Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-11-30, n. 201705623

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-11-30, n. 201705623
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201705623
Data del deposito : 30 novembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/11/2017

N. 05623/2017REG.PROV.COLL.

N. 04368/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4368 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati C V e G P, con domicilio eletto presso lo studio G P in Roma, corso del Rinascimento, 11;

contro

U.T.G. - Prefettura di -OMISSIS-, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Camera di Commercio di -OMISSIS-, Provincia di -OMISSIS- non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il rigetto dell’istanza di iscrizione in elenco fornitori (white list).


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di -OMISSIS- e di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2017 il Cons. Luigi Birritteri e uditi per le parti gli avvocati G P e l'Avvocato dello Stato Tito Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza -OMISSIS- il Tar per il Piemonte respingeva il ricorso proposto dalla -OMISSIS- avverso il diniego di iscrizione nella white list della Prefettura di -OMISSIS- e la contestuale interdittiva antimafia.

Il primo giudice - dopo aver rilevato il carattere vincolato del diniego di iscrizione in presenza di un’interdittiva antimafia con conseguente irrilevanza della dedotta violazione dell’art. 10 bis della l.n. 241/1990 in relazione al disposto dell’art. 21 octies della medesima legge – confermava l’esistenza a carico della società ricorrente del pericolo di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata.

Più in particolare il TAR, sulla base di una lettura sinergica del quadro indiziario esposto dall’amministrazione a carico della società ricorrente, riteneva gli impugnati provvedimenti adeguatamente motivati, osservando testualmente che:

“.. dalle note della DIA del 2011 e dai provvedimenti del GIP di -OMISSIS-del giugno 2015 emergono, in verità, molteplici riscontri della situazione della società prospettata dalla Prefettura di -OMISSIS- nell’atto impugnato, rientranti, tra l’altro, negli indici, previsti dalla vigente normativa, del rischio di tentativo di infiltrazione o condizionamento mafioso.

Da un lato-OMISSIS-, titolare del 90% delle quote sociali ed amministratore unico della -OMISSIS-, risulta essere stato effettivamente oggetto di segnalazioni di polizia per i reati di associazione a delinquere ed attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (e quindi, come correttamente affermato nel provvedimento impugnato, essere stato “deferito” per essi “all’Autorità Giudiziaria”) per poi essere rinviato a giudizio solo per l’ipotesi meno grave dell’art. 256 del d.lgs. n. 152/2006 e beneficiare di una sentenza di non luogo a procedere per prescrizione, emessa dal GUP di -OMISSIS-

A suo carico esiste, inoltre, come evidenziato dall’Avvocatura dello Stato, anche il “procedimento penale n. -OMISSIS-presso il Tribunale di -OMISSIS-… per reati di traffico illecito di rifiuti di cui agli artt. 256 e 260 d.lgs. n. 152/06, scaturito dall’attività del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale di -OMISSIS-”.

Il rapporto commerciale tra la -OMISSIS-, indiziato di appartenere alla ndrangheta), documentato in occasione dell’accesso ispettivo interforze del -OMISSIS-presso il cantiere della -OMISSIS-, seppur episodico, diviene, poi, un elemento significativo se letto congiuntamente all’incarico di custode dell’impianto industriale conferito per alcuni mesi, su sua espressa richiesta ed in base alla dichiarazione di piena disponibilità della società, a -OMISSIS-, gravemente indiziato di rapporti con associazioni malavitose, in particolare con la cosiddetta “ndrangheta del Basso Piemonte”, come precisato nel provvedimento inflittivo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

L’assunzione di dipendenti (in particolare come guardiani e custodi) segnalati da organizzazioni malavitose rappresenta, infatti, una tipica modalità di infiltrazione della criminalità organizzata nelle aziende, nonché sintomo dell’infiltrazione stessa.

L’ordinanza di applicazione della misura interdittiva nei confronti di-OMISSIS- ed il decreto di sequestro preventivo su parte dell’impianto -OMISSIS-, non appaiono riguardare fattispecie di reato che nulla hanno a che fare con la criminalità organizzata, ma fanno riferimento ai “reati previsti dagli artt. 81 comma 1 c.p., 256 e 260 del d.lgs. n. 152/2006” e, dunque, proprio ad una fattispecie, l’art. 260, tra quelle indicate dall’art. 51 comma 3 bis c.p.p. cui fa espresso rinvio l’art. 84 comma 4 del Codice Antimafia.

