Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-04-13, n. 201601459
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N. 01459/2016REG.PROV.COLL.
N. 09199/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9199 del 2015, proposto da:
G P P, A P, rappresentati e difesi dagli avv. G C, L S, con domicilio eletto presso G C in Roma, Via Prisciano, 28;
contro
Comune di Formello, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. L C, G Cni, con domicilio eletto presso L C in Roma, Via della Giuliana, 82;
nei confronti di
Consorzio Industriale Roma Nord, Formello 2000 Immobiliare Industriale Srl, Federico Vittori;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 08697/2015, resa tra le parti, concernente decreto di espropriazione immobili - ris.danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Formello;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2016 il Cons. N R e uditi per le parti gli avvocati Cipriani e Carnevale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I Sigg.ri P Gian Paolo e Alessandro sono proprietari, per effetto di successione mortis causa dalla madre Lorenzini Maria deceduta il 5.07.1990, di un terreno industriale sito nel Comune di Formello, consistente in mq 9943 in seguito a parziale alienazione, individuato catastalmente al foglio 20 particelle nn. 970 e 78.
L’Amministrazione comunale, approvava, con delibera del Commissario Prefettizio n. 8 del 22.09.1993, la lottizzazione a scopo industriale degli immobili siti in Loc. Olmetti, compresi quelli di proprietà dei Sigg.ri P e disponeva la pubblica utilità di tali opere.
Con Rogito del Notaio De Corato rep. 50169 del 18.11.1993, il Comune stipulava una convenzione di cessione volontaria a titolo gratuito con i proprietari dei vari lotti di terreno, trascritta presso la conservatoria dei registri immobiliari di Roma 2 al n. 28692, in data 1.12.2003.
La suddetta convenzione non veniva sottoscritta dai Sigg.ri P, i quali, tuttavia, presenziarono alla riunione, come si evince dallo stesso documento.
Faceva quindi seguito il decreto di esproprio n. 2 del 7.06.2011, con cui il responsabile dell’ufficio in carica, Ing. Federico Vittori, decretava a favore del Comune di Formello l’espropriazione delle aree di proprietà dei Sigg.ri P, che nel frattempo erano state oggetto di frazionamento ricevendo nuovi identificativi catastali indicati nel decreto di esproprio (particelle nn. 1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, 1991, 1992, 1993, 1995). Quest’ultimo, veniva pronunciato e trascritto nei confronti della madre M L.
I Sigg.ri P, in data 7.11.2011 presentavano istanza formale di accesso agli atti al Comune di Formello, richiedendo copia del decreto di esproprio e degli altri atti della procedura ablativa, che ricevevano in data 15.12.2011 a mezzo plico raccomandato.
Con ricorso al Tar per il Lazio n.r.g. 1360 del 2012, notificato all’Amministrazione comunale in data 7 febbraio 2012, i Sigg.ri P chiedevano l’annullamento del decreto di esproprio n. 2 del 7 giugno 2011 emesso dal Comune di Formello, nonché il risarcimento del danno per l’irreversibile trasformazione del fondo e per l’intervenuta occupazione dello stesso a far data dal 18 novembre 1993.
In particolare, a sostegno delle proprie domande, i ricorrenti asserivano di essere rimasti del tutto estranei alla procedura ablativa e di aver avuto notizia del decreto di esproprio e relativi atti solo a seguito di risposta alla domanda di accesso, in data 15 dicembre 2011.
L’adito Tribunale Amministrativo Regionale – Sezione Seconda bis – con sentenza n. 8697/2015 dichiarava il ricorso in parte irricevibile e in parte inammissibile, e condannava in solido i ricorrenti al pagamento a favore delle parti costituite delle spese di lite;rigettava, invece, la richiesta dell’Amministrazione di condanna dei ricorrenti ex artt. 96 c.p.c. e 26 c.p.a..
Avverso tale decisum , ritenuto errato ed ingiusto, sono insorti gli interessati con ricorso n.r.g. 9199/2015, deducendo, a sostegno del proposto appello i seguenti motivi:
1)“Violazione o errata applicazione art. 41 c. 2 D.L.vo n. 104/2010. Violazione o errata applicazione art. 73 c. 3 D.L.vo 104/2010. Contraddittorietà. Illogicità manifesta. Perplessità. Violazione art. 111 della Costituzione. Violazione art. 3 D.L.vo 104/2010. Carenza assoluta di motivazione. Violazione art. 88 c. 2, lett. d) D.L.vo 104/2010. Violazione del diritto di difesa”.
2)“Violazione o errata applicazione dell’art. 30 c. 3, D.L.vo n. 104/2010. Contraddittorietà. Illogicità manifesta. Perplessità. Violazione art. 111 della Costituzione. Violazione art. 3 D.L.vo 104/2010. Carenza assoluta di motivazione.”
3)“Violazione dell’art. 1, Prot 1 CEDU. Violazione art. 111 della Costituzione. Violazione di legge.”
