Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-06-18, n. 202003908

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-06-18, n. 202003908
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003908
Data del deposito : 18 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/06/2020

N. 03908/2020REG.PROV.COLL.

N. 02791/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2791 del 2019, proposto da
S R, Spot Mountain Ranch Asd, rappresentati e difesi dagli avvocati V C, M D N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Abruzzo, non costituita in giudizio;
Comune di Castel di Sangro (Aq), rappresentato e difeso dall'avvocato L D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del TAR Abruzzo, sez. I, n. 3/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Castel di Sangro (Aq);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2020 il Cons. G O.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame la signora Rosato impugna la sentenza del Tar indicata in epigrafe che (previa riunione) aveva dichiarato inammissibili e respinti i ricorsi da lei proposti (in proprio e come rappresentante della A.S.D. Spot Mountain Ranch) per l’annullamento della delibera del Consiglio comunale di Castel di Sangro n. 5 del 13 febbraio 2013 con la quale l’amministrazione ha preso atto della comunicazione regionale n. 2 del 2013 relativa alla demolizione di opere abusive realizzate su area ad uso civico, ha dichiarato l’interesse pubblico all’acquisizione di tali opere e ha previsto l’attivazione delle procedure per il cambio di destinazione d’uso e di sdemanializzazione, nonché della determinazione n. DPD103 del 4 aprile 2017 con la quale la Giunta regionale assegna l’area di cui al foglio n. 852 (particelle nn. 151,152,848,839 e 951) alla categoria A, art. 11 della legge n. 1766/27 ed autorizza il Comune a mutare la destinazione di uso per la acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune ai fini dell’eventuale concessione.

Con la determinazione dirigenziale della regione n. SHS1/2/usi civici del 9 gennaio 2013 era stata disposta la reintegra dei terreni ad uso civico ai sensi dell’articolo 8 della legge regionale n. 25 del 1988 occupati dalla ricorrente obbligandola a ripristinare lo stato originario dei luoghi mediante la demolizione delle opere realizzate sull’area occupata abusivamente.

2. Il Tar ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse il ricorso contro la delibera comunale n. 5 del 2013 in quanto esecutiva e consequenziale rispetto al provvedimento regionale di reintegra non impugnato dalla ricorrente.

Il giudice di primo grado ha poi respinto i motivi aggiunti proposti contro la delibera della Giunta comunale n. 193 del 2013 di annullamento in autotutela della precedente delibera n. 206 del 2011 che aveva approvato una variante al permesso di costruire originario per la realizzazione di un maneggio e di strutture pertinenziali nell’area, ritenendo che l’eventuale convalida della delibera viziata per incompetenza (comunque di natura discrezionale) avrebbe dovuto essere adottata dalla Giunta regionale e non dal Comune e che in ogni caso non si era consolidato alcun legittimo affidamento in capo alla ricorrente sul mutamento della destinazione d’uso.

Il Tar ha quindi respinto il ricorso per l’annullamento del provvedimento regionale di riassegnazione dell’area e di autorizzazione al Comune a mutare la destinazione d’uso su cui insistono i fabbricati per l’acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune ai fini di una eventuale successiva concessione. La sentenza impugnata precisa che la censura della ricorrente, secondo cui l’area interessata sarebbe stata individuata in modo erroneo da parte della Regione e non avrebbe potuto comunque essere riassegnata ad altra destinazione in presenza della precedente concessione, avrebbe dovuto essere rivolta alla delibera regionale del 9 gennaio 2013 che aveva già provveduto alla individuazione dei terreni per la loro reintegra ad uso civico ed inoltre per i beni assoggettati ad uso civico non è ammessa la cosiddetta sdemanializzazione di fatto o tacita.

3. L’appello deduce due motivi di erroneità della sentenza impugnata concernenti la omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia e la falsa applicazione della legge n. 241 del 1990, della legge n. 249 del 1968, del d.p.r. n. 380 e i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità (primo motivo), nonché la violazione della normativa regionale in materia di sdemanializzazione tacita e usi civici (secondo motivo).

4. Con l’ordinanza n. 2511 del 2019 questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione della sentenza con cui il Tar ha respinto il ricorso di primo grado presentata in via incidentale dalla parte appellante evidenziando la necessità “ del completo riesame, da parte del Comune e della stessa Regione, di tutta la vicenda contenziosa ”.

