Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-02-08, n. 201800823

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-02-08, n. 201800823
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800823
Data del deposito : 8 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/02/2018

N. 00823/2018REG.PROV.COLL.

N. 06945/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6945 del 2013, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G L S, con domicilio eletto presso lo studio Elisabetta Nardone in Roma, piazza Cola di Rienzo, 92;

contro

Ministero della difesa, Comando generale dell’Arma dei carabinieri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per l’Umbria n. 331 del 6 giugno 2013, resa tra le parti, concernente sospensione precauzionale dal servizio e successiva perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari con contestuale cessazione dal s.p.e. e iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito Italiano;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle intimate Amministrazioni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Nardone per La Spina e l’avvocato dello Stato Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri -OMISSIS- ha impugnato avanti il T.a.r. per l’Umbria, con distinti ricorsi, la sospensione precauzionale dal servizio disposta in data 3 luglio 2009 e confermata in data 12 luglio 2010, nonché la successiva irrogazione della sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari con contestuale cessazione dal s.p.e. e iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito Italiano, di cui al successivo provvedimento del 5 gennaio 2012.

2. I provvedimenti gravati conseguono alla condanna del ricorrente per il reato di violenza sessuale commesso nel 2004 ai danni di una minorenne: mentre, tuttavia, in primo grado (sentenza del 29 ottobre 2008) erano stati inflitti tre anni e quattro mesi di reclusione con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, in appello (sentenza dell’11 dicembre 2009) la condotta dell’imputato era stata qualificata come ipotesi “ di minore gravità ” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p e, pertanto, la pena era stata ridotta a due anni di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e con la revoca dell’interdizione dai pubblici uffici;
la Cassazione aveva poi confermato (sentenza del 19 aprile 2011) la sentenza di secondo grado.

2.1. A causa della pendenza del procedimento penale l’Amministrazione aveva disposto la sospensione precauzionale dal servizio con determinazione del 3 luglio 2009, impugnata dal ricorrente avanti il T.a.r. con ricorso allibrato al n.r.g. 376/2009;
nelle more della trattazione del giudizio, tuttavia, sopravveniva la sentenza penale di appello: alla pubblica udienza del giorno 13 gennaio 2010 il giudizio veniva, dunque, rinviato al fine di consentire al ricorrente di formulare all’Amministrazione domanda di revoca della misura, in considerazione dell’intervenuto accertamento, in sede di appello, di una minore gravità criminosa dell’atto commesso rispetto a quanto a suo tempo ritenuto dal Giudice penale in primo grado.

2.2. Con ulteriore ricorso, quindi, il sig. -OMISSIS- insorgeva contro il silenzio mantenuto dall’Amministrazione sulla sua istanza di revoca: il giudizio veniva definito dal T.a.r. con pronuncia n. 390 del 28 giugno 2010 dichiarativa dell’obbligo di provvedere.

2.3. Il Comandante generale dell’Arma dei carabinieri, in ossequio a tale sentenza, emanava dunque l’atto prot. n. 216507/D-1-30 del 12 luglio 2010, con cui confermava la sospensione precauzionale dal servizio “ a titolo discrezionale ”, facendo espresso riferimento all’allora vigente art. 9, comma 1, della l. n. 1168 del 1961.

2.4. L’atto veniva impugnato con ricorso allibrato al n.r.g. 366/2010 a valere anche – a quanto consta – come motivi aggiunti al pregresso ricorso n.r.g. 376/2009.

2.5. Il successivo provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, con cui veniva inflitta la massima sanzione di stato, veniva a sua volta impugnato con ricorso allibrato al n.r.g. 75/2012, integrato da motivi aggiunti avverso gli atti del procedimento poi ostesi dall’Amministrazione nel corso del giudizio.

3. I ricorsi venivano trattati ed introitati per la decisione alla medesima udienza.

4. Con l’impugnata sentenza il Tribunale, previa riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 70 c.p.a., deliberava come segue.

