Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-24, n. 201302827

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-24, n. 201302827
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302827
Data del deposito : 24 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04340/2012 REG.RIC.

N. 02827/2013REG.PROV.COLL.

N. 04340/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4340 del 2012, proposto da:
A P, rappresentato e difeso dall'avv. A F T, con domicilio eletto presso A F T in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;

contro

Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri;
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 03953/2012, resa tra le parti, concernente IRROGAZIONE DELLA SANZIONE DISCIPLINARE DELLA PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE PER MOTIVI DISCIPLINARI


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Angelo Fiore Tartaglia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame, il sig. A P, appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, impugna la sentenza 3 maggio 2012 n. 3953, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I –bis, ha rigettato il suo ricorso proposto avverso il provvedimento con il quale li è stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

La sanzione disciplinare era stata irrogata ai sensi degli artt. 861, primo comma, lett. d) e 865 del d. lgs. n. 66/2010, a decorrere dal 6 novembre 2006.

La sentenza impugnata, in particolare, afferma che, ai fini della individuazione del termine iniziale del procedimento disciplinare, rileva la data nella quale il Comando del Corpo competente, per ragioni di residenza del militare, all’esame del giudicato penale, ha ricevuto piena ed integrale conoscenza della sentenza emessa dal giudice penale (/nel caso di specie, Sez. VI della Cassazione penale), “a nulla rlevando la anteriore data . . . nella quale la suddetta sentenza è stata acquisita dal Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione”.

Ne consegue, nel caso di specie, che assume rilievo la data del 21 dicembre 2010 (data di ricezione della sentenza da parte della Legione Lombardia dell’Arma dei Carabinieri) e non quella del 10 dicembre 2010 (acquisizione della medesima sentenza da parte del Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione), di modo che “il provvedimento finale adottato il 14 settembre 2011 è intervenuto entro il termine di 270 giorni, ossia entro il termine nel quale il suddetto procedimento disciplinare deve essere concluso”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) erroneità ed illogicità della sentenza quanto alla decorrenza dei termini di perenzione dell’azione disciplinare;
omessa valutazione e motivazione su un punto di diritto prospettato nel ricorso in I grado, riferito alla violazione del termine di perenzione endoprocedimentale;
violazione artt. 1392, commi 1, 3, 4 d. lgs. n. 66/2010;
perenzione dell’azione disciplinare;
eccesso di potere per errore sul presupposto, incongruità, illogicità, irragionevolezza;
ciò in quanto la sentenza “ha erroneamente ritenuto che il termine di avvio dell’azione disciplinare non decorra dalla data in cui l’amministrazione ha acquisito copia integrale della sentenza definitiva bensì dalla diversa data in cui tale sentenza è stata trasmessa dall’ufficio competente ad avviare l’azione disciplinare”. Inoltre, è stato violato il termine di 90 giorni fra il compimento dei singoli atti del procedimento disciplinare;

b) erroneità dell’impugnata sentenza;
omessa valutazione della proposta questione di legittimità costituzionale;
violazione art. 1389 d. lgs. n. 66/2010, in violazione del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, irragionevolezza, manifesta ingiustizia, sviamento;

c) eccesso di potere per difetto di istruttoria;
omessa autonoma valutazione dei fatti;
illegittimità e/o eccesso di potere per violazione art. 3 l. n. 241/1990;
carenza e/o insufficienza ed apoditticità della motivazione;
eccesso di potere, irragionevolezzza, sproporzione;
violazione del principio di gradualità delle sanzioni;
violazione del divieto di destituzione di diritto;
omessa valutazione motivazione in ordine a tale motivo di diritto da parte dell’impugnata sentenza;
ciò in quanto non è “in alcun modo evincibile dal testo del provvedimento impugnato, al di là delle stereotipate ed insufficienti clausole di stile, le ragioni per le quali si è ritenuto di dover adottare nei confronti del militare in questione la massima sanzione di stato”.

All’udienza in Camera di Consiglio, il Collegio, ritenuti sussistenti i presupposti dio cui all’art. 60 Cpa, ha trattenuto la causa in decisione per il merito.

DIRITTO


DIRITTO


L’appello deve essere accolto, con riferimento al primo motivo proposto (sub a) dell’esposizione in fatto), con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.

