Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-03-26, n. 201201757

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-03-26, n. 201201757
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201757
Data del deposito : 26 marzo 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05694/2011 REG.RIC.

N. 01757/2012REG.PROV.COLL.

N. 05694/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5694 del 2011, proposto da:
S S, rappresentato e difeso dagli avv. M S, F V, con domicilio eletto presso M. Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Comune di Gaeta, rappresentato e difeso dall'avv. D P, con domicilio eletto presso Giancarlo Capozzi in Roma, via Cicerone,66;
Ufficio Tecnico del Comune di Gaeta;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - SEZ. STACCATA DI LATINA: SEZIONE I n. 00282/2011, resa tra le parti, concernente SILENZIO RELATIVO A ISTANZA DI CONDONO EDILIZIO DI FABBRICATI POSTI SULLA SOMMITÀ DI MONTE ORLANDO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Gaeta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2012 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati M S, F V e D P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina la società Salcri srl, attuale appellante, agiva per l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione comunale di Gaeta di provvedere sulla sua istanza del 12 giugno 2010, avente ad oggetto l’istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 31 della legge n.47 del 1985 presentata dal signor Testa Mario, dante causa della ricorrente, nell’anno 1989, su quattro fabbricati posti sulla sommità di Monte Orlando in Gaeta.

In relazione all’oggetto sopra descritto, l’istanza, presentata dalla ricorrente società, in data 12 giugno 2010, riguardava: la definizione della domanda di condono presentata dal dante causa in data 26 marzo 1986 relativa agli immobili, sospesa a seguito della realizzazione di alcune varianti ritenute illegittime dalla Sovrintendenza ai Monumenti del Lazio;
l’annullamento in sede di autotutela dei provvedimenti di diniego del condono edilizio;
la restituzione dell’area acquisita al patrimonio del Comune;
il risarcimento dei danni.

La ricorrente società esponeva la lunga vicenda, che aveva visto dapprima: 1) una domanda di condono nell’anno 1986 (ex L.47 del 1985);
2) l’adozione di pareri favorevoli dal punto di vista paesaggistico, annullati poi dal giudice amministrativo su ricorsi proposti dal Comune di Gaeta;
3) il rigetto della successiva domanda di condono, presentata nell’anno 1995 ai sensi della legge n.724 del 1994, a seguito della quale il Comune adottava (4) l’ordinanza di demolizione n.198 del 28 giugno 2000;
5) la determinazione di acquisizione coattiva (29 febbraio 2001), procedendo poi alla demolizione dei fabbricati.

A seguito di istanza del 12 ottobre 2009 presentata dalla società appellante, la Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Latina e Frosinone aveva emesso un nuovo atto (in data 29 marzo 2010), nel quale dichiarava che le porzioni di fabbricato oggetto del condono ai sensi della legge 47 del 1985 non necessitavano di alcun ulteriore nulla osta paesaggistico.

La ricorrente sosteneva quindi che il Comune non aveva mai esitato la domanda di condono presentata nell’anno 1986.

Il giudice di prime cure rigettava il ricorso, concludendo nel senso che:

1) il Comune ha definito il procedimento avviato con la presentazione della domanda del 1986 con il provvedimento n.31229 del 20 novembre 1990;

2) a prescindere dalla definizione del suddetto procedimento, la presentazione della seconda domanda di condono nell’anno 1995, significando la volontà di sottoporsi alla definizione del condono successivo ai sensi della legge n.724 del 1994, che l’amministrazione ha rigettato, avrebbe comunque comportato il venir meno dell’obbligo di pronunciarsi sulla precedente domanda di condono;

3) per quanto riguardo l’annullamento in autotutela, non esiste l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sulla istanza di parte.

Con l’atto di appello, dopo avere descritto la vicenda, si deducono i seguenti motivi: 1) erroneità della sentenza, perché ha erroneamente ritenuto definito il procedimento di condono attivato nell’anno 1986 (con ben quattro istanze) con l’atto del 1990, contenente l’ordinanza di demolizione;
2) l’amministrazione aveva l’obbligo di pronunciarsi concludendo il procedimento con provvedimento espresso nei termini previsti dalla legge;
3) sulla istanza del 12 giugno 2010 la parte appellante sostiene che non si tratta di richiesta di riesame, proprio perché mai in realtà è stata definita l’istanza del 1986 e perché essa si fonda sul fatto nuovo, costituito dalla determinazione su menzionata della Sovrintendenza del 29 marzo 2010, nel quale si dichiarava che le porzioni di fabbricato oggetto del condono ai sensi della legge 47 del 1985 non necessitavano di alcun ulteriore nulla osta paesaggistico.

Si è costituito il Comune di Gaeta chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Alla camera di consiglio del 6 marzo 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.L’appello è infondato rispetto al preteso inadempimento dell’obbligo di provvedere, sotto vari profili rappresentato.

Infatti, contrariamente a quanto sostenuto nell’appello, il Comune di Gaeta ha definito l’istanza di condono dell’anno 1986, relativa alla legge n.47 del 1985, con il provvedimento negativo emesso il 20 novembre 1990, n.31229, tra l’altro non impugnato.

Con tale atto il Comune, richiamando il D.M. 18 settembre 1990 con cui l’Amministrazione statale aveva annullato il parere favorevole ai sensi dell’art. 32 L.47 del 1985 da parte della Regione Lazio, aveva altresì ordinato la demolizione.

Tale atto, di tenore e contenuto chiaramente negativi rispetto all’istanza di parte, ha definito il procedimento quindi in modo definito ed espresso rispetto all’istanza di condono, né vale in senso contrario argomentare, al fine di ritenere esaurito l’obbligo di provvedere in modo espresso, dall’autonomia del procedimento di condono rispetto a quello di demolizione.