4.1. Quanto alle censure svolte avverso le misure precauzionali della sospensione dal servizio, il Tribunale, premesso che il provvedimento del 12 luglio 2010 aveva natura di conferma in senso proprio e, pertanto, si sostituiva al precedente atto del 3 luglio 2009, osservava che - alla luce dell’ampia discrezionalità riconosciuta in materia all’Amministrazione, del carattere temporaneo e preventivo del provvedimento, nonché del fatto che anche la Corte d’appello aveva ascritto alla condotta del ricorrente natura delittuosa, sia pure sussumendola in una fattispecie meno grave - “ la sospensione cautelare dal servizio rappresenta la conseguenza logica e non certo irragionevole a tutela del prestigio dell’Amministrazione, essendo evidente il discredito derivante dal mantenimento in servizio di un carabiniere che ha ricevuto condanna ancorché non definitiva per il delitto di violenza sessuale in danno di un minore, tale da arrecare una seria turbativa al regolare svolgimento dei suoi delicati compiti istituzionali ”. Il Tribunale rilevava, altresì, sul piano procedimentale la non necessità della comunicazione di avvio in considerazione del carattere cautelare ed urgente del provvedimento ed il rituale invio del preavviso di rigetto, sul piano sostanziale la natura ampiamente discrezionale sottesa all’istituto della sospensione precauzionale dal servizio previsto dall’art. 9, comma 1, della l. n. 1168 del 1961.

4.2. Quanto alle censure dirette al provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, il Tribunale, premesso che “ è coperta dal giudicato la commissione da parte del -OMISSIS- del reato di violenza sessuale ai danni di una minorenne, seppur nell’ipotesi attenuata di cui all’ultimo comma dell’art. 609 c.p. ”, osservava che, a tenore dell’art. 653 c.p.p., sono inammissibili “ le doglianze tese a contestare l’insufficienza dell’istruttoria o della motivazione per non aver tenuto conto delle difese esplicate dal ricorrente sia in sede penale che disciplinare ”, posto che tali censure “ postulano direttamente o indirettamente la contestazione della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale ”.

4.3. Il Tribunale sosteneva, poi, che “ le valutazioni circa la gravità e la rilevanza, ai fini disciplinari, dell’evento verificatosi sono espressione dell’ampia discrezionalità di cui è titolare la P.A. per la migliore tutela dell’interesse pubblico … l’esercizio concreto di tale discrezionalità, impingendo nel merito dell’azione amministrativa, sfugge al sindacato giurisdizionale del Giudice Amministrativo, salvo che non sia affetto ictu oculi dal vizio di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell’illogicità, dell’arbitrarietà ovvero dell’irragionevolezza ”.

4.4. Inoltre, non vi sarebbe alcuna violazione dell’art. 34, comma 1, della legge n. 1168 del 1961, poiché la rimozione è stata disposta ai sensi della previsione di cui al n. 6, che prevede fattispecie “ autonome e distinte rispetto a quelle di cui al n. 7 del medesimo articolo ”.

4.5. Né sarebbe ipotizzabile la lesione del principio di proporzionalità in relazione alla sanzione della rimozione, “ giacché questa è unica ed indivisibile, non essendo stata stabilita con la caratteristica di regolarne un minimo ed un massimo, entro i quali l’Amministrazione deve esercitare il potere sanzionatorio ”.

4.6. Prive di pregio, infine, sarebbero le censure di carattere per così dire procedimentale:

a) di incompetenza, alla luce del disposto dell’art. 867, comma 1, cod. ord. mil.;

b) di violazione dei termini decadenziali per l’esercizio del potere disciplinare, posto che “ l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza di condanna irrevocabile (depositata il 19 aprile 2011) in data 11 maggio 2011 ”;

c) di violazione del termine infra-procedimentale di 20 giorni di cui all’art. 1387, comma 5, cod. ord. mil., poiché, “ risultando pienamente garantito il diritto alla difesa dell’interessato, la violazione – anche a voler ritenere il termine in questione quale perentorio e non ordinatorio – è priva di rilievo ”.