5. Il comune di Castel di Sangro si è costituito in giudizio in data 17 luglio 2019.

L’appellante ha depositato una memoria in data 15 aprile 2020.

6. Nell’udienza del 7 maggio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. L’appello è fondato nei sensi e nei limiti seguenti.

7.1. Con il primo motivo l’appellante rileva che il ricorso originario annovera, quanto meno nell’epigrafe dell’atto, la determinazione dirigenziale della Regione Abruzzo del 9 gennaio 2013 tra i provvedimenti oggetto di impugnazione e che anche nei successivi motivi aggiunti si fa specifico riferimento all’impugnazione di tale atto. Sottolinea, inoltre, la non immediata lesività della delibera regionale in ragione di quanto disposto dall’articolo 10 della legge regionale n. 25 del 1988 e che, in ogni caso, l’utilizzazione di terreni di uso civico (peraltro di ampiezza molto limitata) è da attribuire anche agli errori compiuti dall’amministrazione comunale in sede di rilascio delle autorizzazioni edilizie. Sarebbero quindi fondate le ragioni di affidamento che si sono costituite nel tempo e la valutazione dell’interesse pubblico per l’annullamento in autotutela avrebbe dovuto tener conto, a parere dell’appellante, dell’insieme di tali elementi di fatto.

Premesso che in applicazione dei principi ribaditi anche dall’Adunanza plenaria (Cons. St, Ad. Pl. , n. 8 del 2017) i presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento e dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari, la censura è meritevole di accoglimento in relazione alla necessità che la limitatezza della occupazione dell’area ad uso civico, l’errore che ha determinato inizialmente lo sconfinamento della concessione anche su tale area e le opere realizzate a seguito di rilascio del permesso di costruire da parte del Comune, avrebbero dovuto indurre ad una valutazione complessiva della situazione determinatasi al fine di compiere un corretto bilanciamento degli interessi in gioco.

Da questo punto di vista deve essere confermato quanto la Sezione ha già affermato in sede cautelare relativamente alla esigenza di procedere da parte delle amministrazioni competenti al riesame dell’intera vicenda. Occorre, in particolare, che, ferma la discrezionalità dell’amministrazione comunale nella valutazione dell’interesse pubblico, la motivazione del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale (con eventuale successiva concessione) in luogo della demolizione delle opere dia conto delle ragioni per le quali tale scelta non possa essere effettuata con riferimento alla posizione della ricorrente.

7.2. La seconda censura proposta dall’appellante riguarda l’asserita erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui esclude che possa determinarsi la cosiddetta sdemanializzazione tacita di un’area ad uso civico specie tenuto conto della limitatezza della stessa rispetto a quanto indicato nel provvedimento regionale impugnato di riassegnazione.

Sul punto occorre precisare che, in effetti, la giurisprudenza di questo Consiglio ammette che quando si è in presenza di circostanze significative non equivoche che attestino la rinuncia dell’amministrazione al ripristino dell’uso pubblico del bene si può verificare la mutata destinazione dello stesso anche senza l’adozione di un provvedimento espresso (cfr. Cons. St., IV Sez. n.5209 del 2006). Nel caso di specie, tuttavia, il lungo periodo di concessione del terreno non è determinato da inerzia o disinteresse dell’amministrazione, quanto dalla non consapevolezza che una porzione dello stesso avesse destinazione civica.

Il motivo in esame non può essere accolto quindi nel senso di riconoscere l’avvenuta sdemanializzazione tacita dell’area, ma limitatamente all’esigenza di estendere il riesame della vicenda al fine di considerare l’incidenza quantitativa e qualitativa (tenuto conto della corretta indicazione catastale del bene) dell’area in questione rispetto al perseguimento dell’interesse pubblico.

8. Alla luce di quanto esposto l’appello deve pertanto essere accolto nei limiti anzidetti e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, sono annullati i provvedimenti impugnati con i ricorsi di primo grado ferma restando la potestà delle amministrazioni competenti, all’esito del complessivo riesame della vicenda, di rivalutarne in concreto i presupposti.

La motivazione dell’accoglimento giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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