Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-06-19, n. 202405494
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Testo completo
Pubblicato il 19/06/2024
N. 05494/2024REG.PROV.COLL.
N. 04182/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4182 del 2023, proposto da
-OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati A G e D V, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Comune di Stalettì, Agenzia del Demanio - Direzione Territoriale della Calabria, non costituiti in giudizio;
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro e del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, dell’Agenzia del Demanio e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2024 il consigliere Angela Rotondano e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in epigrafe i signori -OMISSIS- e -OMISSIS- hanno impugnato la sentenza del T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sezione II, n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, chiedendone la riforma.
2. La sentenza appellata ha respinto il ricorso proposto dai signori -OMISSIS- contro l’ordinanza del Comune di Stalettì (CZ) n. 71 del 12 aprile 2021, recante ingiunzione di demolizione del manufatto sito in località “Caminia” su suolo demaniale marittimo e già oggetto di ordinanza di sgombero, nonché contro gli atti istruttori in essa citati e in specie avverso la nota del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ufficio Circondariale Marittimo, Guardia Costiera di Soverato, acquisita al prot. 8823/2018 e le note dell’Agenzia del Demanio, aventi ad oggetto l’accertamento dell’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo da parte del suindicato manufatto.
3. Nel gravame parte appellante contesta l’iter argomentativo e le statuizioni della sentenza di prime cure, deducendo i seguenti motivi:
I) error in iudicando , per avere il T.A.R. erroneamente disatteso la censura formulata in primo grado di nullità, ai sensi dell’art. 21- septies della l. n. 241/1990, dell’ordinanza impugnata, atteso che questa avrebbe ingiunto al privato un’attività impossibile per indisponibilità del bene, essendo l’immobile sottoposto a sequestro penale;
II) error in iudicando per avere la sentenza non condiviso la doglianza (articolata attraverso il terzo motivo) con cui sono stati dedotti i vizi di carenza di istruttoria, difetto dei presupposti e travisamento dei fatti, poiché il Comune di Stalettì avrebbe assunto come appurato il dato della demanialità dell’area, omettendo qualsiasi accertamento preliminare che, invece, qualora posto in essere, avrebbe escluso tale dato;in particolare, il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere che la natura demaniale dell’area è stata definitivamente accertata “sia pure tra altre parti” dal giudice ordinario, laddove la natura di demanio marittimo del suolo non potrebbe darsi per acquisita in ragione dell’accertamento giudiziale di differenti aree occupate da altri soggetti;a sua volta, il Comune avrebbe omesso ogni attività istruttoria e di verifica sulla proprietà dell’area, dando per scontata la demanialità marittima del terreno che, invece, non sussisterebbe, come proverebbe la relazione tecnica di parte versata in atti;per converso, nessun rilievo probatorio potrebbe annettersi al verbale di delimitazione dei confini catastali ex art. 32 cod. nav. del 1971, definitivamente approvato con decreto n. 3/79, in quanto l’individuazione della dividente demaniale, da un lato, non costituirebbe frutto di un accordo tra le parti bensì di una decisione unilaterale dall’Amministrazione statale, dall’altro non deriverebbe da una concreta attività ricognitiva dei luoghi, ma sarebbe stata desunta dalle sole mappe catastali;inoltre, nel procedimento che ha portato all’adozione degli atti impugnati neppure sarebbero state considerate le plausibili modificazioni del territorio costiero occorse nel tempo, che avrebbero dato luogo a una situazione di obiettiva incertezza in relazione al confine demaniale;
III) error in iudicando poiché con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001 per assenza della previa diffida a demolire, nonché per mancanza del presupposto dell’abusività, ma il primo giudice avrebbe disatteso la doglianza con argomentazioni fallaci e non condivisibili, avendo poi errato sia nel ritenere la documentazione prodotta in giudizio di difficile lettura e incompleta, che nell’omettere di disporre i necessari approfondimenti istruttori;
IV) error in iudicando , perché con il quarto motivo del ricorso di primo grado parte ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 7, comma 9-septiesdecies, del d.l. n. 78 del 19 gennaio 2015, convertito dalla l. n. 12 del 6 agosto 2015, eccesso di potere per illogicità manifesta, violazione dei principi dell’affidamento, buona fede e buon andamento, in quanto, avendo da tempo il Comune attivato il procedimento per la revisione del demanio marittimo cartolare, fino alla conclusione di tale procedimento le regole di corretta azione amministrativa non consentirebbero di porre in essere un’attività in contrasto con il procedimento in itinere , intervenendo sulla scorta della formale demanialità dell’area stessa con atti sanzionatori: la sentenza, però, avrebbe disatteso la censura con motivazioni (basate sull’assenza di un nesso di pregiudizialità tra il procedimento di revisione e l’ordinanza gravata) inadeguate e inconferenti.
