Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-03-27, n. 202402906

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-03-27, n. 202402906
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202402906
Data del deposito : 27 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/03/2024

N. 02906/2024REG.PROV.COLL.

N. 07285/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7285 del 2023, proposto da Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati F A, L R P, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;

contro

Autorità garante della concorrenza e del mercato, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

di Konsumer Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4498 del 2023.


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

Viste le memorie delle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;

Nessuno per le parti presente all’udienza pubblica del 29 febbraio 2024;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- I fatti che hanno condotto all’odierno ricorso in revocazione (art. 106 c.p.a., art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c.) possono essere così compendiati:

a) quanto al provvedimento sanzionatorio di AGCM :

1.1.- Con l’originario ricorso di primo grado l’ Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma, di seguito « Unicusano » impugnava, con richiesta di annullamento, il provvedimento sanzionatorio del 15 gennaio 2020, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito « AGCM ») in applicazione dell'art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo) irrogava, nei suoi confronti, una sanzione pecuniaria di complessivi euro 250.000,00, in ragione della violazione degli artt. 24, 25 e 66-bis del medesimo d.lgs. n. 206 del 2005.

1.2.- Le ragioni a sostegno del provvedimento, nella ricostruzione fattane dal giudice di primo grado (cfr. sentenza appellata), erano così articolate:

« La ricorrente, Università istituita con decreto ministeriale del 10 maggio 2006 con il compito primario di svolgere attività di formazione mediante l’utilizzo delle metodologie della formazione a distanza (e-learning), nonché di metodologie miste idonee a consentire la formazione, oltre che a distanza, anche in presenza, ha esposto di avere elaborato per l’accesso ai corsi di studi un contratto da stipulare con gli studenti, secondo il modello previsto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con il D.M. 17 aprile 2003, comprensivo delle modalità di risoluzione del rapporto contrattuale su richiesta dello studente, anche al fine di garantire il completamento del ciclo formativo.

Conformemente a detta prescrizione, la ricorrente aveva previsto nel proprio Regolamento didattico di Ateneo, all’art. 25, comma 8, che “Lo studente può rinunciare in qualsiasi momento al proseguimento della propria carriera, manifestando in modo esplicito la propria volontà con atto scritto”.

Al contenuto delle norme regolamentari sopra riportate corrispondevano il contratto con lo studente, il Regolamento di Ateneo per gli studenti universitari e la Guida dello studente.

La Guida dello studente, a pag. 10, descriveva dettagliatamente il contenuto della domanda di iscrizione, alla quale andavano allegati il contratto e il Regolamento debitamente sottoscritti;
il contratto con lo studente disciplinava espressamente, all’art. 4, l’impegno dello studente al rispetto del Regolamento universitario, nonché, all’art. 5, la modalità di recesso, prevedendo che “Lo studente, in regola con il pagamento delle tasse universitarie, può recedere da questo contratto nel rispetto dei suoi diritti di scelta e del Regolamento Universitario”.

Il Regolamento stabiliva, all’art. 3, che “L’anno accademico inizia il 1° agosto e termina il 31 luglio, salva diversa decorrenza determinata dalle autorità accademiche”;
all’art. 4, che “L’iscrizione all’università di norma avviene tra il 1° agosto e il 31 luglio di ciascun anno con validità per l’anno accademico che inizia il 1° agosto. Lo studente interessato potrà ottenere l’iscrizione in qualunque mese dell’anno e sarà riferita all’anno accademico cui appartiene l’iscrizione. Per i mesi di giugno e luglio lo studente può optare per l’iscrizione all’anno accademico in corso usufruendo della sessione di esami utili per tale anno oppure per l’iscrizione all’anno accademico successivo. L’iscrizione è valida per tutti gli anni in cui si articola il corso di studi prescelto (laurea triennale, laurea quinquennale a ciclo unico, laurea biennale specialistica) e si intende riferita all’intero corso di studi o meglio all’espletamento di tutti gli esami del corso di studi compresa la discussione finale della tesi. Lo studente si iscrive al corso di laurea prescelto e vedrà automaticamente rinnovata la propria iscrizione di anno in anno fino al completamento del ciclo di studi”, e che “La rinuncia agli studi, formalizzata con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, ha effetto immediato ed è subordinata al pagamento delle rette universitarie e dei contributi dovuti. Per chi non volesse essere iscritto all’anno accademico successivo la rinuncia dovrà essere inviata con lettera raccomandata tra il 1° e il 31 luglio dell’anno accademico in corso. A far data dal 31 luglio lo studente che avrà rinunciato alla iscrizione all’anno successivo cesserà ogni attività didattica con impossibilità di accesso alla piattaforma e a qualsivoglia attività didattica” (art. 8).

