Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-01-24, n. 202000571
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Testo completo
Pubblicato il 24/01/2020
N. 00571/2020REG.PROV.COLL.
N. 04310/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4310 del 2019, proposto dalla s.a.s. Bar Tucano di Di Lecce Marco & C., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato U F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
il signor Roberto Macchetti e la Federazione Italiana Tabaccai, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'avvocato Livia Grazzini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Leopoldo Serra, n. 32;
la Assotabaccai - Associazione Italiana Tabaccai, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma n. 326/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, del signor Roberto Macchetti e della Federazione Italiana Tabaccai;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti gli avvocati U F e Livia Grazzini e l'avvocato dello Stato Verdiana Fedeli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per l’Emilia Romagna – sezione staccata di Parma (R.G. n. 326/2018), la società odierna appellante, titolare di un pubblico esercizio ubicato all’interno del centro commerciale Verbena (e già titolare di patentino per rivendita tabacchi associato alla rivendita n. 7), impugnava il rigetto da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli - Area monopoli - Direzione territoriale Emilia Romagna (con provvedimento prot. n. 0044559 del 28 luglio 2014) dell’istanza dalla stessa presentata in data 4 marzo 2014 per l’istituzione di una nuova rivendita speciale di generi di monopolio all’interno di un centro commerciale, indicando quali rivendite più vicine al luogo proposto le rivendite nn. 1, 2 e 6, poste a distanze comprese tra i 1790 e i 2100 metri.
La ricorrente chiedeva altresì il risarcimento del danno patrimoniale, specificato nel decremento dei propri introiti determinato dal mancato conseguimento della licenza.
2. Ad esito del giudizio, nel quale si costituivano l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, la signora F, titolare della rivendita n. 7, e la Federazione Italiana Tabaccai, il T.a.r., dopo aver respinto l’istanza cautelare con l’ordinanza n. 138/2014, con la sentenza n. 326 del 29 novembre 2018 ha respinto il ricorso e ha compensato le spese del giudizio tra le parti.
In particolare, il Tribunale, premessa l’inammissibilità delle censure formulate avverso il d.m. n. 38/2013 in ragione della mancata impugnazione dello stesso, nel respingere il ricorso, ha confermato le statuizioni dell’Amministrazione, riguardanti:
a) l’applicabilità anche per l’istituzione delle rivendite speciali (oltre a quelle ordinarie) dei criteri limitativi di cui all’art. 4 d.m. n. 38/2013 (distanza minima da altre rivendite di tabacchi; concentrazione, quindi rapporto abitanti/rivendite);
b) la legittimità di tali criteri poiché previsti da disposizioni attuative di norme di rango sovraordinato, alle quali risultano conformi;
c) l’assenza di profili di irragionevolezza nella valutazione effettuata dall’Amministrazione, espressione di ampia discrezionalità amministrativa;
d) la correttezza del calcolo della distanza dalla rivendita più vicina (la n. 7), in quanto l’attraversamento pedonale indicato dall’Amministrazione (più prossimo) non presenta profili di rischio maggiori di quello indicato dal ricorrente.
3. La società originaria ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario.
In particolare, l’appellante ha sostenuto le censure riassumibili nei seguenti termini:
i ) l’erroneità della sentenza di primo grado, non avendo rilevato che l’impugnato diniego si fonda essenzialmente sull’asserita carenza del requisito di una distanza minima dalla rivendita n. 7, senza aver dato alcun rilievo a circostanze caratterizzanti e decisive, quali la collocazione della rivendita all’interno di un grande centro commerciale e la presenza di un flusso di consumatori/utenti di grandi dimensioni, invece espressamente richiamati anche dall’art. 4, comma 2, lett. g), n. 6 del d.m. n. 38/2013, in tal modo considerando come unico parametro quello della tutela della salute, e non anche quelli della liberalizzazione e della tutela della concorrenza; peraltro, il primo giudice avrebbe errato nel rigettare il primo motivo di ricorso, affermando che non sia ammissibile invocare la disciplina liberalizzatrice di cui al d.l. n. 201/2011, a fronte di una mancata impugnazione del d.m. n. 38/2013, senza considerare non solo la segnalazione AS1059 del 21 giugno 2013 del Garante della Concorrenza e del Mercato, ma anche che tale decreto legge, all’art. 34, comma 3, ha colpito tutte le “ restrizioni disposte dalle norme vigenti ” relative, fra l’altro, all’“ imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio di un’attività economica ”; così come, l’art. 4 della