Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-07-09, n. 201004454
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N. 04454/2010 REG.DEC.
N. 02124/2009 REG.RIC.
N. 02522/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sui ricorsi riuniti:
- numero di registro generale 2124 del 2009, proposto dal Comune di Lanciano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. G C, con domicilio eletto presso il signor D D G in Roma, via Anapo 29;
contro
I signori A G, Z M, C A, C M, Caporale Iole, N S, Virtu' N G, rappresentati e difesi dagli avv. C P e B T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato B T in Roma, via Sesto Rufo, 23;
nei confronti di
L’avv. S Pietro, rappresentato e difeso da se stesso, con domicilio eletto presso il signor Alessandro Rimato in Roma, viale delle Milizie, 9;
- numero di registro generale 2522 del 2009, proposto da:
dall'avv. P S, rappresentato e difeso da se stesso, con domicilio eletto presso il signor Alessandro Rimato in Roma, viale delle Milizie, 9;
contro
I signori Di Ciano Antonio in proprio e quale rappresentante p.t. . Dnd Immobiliare Srl, D'Amico Bruno, D'Amico Luciana, Ciancio Federico Giovanni Emanuele;Finoli Nicoletta, Finoli Grazia, Gaeta Angela, De Iuliis Giuseppina, rappresentati e difesi dagli avv. Attilio Taverniti e B T, con domicilio eletto presso Attilio Taverniti in Roma, via Germanico, 96;
A G, Z M, C A, C M, Caporale Iole, N S, Virtu' N G, rappresentati e difesi dagli avv. C P e B T, con domicilio eletto presso B T in Roma, via Sesto Rufo, 23;
nei confronti di
Il Comune di Lanciano, la Provincia di Chieti, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, Commissario Ad Acta;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Abruzzo - Sez. Staccata di Pescara n. 00156/2008;
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2010 il Consigliere R P e uditi per le parti gli avvocati S, Paone, Taverniti e Carlini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso al TAR Abruzzo, sezione staccata di Pescara, i signori A G, Z M, C A, C M, N S e Virtù Nicola, proprietari in Comune di Lanciano di appartamenti situati in immobile edificato su terreno situato in v. Cesare De Titta (ed identificato a catasto al foglio n. 26/mapp. 577-4405), impugnavano un ordine di demolizione edilizia emesso dal Comune di Lanciano al termine di un’articolata vicenda, che può essere ripercorsa come segue.
Adiacente alla proprietà degli esponenti trovasi un villino bifamiliare, di proprietà dell’Avv. P S. Gli esponenti facevano anche presente l’inserimento di entrambi detti immobili nella variante al PRG del 1985 in zona di ristrutturazione urbanistica, da attuarsi attuata attraverso piano di recupero al patrimonio edilizio (PRPE) , mediante demolizione e ricostruzione di un unico edificio.
La Società precedente, proprietaria dell’immobile, presentava al Comune un PRPE relativo solo all’area di sua proprietà, che riceveva approvazione dal Consiglio comunale (atti nn. 56/1996 e 11/1997). Conseguentemente il Comune rilasciava poi la concessione edilizia (n. 180 del 7.4.1998) in favore della Società D.N.D Immobiliare per la costruzione del fabbricato residenziale, previa ristrutturazione di quello preesistente.
Tuttavia, su ricorso dell’avv. S, confinante proprietario, il TAR annullava la concessione edilizia e gli atti di approvazione del PRPE (sent. n. 458 del 1999), evidenziando che il Comune non avrebbe potuto approvare l’intervento, poiché il progetto e la concessione interessavano solo una parte dell’unico comparto individuato nello strumento urbanistico.
Il TAR aggiungeva che, anche ove il PRG avesse individuato due distinti comparti, gli atti impugnati dovevano ritenersi ugualmente illegittimi, perché non si era disposta la demolizione dei due fabbricati, era stata realizzata una volumetria eccedente, il nuovo edificio era stato costruito in aderenza al supposto limite di zona ed infine perché la zona a verde pubblico non era stata realizzata all’estremità del comparto. Il Consiglio di Stato confermava la decisione di primo grado, rigettando gli appelli proposti dal Comune e dalla Società D.N.D. (sent. sez. V, n. 697 del 2003).