La disciplina di riferimento, così come formulata, prevedeva, pertanto, che l’anno accademico iniziasse il 1° agosto e che sia l’iscrizione - valevole per l’intero ciclo e automaticamente rinnovata di anno in anno -, sia la rinuncia agli studi potessero essere presentate in qualunque momento, con riferimento all’anno accademico in corso;
per poter rinunciare agli studi era necessario però che lo studente fosse in regola con il pagamento delle tasse universitarie dovute fino al momento della rinuncia;
infine, affinché la rinuncia avesse effetto nell’anno accademico nel corso del quale lo studente decideva di interrompere la carriera universitaria, la stessa doveva essere presentata entro il 31 luglio.

Il superamento di detto termine implicava il rinnovo dell’iscrizione e la riferibilità della rinuncia al nuovo anno accademico, per il quale lo studente sarebbe tenuto a versare la retta prevista.

Con comunicazione del 30 luglio 2019 l’Agcm aveva avviato, nei confronti dell’Università, un procedimento diretto all’accertamento di possibili violazioni del Codice del Consumo, con particolare riguardo:

a. agli artt. 24 e 25, in ragione del fatto che l’efficacia della rinuncia agli studi universitari comunicata dallo studente risultava subordinata a due condizioni, ossia al rispetto di un termine stringente (1-31 luglio) e all’avvenuto pagamento dei debiti accumulati e delle quote di iscrizione relative agli anni successivi, giacché rinnovate automaticamente;

b. all’art. 66 bis, in ragione del fatto che il foro di competenza indicato nel “Contratto con lo Studente” per l’ipotesi di controversie non era quello di residenza o domicilio del consumatore (lo studente), bensì quelli di Sarno e Nocera Inferiore (successivamente modificato in Roma).

Il procedimento veniva avviato a seguito di una segnalazione pervenuta da un’associazione di consumatori (Konsumer Italia) e da un consumatore singolo nei confronti dell’Università “in qualità di professionista, ai sensi dell’art. 18, lett. b), del Codice del Consumo”.

Alla comunicazione ricevuta la ricorrente aveva dato riscontro con nota del 16 settembre 2019 precisando che l’Università non poteva considerarsi “professionista” ai sensi del Codice del consumo, che, quindi, non poteva trovare applicazione.

In data 22 ottobre 2019 l’Agcm aveva comunicato alla ricorrente il termine di conclusione della fase istruttoria, fissato alla data del 10 novembre 2019, confermando la ravvisabilità di una presunta pratica commerciale scorretta in ragione della ambigua formulazione della disciplina di riferimento (artt. 4 e 8 del Regolamento di Ateneo;
art. 5 del contratto con lo studente) e della scarsa informazione dei consumatori nella fase precontrattuale, nonché la violazione dell’art. 66 bis del Codice del Consumo, in ragione della inderogabilità delle previsioni circa il Foro competente.

Con apposite osservazioni inviate il giorno 11 novembre 2019 l’Università aveva replicato al contenuto della comunicazione chiedendo, altresì, la convocazione in audizione, fissata per il 18 novembre 2019.

L’Autorità, con nota del 15 novembre 2019 aveva inviato gli atti del procedimento all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ai fini del parere di cui all’art. 16, commi 3 e 4, del Regolamento AGCM, acquisibile prima della rimessione degli atti al Collegio per l’adozione del provvedimento finale.

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva reso il parere richiesto in data 17 dicembre 2019, ritenendo che “il mezzo internet sia uno strumento idoneo a influenzare significativamente la realizzazione della pratica commerciale rispetto alla quale è richiesto parere a questa Autorità”.

In data 15 gennaio 2020 l’Autorità aveva notificato all’Università il provvedimento impugnato, sanzionando la pratica commerciale scorretta “consistente nella frapposizione di ostacoli all’esercizio del diritto di recesso” con una sanzione di € 200.000,00 e la violazione dell’art. 66 bis del Codice del Consumo con una sanzione di € 50.000,00 ».

b) quanto al ricorso di primo grado :

1.3.- Avverso detto provvedimento Unicusano proponeva domanda caducatoria dinanzi al T.a.r. e, a sostegno della stessa, deduceva i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili (compreso lo sviamento).

