Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-08-29, n. 201905979
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Pubblicato il 29/08/2019
N. 05979/2019REG.PROV.COLL.
N. 01764/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1764 del 2009, proposto da
Cima S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati S G, C S, M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S G in Roma, via di Monte Fiore 22;
contro
Comune di Casaletto Lodigiano, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati M B e M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M S in Roma, viale Parioli, 180;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 02046/2008, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo di concessioni edilizie.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2019 il Cons. C C e uditi per le parti gli avvocati Renzo Cuonzo, su delega degli avv.ti S G, e M B;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La vicenda riguarda la richiesta di concessioni edilizie per la realizzazione di sei unità immobiliari, presentata al Comune di Casaletto Lodigiano dal proprietario dell’area sulla quale era prevista la costruzione degli edifici e sottoscritta dal medesimo proprietario nonché dalla Società appellante nella qualità di costruttore. L’edificazione sarebbe dovuta avvenire in conformità al vigente piano regolatore generale (PRG) e al piano di lottizzazione (PdL) approvato con delibera della Giunta regionale n. 21102, in data 12 ottobre 1982;poiché in base al PdL avrebbero potuto essere realizzate tre e non sei unità immobiliari con l’indice di fabbricabilità stabilito, il Comune deliberava una variante dello stesso PdL, che veniva annullata da parte del Co.re.co. con ordinanza in data 28 settembre 1987.
In relazione alla prima istanza di concessione edilizia, presentata in data 9 marzo1987, il Comune richiedeva delle integrazioni documentali, dapprima con nota in data 24 dicembre 1987 e poi con successiva nota in data 18 febbraio 1988. Per le altre istanze di concessione edilizia, presentate in data 19 marzo1989, il Comune chiedeva un’integrazione documentale in data 26 aprile1989. Nel richiedere la documentazione integrativa, il Comune faceva presente che tale documentazione doveva essere trasmessa entro il termine perentorio di 60 giorni, pena l’archiviazione delle stesse istanze di concessione edilizia. La Società presentava la documentazione in data 18 aprile 1990 e, in data 4 settembre1991, comunicava al Comune l’avvio dei lavori delle sei unità immobiliari. L’Amministrazione, con nota in data 9 settembre 1991, rendeva noto che tale comunicazione risultava trasmessa a termini scaduti e non poteva quindi essere presa in considerazione.
La Società presentava, quindi, in data 3 marzo 1992, domanda di rinnovo di concessione edilizia nell’assunto che sulle precedenti istanze si fosse formato il silenzio assenso e, in data 2 giugno1992, procedeva al pagamento degli oneri di urbanizzazione, comunicando, il giorno successivo, l’avvio dei lavori.
Il Comune, con nota in data 20 maggio 1992, prot. n. 623, comunicava che: il rinnovo della concessione non era possibile non avendo mai ottenuto la Società una concessione edilizia, né in forma espressa né in forma tacita;i progetti edilizi non erano conformi “alla lottizzazione in atto ed alla relativa convenzione, che deve esaurirsi e concludersi prima che l’area possa essere diversamente classificata”. Poi, il Comune effettuava la restituzione di quanto pagato a titolo di contributo concessorio.
2. La Società impugnava la citata nota in data 20 maggio 1992 davanti al Tar per la Lombardia, deducendo essenzialmente che: dopo l’integrazione documentale effettuata in data 18 aprile 1990, si era formato il silenzio assenso sull’istanza di concessione, tanto che quanto affermato dal Comune circa la tardività della comunicazione di inizio dei lavori dimostrava che la concessione era stata tacitamente assentita;inoltre, la tavola dello stato di fatto del territorio del piano regolatore generale (PRG) del Comune del 1990 recava la presenza delle unità immobiliari in questione e la nota dell’Amministrazione in data 9 settembre 1991 conteneva un riconoscimento implicito della destinazione urbanistica dell’area e dell’esistenza delle concessioni edilizie. Secondo la Società ricorrente, il Comune avrebbe potuto rinnovare la concessione edilizia prescindendo dall’annullamento della variante urbanistica da parte del Co.re.co., non solo in quanto sussisteva un precedente in tal senso, ma anche perché, se tale annullamento era motivato dal fatto che il numero di unità immobiliari che si intendeva realizzare poteva comportare il superamento dell’indice massimo di fabbricabilità, tuttavia tale indice avrebbe potuto essere rispettato con la costruzione di unità immobiliari di minori dimensioni.