Nelle more dello svolgimento dei due gradi di giudizio, la costruzione è comunque stata realizzata, ottenendo anche l’abitabilità, per cui gli appartamenti nel 2001 venivano venduti.
In esecuzione della pronuncia del Consiglio di Stato, il Comune, preso atto dell’annullamento dei titoli edilizi, ordinava il ripristino dello stato dei luoghi con atto del 20.6.2003, immediatamente dopo tuttavia autoannullato.
Di fronte alla successiva inerzia del Comune, l’Avv. S proponeva ulteriore ricorso al TAR per l’ottemperanza alla sentenza n. 458 del 1999, che era accolto con la sentenza n. 859 del 2004, con cui nominava anche il Commissario “ad acta”. In particolare con tale decisione il Tribunale individuava le “regole cui deve uniformarsi l’amministrazione in sede di esecuzione” (volte a rimuovere le conseguenze delle commesse illegittimità, in ordine alla mancata approvazione di un unico piano per il comparto, alla realizzazione di un ulteriore edificio, in assenza della demolizione di quelli preesistenti, e all’eccesso di volumetria);la sentenza, inoltre, rilevava il dovere del Comune di “procedere alla demolizione coattiva delle opere edilizie realizzate, ovvero, sussistendo interesse pubblico contrario, all’applicazione di altra sanzione secondo le previsioni delle vigenti norme in materia di abusi edilizi”, oppure conformando “diversamente la situazione di fatto alla normativa urbanistica con riferimento agli strumenti vigenti all’epoca di notifica della sentenza del Consiglio di Stato, dando conto, in particolare, attraverso un giudizio che implica anche valutazioni di interesse pubblico, della compatibilità delle opere realizzate con gli stessi strumenti urbanistici, con particolare riferimento alla questione concernente la volumetria residenziale realizzata”.
In sede di esecuzione di tale giudicato, con la delibera n. 36 del 14 dicembre 2004 la Giunta comunale di Lanciano stabiliva:
a) di procedere alla “attuazione del comparto nella sua unitarietà”, “approvando un piano di recupero” e “soprassedendo nelle more” “alla demolizione dell’edificio compatibile con lo strumento urbanistico di attuazione”;
b) di invitare il dirigente a demolire – dopo l’approvazione del comparto – le opere incompatibili ( per la misura di mc. 1976,51) applicando la sanzione pecuniaria per l’impossibilità di procedere alla demolizione di ulteriori mc 253, 52.
Con la nota n. 18993 del 2005 il dirigente della programmazione urbanistica comunicava l’avviso di avvio del procedimento per la formazione del comparto, invitando l’Avv. S e la società a costituire il consorzio previsto dall’art. 26 della L.R. n. 18/1983, in assenza del quale è stata prospettata l’approvazione d’ufficio del piano.
Con la nota n. 18993 del 2005, il dirigente della programmazione urbanistica comunicava poi l’avviso di avvio del procedimento per l’attuazione del comparto ed invitava l’avv. S e la società DND a costituire il consorzio previsto dall’art. 26 della legge regionale n. 18 del 1983, in assenza del quale il Comune prospettava l’approvazione d’ufficio del piano.