1.4.- Con motivi aggiunti la ricorrente impugnava, altresì, sempre in primo grado, la comunicazione di AGCM del 19 maggio 2020, avente ad oggetto « relazione di ottemperanza pervenuta il 9 marzo 2020 (prot. n. 25911/2020) ».

c) quanto alla sentenza di primo grado :

1.5.- Con sentenza n. 1999 del 2021 il T.a.r. per il Lazio, sez. I, rigettava in parte il ricorso (e lo dichiarava inammissibile quanto ai motivi aggiunti) in ragione del così enucleato – in via di estrema sintesi e nei limiti di quanto qui di interesse – giudizio di infondatezza delle doglianze:

I) l’Autorità ha ritenuto che il professionista abbia ostacolato l’esercizio del recesso predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso, tempestivamente manifestato, anche per il futuro, al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, con la conseguenza che l’inefficacia del recesso comunicato dai soggetti non in regola con i pagamenti avrebbe comportato la debenza delle somme maturate anche dopo la manifestazione del recesso: in tal modo il professionista ha indebitamente richiesto ai consumatori, anche a fronte del recesso tempestivo, il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti, in forza del meccanismo di rinnovo automatico predisposto che, precludendo lo scioglimento immediato dal vincolo contrattuale in caso di morosità, esponeva i richiedenti ad oneri economici ulteriori ed ingiustificati per prestazioni di cui non si intendeva fruire, come manifestato con la rinuncia agli studi.

II) l’ambiguità delle disposizioni negoziali e l’indubbio effetto ostativo rispetto all’esercizio del recesso, sorreggono la determinazione sanzionatoria, che ha ravvisato nella fattispecie una pratica commerciale aggressiva proprio nell’ostacolo posto alla liberazione dal vincolo negoziale.

d) quanto al giudizio d’appello :

1.6.- Con sentenza n. 4498 del 2023 il Consiglio di Stato rigettava l’appello interposto avverso la predetta sentenza T.a.r. Lazio, così articolando – per quanto qui di interesse – il giudizio di infondatezza del secondo motivo di gravame con cui l’Unicusano contestava che le condotte a essa imputate fossero qualificabili come pratiche commerciali scorrette, contrarie alla diligenza professionale, false o idonee a falsare il comportamento dei consumatori:

« 4.3 Nel caso di specie oggetto di contestazione principale è – in primo luogo – la condotta del professionista che ha ostacolato l’esercizio del recesso predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso non solo al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso.

Fatta salva la debenza dei pagamenti relativi al periodo antecedente il recesso, per i quali il professionista può attivare i rimedi previsti dall’ordinamento nel caso di inadempimento, il professionista ha invece indebitamente richiesto ai consumatori che avevano esercitato il diritto di recesso anche il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti.

Ciò in forza del meccanismo di rinnovo automatico predisposto che, precludendo lo scioglimento immediato dal vincolo contrattuale in caso di morosità, espone i richiedenti ad oneri economici ulteriori ed ingiustificati per prestazioni di cui non si intende fruire, come manifestato con la rinuncia agli studi.

4.4 Come evidenziato dalla difesa erariale, lo stesso professionista non ha accettato, nella maggior parte dei casi, le richieste di rinuncia pervenute invocando le clausole di cui alle contestate disposizioni regolamentari per cui, se da un lato pare riconoscere che la rinuncia ha effetto immediato, dall’altro lato, invece, ha continuato a richiedere il pagamento delle rette, sia di quelle scadute e non saldate, sia di quelle che continuano a maturare dopo la comunicazione della rinuncia (in ragione dell’insolvenza dello studente). Secondo quanto riportato dalla parte appellante, poi, alcuni consumatori le cui richieste non sono state accettate hanno provveduto a soddisfare tutti gli oneri economici imposti dallo stesso al fine di rendere pienamente operativi gli effetti del recesso.

Pertanto il professionista ha sfruttato la posizione di potere rispetto ai consumatori per condizionarli indebitamente a proseguire il rapporto e a versare le rette annuali. E gli ostacoli evidenziati rispetto al diritto di recesso sono riconducibili all’ambigua disciplina contrattuale che non chiarisce le concrete modalità di esercizio del diritto e le sue conseguenze, il che si traduce in un ostacolo all’esercizio del medesimo diritto.

