Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-02-27, n. 201801166

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-02-27, n. 201801166
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801166
Data del deposito : 27 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/02/2018

N. 01166/2018REG.PROV.COLL.

N. 04265/2013 REG.RIC.

N. 04875/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4265 del 2013, proposto dalla
Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura - CCIAA di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato G C, con domicilio eletto presso lo studio Daniele Vagnozzi in Roma, viale Angelico, 103;

contro

la signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato D D C, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Paolo D'Incecco Bayard de Volo in Roma, via Giovanni da Empoli, 6, scala B;



sul ricorso numero di registro generale 4875 del 2013, proposto dalla signora:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato D D C, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Paolo D'Incecco Bayard de Volo in Roma, via Giovanni da Empoli, 6 scala B;

contro

la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura - CCIAA di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato G C, con domicilio eletto presso lo studio Daniele Vagnozzi in Roma, viale Angelico, 103;

per la riforma

della sentenza del

TAR

Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione I, 30 novembre 2012 n.523, resa fra le parti, la quale ha pronunciato sul ricorso n.187/2010, proposto per la condanna della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura – CCIAA di Pescara al risarcimento dei danni subiti da -OMISSIS- per la mancata esecuzione della sentenza dello stesso

TAR

13 gennaio 2000 n.81, la quale aveva annullato la deliberazione 29 luglio 1994 n.311 dell’amministrazione intimata, di diniego del comando ovvero del trasferimento alla ricorrente.

In particolare, la sentenza ha condannato la CCIAA di Pescara a pagare a -OMISSIS- a titolo di risarcimento del danno la somma complessiva di € 35.628,86, di cui € 10,000 per danni non patrimoniali e il residuo per danni patrimoniali, oltre interessi e svalutazione.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Pescara;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2018 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Alessio Petretti, per delega di G C, e Chiara Pesce, per delega di D D C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente in primo grado era stata a suo tempo assunta, come da delibera del relativo consiglio di amministrazione del 20 luglio 1976, dalla Camera di commercio – CCIAA di Napoli, quale vincitrice di concorso appartenente a categoria protetta, ed era stata di conseguenza riconosciuta, con atto 15 dicembre 1992 della competente Commissione presso la USL di Napoli, persona disabile con titolo ai benefici di cui alla l. 5 febbraio 1992 n.104, per esiti di una malattia -OMISSIS-, che le aveva cagionato un’invalidità del 75% (v. doc. 1 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia lettera della ricorrente 22 marzo 1994;
la situazione di invalidità risulta a p. 2 della sentenza impugnata).

Nel 1993, il marito della ricorrente, che lavorava in uno stabilimento industriale a Napoli, veniva trasferito presso un altro stabilimento nelle vicinanze di Pescara;
per tal motivo, con domanda 18 agosto 1993, la ricorrente chiedeva il trasferimento presso la CCIAA di quella città (cfr. sentenza

TAR

Abruzzo Pescara 81/2000, p. 2 ultime righe).

Non ricevendo risposta, rinnovava la richiesta con lettera del 22 marzo 1994, in cui faceva presente la propria situazione di invalidità con titolo ai benefici della l. 104/1992, e chiedeva contestualmente anche il comando presso la CCIAA di Pescara in questione (doc. 1 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, cit.).

La CCIAA di Pescara, con delibera di Giunta 29 luglio 1994 n.14, deliberava in risposta, testualmente, di “non accogliere… l’istanza… intesa ad ottenere il comando” (doc. 2 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia delibera);
con successiva nota 8 settembre 1994 prot. n.2087 del Vicesegretario generale, comunicava poi che la Giunta, nella seduta della data indicata aveva “esaminato la richiesta di trasferimento”, e che non era stato “possibile accogliere l’istanza di cui trattasi” (doc. 3 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia nota in questione).

La ricorrente impugnava quindi avanti il

TAR

Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sia il “provvedimento 8 settembre 1994 prot. n.2087”, sia la “delibera adottata in data 29 luglio 1994 dalla Giunta… con cui non è stata accolta l’istanza di trasferimento e comando… avanzata… con domande del 21 agosto 1993 e del 18 marzo 1994”.