L’avv. S impugnava però dinanzi al TAR tali provvedimenti con ulteriori ricorsi (nn. 67 e 262 del 2005) al TAR Abruzzo, i quali con la sentenza n. 98 del 2006 venivano accolti, sulla base delle seguenti considerazioni:
- la delibera n. 36 del 2004 aveva constatato l’interesse pubblico alla conservazione dell’edificio realizzato da oltre cinque anni (ed abitato da dieci famiglie), in base a piano di recupero a suo tempo annullato;
- era stata prevista la formazione del comparto non per attuare la previsione del piano regolatore, ma per sanare l’opera divenuta abusiva per l’annullamento della concessione edilizia n. 180 del 1998;
- l’esecuzione della medesima delibera comporterebbe la conservazione di immobili su una sagoma diversa da quella prevista dal piano regolatore, in assenza del consenso del proprietario finitimo e con un eccesso di volumetria;
- in sostanza, la delibera mirava a soddisfare esigenze meramente privatistiche alla conservazione di un bene abusivo, senza tenere conto delle esigenze del proprietario finitimo.
2.- In tale contesto, infine, il Comune, preso atto della conferma giurisdizionale dell’annullamento dei titoli edilizi (Cons. di Stato, n.697 del 2003) reiterava in data 13.12.2006 l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, mediante abbattimento di tutte le opere edilizie eseguite fuori terra ed interrate, ordine che veniva impugnato con il menzionato ricorso al TAR da parte dei proprietari esponenti.
A sostegno dell’impugnativa si denunciava:
- la violazione degli artt. 7 e 8 della L.241/1990 per non essere stati i ricorrenti previamente informati circa l’avvio di siffatto procedimento, quando addirittura agli stessi era stato comunicato l’avvio del procedimento volto alla costituzione del “Consorzio”, in attuazione dell’art. 26 della L.R. 18/1983.
- la violazione delle statuizioni contenute nelle pronunce del TAR n. 458 del 1999 e 859 del 2004, nonché la violazione dell’art. 38 del DPR 380/2001, avendo l’Amministrazione omesso ogni valutazione circa la possibilità di mantenere l’intervento edilizio, che è stato realizzato non abusivamente, ma in base a permessi regolarmente assentiti, annullati in sede giurisdizionale solo dopo che l’opera era stata edificata.
- la violazione della pronuncia n. 859 del 2004, con cui il TAR aveva stabilito l’obbligo dell’Amministrazione di procedere ad un riesame dell’intera vicenda, indicando i provvedimenti da assumere, costituiti o dalla demolizione coattiva ovvero, sussistendo interesse pubblico contrario, dall’applicazione di altra sanzione, o da un provvedimento teso a conformare la situazione di fatto alla normativa urbanistica con riferimento agli strumenti vigenti all’epoca di notifica della sentenza del Consiglio di Stato;
- l’inesistenza delle istruttoria e delle valutazioni che si sarebbero dovute esternare prima di adottare la misura repressiva in parola, anche tenendo conto che l’esecuzione di tale misura priverebbe dell’abitazione dieci famiglie in un Comune ad alta densità abitativa, come Lanciano;
- la mancata considerazione del fatto che, essendo stato l’immobile realizzato in base a titoli edilizi rilasciati dal Comune, nel caso di demolizione l’ente dovrebbe risarcire i proprietari degli appartamenti e l’impresa costruttrice, che avevano riposto affidamento nella legittimità della concessione rilasciata;
- la violazione dell’art.38 del DPR 380/2001 che impone l’obbligo di rendere motivata valutazione circa l’impossibilità di rimuovere i vizi delle procedure amministrative prima di disporre la rimozione delle opere, atteso che in nessuna parte dell’atto si indicano le ragioni della scelta compiuta a fronte delle alternative previste dalla norma ricordata;
- la omessa indicazione delle ragioni per cui l’amministrazione aveva ritenuto non più sussistenti i motivi che avevano indotto all’autoannullamento della prima ordinanza di demolizione, con cui si pone in contraddizione l’attuale ordine di rimozione;
- il contrasto con le precedenti valutazioni e determinazioni dell’Amministrazione contenute delle delibere consiliari n. 56/1996 e 11/1997 e con la volontà di salvaguardare la villa patrizia dei primi del ‘900 avente elementi di pregio ed esistente a fianco alla palazzina oggetto dell’ordine di rimozione;
- la violazione dell’art.