4.5 Tali comportamenti appaiono pertanto correttamente qualificati dal provvedimento impugnato in prime cure.

4.6 Il sito online che, per conto di un professionista, offre un servizio deve fornire in modo chiaro, trasparente ed immediato il reale prezzo del prodotto desiderato, nonché tutte le informazioni utili per orientare la scelta del consumatore, comprese quelle relative al recesso. In caso contrario la condotta dell'operatore è una pratica commerciale scorretta. Sia la normativa interna che quella comunitaria impongono che tutte le informazioni date al consumatore medio per orientarne le scelte commerciali siano immediatamente disponibili, chiare, dettagliate e trasparenti, comprese quelle fondamentali in merito al possibile recesso, che va garantito, in termini chiari e trasparenti, specie in relazione ad un servizio peculiare e di rilevante interesse pubblico quale quello di istruzione universitaria che coinvolge diritti costituzionali della persona.

4.7 Contrariamene a quanto dedotto da parte appellante, il rinnovo automatico, in seguito alla rinuncia ed al recesso dello studente, non costituisce una garanza di quest’ultimo – che ha, al contrario, manifestato la volontà di recedere – quanto una mera indebita autotutela del credito vantato dall’università in merito alle somme pregresse ed una ancor più indebita predeterminazione di un credito per le prestazioni successive, già espressamente rinunciate e quindi non richieste dal consumatore.

4.8 Va esclusa anche la sussistenza della evocata disparità di trattamento sia per la mancanza dei necessari presupposti di identità della fattispecie – solo genericamente indicati - sia – e ciò è dirimente - perché nulla esclude che l’Autorità proceda anche nei confronti di altri Atenei in caso di analoghe clausole.

4.9 Analoghe considerazioni vanno svolte – in secondo luogo – per la condotta concernente la violazione dell’articolo 66 bis del Codice del Consumo, secondo il quale “Per le controversie civili inerenti all'applicazione delle Sezioni da I a IV del presente capo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato” ».

2.1.- Così ricostruita la vicenda procedimentale e contenziosa fino alla sentenza d’appello, Unicusano, originaria ricorrente in primo grado, appellante e odierna ricorrente, ha proposto ricorso, in via rescidente, per la revocazione della sentenza Cons. Stato, sez. VI, n. 4498 del 2023, e per l’accoglimento, in via rescissoria, del ricorso in appello. Il tutto sulla base di doglianze così sinteticamente riassunte:

a) quanto alla fase rescindente :

- il giudice d’appello avrebbe correttamente dovuto concludere, in base ai docc. sub II, III, IV e V, che Unicusano non avrebbe mai preteso somme maturate dopo la presentazione dell’istanza di recesso e, conseguentemente, avrebbe dovuto escludere la sussistenza della prima asserita violazione contestata dall’AGCM, relativa ai presunti ostacoli frapposti al diritto di recesso. Ne sarebbe, in tesi derivato il riconoscimento dell’erroneità della sentenza di primo grado e, dunque, l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, nella parte in cui ha irrogato una sanzione pari a euro 200.000,00 per l’asserita violazione in questione;
un errore vi sarebbe nel richiamo della percentuale delle istanze di recesso accettate;

b) quanto alla fase rescissoria :

- Il T.a.r. prima, e il giudice d’appello poi, avrebbero dovuto rilevare, in accoglimento dei motivi di ricorso proposti dall’odierna ricorrente, l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, stante la documentata inesistenza dell’asserita condotta volta a frapporre ostacoli al diritto di recesso.

3.1.- Si sono costituite in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni le quali, con eccezione intesa a revocare in dubbio l’ammissibilità del ricorso in revocazione, hanno evidenziato, tra l’altro, come gli asseriti contestati errori non riguarderebbero la lettura e la percezione degli atti processuali riguardo alla loro esistenza ed al loro significato letterale, bensì coinvolgerebbero la successiva attività decisoria d’interpretazione e valutazione, finalizzata alla formazione del convincimento del Consiglio di Stato: ciò che, secondo tale prospettazione, sarebbe estraneo ai presupposti di cui all’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c.

3.2.- Konsumer Italia, sebbene raggiunta dalla notificazione del ricorso in revocazione, non si è costituita in giudizio.