Il provvedimento cautelare del Tribunale di -OMISSIS-appare smentire, inoltre, la tesi dell’esclusione di ogni coinvolgimento di -OMISSIS-insieme ai -OMISSIS- in un’attività associata di gestione illecita dei rifiuti: in esso si fa riferimento al -OMISSIS-ed a altre persone tra cui -OMISSIS--OMISSIS- che “in concorso tra loro… e quindi con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate gestivano abusivamente… rifiuti pericolosi e/o non pericolosi” (p. 71- 72) e si evidenzia che dagli elementi raccolti nell’indagine “emerge il coinvolgimento di -OMISSIS--OMISSIS-, quale titolare dell’impianto di recupero rifiuti denominato -OMISSIS- nell’attività illecita organizzata in esame, consistita nella ricezione abusiva dei suddetti rifiuti speciali non pericolosi” (p. 303).

Se, infine, i rapporti tra la -OMISSIS- e la -OMISSIS-società infiltrata dalla ndrangheta in mano, di fatto, alla famiglia -OMISSIS-e, in particolare, a -OMISSIS--OMISSIS-, non hanno trovato conferma in successivi approfondimenti, ininfluenti sulla ricostruzione effettuata dall’Amministrazione risultano le spiegazioni fornite dalla ricorrente circa le dimissioni di -OMISSIS-dalle cariche rivestite nella -OMISSIS-, rassegnate il -OMISSIS-, stante la natura individuale del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriale ed il fatto che i mutamenti degli organi sociali che “per i tempi in cui vengono realizzati… denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia” rappresentano un’ipotesi tipizzata dall’art 84 del Codice Antimafia di comportamento da cui desumere il rischio di tentativo di infiltrazione

Avverso tale decisione ha proposto appello la -OMISSIS- deducendo la violazione dell’art. 10 bis anche in rel. all’art. 21 octies legge n. 241/1990;
nonché la violazione degli artt. 84 e 91 del codice antimafia (D.lgs n. 159/2011).

Sotto quest’ultimo profilo l’appellante lamenta che il socio-OMISSIS- non è mai stato rinviato a giudizio per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti ma soltanto per il meno grave reato di cui all’art. 256 T.U. 152/2006;
che i rapporti intrattenuti con -OMISSIS--OMISSIS-(il cui padre è sospettato di mantenere legami con la criminalità organizzata) si riducono ad un'unica e del tutto lecita operazione commerciale;
che l’assunzione per soli tre mesi e sotto il “controllo” dell’autorità giudiziaria di -OMISSIS- non assume alcuna valenza indiziaria del contestato condizionamento;
che il pericolo di infiltrazione neppure può desumersi dall’ordinanza cautelare emessa dal GIP di -OMISSIS-a carico del -OMISSIS-, pur se riferita al reato di cui all’art. 260 del T.U. n. 152 cit., poiché la contestazione fa riferimento alle sole modalità di gestione di un rifiuto e non testimonia di un legame stabile con tali -OMISSIS-.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno invocando il rigetto del gravame.

Nella pubblica udienza del 26 ottobre 2017, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere respinto.

In linea di diritto giova richiamare i principi espressi dalla Sezione in tema di interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743, nonché, da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, 14 aprile 2017, n. 670), con particolare riguardo alla ratio dell’istituto volto alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione.

In tale ambito per l’adozione del provvedimento interdittivo rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento, che vanno letti sinergicamente, mentre una visione ‘parcellizzata’ di essi risulterebbe del tutto fuorviante.

Peraltro, l’informativa antimafia non ha natura sanzionatoria ed il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è quello mafioso.

Pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa – purchè certi sotto il profilo fattuale - possono essere penalmente irrilevanti e persino oggetto di pronunce assolutorie, mantenendo, tuttavia, inalterata la loro valenza indiziaria a carico dell’imprenditore che si pone su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità idonea a legittimare l’adozione dei provvedimenti impugnati.

In tale contesto l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che tale valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, rimanendo estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (cfr. Cons. Stato n. 7260 del 2010).

Sulla base di tali principi, le doglianze sollevate dall’appellante non possono essere condivise.

Il provvedimento di diniego di iscrizione nella white list e la contestuale interdittiva antimafia della Prefettura di -OMISSIS- si fondano, come esposto in narrativa, su plurimi indizi di permeabilità della società appellante tutti fattualmente documentati.