4. Si sono costituiti nel giudizio di appello, con atto formale, l’Agenzia del Demanio, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, resistendo al gravame.
4.1. Il Comune di Stalettì, pur evocato, non si è costituito in giudizio;
4.2. Le parti costituite hanno depositato istanza di passaggio della causa in decisione senza previa discussione orale.
4.3. All’udienza pubblica del 27 febbraio 2024 il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.
DIRITTO
5. L’appello è infondato e va respinto.
6. Preliminarmente deve rilevarsi che non sono stati formulati motivi di appello avverso la statuizione della sentenza impugnata con cui è stato respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale si era sostenuta l’illegittimità del provvedimento di demolizione per impossibilità della sua esecuzione data la presenza di altri appartamenti posti nell’ambito dello stesso immobile.
7. Tanto chiarito, i restanti motivi di appello sono infondati.
8. In particolare, per quanto riguarda i motivi nn. 2), 3) e 4), deve rilevarsi che essi sono stati già ampiamente confutati da questa Sezione in molteplici sentenze rese su fattispecie analoghe, a definizione dei giudizi in cui erano state impugnate le ordinanze di sgombero dell’area del demanio marittimo sita in loc. “Caminia” del Comune di Stalettì, oggetto di occupazione abusiva da parte di taluni nuclei di cittadini che vi hanno realizzato edificazioni prive di titolo abilitativo (cfr., ex plurimis , le sentenze nn. 9975, 9974, 9962, 9961 e 9960 del 14 novembre 2022, 9929 e 9936 dell’11 novembre 2022, 11421 del 28 dicembre 2022 resa nel giudizio di appello promosso dagli stessi signori -OMISSIS- contro i provvedimenti comunali che intimavano loro il rilascio dell’area occupata, e la sentenza n. 8873 del 18 ottobre 2022).
8.1. Nello specifico, nelle controversie decise con le sentenze ora citate erano state formulate contro le ordinanze di sgombero (atto che costituisce un antecedente logico rispetto all’ordine di demolizione in questa sede gravato) censure di contenuto pressoché identico ai motivi del presente appello dal n. 2) al n. 4), di cui le predette sentenze hanno ritenuto l’infondatezza, evidenziando in sintesi: a) l’irrilevanza della delibera del Consiglio Comunale n. 4 del 21 febbraio 1964, che avrebbe – in tesi – “autorizzato” i residenti a occupare un appezzamento di terreno, di cui, però, non è neppure certo se fosse a monte, piuttosto che a valle della ferrovia; b) l’appartenenza al demanio dello Stato e non al Comune di Stalettì del terreno oggetto dell’effettiva occupazione, posto a valle della ferrovia e verso il mare, accertata anche dalla Cassazione civile; c) l’inesistenza di titoli edilizi che potessero fondare un affidamento dei privati nella legittimità delle edificazioni, a tale scopo non potendo certo bastare la citata delibera consiliare n. 4/1964; d) l’irrilevanza di eventuali vizi formali (e così l’assenza della previa diffida a demolire), stante la natura dovuta e vincolata dell’attività del Comune (v. infra); e) l’irrilevanza ai fini della causa della pendenza del procedimento di ricognizione delle fasce costiere, volto alla revisione delle zone di demanio marittimo di cui all’art. 7, comma 9-septiesdecies, del d.l. n. 78/2015 (aggiunto dalla legge di conversione n. 125/2015).