4.- All’udienza pubblica del 29 febbraio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5.1.- Nel disegno del codice di procedura civile – al quale, sul tema, l’art. 106 c.p.a. rinvia (artt. 395 e 396 c.p.c.) – la revocazione si configura come rimedio concepito per contrastare una serie, pur circoscritta, di vizi che sono assunti come indici rivelatori della probabile ingiustizia della decisione, giustificando la rimozione della sentenza e la restituzione delle parti nello stato anteriore alla sua pronuncia.

« Con specifico riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 395, numero 4), c.p.c., la ratio dell’impugnazione revocatoria per errore di fatto va identificata nell’esigenza di riaprire il processo in ragione di una falsa percezione della realtà processuale, obiettivamente e immediatamente rilevabile, che ha indotto il giudice ad affermare o soltanto a supporre, purché attraverso un’enunciazione espressa nella motivazione, l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti ovvero l’inesistenza di un fatto, parimenti decisivo, che, sempre ex actis, risulti, invece, positivamente accertato.

La nozione di errore di fatto va, dunque, circoscritta – come affermato da questa Corte, in coerenza con la ricostruzione innanzi richiamata – all’ “errore […] meramente percettivo (svista, puro equivoco) e che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa” dell’organo giudicante (sentenza n. 36 del 1991).

[…] La ratio dell’impugnazione revocatoria per errore percettivo riposa sull’assunto che l’accertamento tendenzialmente attendibile e razionalmente controllabile della verità dei fatti identifichi una delle condizioni indefettibili della giustizia del provvedimento giurisdizionale.

E poiché l’attendibilità dell’enunciazione giudiziale dei fatti dedotti a fondamento della domanda di tutela giurisdizionale costituisce estrinsecazione del principio costituzionale del giusto processo, la revocazione assurge a strumento di tutela primario tutte le volte che dalla statuizione deviata dall’errore di fatto, così come definito dalla norma censurata, derivino per la parte conseguenze pregiudizievoli sul piano dell’effettivo soddisfacimento di specifici bisogni di tutela » (Corte cost., n. 89 del 2021).

5.2.- L’ipotesi di revocazione per errore di fatto inerisce «ad una circostanza pacifica, che inoppugnabilmente emerga o meno dagli atti processuali » (Corte cost., n. 36 del 1991).

5.3.- La giurisprudenza amministrativa ha chiarito quali sono i presupposti perché possa rinvenirsi l’errore di fatto «revocatorio», distinguendolo dall’errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione ( ex multis , tra le pronunce più recenti, Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n. 406 del 2022;
n. 923 del 2021 e, Cons. Stato, sez. VI, n. 6422 del 2023;
III, n. 5477 del 2023;
VI, n. 3321 del 2021;
IV, n. 6621 del 2020;
n. 2952 del 2020;
n. 2024 del 2019;
n. 6914 del 2018;
n. 6280 del 2018).

5.4.- In particolare, occorre considerare che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio, per cui, come d’altra parte sancito dalla stessa lettera dell’art. 395 c.p.c. non sussiste il vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa – che si sostanzia nella supposizione dell'esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita – ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell'apprezzamento, della valutazione e dell'interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.

5.5.- Pertanto, sono vizi logici e quindi errori di diritto quelli consistenti nella dedotta erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (ex multis : Cons. Stato, sez. III, n. 3471 del 2021;
sez. IV, n. 1644 del 2021;
n. 6621 del 2020;
n. 2977 del 2020;
sez. III, n. 6061 del 2018;
sez. IV, n. 5347 del 2018;
n. 35 del 2018;
sez. V, n. 7599 del 2010).

5.6.- In particolare, l'errore di fatto – idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4 c.p.c. – deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così esistente un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) essere stato un elemento ‘decisivo’ della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Inoltre, l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

5.7.- Infine, il rimedio revocatorio per errore di fatto risulta utilizzabile anche a fronte di un’omessa pronuncia su domande o eccezioni costituenti il thema decidendum ;
tale condizione, tuttavia, perché possa ritenersi sussistente la fattispecie, deve conseguire all’esame della motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa è riferibile soltanto all’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non a quella in cui, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (cfr., sul punto, Cons. Stato, IV, 29 ottobre 2020, n. 6221;
Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2020 n. 225).

5.8.- In altri termini, affinché la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato possa dar luogo ad un errore di fatto revocatorio, legittimando la parte a proporre la relativa domanda ai sensi del combinato disposto degli artt.106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., è necessario che l’errore sia configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura e alla percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non può coinvolgere la successiva attività di ragionamento, di apprezzamento, di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento, che può prefigurare esclusivamente un errore di giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2840 del 2021, che richiama un’ampia giurisprudenza).