3. Nel corso del procedimento di primo grado il proprietario dell’area su cui le unità immobiliari avrebbero dovuto essere edificate alienava il terreno ad una società immobiliare che, ottenute le concessioni edilizie, costruiva gli edifici in questione.
4. Il Tar ha respinto il ricorso della Società Cima S.p.a. in quanto: non poteva ritenersi formato il silenzio assenso sull’istanza di concessione edilizia, perché, per effetto dell’annullamento della variante urbanistica da parte del Co.re.co., non sussisteva il requisito della vigenza di un valido piano di attuativo previsto dall’art. 8 del d.l. n. 9/1982;la documentazione integrativa era stata presentata a termini scaduti, legittimamente stabiliti in via perentoria dal Comune;la cartografia del PRG, nella quale risultavano indicati i fabbricati oggetto delle istanze di concessione edilizia, non poteva tenere luogo del necessario titolo edilizio;la nota comunale era sufficientemente motivata;era infondato il motivo di ricorso per cui la formazione del silenzio assenso sull’istanza di concessione edilizia non poteva essere interrotta dalla richiesta di integrazione documentale, in quanto, pur se non espressamente prevista dalla normativa all’epoca vigente, la facoltà del Comune di richiedere l’integrazione documentale doveva considerarsi ammissibile ai fini della valida formazione del silenzio assenso.
5. Con il presente appello, la Società preliminarmente rappresenta il proprio interesse a proseguire il giudizio avverso l’atto impugnato in primo grado, per ottenerne l’annullamento ai fini della richiesta del risarcimento del danno subito nei confronti del Comune.
Nel merito, con un primo mezzo di impugnazione, la Società deduce che, erroneamente, la sentenza impugnata non avrebbe riconosciuto la sussistenza di tutti i presupposti per la formazione del silenzio assenso previsto dall’art. 8 del d.l. n. 9/1982.
In primo luogo, il requisito della sussistenza di strumenti urbanistici attuativi approvati e vigenti previsto dall’art. 8 del d.l. n. 9/1982 doveva ritenersi nella fattispecie sostanziato dal PdL approvato nel 1982. Erroneamente il Tar avrebbe ritenuto inesistente tale requisito per effetto dell’annullamento da parte del Co.re.co., con ordinanza in data 28 settembre 1987, della deliberazione comunale di approvazione di variante del piano di lottizzazione per la realizzazione da parte della Società di sei unità immobiliari invece delle tre unità immobiliari originariamente previste: ciò in quanto la relazione alla variante chiariva che le sei unità immobiliari avrebbero avuto una volumetria ridotta rispetto a quella indicata nel PdL, risultando così rispettata la volumetria complessivamente assentita. Ad avviso della Società, la realizzazione di unità immobiliari di taglio ridotto rispetto a quello in precedenza previsto non avrebbe nemmeno comportato l’esigenza di una variante allo strumento urbanistico attuativo, in quanto le norme tecniche di attuazione (NTA) del PRG prevedevano che, in caso di superamento del volume edificabile attribuito a ciascuna zona, il richiedente la concessione edilizia fosse tenuto ad indicare “in quale altra zona si verificherà una corrispondente diminuzione” e lo stesso Comune nel 1985 già “aveva assentito una modifica alla dislocazione delle unità abitative - rispetto a quella indicata nel piano di lottizzazione - direttamente in sede di concessione edilizia, senza previa delibera consigliare di variante al piano medesimo”.