8.2. Invero, non si rinvengono ragioni per ripensare l’ora visto orientamento della Sezione, il quale, anzi, nella vicenda qui in esame risulta corroborato dalla lettura dell’impugnata ordinanza di demolizione: questa, infatti, elenca nelle sue premesse sia l’ordinanza di sgombero dell’area, sia il provvedimento recante rigetto dell’istanza di sanatoria edilizia, cosicché l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, ubicato su area demaniale occupata sine titulo , si presenta come atto dovuto ed a contenuto vincolato. Ne segue che le motivazioni esplicitate dalle sentenze ora citate per confutare le censure in discorso possono intendersi qui integramente richiamate, ai sensi e per gli effetti degli artt. 88, comma 2, lett. d), e 74 c.p.a..
8.3. Infatti, ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a. la sentenza deve contenere “la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi” ;l’art., 74 c.p.a. stabilisce poi, con riferimento alle sentenze in forma semplificata, che “la motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme” (C.d.S., Sez. VII, 2 novembre 2022, n. 9553;Sez. VI, 25 febbraio 2021, n. 1636).
Al riguardo, la giurisprudenza ha statuito che “il riportato quadro normativo dimostra che l’ordinamento attribuisce alla motivazione della sentenza, quand’anche redatta in maniera sintetica, la funzione essenziale di fondamento di legittimità dell’azione giurisdizionale, in quanto strumento di comprensione delle modalità di esercizio di tale potere e, conseguentemente, centrale per il suo controllo, dovendosi rinvenire nella motivazione l’iter logico attraverso cui si è formato il convincimento del giudice (Cass. civ., I, 22 febbraio 2017, n. 4605)” (così C.d.S., Sez. VII, n. 9553/2022, cit.).
8.4. Pertanto, in base ai precetti degli artt. 88, comma 2, lett. d), e 74 c.p.a., nonché in ossequio all’obbligo di sintesi prescritto dall’art. 3, comma 2, c.p.a. (C.d.S., Sez. VII, 9 ottobre 2023, n. 8742), alla motivazione della presente decisione può provvedersi, ai fini della declaratoria dell’infondatezza dei motivi di appello nn. 2), 3) e 4), mediante l’integrale richiamo alle motivazioni di cui alle sentenze di questa Sezione nn. 9975, 9974, 9962, 9961 e 9960 del 14 novembre 2022, 9929 e 9936 dell’11 novembre 2022, 11421 del 28 dicembre 2022 e n. 8873 del 18 ottobre 2022 (nonché delle numerose altre sentenze emesse dalla Sezione sull’impugnativa delle ordinanze di sgombero dell’area demaniale marittima occupata abusivamente da alcuni nuclei di cittadini in loc. “Caminia” del Comune di Stalettì), dovendo ribadirsi anche in questa sede le argomentazioni sviluppate nei richiamati precedenti.
8.5. L’ordinanza di demolizione impugnata in prime cure, così come quelle di sgombero oggetto del precedente giudizio, è stata adottata in esercizio della potestà sanzionatoria del Comune, che trova il suo fondamento normativo all’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001.
8.5.1. La norma subordina l’esercizio del potere alla realizzazione, da parte di soggetti privati, di interventi edilizi abusivi “ su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici” .
8.5.2. Presupposto per l’adozione del provvedimento è, dunque, la pubblicità del suolo, in disparte che si tratti di area demaniale o appartenente al patrimonio statale o di enti locali. Il fondamento del potere sanzionatorio, infatti, deriva pur sempre da un illecito edilizio, che – se realizzato su suolo pubblico – risulta ancor più grave che se commesso su suolo privato.