Con sentenza 29 gennaio 2000 n.81, il TAR accoglieva la domanda e annullava “il provvedimento impugnato”;
in motivazione osservava in sintesi come la ricorrente avesse in astratto titolo al trasferimento, ai sensi della ricordata l. 104/1992, e come presso l’amministrazione intimata esistessero all’epoca posti vacanti della sesta qualifica funzionale da lei posseduta, posti poi ricoperti mediante concorso dopo che le era stato negato il trasferimento (v. sentenza

TAR

Abruzzo Pescara 81/2000, da cui le citazioni).

Con decisione di questa

VI

Sezione 31 maggio 2005 n.2843, il Consiglio di Stato respingeva l’appello proposto dalla CCIAA di Pescara contro tale sentenza di primo grado, che quindi passava in giudicato.

A fronte di ciò, la CCIAA di Pescara procedeva così come segue.

Con una prima lettera, 6 settembre 2005 prot. n.7466, indirizzata alla ricorrente e da lei ricevuta il giorno successivo, al dichiarato fine di ottemperare alla sentenza in questione, le chiedeva di trasmettere il nulla osta al trasferimento rilasciato dalla CCIAA di Napoli, precedente datrice di lavoro (doc. 6 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia nota in questione, con ricevuta).

Con una seconda lettera, 12 settembre 2005 prot. n.7629, indirizzata al Segretario generale della CCIAA e per conoscenza alla ricorrente, e ricevuta rispettivamente il giorno stesso e il 14 settembre successivo, la CCIAA di Pescara dava poi atto di doversi conformare al giudicato sulla base di un riconosciuto “diritto della nominata a scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio secondo quanto previsto dall’art. 33 della l. n.104/1992” e sollecitava il citato nulla osta (doc. 7 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia nota in questione, con ricevute).

La CCIAA di Napoli rispondeva con nota 14 settembre 2009 prot. n.25005, ricevuta il giorno 20 settembre 2005, e comunicava di avere aderito alla “successiva richiesta” avanzata dalla ricorrente, di “passaggio nel ruolo organico dell’Amministrazione provinciale di Pescara, avvenuto con decorrenza 16 gennaio 1999” (doc. 8 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia risposta in questione).

A quel punto, la CCIAA di Pescara, con nota 29 settembre 2005 prot. n.8137 ricevuta il giorno 11 ottobre successivo, interpellava l’Amministrazione provinciale, per conoscere “l’intendimento di codesto Ente in ordine all’eventuale trasferimento” dell’interessata presso i propri uffici (doc. 9 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia nota in questione, con ricevuta).

Rispondeva l’Amministrazione provinciale con nota 13 ottobre 2005 prot. n.736, ricevuta il giorno 17 ottobre 2005 successivo, comunicando che la ricorrente aveva là prestato servizio soltanto dal 16 gennaio al 31 dicembre 1999, e dal 1 gennaio 2000 era stata trasferita allo Stato, nei ruoli del personale ausiliario tecnico amministrativo – ATA della scuola, ai sensi della l. 3 maggio 1999 n.124 e del D.M. 23 luglio 1999 n.184 (doc. 10 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia nota in questione).

La CCIAA di Pescara, a fronte di ciò, con nota ulteriore del 26 ottobre 2005 prot. n.9054, ricevuta dalla sede del Ministero il giorno 31 ottobre successivo e dai Centri servizi amministrativi di L’Aquila e di Pescara rispettivamente il 29 e 28 ottobre 2005, interpellava stavolta il Ministero dell’istruzione per conoscere quale fosse l’intento di esso circa il trasferimento della ricorrente.

Rispondeva l’Ufficio scolastico de L’Aquila, con lettera 16 novembre 2005 prot. n. 13005, ricevuta il 24 novembre successivo, in cui dava atto del trasferimento della ricorrente, avvenuto “nelle procedure di mobilità volontaria tra amministrazioni dello Stato e di altri enti pubblici nazionali”;
richiamava poi una circolare del Dipartimento della Funzione pubblica, 11 aprile 2005 n.14115, esplicativa della l. 30 dicembre 2004 n.311, secondo la quale sarebbe stata inammissibile “la mobilità in uscita per il personale della scuola”, eccezion fatta per i soli casi di personale inidoneo alle funzioni o in esubero;
dava quindi atto che, non rientrando la ricorrente in tali categorie, il nulla osta al suo trasferimento era impossibile (doc. 12 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia lettera in questione).