Con tempestiva memoria, si è costituito in giudizio il Comune di Formello, che ha contestato ed impugnato ogni deduzione, domanda e conclusione di parte avversa, chiedendo il rigetto integrale del ricorso in appello e la conferma della sentenza impugnata. In vista dell’udienza di discussione, i ricorrenti hanno presentato memoria difensiva ed il Comune di Formello memoria di replica, ribadendo le rispettive posizioni.
Alla pubblica udienza del 10 marzo 2016 la causa è stata discussa e assunta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
In via preliminare, occorre esaminare, stante il carattere di pregiudizialità rispetto all’esame del merito, il primo motivo di gravame, relativo alla statuizione del Tar per il Lazio di irricevibilità del ricorso in quanto non tempestivamente proposto.
Parte appellante, con le doglianze variamente articolate a mezzo dei denunciati motivi di gravame, censura la sentenza del giudice di prime cure in rapporto alla detta declaratoria di irricevibilità, evidenziando, in particolare, l’assenza di una piena conoscenza del provvedimento da impugnarsi quanto alla lesività del medesimo ai fini del decorso del termine di impugnazione, se non a partire dal rilascio dello stesso a seguito di istanza di accesso agli atti.
Ad avviso di codesto Collegio, le statuizioni assunte sul punto dal T.A.R. per il Lazio appaiono immuni dalle critiche operate dagli appellanti, rivelandosi le stesse, avuto riguardo alla fattispecie concretamente in rilievo, in linea con i principi giurisprudenziali costantemente affermati in subiecta materia .
Relativamente al termine decadenziale per l’impugnativa giurisdizionale occorre fare riferimento all’art. 41 co. 2 D.L.vo n. 104/2010 (c.p.a.) secondo cui il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla P.A. che ha emesso l’atto impugnato entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza. Pertanto, il termine per l'impugnazione di un atto amministrativo, per il quale non vi è stata la notificazione o comunicazione, come nella fattispecie in esame dove il decreto di esproprio impugnato è stato trascritto a carico della madre degli istanti, che viceversa non ne hanno ricevuto alcuna comunicazione formale, decorre dalla piena conoscenza dello stesso da parte dell'interessato.
Quindi, la questione giuridica quivi in discussione attiene all’individuazione del momento a partire dal quale si ha “piena conoscenza” dell’atto lesivo, ai fini del computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale e, conseguentemente, ai fini della verifica della tardività o meno del ricorso presentato in primo grado dai Sig.ri P.
Costituisce ormai principio acquisito dalla giurisprudenza di questo Consiglio che il concetto di "piena conoscenza" — il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale — è integrato dalla percezione dell'esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l'attualità dell'interesse ad agire contro di esso. Mentre si esclude che il concetto di “piena conoscenza” dell’atto lesivo possa essere inteso quale “conoscenza piena ed integrale” del provvedimento che si intende impugnare, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale. La consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” indicata dalla norma);invece la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi . Per quest’ultimo, l’ordinamento prevede l’istituto dei “motivi aggiunti”, per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento di proposizione del ricorso ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta.
Diversamente, se tale “piena conoscenza” dovesse essere intesa come “conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale. In altre parole, solo l’assenza dell’istituto dei motivi aggiunti consentirebbe di interpretare la “piena conoscenza” come conoscenza integrale dell’atto impugnabile e degli atti endoprocedimentali ad esso preordinati, poiché in questo (ipotetico) caso si produrrebbe – diversamente opinando - un vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto il soggetto che si reputa leso dall’atto si troverebbe compresso tra un termine decadenziale che corre ed una impossibilità di conoscenza integrale dell’atto, e quindi di completa e consapevole articolazione di una linea difensiva. Al contrario, la previsione dei cd. motivi aggiunti comprova ex se che la “piena conoscenza” indicata dal legislatore come determinante del dies a quo della decorrenza del termine di proposizione del ricorso giurisdizionale, non può che essere intesa se non come quella che consenta all’interessato di percepire la lesività dell’atto emanato dall’amministrazione, e che quindi rende pienamente ammissibile – quanto alla sussistenza dell’interesse ad agire – l’azione in sede giurisdizionale.
Quanto sin qui esposto costituisce un dato acquisito della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 28 maggio 2012, n. 3159;Sez. III, 19 settembre 2011 n. 5268;sez. VI, 28 aprile 2010 n. 2439;sez. IV, 19 luglio 2007 n. 4072 e 29 luglio 2008 n. 3750) ed è stato, anche di recente, ribadito dalla giurisprudenza di questa Sezione, con la sentenza 29 ottobre 2015 n. 4945, dalla quale (e dalle conclusioni cui la stessa perviene) il Collegio non ritiene sussistano ragioni per discostarsi.
Difatti, emerge dagli atti che gli interessati hanno notificato il ricorso all’Amministrazione comunale solo in data 7 febbraio 2012, ovvero, oltre il termine decadenziale di 60 giorni decorrenti dal 7 novembre 2011, data in cui i Sigg.ri P hanno presentato al Comune di Formello istanza di accesso al decreto di esproprio e agli altri atti della procedura ablativa, citandone gli elementi identificativi essenziali, quali: la natura del provvedimento, numero e data del decreto, l’autorità emanante e quindi l’Ente beneficiario, nonché la zona e le particelle interessate all’esproprio.