5. Il sig. -OMISSIS- ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure svolte in prime cure.

6. Con ordinanza n. 3990 del 9 ottobre 2013 è stata rigettata l’istanza cautelare, in considerazione del fatto che “ la gravità dell’episodio per cui [il ricorrente] è stato condannato denota l’assenza di quei fondanti valori di riferimento, concernenti la probità, la rettitudine ed il senso dell’onore, su cui deve basarsi la vita ed il comportamento di un appartenente al Corpo dei Carabinieri (cfr. n.2273/2012) ” e che “ la natura della vicenda giustifica pienamente il provvedimento di sospensione precauzionale, essendo evidente l’interesse dell’Amministrazione ad evitare che la presenza del militare possa seriamente pregiudicare il prestigio del Corpo e la funzionalità stessa dell’azione di contrasto alla malavita ”.

7. Si sono, quindi, costituite con atto di forma le Amministrazioni intimate.

8. Il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 18 gennaio 2018, in vista della quale il solo ricorrente ha versato in atti memoria scritta.

9. Il ricorso non merita accoglimento.

10. Per esigenze di linearità espositiva il Collegio prende le mosse dalle censure di carattere per così dire procedimentale.

11. Non si apprezza, anzitutto, alcuna ipotesi di incompetenza nell’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento disciplinare.

11.1. La disposizione cui fare riferimento è rappresentata dal comma 1 dell’art. 867 cod. ord. mil., rubricato “ Provvedimenti di perdita del grado ” e dettato nell’ambito di una sezione del codice dedicata alla “ Perdita del grado ”.

11.2. Il primo articolo della sezione (art. 861) enumera le cause della perdita del grado, fra cui la “ rimozione all’esito di procedimento disciplinare ”;
il successivo art. 865 stabilisce che “ la perdita del grado per rimozione è sanzione disciplinare di stato, adottata a seguito di apposito giudizio disciplinare ”.

11.3. L’art. 867, norma di chiusura della sezione, disciplina la competenza all’emanazione del provvedimento di perdita del grado, statuendo, al comma 1, che “ Per gli appartenenti al ruolo appuntati e carabinieri la perdita del grado è disposta con determinazione ministeriale per i militari in servizio ”: è, dunque, a tale disposizione che, nella specie, bisogna fare riferimento, posto che il sig. -OMISSIS- è stato destinatario proprio della sanzione di cui all’art. 865 del codice.

11.4. L’art. 923 del codice è, invece, dettato all’interno di altra sezione dedicata alla “ cessazione dal servizio permanente ” ed è volto, inter alia , a ripartire la competenza in ordine all’emanazione del provvedimento che sancisce (o dichiara) la cessazione del rapporto di impiego: il richiamo ivi effettuato, come una delle ipotesi di cessazione del rapporto d’impiego, alla “ perdita del grado ” è riferito ai casi in cui la condanna penale determina ex se , senza bisogno di procedimento disciplinare, la privazione del grado e la contestuale cessazione dal servizio (casi oramai limitati, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 268 del 15 dicembre 2016, alle condanne recanti anche la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici o in relazione alle quali è comunque prevista, dall’art. 32- quinquies c.p., l’estinzione ex lege del rapporto di lavoro – cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2014, nn. 389 e 390;
sez. IV, 14 maggio 2015, n. 2418).

11.5. Né, sempre in punto di competenza, il ricorrente ha titolo per lamentare che la rimozione sia stata disposta con determinazione del direttore generale della Direzione generale per il personale militare anziché con decreto del Ministro: il richiamato art. 867, comma 1, infatti, prevede che la rimozione sia disposta con “ determinazione ministeriale ”, quale prima facie è quella assunta da un dirigente apicale del Ministero della difesa.

