Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-02-05, n. 202401153
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Testo completo
Pubblicato il 05/02/2024
N. 01153/2024REG.PROV.COLL.
N. 01627/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1627 del 2023, proposto da
Università Telematica Leonardo Da Vinci, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G T, L A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Università e della Ricerca, ANVUR - Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, Università degli Studi Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 09559/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Università e della Ricerca e di ANVUR - Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca e di Università degli Studi Roma La Sapienza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2023 il Cons. Marco Valentini e uditi per le parti gli avvocati G T, L A e l'avvocato dello Stato Monica De Vergori;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Avanti il giudice di prime cure, l’originaria ricorrente, odierna appellante, ha chiesto l’annullamento:
- del d.m. n. 1154 del 14 ottobre 2021, recante “ Decreto autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio ”, in parte qua;
- della delibera ANVUR n. 166 del 27 luglio 2021, recante “ Proposta di revisione del decreto ministeriale n. 6 del 7 gennaio 2019 ”, in parte qua;
- del decreto della Direzione Generale degli ordinamenti della formazione superiore e del diritto allo studio, Segretariato Generale, del MUR, n. 2711 del 22 novembre 2021, in parte qua;
- della delibera ANVUR n. 248 del 11 novembre 2021, richiamata nel D.D. n. 2711/2021;
- ove occorra, del d.m. n. 289 del 25 marzo 2021, concernente le Linee Generali di indirizzo della programmazione 2021-2023, in parte qua;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;
Col ricorso in primo grado la parte ricorrente, Università telematica non statale, idonea alla erogazione della didattica a distanza, ha impugnato in parte qua il d.m. n. 1154/2021, con cui sono state dettate le disposizioni applicabili all’ “autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio” , nonché alla valutazione periodica delle Università, con riferimento alle Università statali e non statali legalmente riconosciute, ivi comprese le Università telematiche.
Come indicato all’art. 10, comma 1, del predetto decreto ministeriale, la nuova disciplina sostituisce quella prevista dal d.m. n. 6/2019, e successive modificazioni e integrazioni, a decorrere dall’offerta formativa dell’a.a. 2022/2023.
Con il primo motivo, l’appellante ha lamentato avanti il giudice di prime cure che il decreto ministeriale impugnato sarebbe viziato sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto non sarebbero state esplicitate le ragioni sottese all’asserita parificazione tra Università convenzionali e Università telematiche.
Queste ultime non sarebbero poi state coinvolte, diversamente dal passato, attraverso adeguate forme di confronto.
A supporto delle modifiche apportate non si rinverrebbero inoltre, secondo l’originaria ricorrente, odierna appellante, né particolari esigenze di coerenza con gli standard e le linee guida stabilite dall'Associazione europea per l'assicurazione della qualità del sistema universitario, né riferimenti agli esiti delle attività di monitoraggio, non rilevando al riguardo la prevista revisione periodica degli indicatori, di cui all’art. 6, comma 4 del d.lgs. n. 19/2012.
Con il secondo motivo, l’appellante ha dedotto avanti il giudice di prime cure che il decreto ministeriale impugnato avrebbe prodotto un imprevedibile stravolgimento del sistema di regole sulla base delle quali le Università telematiche, tra le quali la ricorrente, avevano strutturato i corsi di studio, introducendo irragionevoli vincoli, prima non contemplati, limitanti in modo illogico e contraddittorio l’autonomia nell’utilizzo delle diverse tipologie di docenti.
In particolare, ha evidenziato la ricorrente di aver strutturato i suoi due unici corsi di laurea e ottenuto l’accreditamento degli stessi rispetto al giudizio dell’ANVUR, che aveva evidenziato l’esigenza di una convenzione pluriennale con l’Università di Chieti, mentre l’intervenuta limitazione dello strumento della convenzione, prevista nel nuovo d.m. adottato a breve distanza di tempo, sarebbe contraria ad ogni criterio di efficienza ed efficacia oltre che al principio di proporzionalità.