2.Inoltre, va tenuto presente che, ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985 n. 47, se anche l’amministrazione avesse mantenuto un comportamento inerte, il silenzio formatosi sull' istanza di condono oltre il termine di sessanta giorni dalla presentazione della relativa istanza avrebbe avuto comunque valore di rigetto implicito, con efficacia simile a quella che si avrebbe con il provvedimento espresso di diniego.

Si rammenta il principio secondo cui al silenzio con valore legale reiettivo non è applicabile lo speciale rito del silenzio previsto dall'art. 21 bis, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 che è esperibile, alternativamente al rito ordinario, solo per i casi di silenzio inadempimento o rifiuto, e non anche per il silenzio rigetto (tra tante, Consiglio Stato, sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1763).

3.Inoltre, in fatto, come bene ha rilevato il primo giudice, è assorbente la circostanza che la presentazione della successiva istanza, presentata ai sensi della successiva legge di condono straordinario (del 1994 rispetto al condono del 1985), e definita sempre in modo negativo per l’istante, determinava comunque il superamento dell’obbligo di provvedere rispetto alla istanza precedente, anche nella ipotesi - invero non riscontrabile nella specie - che la precedente istanza fosse davvero rimasta del tutto inesitata.

4.Per quanto riguarda poi il dovere dell’amministrazione di pronunciarsi, successivamente all’emergere di fatti o documenti nuovi, la parte istante richiama la nota della Sovrintendenza del 29 marzo 2010, nella quale si dichiara che, in relazione alla domanda dell’anno 1986, le porzioni di fabbricato oggetto del condono ai sensi della legge 47 del 1985 non necessitavano di alcun ulteriore nulla osta paesaggistico.

Al proposito, il Collegio osserva che, in disparte ogni altra considerazione, può agevolmente osservarsi come l’amministrazione non abbia un obbligo di provvedere rispetto a procedimenti che, in tesi, anche nelle asserzioni di parte appellante, sono già definiti, a prescindere dalla qualificazione o meno di tale intervento in autotutela, che pure la parte appellante rifugge, partendo però dall’assunto che il procedimento originario di condono non sarebbe stato mai in realtà definito.

La p.a. non ha obbligo di dare riscontro alle domande dei privati volte a promuovere un procedimento di autotutela avente ad oggetto provvedimenti definitivi, verificandosi attraverso detta via una sostanziale elusione del termine perentorio per la proposizione del ricorso giurisdizionale (Consiglio Stato, sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270).

Il Consiglio di Stato, con la decisione n. 1 del 9 gennaio 2002 dell'Adunanza Plenaria, ha affermato che il giudizio disciplinato dall'articolo 21-bis della legge 21 luglio 2000, n. 205, benché collegato, sul piano logico-sistematico, al dovere imposto a tutte le Amministrazioni Pubbliche di concludere tutti i procedimenti mediante l'adozione di provvedimenti espressi, nei casi in cui essi conseguano obbligatoriamente ad una istanza ovvero debbano essere iniziati d'ufficio (secondo la previsione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241), postula pur sempre l'esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si configura come un interesse legittimo: solo in tale prospettiva, infatti, trova razionale giustificazione il predetto giudizio, volto - com'è noto - ad accertare se l'Amministrazione abbia, con il silenzio, violato il predetto obbligo di provvedere (sul punto, ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 27 gennaio 2003, n. 426;
Cons. Stato, 10 febbraio 2003, n. 672;
Cons. Stato, 24 marzo 2003, n. 1521).

Scopo del ricorso avverso il silenzio rifiuto è, quindi, quello di ottenere un provvedimento esplicito dell'Amministrazione che elimini lo stato di inerzia e assicuri al privato una decisione che investe la fondatezza o meno della sua pretesa (così Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 926).

Sulla scorta di tali principi è stato escluso che la procedura per la constatazione del silenzio-rifiuto possa essere utilizzata per ottenere la riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero per rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili ( ex pluribus , Cons. Stato, Sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181;
Cons. Stato, 6 ottobre 2001, n. 5307;
Cons. Stato, 9 agosto 2005, n. 4227) ed è stato, altresì, precisato che non sussiste obbligo dell'Amministrazione di provvedere (e che, di conseguenza, non si è in presenza di un silenzio inadempimento) allorquando l'interessato, attraverso la procedura del silenzio-rifiuto, abbia sollecitato l'esercizio del potere di autotutela, non sussistendo rispetto a questo una posizione di interesse legittimo, ma di mero interesse di fatto (Cons. Stato, Sez. VI, 19 dicembre 2000, n. 6838), anche per la mancanza di un obbligo dell'Amministrazione di attivarsi in via di autotutela (Cons. Stato, Sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136;
Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2005, n. 3909).

Con particolare riguardo, poi, ai provvedimenti di autotutela, è stato osservato che essi sono manifestazione dell'esercizio di un potere tipicamente discrezionale della Pubblica Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto, valutazione di cui essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, neppure in presenza di un indirizzo giurisprudenziale sfavorevole ad analoghi provvedimenti adottati dalla stessa Amministrazione nei riguardi di altri soggetti (e da questi tempestivamente impugnati), salvo l'obbligo generale di buona amministrazione che, tuttavia, non si concreta nel dovere giuridico di rispondere alla richiesta del privato, se non in presenza di procedimenti per i quali sussista l'obbligo di conclusione con provvedimento espresso (Cons. Stato, Sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136).

5.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto sotto tutti i profili.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza;
le spese sono liquidate in dispositivo.

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