12. Non si è verificata, inoltre, alcuna decadenza per decorso dei termini prescritti dall’art. 1392 del codice.

12.1. Il ricorrente, per vero, non contesta la deduzione operata dall’Amministrazione circa la data (11 maggio 2011) in cui questa avrebbe avuto integrale conoscenza della sentenza della Corte di Cassazione (che consente di ritenere rispettati i termini prescritti ex lege per l’inizio e per la conclusione del procedimento disciplinare);
egli, di contro, sostiene che il dies a quo per il computo del relativo termine sarebbe rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza (16 febbraio 2011) ovvero del deposito delle motivazioni (19 aprile 2011), “ trattandosi di sentenza immediatamente esecutiva e produttiva, quindi, in via immediata degli effetti del c.d. giudicato ”.

12.2. Sul punto, il Collegio rileva che la natura intrinsecamente definitiva delle sentenze della Cassazione non determina alcuna deroga al principio, fissato dal menzionato art. 1392 del codice, secondo cui i termini ivi stabiliti per l’inizio e la fine del procedimento disciplinare decorrono “ dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza ”: tale locuzione, invero, rimanda ad un concetto di conoscenza integrale, assunta per vie ufficiali, dell’esistenza, della provenienza e del contenuto di un provvedimento giurisdizionale.

12.3. Né, di converso, vi è alcuna base normativa che sostenga una presunzione di conoscenza, in capo all’Autorità amministrativa, di sentenze emesse dalla Corte di cassazione o, comunque, passate in giudicato.

13. Non merita miglior sorte la censura di violazione del termine stabilito dall’art. 1387, comma 5, del codice, a tenore del quale “ Redatta la dichiarazione scritta di cui al comma 4 e ricevute le dichiarazioni scritte degli altri membri della commissione, il presidente fissa, almeno venti giorni prima, il giorno e l'ora della riunione e invita per iscritto il militare sottoposto alla commissione di presentarsi ” dinanzi alla commissione di disciplina stessa.

13.1. In disparte il fatto che tale termine non è dalla legge qualificato come perentorio, il ricorrente non ha allegato che, dal mancato rispetto del medesimo, abbia avuto concreti, specifici ed oggettivi impedimenti a svolgere appieno le proprie difese (arg. da Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2015, n. 2418).

14. Il ricorrente, infine, lamenta che la commissione di disciplina, ai sensi degli articoli 1388 e 1389 del codice, “ avrebbe dovuto trasmettere l’esito del procedimento al Ministero della difesa, affinché il Ministro della difesa potesse, previa idonea valutazione, decidere o discostandosi dal giudizio della commissione per ragioni umanitarie o, qualora avesse ritenuto possibile la sanzione della perdita del grado, ordinare la convocazione di una diversa commissione di disciplina ”.

14.1. Sul punto, il Collegio evidenzia che il dovere di trasmissione degli atti al Ministero della difesa risulta per tabulas adempiuto, non foss’altro perché un dirigente apicale del Ministero ha poi irrogato, anche sulla base delle valutazioni della commissione medesima, la sanzione qui impugnata.

14.2. La facoltà cui accenna il ricorrente è, appunto, una mera facoltà del Ministro, il cui mancato esercizio non deve essere motivato (deve, al contrario, esserne motivata l’eventuale spendita);
di converso, le norme richiamate dal ricorrente non prescrivono che, nell’atto di inflizione di una sanzione disciplinare di stato, sia espressamente indicata la previa trasmissione degli atti al Ministro per le valutazioni in ordine all’eventuale attivazione di tali poteri.

15. Quanto al merito, il Collegio osserva preliminarmente che tutte le censure svolte dal ricorrente in ordine ai fatti oggetto del processo penale sono inammissibili, in virtù della preclusione stabilita dall’art. 653 c.p.p., il cui art. 1- bis , come noto, stabilisce che “ la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso ”.