L’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare), prevede che “il procedimento disciplinare di stato, a seguito di giudizio penale, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione” (comma 1). Il successivo comma 3 prevede che “il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione”.

La sentenza appellata ha, in sostanza, “identificato” l’amministrazione di appartenenza del militare sottoposto a procedimento disciplinare con il “Comando del Corpo competente, per ragioni di residenza del militare, all’esame del giudicato penale, ai fini dell’eventuale procedimento disciplinare”. In tal modo, per “amministrazione” si è inteso l’organo della medesima competente all’esercizio di determinati poteri (nel caso di specie, disciplinari).

Il Collegio non può condividere tale soluzione interpretativa.

Ed infatti, allorchè una norma di legge indica una amministrazione pubblica (senza ulteriori specificazioni), quale titolare di poteri o diritti, ovvero quale soggetto obbligato o comunque tenuto a particolari comportamenti nei confronti di altri soggetti, intende riferirsi all’amministrazione indicata come soggetto (organismo/organizzazione) nel suo complesso.

A tali fini, quindi, una cosa è l’amministrazione quale soggetto complessivamente individuato;
altra cosa è l’organo dell’amministrazione che – nell’ambito di questa e nel rispetto del principio di legalità – è competente all’esercizio di determinati poteri o tenuto a determinati comportamenti.

A maggior ragione, nel caso in cui una norma intende individuare il dies a quo per l’eventuale esercizio di poteri o per l’adempimento di obbligazioni da parte dell’amministrazione,. dalla intervenuta conoscenza di determinati atti o fatti da parte di quest’ultima, tale termine iniziale si identifica con il momento in cui l’atto è pervenuto nella sfera di disponibilità (o il fatto nella sfera di conoscenza) dell’amministrazione complessivamente intesa.

E’ del tutto evidente – a titolo di esempio – che una volta assunta a protocollo o comunque pervenuta nella sfera di disponibilità dell’amministrazione una istanza dell’interessato, ogni eventuale termine normativamente previsto decorre da tale dies a quo, a nulla rilevando la diversa data in cui l’istanza perviene all’ufficio competente per l’istruttoria, ovvero quella in cui l’atto perviene all’organo competente per lì’adozione del provvedimento finale.

Diversamente opinando, per un verso si cadrebbe in una evidente incertezza in ordine alla identificazione del termine iniziale;
per altro verso, si rimetterebbe alla medesima amministrazione, in dipendenza dei comportamenti da essa in concreto tenuti (afferenti alla trasmissione dell’atto all’ufficio o organo competenti), la definizione di tale termine, in tal modo ponendo nel nulla l’esigenza di generale temporalizzazione dei procedimenti amministrativi, espressa dall’art. 2 l. n. 241/1990.

Quanto sin qui esposto – che costituisce un principio generale di individuazione del termine iniziale del procedimento amministrativo – appare ancor più cogente nei cassi di procedimenti volti a concludersi con la possibile irrogazione di sanzioni (quale è il procedimento disciplinare), dove alle esigenze di buon andamento dell’attività amministrativa e di correttezza dei rapporti pubblica amministrazione/privato, si aggiunge il valore, costituzionalmente garantito, del diritto di difesa.

Nel caso di specie, occorre dunque ritenere che il termine iniziaòe per l’esercizio dell’azione disciplinare, che, ai sensi dell’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010, coincide con la data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza, più specificamente si identifica – in assenza di diversa disposizione di legge – con la data in cui un ufficio dell’amministrazione medesima (a ciò deputato) ha ricevuto cognizione dell’atto, essendo questo così pervenuto nella sfera di disponibilità della stessa.

A tali fini, occorre affermare che l’apprensione di copia della sentenza penale relativa ad un militare dell’Arma dei Carabinieri, da parte del Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione, individua il termine iniziale ai fini del computo dei termini del procedimento disciplinare.

Da ciò consegue che, individuando il termine iniziale del procedimento nel 10 dicembre 2010, risulta superato il termine perentorio di 270 giorni, di cui all’art. 1392, comma 3, d. lgs. n. 66/2010.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto in relazione al primo motivo proposto (sub a) dell’esposizione in fatto), con assorbimento di ogni ulteriore motivo. Ne consegue la riforma della sentenza impugnata, con conseguente accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed annullamento del provvedimento impugnato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.

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