Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-10-04, n. 202106624

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-10-04, n. 202106624
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106624
Data del deposito : 4 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/10/2021

N. 06624/2021REG.PROV.COLL.

N. 03996/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3996 del 2014, proposto dal sig.
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti P B e P M e con domicilio eletto presso lo studio del dott. G M G, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli Uffici di quest’ultima, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti e notificata il 26 febbraio 2014, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. -OMISSIS-, integrato da motivi aggiunti, proposto dal sig. -OMISSIS- avverso i provvedimenti di rigetto dell’istanza volta ad ottenere il transito nelle aree funzionali del personale civile del Ministero della Difesa e di irrogazione al ricorrente della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, nonché per l’accertamento del diritto del ricorrente al passaggio all’impiego civile e per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie e i documenti della difesa erariale;

Vista altresì la memoria dell’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con l. 18 dicembre 2020, n. 176;

Visto l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;

Visto ancora l’art. 6, comma 1, lett. e) , del d.l. 1° aprile 2021, n. 44, convertito con l. 28 maggio 2021, n. 76;

Dato atto della presenza ai sensi di legge dei difensori delle parti;

Relatore nell’udienza del 20 luglio 2021 il Cons. Pietro De Berardinis, in collegamento da remoto in videoconferenza;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in epigrafe il sig. -OMISSIS- ha impugnato la sentenza del T.A.R. -OMISSIS-, Sez. I, n. -OMISSIS-, chiedendone la riforma.

1.1. La sentenza appellata ha respinto il ricorso integrato da motivi aggiunti, presentato dal medesimo sig. -OMISSIS-per ottenere: a) l’annullamento del provvedimento di rigetto della domanda di transito nei ruoli del personale civile del Ministero della Difesa e del provvedimento con cui gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione; b) l’accertamento del proprio diritto al passaggio all’impiego civile ai sensi della l. n. 266/1999 e del decreto interministeriale del 18 aprile 2002; c) la condanna della P.A. al risarcimento del danno.

1.2. L’appellante espone, in fatto, di essere un ex Maresciallo dell’Aeronautica Militare, in forza dal 1988, e di aver subito, nel 1998, un grave incidente motociclistico, successivamente al quale cadeva in uno stato di depressione che lo portava a fare uso di sostanze stupefacenti ed a tenere una serie di condotte, in relazione alle quali veniva sanzionato più volte a livello disciplinare con la sospensione dall’impiego. Entrava quindi in comunità per disintossicarsi e infine, con verbale della Commissione Medica di II^ istanza, veniva giudicato permanentemente non idoneo al servizio militare in modo assoluto e idoneo al transito nelle corrispondenti qualifiche del personale civile del Ministero della Difesa (o di altra Amministrazione). In data 4 giugno 2009 presentava, dunque, istanza di transito, su cui – egli sostiene – si sarebbe formato il silenzio assenso.

1.2.1. Senonché, nel frattempo con sentenza del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS-n. -OMISSIS-, relativa a fatti svoltisi in -OMISSIS-tra il -OMISSIS-, il ricorrente veniva condannato alla pena (non sospesa) di un anno e sei mesi di reclusione ed € 800,00 di multa per il reato di tentata rapina (in appartamento), aggravata dall’aver posto in essere l’attività criminosa con le armi e in più persone riunite;
la sentenza era confermata dalla Corte di Appello di -OMISSIS-e diveniva irrevocabile il -OMISSIS-.

1.2.2. In ragione di tali accertamenti giudiziari, la P.A. instaurava nei confronti del sig. -OMISSIS-un procedimento disciplinare, che si concludeva con l’adozione del provvedimento del-OMISSIS-, con cui gli veniva inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione. Di seguito, la P.A. emetteva un altro provvedimento, con cui rigettava l’istanza del militare di transito nei ruoli del personale civile per difetto dei relativi presupposti e, in particolare, per difetto sia della cessazione dal servizio per infermità (essendo egli cessato dal servizio per perdita del grado), sia dell’attualità del rapporto di servizio con l’Amministrazione (avendo la sua rimozione determinato la cessazione automatica dal servizio permanente).

1.3. Il militare impugnava i suindicati provvedimenti innanzi al T.A.R. -OMISSIS-, il quale, con ordinanza della Sezione Prima n. -OMISSIS-, accoglieva l’istanza cautelare del ricorrente, ritenendo che a suo favore si fosse formato il cd. silenzio assenso sull’istanza di transito e che la P.A. non avesse adottato alcun atto di autotutela nei confronti del predetto silenzio assenso, ormai consolidatosi. In fase di merito, tuttavia, tale valutazione veniva rovesciata dal primo giudice, che con la sentenza appellata respingeva il ricorso perché infondato nel merito.

