Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-23, n. 202301903

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-23, n. 202301903
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301903
Data del deposito : 23 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/02/2023

N. 01903/2023REG.PROV.COLL.

N. 02389/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2389 del 2019, proposto da:
Regione autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A C e M L, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, lungotevere Raffaello Sanzio, 9

contro

Ministero dell'economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12

nei confronti

Regione Sicilia, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Regione autonoma Trentino-Alto Adige, Regione autonoma Valle D'Aosta, Provincia autonoma di Trento, Provincia autonoma di Bolzano, non costituite in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 8923/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in epigrafe;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Udito, nell'udienza straordinaria del giorno 3 febbraio 2023, l’avvocato Patrizio Ivo D'Andrea, in sostituzione dell'avvocato M L, per la parte appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La Regione autonoma della Sardegna ha impugnato dinanzi al TAR Lazio la nota in data 23 luglio 2012, prot. n. 525437 del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, Ufficio VIII, avente ad oggetto “ Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, e art. 35, comma 4, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, e art. 4, comma 11, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 ”, con la quale “ si rendono noti gli accantonamenti che saranno effettuati nell’anno 2012 e a decorrere dall’anno 2013 per ciascuna autonomia speciale ”, nonché, fra gli atti presupposti, la nota del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, del 9 agosto 2012, prot. n. 3244/2012/Uff. X, avente ad oggetto “ Soppressione addizionale comunale e provinciale dell’accisa sull’energia elettrica ”.

Con sentenza n. 8923 in data 8 agosto 2018, il TAR ha dichiarato improcedibile il ricorso.

Tale sentenza è stata impugnata dalla Regione autonoma della Sardegna con l’appello in epigrafe.

La Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’economia e delle finanze si sono costituiti nel presente grado di giudizio solo formalmente.

All’udienza straordinaria del 3 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’appellante riporta come segue i fatti di causa.

Con nota del 23 luglio 2012 il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato individuava i contributi straordinari di finanza pubblica per l’anno 2012 che gravano sulle Regioni a statuto speciale e sulle Province di Trento e Bolzano, ai sensi dell’art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, dall’art. 35, comma 4, del decreto legge n. 1 del 2012 e dall’art. 4 del decreto legge n. 16 del 2012;
a tale individuazione faceva seguito la ripartizione tra gli stessi Enti.

La Regione autonoma della Sardegna ne lamentava innanzi al TAR Lazio l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere poiché lo Stato avrebbe imposto, a suo dire, oneri in misura superiore a quella prevista dalla legge, attraverso non già lo strumento del “contributo” versato dalla regione, bensì mediante “accantonamenti” diretti.

Al contempo, la Regione Sardegna sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 del decreto legge n. 1 del 2012 e dell’art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011.

Su tali questioni, la Corte Costituzionale si pronunciava rispettivamente con sentenze n. 65 del 2015 e n. 82 del 2015.

All’esito del giudizio, il TAR Lazio dichiarava il ricorso improcedibile rilevando che l’accordo di finanza pubblica stipulato tra la Regione Sardegna e il MEF, in data 21 luglio 2014, si è formato nel rispetto delle prerogative costituzionali in tema di coordinamento della finanza pubblica nazionale.

L’accordo, dunque, è dotato di forza propria e, conseguentemente, si impone al giudice amministrativo a prescindere dalle modalità con cui lo stesso ha fatto ingresso nel processo.

Inoltre osservava che il giudice può desumere dagli atti di causa, dai fatti che intervengono nelle more del processo e dal comportamento delle parti, argomenti di prova in ordine alla sopravvenuta carenza di interesse alla decisione e, quando tale accertamento dia esito positivo, il giudice deve pervenire ad una pronuncia di improcedibilità del ricorso, al pari delle ipotesi in cui rinvenga ragioni ostative alla pronuncia sul merito.

3. L’appellante, non condividendo tale impostazione, ha formulato i motivi di seguito sintetizzati.

1) “ Error in iudicando . Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 84 cod. proc. amm. ”.

La sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto di dichiarare improcedibile il ricorso in ragione dell’accordo di finanza pubblica tra Stato e Regione autonoma della Sardegna del 21 luglio 2014.

L’appellante sostiene che il giudice potrebbe dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione solo in presenza di un atto di impulso di parte in tal senso, previo accertamento dell’assenza di ogni possibile utilità in capo alla ricorrente.

Nel caso di specie, invece, dalla pronuncia nel merito, a parere dell’appellante, le sarebbero derivati due ordini di effetti favorevoli.

Da un lato, sul piano pratico, poiché l’oggetto del contenzioso è il riparto degli oneri di finanza pubblica tra Stato, Regioni e Province a statuto speciale, dall’accoglimento del ricorso sarebbe derivata una rimodulazione degli oneri a carico della Regione Sardegna. Ciò ne avrebbe comportato la possibilità di recuperare risorse di propria spettanza, in ragione del principio dell’equilibrio dinamico di bilancio.

Poiché, tuttavia, oggetto del contenzioso sarebbe anche il riparto del contributo di finanza pubblica, previsto unilateralmente dallo Stato nelle more dell’intesa con i singoli enti, tra le cinque Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, la corretta definizione del contenzioso determinerebbe anche effetti conformativi dei rapporti tra le parti coinvolti.

Non sarebbe corretto desumere dall’accordo stesso, in quanto sorto con “ l’impegno di rinunciare ai ricorsi promossi in materia di finanza pubblica ” da parte della stessa Regione Sardegna, una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso: una simile circostanza, in virtù del principio dispositivo del giudizio, sarebbe dovuta essere inequivocabilmente espressa dalle parti.

Viepiù tale ricostruzione sarebbe corretta tenuto conto che la sola sussistenza dell’accordo non ha impedito alla Corte costituzionale, con la sentenza n. 155/2015, di scrutinare nel merito le questioni sollevate dalla Regione Sardegna per fatti attinenti al tempo precedente alla stipula dell’accordo. Ciò sebbene la difesa della Regione ne abbia reso nota l’avvenuta stipula, depositandone copia in data 22 ottobre 2014.

L’appellante, dunque, pone in luce che ciò che non ha rappresentato ostacolo per la Corte costituzionale, in modo incongruente lo sarebbe stato per il giudice amministrativo il quale, invece, avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità del riparto degli oneri di finanza pubblica disposto dal provvedimento impugnato.

L’appellante, ancora, si è soffermata sulla prospettata insussistenza di una condotta di abuso del processo in ragione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale promosse in via principale dinanzi alla Corte costituzionale e a cui ha rinunciato proprio in ragione dell’accordo. La Regione Sardegna avrebbe agito soltanto per ottenere il rispetto dell’autonomia statutaria in materia di finanza pubblica.

2) Con il secondo motivo di ricorso, superata la dimostrazione della ammissibilità dell’originario ricorso, la Regione ha riproposto i motivi formulati in primo grado.

2.1.) “ Violazione dell’art. 28 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201;
eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di istruttoria, insufficienza e contraddittorietà della motivazione;
violazione degli artt. 7 e 8 della l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3, recante Statuto speciale per la Sardegna, e 119 Cost. Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell’art. 28 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto speciale per la Sardegna e 117 e 119 Cost.
”.

La nota del MEF avrebbe asseritamente dato applicazione dell’art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201.

Tuttavia, dalla quota di 860.000.000,00 € (ottocentosessanta milioni/€), quale contributo a carico di tutte le Regioni e Province Autonome, si dovrebbe dedurre, a carico della Regione Sicilia, il risparmio che lo Stato consegue in forza dell’aumento dell’addizionale regionale IRPEF. Sarebbe, dunque, dall’addizionale IRPEF riscossa in Sicilia che dovrebbe discendere il maggior gettito di 130.000.000,00 € (centotrenta milioni/€). Diversamente, il trattamento specifico della sanità siciliana non inciderebbe sulla ripartizione degli oneri di finanza pubblica.

Con il provvedimento impugnato, invece, a parere dell’appellante, si sarebbe determinato un contributo a carico di tutte le Regioni e Province Autonome pari a 860 milioni di euro;
a ciò si è aggiunto il contributo per la sanità siciliana pari a 130 milioni di euro. In questo modo, tuttavia, il totale ripartito sarebbe stato erroneamente pari a 900 milioni di euro e questa cifra sarebbe stata poi erroneamente ripartita in maniera proporzionale tra tutti gli Enti interessati.

Un tale modalità di computo avrebbe determinato una sottrazione dell’importo di 130 milioni di euro da tutta la quota complessivamente intesa, e non, invece, dalla sola quota dovuta dalla Regione Sicilia.

Ciò avrebbe comportato per la Regione Sardegna un accantonamento maggiore, per oltre 20.000.000,00 di euro.

Viceversa il MEF avrebbe calcolato la somma pari a 152.704.694,82 di euro in luogo della corretta somma di 132.870.000,00 di euro, in violazione proprio dell’art. 28 cit. che l’Amministrazione statale ha inteso applicare.

La Regione inoltre ha evidenziato che l’accoglimento del ricorso non comporterebbe oneri aggiuntivi a carico dello Stato, giacché non si attingerebbe al dal bilancio dello stesso.

In caso di mancato accoglimento, si dovrebbe comunque ritenere illegittimo il provvedimento impugnato per violazione dell’art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201/2011.

L’appellante, infatti, ha evidenziato che sarebbero vulnerati i rapporti finanziari tra Stato e Regione Sardegna, poiché si determinerebbe una limitazione indiretta dell’autonomia di spesa di quest’ultima ad opera di vincoli definitivi, in spregio a quanto predicato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 82 del 2007 e n. 193 del 2012.

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