Di conseguenza, la CCIAA di Pescara, con deliberazione della Giunta 5 dicembre 2005 n.238, deliberava “di non poter dare attuazione alla procedura di mobilità” relativa alla ricorrente, “stante il mancato rilascio del consenso al trasferimento… da parte dell’Amministrazione di appartenenza dell’interessata” (doc. 14 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia delibera in questione).

A fronte di ciò, con raccomandata 18 febbraio 2008 ricevuta il giorno 25 febbraio successivo, sottoscritta di persona e dal difensore, la ricorrente, a dichiarati fini interruttivi della prescrizione, richiamava il giudicato a lei favorevole di cui si è detto;
deduceva di esser stata “costretta per oltre cinque anni a vivere lontana dalla famiglia residente a Pescara ea d accettare il trasferimento ad altra amministrazione” e chiedeva formalmente il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti di conseguenza (doc. 15 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copia lettera in questione, con timbro per ricevuta).

Con deliberazione della Giunta 26 marzo 2008 n.49, comunicata con nota 31 marzo 2008 prot. n.7397, ricevuta il giorno 1 aprile successivo, la CCIAA rendeva allora noto di non poter dare seguito alla richiesta risarcitoria (doc. 16 CCIAA intimata in ricorso n.4875/2013, copie delibera e nota in questione, questa con ricevuta).

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR adito dalla ricorrente per sentir condannare l’amministrazione predetta al risarcimento del danno ha accolto la domanda solo in parte, accordando un risarcimento minore rispetto a quanto indicato nella domanda.

Nella motivazione, il TAR ha in sintesi ritenuto che la giurisdizione sulla domanda stessa spettasse al Giudice amministrativo, trattandosi a suo avviso di domanda di risarcimento del danno cagionato da un atto amministrativo proposta separatamente dalla impugnazione per illegittimità dell’atto in questione;
ha poi ritenuto irrilevante l’omessa impugnazione nel termine di decadenza della delibera 49/2008 di cui s’è detto, di rifiuto del risarcimento;
ha ancora respinto l’eccezione di prescrizione dedotta dalla CCIAA, ritenendo la pretesa soggetta a prescrizione quinquennale decorrente dal giudicato sulla sentenza di annullamento e tempestivamente interrotta;
nel merito, ha ritenuto dovuti i danni soltanto per il periodo decorrente dal 29 luglio 1994, data dell’illegittimo diniego di trasferimento, al 15 luglio 1998, data del primo comando presso la Provincia di Pescara, a seguito del quale la ricorrente era rientrata definitivamente a lavorare nella propria città;
ciò posto, ha ritenuto che per il periodo successivo non fossero dovuti danni, riconducendo la mancata esecuzione della sentenza ad una scelta dell’interessata, e li ha liquidati nella misura, inferiore alla domanda, indicata in epigrafe.

Contro tale sentenza, ha proposto impugnazione anzitutto la CCIAA intimata, con l’appello rubricato al n.4265/2013 R.G. che contiene quattro motivi, l’ultimo articolato in tre sotto – motivi, nei termini che seguono:

- con il primo motivo, deduce erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione in favore del G.O. Ritiene infatti che la controversia rientri fra quelle inerenti ad un rapporto di pubblico impiego, che sia quindi soggetta al disposto dell’art. 69 comma 7 del d. lgs. 30 marzo 2001 n.165, e quindi che la relativa domanda si potesse proporre avanti al G.A. a pena di decadenza solo entro il 15 settembre 2000;

- con il secondo motivo, deduce erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa impugnazione della delibera 49/2008 della Giunta camerale, che, come si è visto, ha rifiutato di pagare il risarcimento. A dire dell’amministrazione, tale delibera, conosciuta come si è detto il giorno 31 marzo 2008, si sarebbe dovuta impugnare entro il termine di decadenza, mentre il ricorso di primo grado è stato proposto solo il 28 aprile 2010 (fatto non contestato;
v. atto di appello nel fascicolo n.4265/2013, p. 5 dodicesimo rigo).