2. In particolare, la gravata sentenza n. -OMISSIS-richiama a proprio fondamento l’art. 923, comma 5, del d.lgs. n. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare, applicabile al ricorrente – secondo i giudici di prime cure – perché costui al tempo dell’istanza di transito si trovava già sottoposto a procedimento penale). Tale disposizione stabilisce, infatti, che, qualora il militare cessato dal servizio per infermità si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare e questo si concluda successivamente con un provvedimento di perdita del grado, la sua cessazione dal servizio debba considerarsi avvenuta per tale causa, così sancendo la prevalenza, quale causa di cessazione dal servizio, della perdita del grado rispetto all’infermità. Ne segue che, poiché la cessazione dal servizio va ricondotta non all’infermità ma all’espulsione, vengono meno in modo altrettanto automatico i presupposti di legge per il transito nei ruoli del personale civile dell’Amministrazione, la cui verifica ha natura di attività vincolata: con il ché, il primo giudice ha ritenuto che il diniego di transito impugnato contenesse anche la rimozione implicita del silenzio assenso formatosi sulla domanda di transito.

2.1. Il T.A.R. ha negato, altresì, che la P.A. avesse perso il potere di sanzionare il militare, in quanto ormai transitato nei ruoli del personale civile, sia alla luce del già ricordato art. 923, comma 5, del d.lgs. n. 66/2010 (da cui discende la perdurante vigenza del potere sanzionatorio anche quando nelle more per il militare si sia verificata altra causa di cessazione dal servizio), sia perché il militare, fino alla stipula del contratto di lavoro quale dipendente transitato nei ruoli civili, mantiene il suo status , pur se collocato in aspettativa.

2.2. Da ultimo, la sentenza ha negato la sussistenza di una violazione del principio di proporzionalità, tenuto conto della lunga serie di ulteriori precedenti penali dai quali il ricorrente era stato attinto (per rapina, furto aggravato, tentato furto aggravato, ecc.).

3. L’appellante contesta le motivazioni e le conclusioni del primo giudice, deducendo a supporto del gravame i seguenti motivi:

a) erronea motivazione della sentenza di primo grado per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, dell’art. 25 Cost., dell’art. 923 del d.lgs. n. 66/2010, dell’art. 14 del d.lgs. n. 266/1999 e del d.m. 18 aprile 2002, per avere il T.A.R. proceduto nei suoi confronti, illegittimamente, all’applicazione retroattiva dell’art. 923, comma 5, del d.lgs. n. 66/2010, applicando retroattivamente una norma entrata in vigore quando per il sig. -OMISSIS-si era compiuto, ormai, il passaggio all’area funzionale del personale civile (in seguito alla formazione del cd. silenzio assenso sull’istanza di transito);

b) erroneità della motivazione della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 21- octies della l. n. 241/1990 e dell’art. 884 del d.lgs. n. 66/2010, giacché per il ricorrente il transito nei ruoli del personale civile si sarebbe perfezionato nel 2009, in forza delle leggi allora vigenti (art. 14 del d.lgs. n. 266/1999 e d.m. 18 aprile 2002), a seguito della formazione del cd. silenzio assenso sulla sua istanza di transito ed essendo mancato qualsiasi intervento in autotutela della P.A. per rimuovere il provvedimento per silentium favorevole al ricorrente stesso;

c) erroneità della motivazione della sentenza impugnata in merito al mancato riconoscimento della carenza di potere sanzionatorio in capo alla P.A., poiché, non potendosi applicare al ricorrente l’art. 923, comma 5, cit., la causa della sua cessazione dal servizio non potrebbe essere quella individuata dalla P.A. (perdita del grado). Infatti il provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare de qua sarebbe stato emesso e notificato in un momento in cui il ricorrente era già transitato per cd. silenzio assenso nei ruoli del personale civile, sicché l’Amministrazione militare avrebbe esercitato un potere sanzionatorio di cui sarebbe stata carente e la causa della cessazione dal servizio (militare) sarebbe il tacito assenso della P.A. al trasferimento alle funzioni civili;

d) erroneità e/o carenza della motivazione della sentenza appellata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1389, lett. a) , del d.lgs. n. 66/2010, violazione e falsa applicazione dell’art. II-107, secondo comma, della Costituzione europea, violazione dell’art. 1 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e gradualità della sanzione, illogicità, manifesta ingiustizia e sviamento, atteso che, nel respingere la doglianza di violazione del principio di proporzionalità, il T.A.R. avrebbe ignorato che, in base all’art. 1355 del d.lgs. n. 66 cit., la P.A., nell’irrogare la sanzione, deve tenere conto dei precedenti disciplinari – e non di quelli penali – del militare, e avrebbe altresì ignorato il percorso riabilitativo intrapreso con successo dal ricorrente;

e) violazione dell’art. 88, comma 1, lett. a) , del d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.) per omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria oggetto del ricorso per motivi aggiunti, poiché il primo giudice avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni contenuta nel ricorso (che viene riproposta nell’atto di appello).