16. Le doglianze del ricorrente relative al carattere asseritamente sproporzionato della sanzione inflitta si infrangono contro l’ampia discrezionalità riconosciuta all’Amministrazione militare nella valutazione della gravità dei fatti ascritti all’incolpato, nella specie inoppugnabili in quanto accertati con sentenza penale di condanna passata in giudicato.

16.1. Come noto, il sindacato del Giudice Amministrativo è limitato, in tali casi, al rilievo di profili di macroscopica abnormità, di manifesta illogicità, di eclatante irragionevolezza: ogni altra valutazione è riservata all’Amministrazione, soggetto cui è riconosciuta l’esclusiva competenza a stabilire se un proprio dipendente sia degno di continuare a servire nell’Istituzione ovvero abbia posto in essere condotte di gravità tale da renderne necessaria la rimozione.

16.2. Nella specie, per quanto l’originaria imputazione di violenza sessuale, accolta all’esito del giudizio di primo grado, sia stata poi derubricata ad ipotesi di minore gravità, con conseguente riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena e, soprattutto, dell’esclusione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, cionondimeno resta definitivamente accertato che il ricorrente abbia commesso atti sessuali con una minorenne non consenziente.

16.3. Orbene, considerato che la Forza Armata ha, come proprio compito primario, costitutivo ed essenziale proprio la repressione dei reati, non appare irragionevole, illogica, sproporzionata l’inflizione della massima sanzione disciplinare di stato ai danni di un militare che, in spregio frontale ai propri doveri di tutela dei cittadini dal crimine, abbia assunto in prima persona atteggiamenti invasivi, prevaricatori e predatori nei confronti di un soggetto debole, quale un minore.

16.4. Del resto, l’Amministrazione ha esplicitamente valorizzato, a sostegno della scelta di infliggere la sanzione della perdita del grado, proprio la gravità dei fatti commessi dall’incolpato (come accertati con efficacia di giudicato dalla sentenza di condanna), a prescindere dalla pena applicata da parte del Giudice penale: invero, la potestà disciplinare non è vincolata, se non nei ristretti limiti stabiliti dal richiamato art. 653 c.p.p., dagli esiti del giudizio penale.

16.5. Come noto, infatti, le valutazioni disciplinari conseguono a considerazioni più ampie di quelle operate dal Giudice penale, focalizzate esclusivamente sull’accertamento dell’effettiva commissione materiale del fatto di reato da parte dell’imputato con coscienza e volontà e dall’inflizione della corrispondente pena: l’Autorità disciplinare, viceversa, è chiamata a ponderare la gravità del fatto ascritto all’incolpato in raffronto alla struttura ed all’ordinamento dell’Amministrazione stessa, allo status dei suoi appartenenti, alle funzioni istituzionali svolte, al grado di prestigio che deve rivestire presso la collettività, alla specifica lesività che quella condotta dell’incolpato ha rispetto all’immagine, ai compiti, alle attribuzioni dell’Amministrazione.

17. Non si apprezza, conseguentemente, alcun difetto di motivazione né, tanto meno, alcuna violazione dell’art. 34 della l. n. 1168 del 1961: la sanzione, invero, è stata ictu oculi irrogata (a prescindere da un esplicito richiamo in proposito) ai sensi del n. 6, a tenore del quale la perdita del grado può essere disposta “ per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità dell'Arma o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio della Commissione di disciplina ”.

17.1. Peraltro, il fatto che il n. 7 sia stato dichiarato costituzionalmente illegittimo laddove prevedeva un automatismo disciplinare in presenza di specifiche condanne in sede penale non significa che l’Amministrazione non resti libera, ai sensi appunto del n. 6, di ascrivere a specifici comportamenti, pur ove sanzionati all’esito di giudizio penale, un rilievo disciplinare ove ritenga che i fatti acclarati dalla sentenza, a prescindere dalle valutazioni ivi profuse dal Giudice penale, siano meritevoli della massima sanzione di stato.