- con il terzo motivo, deduce ancora erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha respinto l’eccezione di prescrizione, che a suo dire sarebbe decorsa nei cinque anni dal fatto lesivo, ovvero nel momento dell’adozione dell’originario provvedimento lesivo;

- con il quarto motivo, deduce infine erroneità della sentenza nella parte in cui essa ha accolto la pretesa risarcitoria, sotto i profili che seguono:

- con il primo sotto motivo del motivo quarto, a p. 20 dell’atto, critica la sentenza impugnata per avere, a suo dire, ritenuto la colpa dell’amministrazione insita nel mero fatto dell’adozione del provvedimento lesivo, senza la richiesta prova dell’elemento psicologico dell’illecito;

- con il secondo sotto motivo del motivo quarto, a p. 25 dell’atto, critica la sentenza impugnata per aver ritenuto l’esistenza del nesso causale, che a suo dire non vi sarebbe, fra il diniego di trasferimento e i danni asseritamente subiti dalla ricorrente;

- con il terzo sotto motivo del motivo quarto, a p. 28 dell’atto, ha infine criticato la sentenza impugnata quanto alla liquidazione del danno riconosciuto. Ha sostenuto in particolare che la ricorrente non avrebbe potuto ottenere altro che un comando della durata di un anno a Pescara, e che invece il trasferimento le sarebbe stato impedito, mancando il nulla osta della CCIAA di Napoli, e che comunque del danno liquidato mancherebbe la prova.

Ha quindi chiesto che questo Giudice annulli la sentenza di primo grado dichiarando il proprio difetto di giurisdizione in favore del Giudice ordinario, e in ogni caso respinga il ricorso di primo grado in quanto inammissibile e comunque infondato.

La ricorrente ha resistito, con atto 22 luglio 2013, e chiesto che l’appello sia respinto.

Con memoria 1 dicembre 2017 per l’amministrazione e con memoria 11 dicembre e replica 22 dicembre 2017 per l’originaria ricorrente, le parti hanno poi ribadito le rispettive tesi.

Contro la stessa sentenza, ha poi proposto impugnazione anche l’originaria ricorrente, con appello rubricato al n.4875/2013 R.G., che contiene tre motivi:

- con il primo di essi, critica la sentenza impugnata per avere ritenuto responsabile l’amministrazione intimata, come si è detto, soltanto per il periodo dal 29 luglio 1994, al 15 luglio 1998. Deduce in proposito che il proprio mancato trasferimento presso la CCIAA di Pescara dopo il giudicato favorevole sarebbe dipeso non da una libera scelta, come ritenuto dalla sentenza impugnata, ma dall’impossibilità giuridica di ottenere il nulla osta dalla scuola presso la quale era addetta, nei termini visti. Deduce ancora che, in base alle norme allora vigenti, non avrebbe potuto, fino al giudicato, agire per l’esecuzione della sentenza di annullamento, e che quindi l’impossibilità di eseguirla non è da lei dipesa, essendo il suo trasferimento a Pescara alle dipendenze di altra amministrazione dovuto solo alla necessità di limitare i disagi per la propria vita personale e familiare;

- con il secondo motivo, critica di conseguenza la sentenza impugnata per non averle riconosciuto i danni patrimoniali per il periodo successivo al 15 luglio 1988, pari a suo dire ad € 38.572,80, corrispondenti al mancato godimento dei premi incentivanti e dei buoni pasto fino al pensionamento nel 2014;

- con il terzo motivo, critica infine la sentenza impugnata per non averle riconosciuto il danno non patrimoniale corrispondente alle lesioni alla propria salute asseritamente provocatele dal mancato tempestivo trasferimento.