8.6. Pertanto, a prescindere da qualunque contestazione in ordine alla certezza della natura demaniale della proprietà e alle modalità con cui essa sia stata accertata, quel che rileva, assumendo portata decisiva, è la circostanza che, nel caso di specie, non vi è mai stato alcun dubbio sull’appartenenza pubblicistica dell’area. Il titolo, infatti, è conteso unicamente tra lo Stato e il Comune, mentre i privati non vi hanno mai acquisito diritti reali. Ciò è confermato anche da parte appellante, laddove evidenzia che il Comune di Stalettì autorizzò l’occupazione del suolo in attesa di procedere a lottizzazione e a cessione a titolo oneroso ai privati, cessione che però non ha mai avuto luogo a causa delle dispute insorte con l’amministrazione statale.
8.6.1. Quanto esposto conduce a ritenere infondate le censure formulate, nella parte in cui denunciano l’assenza di certezza in ordine alla demanialità e l’omesso coinvolgimento dell’appellante nel procedimento accertativo.
8.6.2. Inoltre, come anche ritenuto dalle numerose pronunce del Consiglio di Stato relative alla medesima questione sopra richiamate (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. VII, 18 ottobre 2022, n. 8873) la natura demaniale dell’area di cui si discorre è stata definitivamente accertata, sia pure tra altre parti, dal giudice ordinario, con sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro – Sez. II Civile, del 13 settembre 2010, n. 763, che ha respinto l’appello contro la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 21 gennaio 2006, n. 86, e che a sua volta è stata confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza del 17 giugno 2016, n. 12629.
Tali sentenze, per quanto non facciano stato tra le parti dell’odierno giudizio, sgombrano il campo da ogni incertezza circa la natura dei terreni, posti nella più ampia zona sita alla località Panaja - Caminia del Comune di Stalettì, a valle del tracciato ferroviario della linea Taranto - Reggio Calabria, compresa tra le due gallerie Grillone e Stalettì, alle progressive chilometriche 304+105,97 e 305+016,94, i quali appartengono al demanio marittimo.
8.6.3. Correttamente dunque il primo giudice, alla luce di tali elementi, ha escluso ogni ragione per ritenere che l’operato del Comune di Stalettì sia carente di istruttoria.
8.7. Altrettanto corretta è la motivazione della sentenza di prime cure nella parte in cui ha ritenuto che il procedimento, disciplinato dall’art. 7, comma 9-septiesdecies, d.l. n. 78 del 2015, di revisione del demanio marittimo non si ponga in rapporto di pregiudizialità-dipendenza con l’ordinanza impugnata, per cui non vi era alcuna necessità di concludere il primo per adottare la seconda.
8.8. Anche le doglianze sull’assenza della presupposta abusività del manufatto insistente sull’area non sono fondate.
8.8.1. Al riguardo parte appellante è tornata a sostenere che l’abusività non sarebbe riscontrabile in quanto:
a) l’opera è stata realizzata a seguito del bando pubblico n. 4 del 1964, a mezzo del quale lo stesso Comune di Stalettì invitava i cittadini a occupare, anche con costruzioni, l’area in oggetto in attesa di procedere alla lottizzazione e alla cessione a titolo oneroso dei suoli risultanti ai privati;
b) successivamente il Comune ha provveduto a realizzare le varie opere di urbanizzazione sulla zona occupata;
c) per quanto poi specificamente riguarda l’edificio in oggetto, esso presenterebbe regolare titolo edilizio, costituito da: - nulla osta del sindaco del 4.3.1970 (preceduto da parere della Commissione edilizia);- autorizzazione del Genio Civile del 27.5.1971;- relazione geognostica e tecnica.