E’, infatti, incontroverso che-OMISSIS-, titolare del 90% delle quote sociali ed amministratore unico della società appellante fino al -OMISSIS-, risulta coinvolto in procedimenti penali per associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti e tale fatto è, di per sé, peculiarmente significativo del concreto pericolo di infiltrazione criminale in un settore (qual è quello dello smaltimento rifiuti in cui opera la -OMISSIS-) particolarmente esposto all’azione di organizzazioni criminali della massima pericolosità (tra le quali è, ovviamente, compresa la ndrangheta calabrese, da lungo tempo pienamente inserita nel contesto territoriale in cui opera l’impresa appellante).

In tale contesto “ambientale” vanno sinergicamente letti gli ulteriori dati fattuali presi in esame nel provvedimento prefettizio impugnato ed inerenti i rapporti non soltanto con la -OMISSIS- (riconducibile a -OMISSIS--OMISSIS-) ma anche quelli con -OMISSIS-e -OMISSIS-(per i quali ultimi, peraltro, le interdittive antimafia a loro carico emesse sono state confermate dal Consiglio di Stato), nonché l’incarico di custode affidato dalla società appellante a -OMISSIS-.

A fronte di tali dati obiettivi parte appellante si limita a fornire una diversa lettura del quadro indiziario meramente alternativa a quella – razionale e coerente – formulata nel provvedimento impugnato, da un lato procedendo ad un esame parcellizzato e scollegato dei suddetti indizi e dall’altro allegando giustificazioni prive di decisività.

In tal senso il mancato rinvio a giudizio per traffico di rifiuti dedotto dall’appellante è dato del tutto neutro rispetto all’autonoma valutazione che spetta, sul punto, all’autorità amministrativa che ben può dedurre – secondo i principi sopra richiamati– persino una pronuncia assolutoria elementi di significativa valenza fattuale idonei a testimoniare il pericolo dell’infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa.

Tutto ciò senza dire che il -OMISSIS-risulta, comunque, coinvolto in altro procedimento penale, sempre per traffico di rifiuti, fatto rispetto al quale è stato raggiunto dal divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali, con un primo positivo vaglio di fondatezza del quadro indiziario asseverato dal GIP presso il Tribunale di -OMISSIS-(che tale misura ha applicato).

Ne vale osservare che in tale provvedimento non risulta contestato che le attività del -OMISSIS-siano finalizzate ad agevolare attività criminose di tipo mafioso, trattandosi di questione di esclusivo rilievo penale del tutto scollegata con la natura giuridica del provvedimento impugnato, volto a prevenire il pericolo di infiltrazione e non certo a sanzionare condotte agevolatrici di associazioni criminali.

Parimenti irrilevante è la circostanza che l’assunzione di -OMISSIS- - peraltro con le più classiche mansioni di custodia - è avvenuta (non già su richiesta bensì) previo nulla osta della competente sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di -OMISSIS-, trattandosi di soggetto sottoposto alla Sorveglianza Speciale di p.s., poiché il dato che rileva è che la richiesta di assunzione promana dalla stessa -OMISSIS- ed è, pertanto, circostanza fattuale logicamente e razionalmente utilizzabile quale indizio concreto del pericolo di infiltrazione.

Sicchè, nel merito, la valutazione operata dal Prefetto di -OMISSIS- si sottrae alle censure dedotte dall’appellante risultando, al contrario, del tutto logica e coerente rispetto ai dati fattuali posti a sostegno dell’adottata interdittiva antimafia e della conseguente esclusione della società appellante dalla White List.

Parimenti infondato risulta il motivo d’appello relativo alla mancata adozione delle garanzie partecipative.

Al riguardo va richiamato il consolidato indirizzo di questo Consiglio, secondo cui in questo tipo di procedimenti non sono previsti né la comunicazione di avvio, di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990, né le altre ordinarie garanzie partecipative atteso che si tratta di procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali intrinsecamente caratterizzati da profili del tutto specifici connessi ad attività di indagine, oltre che da finalità, da destinatari e da presupposti incompatibili con le procedure partecipative, nonché da oggettive e intrinseche ragioni di urgenza (così Cons. St., sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555).

Sotto diversa angolazione, la portata vincolante dei provvedimenti prefettizi antimafia, rispetto alle amministrazioni destinatarie della documentazione antimafia, rende irrilevante l’esistenza di errori procedimentali da queste compiuti nell’emissione dei provvedimenti consequenziali al documento antimafia, non avendo tali vizi efficacia invalidante ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della stessa l. n. 241 del 1990 per il contenuto vincolato dei provvedimenti stessi (cfr. Cons. St., sez. III, 12 marzo 2015, n. 1292, nonché Cons. St., sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653).

In conclusione l’appello va respinto con conferma integrale della sentenza di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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