Ha quindi concluso in via istruttoria per l’ammissione di prova testimoniale, per la quale indica i capitoli e i testi, circa le presunte conseguenze dannose dell’atto illegittimo a suo carico, nonché per l’ammissione di consulenza tecnica medico legale per accertare l’asserita invalidità temporanea e permanente riportata dalla ricorrente;
nel merito, per la condanna dell’amministrazione intimata a corrisponderle il risarcimento del danno relativo nella misura di € 85.751,92 per danno patrimoniale ed € 488.998 per danno morale, o diversa somma di giustizia, maggiorata di interessi e rivalutazione.

L’amministrazione si è costituita in tale giudizio con atto 26 luglio 2013, ed ha chiesto che l’appello sia respinto.

Con memoria 1 dicembre 2017 per l’amministrazione e 11 dicembre 2017 per la ricorrente, le parti hanno infine ribadito le rispettive tesi.

All’udienza del giorno 16 gennaio 2018, la Sezione ha trattenuto i ricorsi in decisione.

DIRITTO

1. Anzitutto, a norma dell’art. 96 comma 1 c.p.a., gli appelli devono essere riuniti, perché proposti contro la stessa sentenza.

2. Ciò posto, dell’appello n.4265/2013 risulta fondato e assorbente il primo motivo, concernente la giurisdizione, e per conseguenza l’appello n.4875/2013 va dichiarato inammissibile, il tutto nei termini che seguono.

3. Il primo motivo dell’appello proposto dall’amministrazione intimata in I grado, ovvero il primo motivo del ricorso n.4265/2013, va comunque esaminato per primo, in quanto come si è detto riguarda la giurisdizione.

La questione relativa, infatti, assume di regola priorità logica su ogni altra, in base al semplice rilievo per cui, se non vi è giurisdizione, tanto in assoluto quanto in capo al giudice adito, nemmeno vi può essere il processo di cui si tratta: in tali termini, per tutte, Cass. civ. SS.UU. 5 gennaio 2016 n.29 e 6 luglio 2004 n.12365.

4. Per decidere in proposito, si deve allora qualificare la pretesa dedotta in giudizio, in base al noto criterio per cui, in sintesi, si deve tener conto del petitum in relazione alla causa petendi .

Nel dettaglio, in generale la giurisdizione si determina sulla base della domanda;
ai fini poi che interessano, del riparto tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo, vanno considerati non la prospettazione delle parti, ma il petitum sostanziale, identificato non solo e non tanto in base alla concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in base alla causa petendi , ossia alla intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale essi costituiscono manifestazione: così per tutte Cass. civ. SS. UU. 15 settembre 2017 n.21522 e già 4 gennaio 1978 n.11.

5. Applicando il criterio appena delineato al caso di specie, risulta evidente che i fatti allegati si identificano con la pretesa al risarcimento di un danno derivante da un provvedimento amministrativo illegittimo adottato nell’ambito di rapporti di pubblico impiego, ovvero del rapporto che la ricorrente in I grado aveva titolo ad instaurare con l’amministrazione intimata in I grado.

Il provvedimento illegittimo in questione è il diniego del trasferimento annullato in sede giurisdizionale, e sull’illecito produttivo di danno che ad esso si ricollega è necessario soffermarsi ulteriormente.

L’illecito in questione infatti si è prodotto alla data del provvedimento illegittimo, ovvero il 29 luglio 1994, data del mancato accoglimento della richiesta di trasferimento, indicata in premesse;
va però precisato che nulla cambierebbe se si volesse considerare la successiva data di comunicazione del provvedimento, ovvero il giorno 8 settembre 1994.

L’illecito in questione, peraltro, non rappresenta un illecito istantaneo, dato che non si è esaurito nel momento della sua commissione, ma un illecito permanente, ovvero un illecito le cui conseguenze dannose si sono protratte nel tempo in dipendenza dalla volontà del danneggiante e che quindi perdura come tale sino alla cessazione della permanenza.

Come è noto, quest’ultima si produce in generale allorquando il danneggiante abbia di sua volontà eliminato la situazione dannosa, ovvero in alternativa si sia trovato incolpevolmente nell’impossibilità di farlo: sul principio, per tutte, Cass. civ. sez.

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