Con il terzo motivo, l’appellante ha dedotto avanti il giudice di prime cure che il decreto ministeriale impugnato sarebbe in ogni caso illegittimo per aver eliminato la differenziazione tra Università telematiche e convenzionali quanto al possesso dei requisiti di docenza, essendo stato ingiustificatamente aumentato il numero minimo di docenti a tempo indeterminato necessario per garantire un adeguato rapporto numerico con gli studenti ammessi ai corsi.
Vi sarebbe inoltre una contraddittorietà rispetto alle determinazioni precedentemente assunte dal Ministero in ordine al diverso regime delle telematiche, nonché violazione di legge per aver disatteso la previsione dell’art. 25, comma 6, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e dell’art. 2, comma 148, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, come convertito, di introdurre una fonte regolamentare per la disciplina specifica dell’accreditamento dei soli corsi a distanza.
Inoltre, con riferimento alle tipologie di docenti di riferimento, il nuovo d.m. modificherebbe radicalmente la previgente disciplina prevedendo limitazioni all’utilizzo dei docenti in convenzione e a contratto, di cui agli artt. 6, comma 11, e 23 della legge n. 240/2010.
Si evince dagli atti di causa e risulta ampiamente richiamato nella sentenza impugnata che il decreto ministeriale n. 6/2019 aveva previsto, per le sole Università telematiche, un moltiplicatore per il calcolo della numerosità massima di studenti, da considerare ai fini del computo del numero minimo di docenti necessario per il rispetto dei requisiti di docenza.
In caso di superamento delle numerosità massime indicate nell’allegato D del medesimo decreto, il numero di docenti di riferimento, comprendente anche i docenti a contratto e quello delle figure specialistiche aggiuntive, sarebbe stato incrementato in misura proporzionale al superamento delle soglie secondo un’apposita formula, mantenendo la quota minima prevista per i professori a tempo indeterminato nell’ambito dei docenti di riferimento.
Il decreto ministeriale impugnato, che ha sostituito al termine del triennio la disciplina introdotta nel 2019, ha eliminato il suddetto moltiplicatore e previsto, al contempo, un proporzionale aumento del numero dei docenti a tempo indeterminato per il caso di superamento della numerosità massima degli studenti.
Parte ricorrente ha sottolineato, avanti il giudice di primo grado, come si evince dai tre motivi sopra richiamati, come il precedente d.m. n. 6/2019 contemplasse, quanto ai requisiti di accreditamento relativi alla docenza, una precisa differenziazione tra Università telematiche e Università convenzionali, specificità che il decreto ministeriale impugnato n. 1154/2021 invece non rispetterebbe.
Il TAR ha respinto il ricorso.
Premessa un’analitica, ampia e puntuale ricostruzione del quadro normativo di riferimento, la sentenza impugnata richiama in primo luogo l’assunto della ricorrente fondato sull’asserita parificazione che il nuovo d.m. n. 1154/2021 avrebbe comportato tra le Università telematiche e quelle convenzionali, modificando, come detto, la disciplina fino ad allora vigente per gli Atenei a distanza.
Tale tesi, anche alla luce della ricostruzione normativa, non è stata accolta.
Ha infatti argomentato il primo giudice che i requisiti di docenza, indicati nell’allegato A del d.m. impugnato, tengono conto della specificità delle Università telematiche, laddove diversificano il numero minimo di docenti in base alle differenti modalità di erogazione dei corsi, più basso di quasi il 30%, per i corsi di studio erogati prevalentemente o integralmente a distanza rispetto a quelli erogati in modalità convenzionale o mista.
A parità di tipologia di corsi di studio e di titoli di studio rilasciati al termine del corso di laurea, i requisiti di docenza richiesti per i corsi a distanza sono inferiori, argomenta la sentenza impugnata, proprio in ragione della raggiungibilità, attraverso la piattaforma didattica tecnologica, di un numero indefinito di studenti.
Ad avviso del giudice di prime cure, il decreto impugnato, pur modificando la più favorevole disciplina contenuta nel d.m. n. 6/2019, mantiene, in coerenza con la normativa primaria contenuta nel d. lgs. n. 19/2012, elementi di differenziazione fra Università convenzionali e telematiche.
Mentre non vi è stata alcuna modifica relativamente alla soglia minima di docenza riportata nell’allegato A, rispetto a quella fissata nei precedenti decreti ministeriali, evidenzia il TAR,