17.2. Nella specie, la condotta del ricorrente è stata ritenuta, con valutazione prima facie non abnorme né irragionevole, “ contraria alle finalità dell'Arma ”: del resto, la commissione di un reato contro un soggetto debole oggettivamente stride con i doveri di un militare istituzionalmente preposto alla tutela dei diritti dei cittadini.

18. Né è ipotizzabile una gradualità nell’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato, strutturalmente “ unica ed indivisibile ”, come ha correttamente rilevato il Tribunale.

19. Quanto alle misure cautelari disposte dall’Amministrazione, il Collegio concorda con la ricostruzione operata in prime cure: il provvedimento del 2010, in quanto adottato all’esito di nuova istruttoria conseguita al sopravvenire di fatti nuovi ( id est la sentenza di appello), ha natura di conferma in senso proprio e, pertanto, si sostituisce al precedente atto del luglio 2009, con conseguente carenza di interesse alla coltivazione del ricorso contro quest’ultimo (come, del resto, riconosciuto anche dallo stesso ricorrente, cfr. atto di appello, pag. 25;
il ricorrente, per vero, alla pag. 24 sostiene pure che “ la prima sospensione poteva avere all’epoca una valenza in ragione del tenore della condanna emessa dal Tribunale di Spoleto ”).

19.1. Contro la sospensione disposta nel 2010 il ricorrente lamenta in primo luogo la mancata acquisizione del previo parere della commissione di disciplina.

19.2. L’intervento della commissione, tuttavia, è espressamente previsto dalla legge per il solo provvedimento definitivo: del resto, la sospensione precauzionale dal servizio prescinde dall’accertamento di profili di responsabilità in capo all’interessato ed è connotata da natura cautelare ed urgente sì che, come sul piano procedimentale non richiede la comunicazione di avvio, così sul piano sostanziale non impone quello scrupolo istruttorio proprio della fase per così dire di merito del procedimento disciplinare.

19.3. Inoltre, nessuna preclusione derivava all’Amministrazione dalla sentenza n. 390 del 2010, che si limitava ad imporre l’obbligo di provvedere sull’istanza di revoca formulata dall’incolpato, senza alcun vincolo conformativo in ordine al contenuto della decisione.

20. L’ulteriore censura di violazione dell’art. 9 della l. n. 1168 del 1961 si scontra con il tenore della norma, che delinea un’ampia facoltà, in capo al Comandante generale dell’Arma, di disporre la sospensione dal servizio ove dall’imputazione (non, dunque, dalla condanna) formulata ai danni del militare “ possa derivare la perdita del grado ”.

20.1. Orbene, la menzionata atipicità degli illeciti disciplinari da cui può derivare la sanzione della perdita del grado consente certamente di inquadrare la disposta sospensione precauzionale entro la fattispecie in commento.

20.2. Per di più, il secondo comma della disposizione in esame consente l’emanazione della misura anche ove i fatti ascritti all’incolpato siano, pur a prescindere dalla sottoposizione del medesimo a procedimento penale, “ di notevole gravità ”.

20.3. Il provvedimento impugnato, dunque, sfugge ai rilievi di illegittimità articolati dal ricorrente, in quanto è pienamente sussumibile sia nell’ambito del comma 1 sia, comunque, nell’ambito del successivo comma 2 dell’art. 9 della l. n. 1168 del 1961;
è irrilevante, in proposito, il riferimento provvedimentale al solo comma 1, posto che il provvedimento amministrativo deve interpretarsi in base alla legge e, di converso, il Giudice non è vincolato all’interpretazione normativa data dall’Amministrazione, ove questa abbia cionondimeno agito secundum legem .

21. Per tutte le esposte ragioni il ricorso deve respingersi.

22. La natura della controversia e dei sottesi interessi, nonché l’assenza di difese scritte da parte dell’Amministrazione, suggeriscono comunque la compensazione delle spese del grado.

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