Osserva il Collegio che i suddetti elementi, di cui i ricorrenti erano in possesso alla data del 7 novembre 2011, sono da considerarsi sufficienti a consentire loro di percepire l’esistenza del provvedimento e la sua portata lesiva e dunque ad integrare quella “piena conoscenza” dalla quale decorre il termine per l’impugnazione, non impedita, invece, dall’ignoranza degli altri atti della procedura ablativa. Già a quella data, deve rinvenirsi in capo ai ricorrenti la consapevolezza della iniziativa amministrativa, unitamente alla portata lesiva dell’atto per le loro posizioni giuridiche soggettive, con la conseguenza che in capo agli stessi non poteva non insorgere l’onere precipuo ed inderogabile di gravare tempestivamente e cioè nei termini previsti (sessanta giorni) il decreto di esproprio.
Parte appellante sostiene che il dies a quo per l’impugnativa deve farsi decorrere dalla data in cui, a seguito di accesso, ha ottenuto copia del decreto di esproprio e degli altri atti della procedura ablativa, perché la proposizione dei motivi di gravame non poteva prescindere dalla preventiva verifica dell’esistenza di eventuali profili di illegittimità del decreto di esproprio attraverso la conoscenza del suo contenuto e degli atri atti.
Il rilievo non è condivisibile posto che la lesività delle determinazioni adottate dall’Amministrazione si è materializzata già nel momento in cui è stata presentata la domanda di accesso, da cui risulta la natura ablativa del diritto di proprietà del provvedimento oggetto di istanza, senza che fosse necessario avere cognizione dell’integrale contenuto degli atti della procedura. Invero, proprio con la presentazione della domanda di accesso agli atti è insorto e si è attualizzato l’interesse sostanziale e processuale ad agire nei confronti del decreto di esproprio in oggetto: se così non fosse, se cioè si volesse ancorare la decorrenza del termine impugnatorio ad una diversa, successiva data, significherebbe aggirare la regola legislativamente fissata della decadenza del termine di impugnazione, a danno del principio della certezza e stabilizzazione delle situazioni giuridiche come conformate dall’azione della P.A.
Del resto, come sancito dalla giurisprudenza di questo Consiglio sopra richiamata, una più completa articolazione difensiva poteva essere apportata dai ricorrenti tramite il rimedio dei motivi aggiunti.
Ad abundatiam , vi sono ulteriori elementi fattuali di carattere oggettivo che comprovano la conoscenza da parte degli odierni appellanti della procedura ablativa anteriormente alla data del 7 novembre 2011: emerge dagli atti che, ben 18 anni prima, i Sigg.ri P hanno preso parte alla riunione presso il Notaio De Corato del 18 novembre 1993 per l’eventuale stipula della convenzione accessiva, in cui è stata fatta menzione del Piano di Lottizzazione e del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità. Inoltre, nel ricorso di primo grado, sostengono l’occupazione del fondo di loro proprietà a far data dal 1993. Nonostante tali circostanze, per tutto questo tempo, i ricorrenti non si sono mai opposti alla procedura ablatoria, fino al 7 febbraio 2012.
Sulla scorta della impostazione data da questo giudice alla problematica della “piena conoscenza”, tenuto conto degli elementi di fatto che connotano il caso all’esame, come concretamente verificatosi, bisogna convenire sulla correttezza delle conclusioni con cui il Tar per il Lazio ha dedotto l’avvenuta tardiva impugnazione del provvedimento oggetto di contestazione giudiziale. I profili di irricevibilità per tardività del ricorso di primo grado precludono la disamina di ogni altra questione, sia processuale che di merito, non restando al Collegio che confermare quanto correttamente già rilevato dal giudice di prime cure, rimanendo le altre censure di primo grado, qui riproposte in sede di appello, interamente assorbite.
Anche per la parte relativa alla domanda risarcitoria, vanno confermate le statuizioni rese sul punto dal T.A.R. per il Lazio non potendosi nella specie configurare una pretesa al riconoscimento di danni da attività amministrativa illegittima, posto che la presa di possesso del fondo è avvenuta sulla base di un provvedimento divenuto intangibile, e quindi pienamente valido ed efficace.
Occorre inoltre notare che il comportamento inerte tenuto dai Sigg.ri P nel corso della lunga procedura ablativa, denota l’assenza dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 30, comma 3, del c.p.a.
E, invero, alla luce dell’insegnamento fornito dall’Adunanza Plenaria 23 marzo 2011, n. 3, l’omessa attivazione degli strumenti di tutela specifici previsti dall'ordinamento a tutela delle posizioni di interesse legittimo, nel caso in cui essa avrebbe impedito la consolidazione di effetti dannosi, costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l'omessa impugnazione non più come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.
Alla luce delle considerazioni esposte, l’appello è infondato e deve essere respinto, con conseguente reiezione dello stesso e conferma della sentenza impugnata. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.