3.1. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, depositando memoria e documenti sui fatti di causa e richiamando le difese svolte innanzi al T.A.R.;
successivamente ha depositato un’ulteriore memoria, con documentazione allegata, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e concludendo per la sua reiezione.

3.2. In prossimità dell’udienza di discussione della causa, le parti hanno depositato memorie, nonché rispettive note spese.

3.3. All’udienza del 20 luglio 2021 – tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137/2020, convertito con l. n. 176/2020 – la causa è stata trattenuta in decisione.

4. L’appello è privo di fondamento.

4.1. Come eccepito dalla difesa erariale nella memoria depositata il 28 giugno 2014, anche qualora si volesse ritenere fondato l’assunto dell’appellante sig. -OMISSIS-, secondo cui la sentenza di prime cure sarebbe incorsa in un’illegittima applicazione retroattiva dell’art. 923, comma 5, del d.lgs. n. 66/2010 (che non sarebbe stato applicabile al caso che lo riguarda), il ricorso sarebbe comunque infondato, in quanto l’Amministrazione, anche sulla base della previgente normativa – cioè del combinato disposto di cui agli artt. 26 e 37 della l. 31 luglio 1954, n. 599, recante lo “ Stato dei Sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica ”, abrogata appunto dal d.lgs. n. 66/2010 – avrebbe dovuto adottare un provvedimento di contenuto identico a quello impugnato, comportante le medesime conseguenze, ossia il mancato transito del militare nei ruoli civili del Ministero della Difesa (nella terminologia del Legislatore del 1954, la decadenza dalla nomina all’impiego civile).

4.1.1. Il Collegio ritiene che tale eccezione sia fondata e da accogliere e che la stessa sia dirimente ai fini della decisione della controversia.

4.2.1. Invero, l’art. 26 della l. n. 599/1954 prevedeva, quale causa di cessazione del sottufficiale dal servizio permanente, alla lett. g) del primo comma, la perdita del grado. Il successivo art. 37, a sua volta, così recitava:

37. Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.

Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta ”.

4.2.2. Dal canto suo, il vigente art. 923 del d.lgs. n. 66/2010, dopo aver previsto, alla lett. i) del comma 1, quale causa di cessazione del rapporto di impiego del militare, la perdita del grado, al successivo comma 5 così dispone:

5. Il militare cessa dal servizio, nel momento in cui nei suoi riguardi si verifica una delle predette cause ( id est : le cause di cessazione dal servizio elencate nel comma 1) , anche se si trova sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con la perdita dello stato di militare ovvero con un provvedimento di perdita del grado, anche a seguito di dimissioni volontarie del militare, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tali cause. La disposizione di cui al precedente periodo si applica anche nel caso in cui la perdita del grado derivi da un procedimento disciplinare di stato instaurato dopo la definizione del procedimento penale che era pendente all’atto della cessazione dal servizio ”.

4.3. Dal raffronto tra l’art. 37 della l. n. 599/1954 e l’art. 923, comma 5, del d.lgs. n. 66/2010 emerge come in ambedue tali disposizioni sia sancito per i sottufficiali (nonché, in genere, per i militari) la prevalenza, quale causa di cessazione dal servizio, della perdita del grado rispetto alle altre cause e, in particolare, rispetto all’infermità, nel caso in cui la perdita del grado consegua ad un procedimento penale o disciplinare al quale il militare sia stato sottoposto. Se ne evince che, anche a voler ritenere applicabile al caso ora in esame non l’art. 923 cit., ma il combinato disposto degli artt. 26 e 37 della l. n. 599/1954, dovrà ugualmente affermarsi che la cessazione dal servizio dell’appellante rinviene la propria causa nella perdita del grado e non nell’infermità, come da lui preteso. Infatti, alla data della presentazione, da parte del militare, della domanda di transito nei ruoli del personale civile (4 giugno 2009), egli risultava sottoposto a procedimento penale per tentata rapina, ed anzi già condannato in primo grado per tale reato, la predetta sentenza di condanna, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Milano, recando, come visto sopra, la data del 22 gennaio 2009 (cfr. doc. 1 allegato dall’Avvocatura dello Stato alla memoria depositata il 26 maggio 2014, nuovamente allegato come doc. 1 alla memoria depositata il 28 giugno 2014).

