Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-07-14, n. 202306902

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-07-14, n. 202306902
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202306902
Data del deposito : 14 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/07/2023

N. 06902/2023REG.PROV.COLL.

N. 03836/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3836 del 2019, proposto dalla società Circus Energy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. A S D ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma alla Piazza San Lorenzo in Lucina, n. 26;

contro

Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. S.p.A., in persona del Direttore della Direzione Affari Legali e Societari, avv. V M Vgilante, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti A C, F V e A P, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Cancrini e Partners in Roma, Piazza San Bernardo, n. 101;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, del 28 marzo 2019 n. 4116, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Gestore Servizi Energetici – Gse S.p.A. e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 marzo 2023 il cons. Francesco Guarracino e uditi per le parti gli avvocati A S D e F V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società Circus Energy S.r.l. ha appellato la sentenza, indicata in epigrafe, con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha respinto il ricorso e i successivi motivi aggiunti proposti avverso i provvedimenti del Gestore dei Servizi Energetici S.p.a. che dapprima l’avevano sospesa cautelarmente e poi l’avevano dichiarata decaduta dal diritto alla tariffa incentivante di cui al D.M. 5 maggio 2011 (c.d. Quarto conto energia) per l’impianto fotovoltaico denominato Circus Energy, di potenza pari a 994,52 kW, sito nel Comune di Trani (BT), in località Contrada Santa Perpetua, con conseguente richiesta di restituzione degli incentivi indebitamente percepiti per un ammontare di € 1.815.869,82.

Si è costituito in giudizio per resistere all’appello il Gestore dei Servizi Energetici.

Le parti hanno prodotto scritti difensivi.

Si è successivamente costituito in resistenza anche il Ministero dello Sviluppo economico.

Con ordinanza collegiale del 2 novembre 2022, n. 9517, in considerazione della richiesta di differimento della trattazione dell’appello presentata dall’appellante in attesa della definizione dell’istanza di riesame proposta al Gestore in virtù del regime introdotto dall’art. 56, commi 7 e 8, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con l. 11 settembre 2020, n. 120, è stato disposto il rinvio della trattazione a un’udienza pubblica del primo trimestre del 2023 da fissarsi con separato decreto presidenziale.

In vista della discussione il Gestore dei Servizi Energetici ha prodotto una nuova memoria, rappresentando, tra l’altro, che il procedimento di riesame era sospeso in attesa della pubblicazione della sentenza di appello in un parallelo giudizio innanzi al giudice penale.

L’appellante ha prodotto una memoria di replica e ha chiesto un ulteriore rinvio della decisione.

Alla pubblica udienza del 7 marzo 2023, non ritenendosi sussistenti le eccezionali ragioni per addivenire al rinvio per la seconda volta richiesto, le parti sono state invitate a discutere la causa e, all’esito, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. – In via preliminare dev’essere ribadita l’insussistenza delle eccezionali ragioni per disporre un nuovo rinvio della trattazione della causa, che, all’uopo richieste dall’art. 73, co. 1 bis, c.p.a., possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti (ex aliis, C.d.S., sez. VII, 22 dicembre 2022, n. 11190;
C.G.A.R.S., 31 gennaio 2022, n. 153).

2. – Nel merito, poiché la controversia concerne un provvedimento di decadenza della tariffa incentivante per un impianto fotovoltaico ritenuto oggetto di artato frazionamento, mette conto precisare da subito, in punto di fatto, le motivazioni che sono state fornite dal Gestore dei Servizi Energetici (d’ora innanzi GSE) a sostegno del provvedimento in questione, adottato il 1° giugno 2017.

In tale atto il GSE osservava, per quanto più interessa, che:

« - sulla base delle risultanze emerse nel corso dell’attività di verifica e di quanto contenuto negli atti afferenti al procedimento penale n. 6477.11 R.G.n.r./Mod.21, emerge chiaramente che:

• le Denunce di inizio attività relative agli impianti di proprietà delle società Circus Energy S.r.l. (DIA 26797) e Poa Solar S.r.l. (DIA 30402) sono state presentate nel medesimo periodo (luglio 2008);

• i terreni sui quali risultano installati gli impianti nn. 610733 e 610569, rispettivamente nella titolarità delle società Circus Energy S.r.l. e Poa Solar S.r.l., sono attualmente censiti al Fg. 73, p.lle 251 e 252 del NCT del Comune di Trani. Detti terreni, tuttavia, alla data di presentazione delle predette DIA, costituivano un unico terreno, di proprietà della Aziende Agricole Di Martino S.a.s, a suo tempo censito al Fg 73 p.lla 150, “all’uopo artatamente frazionati [il 4 dicembre 2009] in superfici idonee ad allestire impianti fotovoltaici di potenza inferiore a 1 MW”;

• i proprietari dei summenzionati terreni hanno trasferito alle società Circus Energy S.r.l. e Poa Solar S.r.l. i diritti di superficie afferenti agli stessi nella medesima data (30 maggio 2011);

• la società Sol Technology GMBH ha acquistato, rispettivamente, in data 6 maggio 2011 e 1° giugno 2011, la proprietà del capitale sociale delle società Circus Energy S.r.l. e Poa Solar S.r.l.;

