la loro realizzazione nell’ambito dei piani di zona;
dall’altro che la legge n. 10 del 1977 ( con previsione non ripresa dal T.U.) imponeva il versamento dei contributi concessori proprio ai comuni con vincolo di destinazione appunto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione.

Ne deriva che le opere di urbanizzazione secondaria hanno tendenzialmente una dimensione comunale o infra-comunale, in quanto finalizzate a migliorare il grado di fruibilità di uno specifico e circoscritto insediamento urbano mediante la creazione da parte dell’ente locale di determinate strutture di supporto per servizi fruibili da quella comunità.

Di talchè come uno stadio internazionale non costituisce opera di urbanizzazione secondaria, essendo tale qualifica riservata solo agli impianti sportivi di quartiere;
come un interporto o un mercato all’ingrosso non costituisce opera di urbanizzazione secondaria essendo tale qualifica riservata ai mercati di quartiere;
così una facoltà universitaria – in quanto volta ad erogare un servizio pubblico che esorbita dalla dimensione locale – non può essere assimilata ai fini in esame alle scuole di ogni ordine e grado.

Ovviamente, stadio internazionale interporto e facoltà universitaria possono guadagnare l’esenzione, ma al diverso titolo di cui sopra ( e cioè in quanto impianti di interesse generale) ove ricorra anche il requisito soggettivo.

Tanto chiarito, sempre in estrema sintesi si osserva che peraltro nel caso all’esame l’opera pubblica – anche a volerla annoverare fra quelle di urbanizzazione secondaria – non risulta comunque eseguita in attuazione di specifica previsione dello strumento urbanistico, come la legge richiede.

Infatti l’opera di urbanizzazione consegue l’esenzione solo se sia specificamente prevista e così espressamente qualificata dallo strumento urbanistico ( cfr. CGA n. 223 del 2014).

In sostanza ai fini dell’esenzione dal contributo per opere di urbanizzazione devesi utilizzare lo stesso criterio che vige nel caso simmetrico dello scomputo per realizzazione diretta dell’infrastruttura secondaria, nel quale la materiale realizzazione dell’opera da parte del privato non rileva se non è preceduta da un atto della p.a. che individui il tipo e l’entità delle opere ammesse a scomputo.

Applicando detta regola si rileva che nel caso all’esame la variante al piano di lottizzazione approvata dal comune ha sì consentito la realizzazione della struttura universitaria in un ambito altrimenti destinato ad insediamenti direzionali ma non ha apposto all’area di insistenza la qualificazione A/F propria delle attrezzature di interesse comune o a disposizione della collettività, con la conseguenza che la struttura non costituisce attuazione o esecuzione di una specifica previsione di piano.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono ed assorbita ogni altra questione l’appello del comune di Padova va quindi accolto con integrale riforma della sentenza gravata e rigetto del ricorso originario

Le spese e gli onorari del giudizio vanno però compensati tra le Parti avuto riguardo alla complessità di alcune delle questioni trattate.

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