8.8.2. Per converso, ritiene il Collegio che correttamente la sentenza abbia escluso che l’invito di cui al menzionato bando pubblico costituisca un titolo edilizio: per un verso, esso non è stato emesso ad personam , bensì rivolto genericamente alla collettività e senza alcuna indicazione delle caratteristiche delle eventuali costruzioni;per altro verso, esso è stato emesso prima ancora che i suoli venissero resi edificabili mediante lottizzazione, cui peraltro non si è mai pervenuti, in quanto, a causa del contezioso successivamente insorto tra il Comune di Stalettì e l’Amministrazione statale sulla proprietà dell’area, rivendicata in via esclusiva dallo Stato in virtù della sua appartenenza al demanio (contestata dal Comune), il procedimento non è stato più completato.
Pertanto, l’estrema evanescenza dell’invito e la sua anteriorità rispetto alla lottizzazione e alla cessione dei terreni ai privati impediscono di riconoscere al bando del 1964 natura di titolo edilizio -legittimo o illegittimo che sia- e portano, di conseguenza, a escludere che i privati potessero riporre su di esso alcun legittimo affidamento circa la regolarità delle edificazioni.
8.8.3. Si aggiunga che l’ordinanza impugnata dà atto dell’insistenza, sull’area, di vincoli paesaggistici e idrogeologici antecedenti alla costruzione del manufatto (vincolo a tutela paesaggistica ai sensi del D.Lgs. 42/2004, in virtù del DM n. 07.03.1966, nonché a vincolo idrogeologico ai sensi dell’art. 1 titolo 1 Cap. 1 Legge Forestale 30 dicembre 1923 n. 3267), rispetto ai quali non risultano essere stati acquisiti i necessari atti di assenso dalle competenti autorità.
8.8.4. Infine, si osserva come il carattere abusivo del manufatto non sia certamente smentito dalla documentazione prodotta in atti (relativa a: (a) un nulla osta del sindaco del 4.3.1970, (b) un’autorizzazione del Genio Civile e (c) una relazione geognostica e tecnica, riferiti all’immobile di cui è causa), dalla quale non emergono elementi idonei a comprovare che il manufatto insistente alla particella n. 664 del Foglio n. 14 sia stato realizzato sulla base dei necessari titoli edilizi e previo rilascio delle prescritte autorizzazioni.
8.8.5. In conclusione, l’abusività del manufatto deve ritenersi adeguatamente provata, senza che gli appellanti possano vantare alcun legittimo affidamento in merito alla presunta autorizzazione all’occupazione di cui al bando pubblico del 1964 poiché è certo che la lottizzazione e la cessione onerosa non hanno mai avuto luogo e quindi neppure può rilevare che il Comune abbia poi posto in essere le opere di urbanizzazione.
8.9. Infondate sono altresì le censure sulla mancanza di previa diffida a norma dell’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001, risultando anche sul punto corrette le motivazioni della sentenza di prime cure.
8.9.1. In proposito, si osserva che, come più volte affermato dal Consiglio di Stato, è legittimo il provvedimento sanzionatorio che contenga in sé anche la diffida, posto che il primo comma dell’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001 non indica un lasso temporale minimo tra il primo e la seconda, con la conseguenza “che alla diffida può seguire immediatamente l’ordinanza di demolizione senza che il destinatario possa trarre alcun beneficio dalla sua preventiva notificazione né alcuna concreta lesione dalla sua mancanza” (Cons. Stato, Sez. II. 5 luglio 2019, n. 4662;Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 2017, n. 2618).
8.9.2. Tale conclusione deriva dal fatto che, in base all’art. 35, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, la demolizione viene effettuata direttamente dal Comune a spese del trasgressore. La diffida, quindi, serve unicamente a consentire al privato di provvedere da sé alla demolizione, così evitando l’addebito delle spese sostenute dall’ente locale. Di conseguenza, la diffida contenuta nello stesso ordine demolitorio non contravviene allo spirito della norma, poiché attribuisce al privato un termine per provvedere in proprio, nel caso di specie previsto in trenta giorni, prima dell’intervento pubblico.