6.1.- Con il primo motivo del ricorso in revocazione la parte privata ha dedotto – in via rescindente – la presenza di un errore in fatto ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione al secondo motivo di appello allorché il giudice di secondo grado avrebbe supposto che Unicusano avrebbe materialmente preteso somme maturate dopo la presentazione dell’istanza di recesso, nonostante tale condotta fosse – in tesi – incontrastabilmente esclusa dai documenti versati in atti. Sostiene, sul punto la ricorrente che:

- sarebbe errato l’assunto di fondo (già fatto proprio dal provvedimento sanzionatorio) secondo cui l’odierna ricorrente avrebbe indebitamente richiesto, in caso di recesso, ai propri studenti il pagamento di somme ulteriori, maturate dopo l’esercizio di tale diritto e riguardanti servizi didattici non fruiti. Sicché, secondo la (asseritamente) errata tesi del giudice d’appello (e dell’AGCM), Unicusano avrebbe posto in essere un « meccanismo » per cui gli studenti con volontà di recedere sarebbero stati «costretti» ad accumulare debiti senza alcuna possibilità di sciogliersi dal vincolo contrattuale in essere con l’Università;

- in tal senso, dalla documentazione (in tesi, non contestata dalla parte pubblica) depositata sub docc. III, III e IV si evincerebbe come Unicusano non abbia mai richiesto diversamente da quanto affermato dal giudice d’appello, somme maturate dopo l’esercizio del diritto di recesso: essa avrebbe unicamente chiesto le rette già maturate (ai sensi del regolamento e del contratto, anche in considerazione del mancato esercizio del recesso entro il 31 luglio dell’anno accademico precedente) al momento dell’esercizio della rinuncia agli studi, senza mai pretendere nulla in più, né tantomeno in relazione a servizi universitari non fruiti;

- di qui – nella prospettazione di parte – l’errore revocatorio in sentenza laddove nella stessa si afferma che Unicusano avrebbe subordinato il recesso « al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso » medesimo e « richiesto ai consumatori che avevano esercitato il diritto di recesso anche il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti » (cfr. punto 4.3 della sentenza impugnata);

- altro errore in fatto colpirebbe l’affermazione secondo cui Unicusano non avrebbe accettato «nella maggior parte dei casi, le richieste di rinuncia pervenute invocando le clausole di cui alle contestate disposizioni regolamentari» (cfr. punto 4.4 della sentenza impugnata), affermazione che risulterebbe pacificamente smentita dalla documentazione in atti, che dimostrerebbe come oltre il 72% delle richieste di recesso sarebbero state – in realtà – accettate dall’odierna ricorrente;

- l’(asseritamente errato) assunto – frutto del dedotto ‘decisivo’ errore in fatto – per cui Unicusano avrebbe pretesto somme maturate dopo l’esercizio del diritto di recesso, costituirebbe non solo il presupposto di fatto su cui si regge la sentenza impugnata, ma anche il presupposto dello stesso provvedimento sanzionatorio.

6.2.- Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto, in via rescissoria, l’erroneità della sentenza di primo e secondo grado nella parte in cui ha ritenuto sussistente – per violazione degli artt. 24, 25 e 66-bis cod. cons., travisamento di fatti e difetto di motivazione nonché omesso esame di una questione decisiva ai fini della controversia – l’asserita pratica commerciale scorretta in relazione alla frapposizione di ostacoli al diritto di recesso. Sostiene la ricorrente che:

- alla luce di quanto esposto in via rescindente, Unicusano non avrebbe posto in essere la prima condotta contestata dall’AGCM, ossia la frapposizione di ostacoli al diritto di recesso tramite l’(asserita) richiesta di somme maturate dopo l’esercizio di tale diritto e in relazione a servizi didattici non fruiti;

- in tal senso non sussisterebbe una pratica commerciale scorretta ma, diversamente, una condotta favorevole ai consumatori: conseguentemente la sanzione di euro 200.000,00 sarebbe priva di presupposti.

La ricorrente ha, quindi, riproposto il secondo motivo d’appello, censurando la sentenza di primo grado per aver ricondotto agli articoli 24, 25 e 66-bis cod. cons. una fattispecie che sarebbe a tale disciplina estranea, con un conseguente difetto di motivazione.