4.3.1. Quanto detto comporta l’infondatezza dei primi tre motivi di appello, poiché:

a) l’art. 923 del d.lgs. n. 66/2010 era la norma vigente al tempo dell’adozione del provvedimento di irrogazione della perdita del grado – datato-OMISSIS- –, e quindi ad esso applicabile in forza del principio “ tempus regit actum ”. Peraltro, il provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare non richiama espressamente il comma 5 dell’art. 923 cit., ma altri commi di detta disposizione e, in specie, la lett. i) del comma 1 e ciò ben si spiega, perché (come già visto) si tratta della norma vigente alla data del-OMISSIS-, che prevedeva – e tuttora prevede – la perdita del grado quale causa di cessazione del rapporto d’impiego del militare;

b) non può parlarsi, dunque, di applicazione retroattiva del comma 5 dell’art. 923 cit., anche perché quest’ultimo, come detto, ha soltanto riprodotto un principio – quello della prevalenza della perdita del grado quale causa di cessazione del militare dal servizio permanente, rispetto all’infermità – che già era previsto dalla normativa anteriore e, in particolare, dalla normativa vigente al momento della presentazione, ad opera del militare, dell’istanza di transito nei ruoli del personale civile (22 giugno 2009);

c) per le ragioni fin qui esposte, non può ritenersi che sull’ora vista istanza di transito si fosse formato alcun silenzio assenso e che, pertanto, la P.A. dovesse rimuovere in autotutela il provvedimento per silentium di passaggio del militare all’impiego civile, prima di poter infliggere al medesimo militare la sanzione della perdita del grado. La pendenza, alla data di presentazione della domanda di transito, di un procedimento penale nei confronti del richiedente, già concluso, per quanto riguarda il giudizio di primo grado, con la condanna a suo carico, impedisce, infatti, di ipotizzare la formazione del cd. silenzio assenso sull’istanza di transito nei ruoli civili, non potendo la suddetta istanza costituire un “ commodus discessus ” finalizzato ad evitare il rigore dell’ordinamento militare (C.d.S., Sez. II, 15 ottobre 2019, n. 7037) e rinvenendosi la ratio della normativa in esame nella necessità di evitare che, attraverso la cessazione anticipata dal servizio, si possano eludere gli effetti sfavorevoli di un giudizio penale o disciplinare (C.d.S., Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7734);

d) analogamente, non può ritenersi che l’Amministrazione militare avesse perso il potere di procedere in via disciplinare nei confronti del militare, per quest’ultimo non essendosi giammai perfezionato – neppure tramite il cd. silenzio assenso – il passaggio all’impiego civile, per le ragioni di cui al punto precedente.

4.4. Parimenti infondato è, ancora, il quarto motivo dell’appello, non essendo ravvisabile nessuna violazione del principio di proporzionalità, in ragione – come ricorda la sentenza appellata – sia della gravità della condotta del ricorrente punita con l’ultima condanna, sia, soprattutto, degli altri numerosi precedenti penali da cui egli era stato già attinto: elementi, questi, a bilanciare i quali non può ritenersi sufficiente il percorso riabilitativo intrapreso dall’interessato.

4.4.1. La tesi dell’appellante, secondo cui per l’inflizione della sanzione disciplinare rileverebbero i soli precedenti disciplinari del militare e non anche quelli penali, è frutto di una lettura irragionevole ed illogica dell’art. 1355 del d.lgs. n. 66/2010, che impedirebbe alla P.A. di tenere conto dei fatti di maggiore gravità per l’ordinamento generale (e così, nel caso de quo , della condanna dell’appellante per tentata rapina aggravata): una simile lettura va pertanto rifiutata, atteso che, ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, nell’interpretazione delle legge, il significato delle parole va ricercato tenendo conto dell’intenzione dell’autore della disposizione, e ciò porta ad escludere la legittimità di interpretazioni che risultino contrarie ad elementari principi della logica e della razionalità (C.d.S., Sez. V, 25 maggio 2010, n. 3311).

4.4.2. Peraltro, va aggiunto che, anche a seguire la tesi dell’appellante, risultano a suo carico, per sua stessa ammissione, plurimi provvedimenti di sospensione dall’impiego per motivi disciplinari (pag. 4 dell’appello).

4.5. Da ultimo, risulta senz’altro corretta l’affermazione del primo giudice, secondo cui “ il rigetto dell’azione di annullamento comporta la reiezione anche dell’azione risarcitoria ”, con conseguente infondatezza anche del quinto e ultimo motivo dell’appello, non sussistendo il vizio di omissione di pronuncia sulla domanda di risarcimento dedotto con il suddetto motivo.

5. Sulla scorta di quanto esposto, in conclusione, l’appello risulta nel suo complesso infondato e deve, perciò, essere respinto

6. Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi