Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-03-22, n. 201601190
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N. 01190/2016REG.PROV.COLL.
N. 09429/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9429 del 2015, proposto da:
Letta Emma, rappresentata e difesa dall’avvocato A P, con domicilio eletto presso Elettra Bianchi in Roma, via Savoia 80;
contro
Comune di Chieti;
nei confronti di
Micomonaco Maura;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA, SEZIONE I n. 405/2015, resa tra le parti, concernente le ultime elezioni del sindaco e per il rinnovo del consiglio comunale di Chieti, tenutesi il 14 giugno 2015
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 marzo 2016 il consigliere F F e uditi per la parte appellante l’avvocato A P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La dott.ssa Emma Letta impugnava davanti al Tribunale amministrativo regionale per Abruzzo – sez. staccata di Pescara l’esito delle elezioni del sindaco e per il rinnovo del consiglio comunale di Chieti svoltesi il 14 giugno 2015. La ricorrente, prima dei non eletti della lista “Noi Domani”, presentatasi in appoggio al candidato sindaco eletto, sig. Umberto Di Primio, censurava l’attribuzione di un seggio consiliare alla lista della medesima coalizione “Forza Italia”, dolendosi della mancata attribuzione in proprio favore di numerosi voti di preferenza che le avrebbero consentito di superare il ridotto scarto percentuale con quest’ultima forza politica (0,90) ed essere quindi proclamata consigliere in luogo della controinteressata sig.ra Maura Micomonaco.
2. Con la sentenza in epigrafe il giudice di primo grado dichiarava il ricorso improcedibile, perché depositato nello stesso giorno fissato per l’udienza di discussione, e cioè il 24 settembre 2015, anziché nel termine, da considerarsi perentorio ex art. 45 Cod. proc. amm., di dieci giorni dall’ultima notifica dello stesso unitamente al decreto del presidente del Tribunale amministrativo di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 130, comma 4.
3. La dott.ssa Letta ha quindi appellato questa decisione, riproponendo le censure di merito non esaminate dal Tribunale amministrativo.
4. Nessuna delle parti appellate – Comune di Chieti e controinteressata sig.ra Micomonaco – si è costituita in giudizio.
DIRITTO
La dott.ssa Letta censura la dichiarazione di improcedibilità ( recte : irricevibilità) del proprio ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni:
- non può essere esteso al giudizio elettorale il citato art. 45 Cod. proc. amm., relativo al deposito del ricorso nel giudizio ordinario, e dunque la correlata previsione di perentorietà, per via della strutturale differenza tra i due riti, ed in particolare perché quest’ultimo è introdotto mediante ricorso notificato e poi depositato in segreteria del Tribunale amministrativo, mentre nel secondo, all’inverso, tale adempimento precede la notifica;
- la qualificazione di perentorietà anche al termine per il deposito del ricorso elettorale, in precedenza attribuita dall’art. 82, comma 5, d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 ( Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) , è venuta meno per effetto dell’abrogazione di tale disposizione ad opera del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 ( Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 );
- è invece tuttora vigente il comma 3 del medesimo art. 82, secondo il quale sono perentori i termini « per la notifica del ricorso e la costituzione delle parti »;
- per contro, il citato art. 130, comma 4, non reca alcuna previsione di perentorietà, mentre il Codice del processo amministrativo consente in via generale la produzione tardiva di atti e documenti, prevedendo all’art. 54 che questa possa essere autorizzata dal collegio ed inoltre la possibilità ex art. 55, comma 5, di depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima dell’udienza.
- inoltre, il principio generale di conservazione degli atti giuridici vigente nell’ordinamento « opera in riferimento anche agli atti giudiziari e nel processo »;
- il deposito tardivo del ricorso non è lesivo dei principi generali del giusto processo e nel caso di specie la mancata costituzione in giudizio del Comune di Chieti e della controinteressata è dipeso da « una scelta deliberata delle predette parti, in un procedimento che, in verità, non ha natura contenziosa, ma solo di accertamento tecnico ( id est riconteggio schede) »;
- è infine applicabile l’errore scusabile.
2. Nessuna di queste argomentazioni può essere condivisa e l’appello deve pertanto essere respinto.
3. Occorre premettere in linea generale che i giudizi di impugnazione delle operazioni elettorali devoluti alla giurisdizione amministrativa sono improntati a un criterio di celerità, il quale si manifesta in primo luogo nell’eccezionale dimezzamento del termine per proporre ricorso contro gli esiti delle elezioni (art. 130, comma 1, Cod. proc. amm.), oltre che di tutti i termini del procedimento, salvo quelli regolati da una specifica disposizione (comma 10 del citato art. 130), e quindi nella fissazione dell’udienza d’ufficio (comma 2). Le descritte caratteristiche di celerità del rito si correlano a loro volta all’esigenza di stabilità degli organi elettivi degli enti pubblici a base rappresentativa e degli atti e dei rapporti di diritto pubblico derivanti dalla loro costituzione e funzionamento all’esito delle elezioni (giurisprudenza costante di questa Sezione, da ultimo espressa nelle sentenze 11 febbraio 2016, n. 610 e 17 marzo 2014, n. 755). In questo quadro è imprescindibile che il giudizio sua scandito da termini perentori che ne assicurino la rapida definizione, attraverso la previsione di sanzioni processuali per comportamenti che possano vanificare la pratica attuazione delle descritte esigenze di ordine imperativo.
4. Pertanto, in primo luogo non giova porre in evidenza, in senso contrario a quanto finora premesso, il fatto che il comma 4 dell’art. 130 più volte menzionato non contenga alcuna qualificazione di perentorietà del termine per il deposito del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza.
La tesi prova troppo, se solo si ha riguardo alla circostanza che anche il comma 1 della medesima disposizione, relativo al termine per impugnare, non è qualificato come perentorio, ma ciò nonostante non si dubita che dal mancato rispetto di esso derivi l’irricevibilità del ricorso. In realtà questa conseguenza è espressamente prevista dal Codice del processo amministrativo, e precisamente dal combinato disposto degli artt. 29 e 35, comma 1, lett. a) , contenuti nel I libro del Codice « disposizioni generali », dunque valevoli anche per il contenzioso elettorale, e a tenore dei quali, rispettivamente, il termine per impugnare è qualificato come decadenziale ed il suo mancato rispetto è appunto sanzionato con la dichiarazione di irricevibilità.
5. Ciò precisato, la medesima dichiarazione in rito è prevista anche per il mancato rispetto del termine previsto per il deposito del ricorso, questa volta in virtù della combinazione del comma 4, dell’art. 130 con l’art. 45, comma 1, correttamente richiamato dal giudice di primo grado, ed il poc’anzi citato art. 35, comma 1, lett. a) , del Codice, secondo cui il ricorso è irricevibile non solo se notificato ma anche se depositato tardivamente.
6. All’argomento di carattere testuale finora svolto se ne aggiunge uno di ordine logico-sistematico, in base al quale sarebbe evidentemente irrazionale che in un rito improntato alla massima celerità quale quello elettorale non fossero applicabili le decadenze previste per l’ordinario giudizio di cognizione.
Nel lumeggiare la funzione della perentorietà del termine previsto in generale per la costituzione in giudizio questo Consiglio di Stato ha quindi puntualizzato che la caratteristica in questione è « espressione di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice » (Cons. Stato, V, 16 gennaio 2015, n. 68). Ed infatti, in questa prospettiva il deposito del ricorso in segreteria « con la prova dell’avvenuta notificazione, insieme con gli atti e documenti del giudizio » (così il comma 4 dell’art. 130) ha una funzione essenziale ai fini dell’instaurazione del rapporto processuale, perché consente al giudice adito di verificare se il contraddittorio con le parti evocate in giudizio sia stato correttamente instaurato e tanto al primo quanto a queste ultime di prendere piena cognizione della controversia.
7. Alla luce di tutte le considerazioni finora svolte perdono di rilievo gli assunti dell’appellante volti a sottolineare la differenza strutturale tra la fase introduttiva del giudizio elettorale rispetto a quello ordinario.
Occorre peraltro evidenziare che il deposito previsto dal comma 1 dell’art. 130 ha una funzione diversa da quella che invece caratterizza il deposito contemplato al comma 4, tale per cui il rituale assolvimento di quello non esonera la parte ricorrente dal puntuale rispetto di quest’ultimo. Infatti, il primo deposito ha una funzione acceleratoria rispetto alla fissazione dell’udienza di discussione, nell’ambito di un rito fortemente contratto e nel quale - come visto sopra – l’impulso è ufficioso, a tutela delle esigenze di celere definizione della controversia. Per contro, pur essendo informato alle medesime finalità, il successivo deposito del fascicolo di parte ricorrente e della prova delle notifiche del ricorso alle parti intimate ha lo scopo e l’effetto ulteriori di realizzare il contraddittorio con queste ultime, e dunque di determinare l’instaurazione del rapporto processuale.
Pertanto, onde assicurare che rispetto all’udienza di merito il diritto di difesa delle parti evocate in giudizio sia garantito, ed in particolare che queste siano poste di svolgere compiutamente le loro difese nei termini previsti dall’art. 73, comma 1, Cod. proc. amm., dimidiati ai sensi del citato comma 10 dell’art. 130, il deposito ai sensi del comma 4 di quest’ultima disposizione è essenziale e non può avvenire oltre il termine da questa assegnato alla parte ricorrente, pena l’avversarsi della causa di irricevibilità ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. a) , del Codice.
8. Le norme processuali finora esaminate sono necessarie per realizzare i « principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione » (art. 2, comma 1, Cod. proc. amm.), in un settore del contenzioso amministrativo in cui i rilevanti interessi in conflitto sono tradotti in un modello processuale dai forti connotati di specialità rispetto a quello ordinario. Non giova quindi all’appellante supporre l’assenza di qualsiasi lesione dei contrapposti diritti di difesa delle altre parti, svolgendo al riguardo non pertinenti considerazioni circa le cause della loro mancata costituzione in giudizio, ed addirittura spingendosi ad ipotizzare che il giudizio sulle operazioni elettorali ex art. 130 Cod. proc. amm. non abbia carattere contenzioso.
9. Sono inoltre inconferenti i richiami all’art. 82 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 ed alle modifiche ad esso introdotte dal d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150.
In seguito all’emanazione del Codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, i giudizi in materia di operazioni elettorali sono compiutamente disciplinati in questo corpo normativo, in conformità al criterio direttivo enunciato dalla legge delega [art. 44, comma 2, lett. d) , l. 18 giugno 2009, n. 69], mentre la citata disposizione del Testo unico delle leggi sulle elezioni comunali, come novellata dalla “mini” riforma del processo civile di cui al d.lgs. n. 150 del 2011, regola i giudizi relativi alle « deliberazioni adottate in materia di eleggibilità dal Consiglio comunale » che si svolge « dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria » [art. 82, comma 1, d.P.R. n. 570 del 1960, come modificato dall’art. 34, comma 23, lett. a) , d.lgs. n. 150 del 2011].
10. Palesemente infondato è inoltre il richiamo da parte della dott.ssa Letta all’art. 54 Cod. proc. amm., il quale prevede la possibilità che il collegio giudicante autorizzi la « presentazione tardiva di memorie o documenti (…) assicurando comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti ». L’eccezionale possibilità di derogare ai termini perentori per lo svolgimento delle attività difensive si fonda su un presupposto nemmeno dedotto nel caso di specie, e cioè che « la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile », ed in ogni caso concerne non già l’atto introduttivo del giudizio, ma gli ulteriori scritti difensivi o i documenti da depositare in corso di causa.
Del pari manifestamente inconferente è il richiamo al termine previsto dall’art. 55, comma 5, per la produzione di memorie e documenti, giacché esso concerne il procedimento cautelare.
11. Anche il riferimento al principio di conservazione degli atti giuridici è fuori luogo, dal momento che esso attiene agli effetti dell’invalidità di un atto, sostanziale o processuale, e consente di evitare per quanto possibile che questo venga interamente posto nel nulla, in ossequio al principio generale utile per inutile non vitiatur (espresso tra l’altro nell’art. 1419 Cod. civ.), ma non riguarda invece i termini processuali qualificati come perentori.
12. L’applicazione di questi ultimi potrebbe in ipotesi essere impedita unicamente in virtù dell’istituto dell’errore scusabile ex art. 37 Cod. proc. amm., che la dott.ssa Letta in effetti invoca, quale ultimo argomento difensivo contro la pronuncia di primo grado, sostenendo di non avere rispettato il termine ex art. 130, comma 4, « nella convinzione che non si trattasse di termine perentorio e decadenziale » (pag. 14 dell’appello).
Occorre premettere sul punto che l’istanza è già stata respinta dal Tribunale amministrativo, con motivazione basata sul richiamo della giurisprudenza di questa Sezione che in modo costante ha affermato il carattere perentorio del termine per il deposito in giudizio del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza nella materia elettorale. Sono state infatti citate le seguenti pronunce: 21 novembre 2003, n. 7621, 20 gennaio 2010, n. 191, 28 maggio 2010, n. 3402, in termini con la presente vicenda contenziosa.
Tuttavia i precedenti in questione sono relativi al regime previgente al Codice del processo amministrativo, mentre nel proprio appello la dott.ssa Letta puntualizza che l’errore è stato determinato dalla sopra richiamata abrogazione parziale dell’art. 82 d.P.R. n. 570 del 1960, nonché da « mutamenti corposi di giurisprudenza sulla perentorietà dei termini » (pag. 14 dell’appello).
Sennonché, di mutamenti di giurisprudenza in materia non se ne registrano sulla specifica questione e di precedenti a sostegno di tale assunto non ne sono stati richiamati. Per quanto riguarda invece le modifiche introdotte al citato art. 82 ad opera del d.lgs. n. 150 del 2011 è sufficiente rinviare a quanto osservato in precedenza circa l’inconferenza di tale disposizione rispetto al contenzioso sulle operazioni elettorali, poiché la stessa concerne i giudizi sull’elettorato passivo devoluti alla cognizione del giudice ordinario. In forza di tali rilievi difettano pertanto le « oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto » che giustificano la concessione dell’errore scusabile.
13. Non vi è infine luogo a provvedere sulle spese del presente appello, stante la mancata costituzione delle altre parti.