7.- Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, come si è visto, il doppio errore revocatorio – avente, in tesi, carattere decisivo – dedotto dalla parte ricorrente riguarderebbe:

a) l’affermazione in sentenza secondo cui la ricorrente avrebbe chiesto agli studenti somme maturate dopo l’esercizio del diritto di recesso;

b) l’affermazione in sentenza secondo cui la ricorrente non avrebbe accettato «nella maggior parte dei casi, le richieste di rinuncia pervenute invocando le clausole di cui alle contestate disposizioni regolamentari».

8.- Le suesposte doglianze proposte in via rescindente, alla stregua di quanto si dirà e con le precisazioni che seguono, sono inammissibili.

9.- In relazione al primo profilo (richiesta di somme dopo la rinuncia agli studi) va evidenziato quanto segue.

9.1.- Il provvedimento sanzionatorio AGCM impugnato in prime cure evidenziava, per quanto qui d’interesse che:

- « il professionista ha ostacolato l’esercizio del recesso predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso non solo al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso » (pag. 6);

- « fatta salva la debenza dei pagamenti relativi al periodo antecedente il recesso, per i quali il professionista può attivare i rimedi previsti dall’ordinamento nel caso di inadempimento, il professionista ha invece indebitamente richiesto ai consumatori che avevano esercitato il diritto di recesso anche il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti. Ciò in forza del meccanismo di rinnovo automatico predisposto che, precludendo lo scioglimento immediato dal vincolo contrattuale in caso di morosità, espone i richiedenti ad oneri economici ulteriori e ingiustificati per prestazioni di cui non si intende fruire, come manifestato con la rinuncia agli studi » (pagg. 6-7);

- « nel caso di specie l’art. 4 del Regolamento di Ateneo non rende chiaro il momento dal quale decorrono gli effetti della rinuncia agli studi dal momento che quest’ultima, da un lato ha “effetto immediato” e, dall’altro, “è subordinata al regolare pagamento delle rette universitarie e dei contributi dovuti”. Inoltre, benché l’art. 8 del Regolamento preveda che “lo studente che avrà rinunciato alla iscrizione all’anno successivo cesserà ogni attività didattica con impossibilità di accesso alla piattaforma e qualsivoglia attività didattica” lo studente non in regola con i pagamenti dovrà continuare a corrispondere anche le rette successive alla comunicazione del recesso in ragione della mancata accettazione della richiesta di recesso e in forza del meccanismo di rinnovo automatico » (pag. 7);

- « in altri termini, la complessiva strutturazione della regolamentazione negoziale […] ha l’effetto di non consentire ai consumatori, ancorché inadempienti, di sciogliersi dal vincolo contrattuale costringendoteli a sostenere un onere economico ulteriore rispetto a quello dovuto per le prestazioni già fruite, rappresentato dalle somme relative ai rinnovi automatici per prestazioni di cui il consumatore non intende più fruire » (pag.8).

9.2.- La sentenza oggetto del ricorso in revocazione, su tale aspetto, ha così, testualmente, articolato la propria motivazione in fatto (l’unica che qui rilevi) nel punto « 4.3 »:

a) « Nel caso di specie oggetto di contestazione principale è – in primo luogo – la condotta del professionista che ha ostacolato l’esercizio del recesso predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso non solo al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso »;

b) « Fatta salva la debenza dei pagamenti relativi al periodo antecedente il recesso, per i quali il professionista può attivare i rimedi previsti dall’ordinamento nel caso di inadempimento, il professionista ha invece indebitamente richiesto ai consumatori che avevano esercitato il diritto di recesso anche il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti. Ciò in forza del meccanismo di rinnovo automatico predisposto che, precludendo lo scioglimento immediato dal vincolo contrattuale in caso di morosità, espone i richiedenti ad oneri economici ulteriori ed ingiustificati per prestazioni di cui non si intende fruire, come manifestato con la rinuncia agli studi ».

9.3.- Le corrispondenti doglianze della ricorrente, qui veicolate secondo lo schema rescindente dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c., si concentrano nell’evidenziare che:

- Unicusano non avrebbe mai richiesto agli studenti che avessero esercitato il diritto di recesso il pagamento di rette (o di qualsiasi altro importo) maturate dopo la presentazione della domanda di rinuncia agli studi;
essa si sarebbe limitata a chiedere soltanto le rette già maturate;

- ciò si evincerebbe dalla documentazione in atti (« docc. II, III, IV » fascicolo del giudizio di revocazione);

- emergerebbe ictu oculi – l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice d’appello laddove ha ritenuto che Unicusano avrebbe subordinato il recesso «al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso» e «richiesto ai consumatori che avevano esercitato il diritto di recesso anche il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti» (cfr. punto 4.3 della sentenza impugnata);

- il sopraevidenziato errore atterrebbe a un fatto ‘decisivo’.