In secondo luogo, la presentazione della documentazione richiesta dal Comune dopo la scadenza dei 60 giorni indicati dall’Ente locale come termine perentorio non poteva impedire la formazione del silenzio assenso e determinare l’archiviazione del procedimento, in quanto tale termine non era previsto dalla legge. Né la nota comunale in data 9 settembre 1991, limitandosi a dare atto della tardività dell’inizio dei lavori edilizi, poneva in dubbio la valida formazione del silenzio assenso o la conformità agli strumenti urbanistici delle opere da realizzare. Il silenzio assenso si sarebbe validamente formato anche sulla successiva richiesta di rinnovo di concessione edilizia, in quanto la nota comunale con la quale si escludeva che si fosse mai formato un valido titolo edilizio ex silentio e che il progetto edilizio fosse conforme agli strumenti urbanistici vigenti, era pervenuta all’appellante in data 5 giugno 1992, cioè decorso il termine di 90 giorni previsto dal citato art. 8 del d.l. n. 9/1982.
Con il secondo e il quinto mezzo di impugnazione, l’appellante deduce l’erroneità della sentenza in epigrafe nella parte in cui non ha ravvisato il vizio di eccesso di potere nell’atto avversato, in quanto, rispettivamente, esso: si poneva in contraddizione con l’indicazione delle sei unità immobiliari contenuta nella tavola del PRG approvato nel 1990, relativa allo stato di fatto del territorio, dato che tale rappresentazione cartografica presupponeva che lo stesso Comune ritenesse già assentito il progetto edilizio controverso;non indicava le ragioni per cui si riteneva che il progetto edilizio fosse non conforme al PdL e alla convenzione di lottizzazione.
Connesso a tale motivo di appello è il quarto mezzo di impugnazione, con cui l’appellante deduce che, erroneamente, il Tar non avrebbe ravvisato il difetto di motivazione dell’atto impugnato: data la complessità della vicenda, tale atto avrebbe richiesto una congrua indicazione delle ragioni di fatto e di diritto per le quali era stato adottato.
Con il terzo mezzo di impugnazione, la Società appellante deduce l’errore in cui sarebbe incorso il primo Giudice nel ritenere legittimamente restituito il pagamento effettuato a titolo di onere concessorio: il pagamento era dovuto, essendosi già formato il silenzio assenso sulla richiesta di rinnovo della concessione edilizia.
Con il sesto mezzo di impugnazione, la Società appellante deduce un ulteriore profilo di erroneità della sentenza in epigrafe, nella parte in cui il primo Giudice ha ritenuto che, pur in assenza di specifica previsione di legge, comunque il Comune potesse chiedere un’integrazione documentale, se ritenuta necessaria. Ad avviso dell’appellante, invece, una tale richiesta, non avrebbe potuto portare ad una dilazione del termine di legge per la formazione del silenzio assenso, sul quale, una volta validamente formato, il Comune avrebbe potuto intervenire solo nell’esercizio del potere di autotutela previo contraddittorio ai sensi del citato art. 8.
6. Il Comune di Casaletto Lodigiano, con atto di costituzione in giudizio in data 16 aprile 2009, ha chiesto il rigetto del ricorso. Con memoria in data 12 giugno 2019 l’Amministrazione chiede che sia dichiarata la carenza di interesse della Società alla coltivazione dell’appello. Ciò alla luce delle vicende che, a seguito del trasferimento di proprietà dell’area, hanno portato alla costruzione di edifici da parte di altro soggetto attuatore. In subordine, il Comune chiede il rigetto dell’appello, conclusione ribadita con memoria in data 26 giugno 2019.
7. Preliminarmente va respinta l’eccezione del Comune di Casaletto Lodigiano circa il sopravvenuto difetto di interesse della Società appellante, in quanto il Collegio ritiene che sussista l’interesse della medesima all’annullamento dell’atto impugnato.
8. L’appello è infondato e va respinto.
Ai sensi dell’art. 8, primo comma, del d.l. n. 9/1982, vigente all’epoca dei fatti, la domanda di concessione ad edificare per interventi di edilizia residenziale diretti alla costruzione di abitazioni o al recupero del patrimonio edilizio esistente, si intende accolta qualora non sia stato comunicato il provvedimento motivato con cui viene negato il rilascio entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda. Il quinto comma dello stesso articolo prevede che le suddette disposizioni si applichino agli interventi da attuare su aree dotate di strumenti urbanistici attuativi vigenti ed approvati non anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 76/1967, nonché quando la concessione o autorizzazione è atto dovuto in forza degli strumenti urbanistici vigenti e approvati non anteriormente alla predetta data.
In proposito, questo Consiglio ha avuto modo di rilevare (Cons. Stato, sez. V, n. 6538/2001) che l’istituto del silenzio-assenso, “ preordinato ad ovviare all’inerzia dell’Amministrazione, costituisce uno strumento eccezionale, con il quale si deroga all’istituto del silenzio-rifiuto, di carattere generale, previsto dall’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 il cui comma settimo sancisce che il silenzio serbato dall’Amministrazione sulla domanda di concessione edilizia, ove si protragga oltre il sessantesimo giorno dalla presentazione della richiesta, origina il rifiuto della stessa, dando in tale modo luogo ad un provvedimento negativo tacito di rigetto ”. Inoltre, “ l’equivalenza tra pianificazione urbanistica esecutiva e stato di sufficiente urbanizzazione della zona oggetto dell’intervento edilizio ai fini del rilascio della concessione edilizia non opera nel procedimento di formazione del silenzio assenso ” (Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4702).
Considerato pertanto che l’istituto del silenzio assenso trova applicazione solo nei casi in cui tutti i presupposti normativi si siano realizzati, il Collegio ritiene infondati il primo, il terzo e il sesto motivo d’appello. Nella fattispecie correttamente il Tar ha escluso che si potesse formare il silenzio assenso in mancanza di uno strumento urbanistico attuativo vigente come previsto dal citato art. 8, dato l’annullamento da parte del Co.re.co. della deliberazione comunale di variante del piano attuativo. Restando esclusa la formazione del silenzio assenso, non assume alcun rilievo la censura di parte appellante circa la violazione del contraddittorio procedimentale previsto dall’ultimo comma dell’art. 8 del d.l. n. 9/1982 per l’esercizio del potere di annullamento del titolo edilizio formato ex silentio .
Sono inoltre infondate le censure circa l’assenza di previsione normativa che legittimasse la richiesta di integrazione documentale da parte del Comune, in quanto, secondo l’indirizzo consolidato di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 1990, n. 486), il silenzio assenso non può ritenersi validamente formato in mancanza della documentazione necessaria, che, dunque, può essere legittimamente richiesta dall’Amministrazione.
Poiché la rappresentazione grafica degli strumenti urbanistici ne costituisce parte integrante solo se non si ponga in contrasto con le prescrizioni normative in essi stabilite (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3081/2007 e 13 gennaio 2015, n. 49), è infondato il secondo motivo d’appello. Correttamente il Tar ha considerato che la cartografia del PRG del 1990, nella quale risultavano indicati i fabbricati cui si riferivano le istanze di concessione edilizia, non potesse tenere luogo del necessario titolo edilizio, date le previsioni di fabbricabilità dello strumento urbanistico attuativo.
Sono infondati anche il quarto e il quinto motivo d’appello. Il Collegio condivide la tesi del Tar per cui l’atto impugnato non difettava di motivazione in quanto esso consentiva di rilevare sia “ la mancanza di un titolo abilitativo espresso o tacito, sia la non conformità delle richieste presentate alla disciplina urbanistica della zona a cagione del mancato aggiornamento della convenzione di lottizzazione stipulata ”, dando così atto anche del motivo di non conformità alle condizioni di fabbricabilità del PdL.
Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata.
Il regolamento delle spese processuali del grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.