In dettaglio, l’art. 35 del d.p.r. n. 380/2001 dispone che, qualora sia accertata la realizzazione d’interventi in assenza di permesso di costruire “su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo” .
9. È poi infondato anche il primo motivo di appello.
9.1. Infatti, contrariamente all’assunto dell’appellante, l’ordinanza gravata non è affetta da nullità, dovendosi condividere l’orientamento espresso sul punto dal T.A.R., per il quale, poiché l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio è autonomo rispetto ai poteri repressivi rimessi ad altre Autorità (e in particolare: all’Autorità giudiziaria penale), la circostanza che il manufatto abusivo sia oggetto di sequestro penale è irrilevante ai fini del corretto esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità comunale, con il corollario che la pendenza del sequestro penale non rende illegittimo l’ordine di demolizione avente a oggetto lo stesso immobile.
9.2. In questo senso è, d’altronde, il consolidato indirizzo della Sezione, secondo il quale, ai fini della legittimità di un ordine di demolizione, della sua eseguibilità e della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, è irrilevante la pendenza di un sequestro, poiché la misura cautelare reale non costituisce un impedimento assoluto all’attuazione dell’ingiunzione, “in ragione della possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai sensi dell’art. 85 disposizione di attuazione del codice di procedura penale (cfr. Cons. Stato, Sezione Prima, Adunanza di Sezione del 7 marzo 2018, affare n. 2072/2016)” (C.d.S., Sez. VII, 18 agosto 2023, n. 7816).
Invero, “ una cosa è, sul versante penalistico e processualpenalistico, l’ordine di distruzione del manufatto abusivo, a cura e a spese dell’imputato, impartito dal giudice penale quale conseguenza obbligata derivante dalla sentenza di condanna, e altro è, sul versante amministrativo e delle procedure d’infrazione urbanistico-edilizie, l’ordine di rimozione, ovvero di demolizione, emanato dal dirigente comunale competente ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001” (Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 283).
9.3. La sottoposizione di un manufatto abusivo a sequestro penale, dunque, diversamente da quanto opina l’appellante, non costituisce impedimento assoluto a ottemperare a un ordine di demolizione, né integra causa di forza maggiore impeditiva della demolizione, dato che sussiste la possibilità di ottenere il dissequestro dell’immobile al fine di ottemperare all’ingiunzione di demolizione, alla luce della consolidata giurisprudenza in materia di provvedimenti di repressione dell’abusivismo edilizio, e dei loro rapporti con il sequestro penale.
9.4. Né può essere condivisa la tesi di parte appellante secondo cui sarebbe irragionevole che la parte chieda il dissequestro dell’immobile al solo fine di distruggerlo.
Invero “il sequestro penale dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorre sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, restando all’autonoma iniziativa della difesa ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che al dissequestro possono condurre” (Cons. Stato, Sez. VII, 14 aprile 2023, n. 3805 che richiama id. 20 febbraio 2023, n. 1721)” (così C.d.S., Sez. VII, n. 7816/2023, cit).
9.5. In definitiva, alla luce delle considerazioni che precedono, la pendenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo non comporta illegittimità dell’ordine di demolizione avente per oggetto il medesimo immobile, né vi è un impedimento assoluto degli odierni appellanti all’esecuzione dell’ordinanza impugnata, potendo costoro chiedere il dissequestro dell’immobile abusivo al fine di procedere alla sua demolizione.
10. In conclusione, per quanto esposto, l’appello va respinto, dovendo la sentenza gravata essere integralmente confermata.
11. Si dispone l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese del giudizio di appello, attesa la costituzione solo formale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Agenzia del Demanio, e di non fare luogo a pronuncia sulle spese nei confronti del Comune di Stalettì, non costituitosi in giudizio.