9.4.- Il motivo è inammissibile.

9.4.1.- Al di là del contenuto delle segnalazioni degli studenti ad AGCM (cfr. documenti depositati dalla parte pubblica in primo grado il 14 settembre 2021), pure esistenti, e da cui si evince l’avvenuta subordinazione dell’efficacia della rinuncia agli studi al pagamento delle somme con conseguente iscrizione automatica all’anno successivo e considerata in ogni caso l’inidoneità dei documenti subb II, II, IV e V a dimostrare l’inesistenza dei contestati ostacoli al recesso (trattandosi per lo più di ingiunzioni su somme già maturate e delle controdeduzioni presentate ad AGCM in sede procedimentale), va, in ogni caso, rilevato che il riferimento alle somme, ulteriori, richieste dopo la rinuncia, ad un piana lettura della sentenza, è da ritenersi riferito anche alla astratta disciplina regolamentare interna della stessa Unicusano la quale indubbiamente ha, per un verso, stabilito nel proprio regolamento che la rinuncia agli studi «ha effetto immediato», per poi, invece, immediatamente dopo, stabilire che essa «è subordinata al regolare pagamento delle rette universitarie e dei contributi dovuti», così prevedendo, di fatto, un rinnovo automatico con le conseguenti obbligazioni a carico degli studenti.

9.4.2.- Disciplina, questa, sulla base della quale, in modo decisivo, la sentenza ne ha correttamente tratto la conseguenza che la ricorrente, sul piano degli effetti, ha «ostacolato l’esercizio del recesso predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso non solo al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso» (punto 4.3. della sentenza impugnata).

9.4.3.- L’affermazione secondo cui il professionista ha «indebitamente richiesto ai consumatori che avevano esercitato il diritto di recesso anche il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti» è, dunque, da riferirsi anche alla disciplina interna di Unicusano di cui si è detto e alle obbligazioni da essa discendenti a carico degli studenti. Assetto, questo, che esclude che essa sia derivata dalla omessa o errata lettura dei documenti invocati da parte ricorrente (peraltro, come detto, non idonei a dar luogo a diverse conclusioni in fatto) e l’errore percettivo del giudice.

9.4.4.- D’altronde, ove pure si fosse trattato – quanto alla concreta richiesta di somme di denaro – di errore in fatto nella prospettiva revocatoria (ciò che non è), esso, alla luce di quanto appena detto, si sarebbe rivelato non decisivo ai fini della pronuncia d’appello (e della tenuta in parte qua dello stesso provvedimento impugnato in prime cure) e dunque inidoneo a radicare utilmente una pronuncia ex art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c. ( ex aliis , Cons. Stato., sez. VI, n. 198 del 2024, « l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di “quell'abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo, ma non espressamente controverso della causa »;
Cass. civ. sez. III, n. 15882 del 2011: « L'errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione di una sentenza non deve essere solo la conseguenza di una falsa percezione dei fatti rilevanti della causa, ma deve anche essere decisivo: deve costituire il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata. Se manca l'incidenza causale dell'errore sulla sentenza, non ci può essere revocazione »).

9.4.5.- Parimenti del tutto inammissibile si rivela l’ulteriore profilo (asseritamente) fattuale rilevato dalla ricorrente, ossia l’erroneità dell’affermazione secondo cui Unicusano non avrebbe accettato «nella maggior parte dei casi, le richieste di rinuncia pervenute invocando le clausole di cui alle contestate disposizioni regolamentari». La differenza in termini quantitativi tra la percentuale di mancate accettazioni delle richieste di recesso indicate in sentenza e quelle che invece sarebbero state effettivamente – a dire di Unicusano – poste in essere, attiene, in disparte l’assenza di decisività dell’invocato errore, al complessivo giudizio valutativo del giudice d’appello (espresso in una prospettiva di illecito di pericolo), inidoneo a integrare il perimetro dell’errore revocatorio.

10.- Conclusivamente, il ricorso in revocazione va dichiarato inammissibile.

11.- Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;
non è luogo a statuizione sulle spese nei confronti della parte privata non costituita.

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