- quanto illustrato ai precedenti punti delinea un evidente piano volto a realizzare un impianto fotovoltaico di potenza superiore a 1 MW, evitando il conseguimento dell’Autorizzazione Unica Regionale, che comporta valutazioni specifiche in ordine alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico eluse con l’accesso ad una procedura semplificata (nel caso di specie, la DIA);

[…]

- in ragione dei consolidati orientamenti giurisprudenziali […] è da ritenersi illegittima la realizzazione, mediante il conseguimento delle DIA in luogo dell’Autorizzazione Unica, di più impianti fotovoltaici, riconducibili al medesimo centro di interessi e artificiosamente frazionati, allo scopo di eludere i limiti di potenza fissati dalla normativa di riferimento, da cui consegue, nel caso di specie, la violazione rilevante di cui alla lettera j) dell’Allegato 1 del D.M. 31 gennaio 2014 - "insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell’impianto, per l’accesso agli incentivi ovvero autorizzativi”;

- alla luce di quanto emerso nel corso dell’attività di verifica e di quanto riportato nella “Richiesta di rinvio a giudizio n. 6477.11 R.G.n.r./Mod.21, del 4 novembre 2015”, le dichiarazioni rese dalla Società in ordine al rispetto dei requisiti previsti dalla normativa di riferimento, all’atto della presentazione dell’istanza di incentivazione, sono da intendersi non veritiere conseguendone, pertanto, la violazione rilevante di cui alla lettera a), dell’Allegato 1 del D.M. 31 gennaio 2014 – “presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi” ».

3. – Il T.A.R. ha ritenuto che i sopra richiamati dati di fatto fossero pacifici, in quanto non contestati tra le parti e anzi confermati dai riscontri provenienti dalla sentenza di patteggiamento n. 640 del 2016, emessa dal Tribunale di Trani, e ha respinto i motivi di censura articolati in primo grado ritenendo, in sintesi, che:

- il GSE, ai fini della concessione delle incentivazioni, fosse abilitato a compiere una valutazione complessiva dei titoli autorizzativi relativi all’impianto oggetto di controllo, compresa la verifica dell’idoneità del titolo edilizio, con conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 sui controlli in materia di incentivi, trattandosi di una norma non comportante alcuna invasione delle attribuzioni in materia di governo del territorio spettanti alle amministrazioni locali;

- ricorressero nella specie le “gravi ragioni” ex art. 21 quater l. 241 del 1990 atte a giustificare la sospensione degli incentivi nelle more del procedimento di decadenza;

- fosse corretta la valutazione del GSE sulla sufficienza degli indizi che conducevano a ritenere sussistente, nel caso di specie, un’ipotesi di artato frazionamento di un unico impianto con potenza complessivamente superiore ad 1 MW, con conseguente necessità di ottenere, quale titolo abilitante, l’autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e non la mera D.I.A.: sia perché la ricorrente si sarebbe limitata ad affermare, in modo del tutto generico, che si sarebbe trattato di impianti caratterizzati da reciproca autonomia, senza dovutamente contestare le circostanze sintomatiche indicate dal GSE, sia perché i dati di fatto allegati nei primi motivi aggiunti a sostegno dell’assunto, relativi alla data di presentazione delle D.I.A. (7 e 25 luglio 2008) e alla data di entrata in esercizio (17 e 26 agosto 2011) condurrebbero piuttosto in direzione contraria per le coincidenze temporali che presentano (trattandosi di date assolutamente ravvicinate);

- dovesse escludersi l’applicabilità del regime di sanatoria previsto dall’art. 10, co. 6, del d.lgs. n. 28 del 2011 per mancanza del presupposto di partenza, costituito dal fatto di aver conseguito o aver presentato richiesta per conseguire il titolo abilitativo necessario, che nella specie, avuto riguardo alla potenza complessiva, era l’autorizzazione unica;

- non potesse dubitarsi della legittimità, sotto il profilo dell’osservanza del principio di proporzionalità, delle previsioni delle fattispecie di violazioni rilevanti descritte alle lett. a) e j) dell’Allegato n. 1 al D.M. 31 gennaio 2014, richiamate nella motivazione del provvedimento di decadenza, trattandosi di semplice specificazione di un precetto già fissato a livello primario dall’art. 42, co. 5, lett. c, del d.lgs. n. 28 del 2011;

- il provvedimento di decadenza non fosse espressione della generale potestà di autotutela di cui all’art. 21 nonies della l. 241 del 1990, ma del potere di verifica declinato dalla norma speciale dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, esercitabile anche a valle del provvedimento di ammissione al beneficio ed estraneo ai parametri generali indicati dall’art. 21 nonies cit.;

- vertendosi in tema di atto vincolato di decadenza accertativa della mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine l’ammissione al finanziamento pubblico, la misura adottata avesse natura meramente ripristinatoria dell’interesse pubblico, e non anche sanzionatoria, dovendosi perciò escludere che il potere di decadenza previsto dall’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 fosse incostituzionale per contrasto con il sistema sanzionatorio delineato dalla legge di delegazione (art. 2, co. 1, lett. c, della l. n. 96 del 2010) o in conflitto coi parametri desumibili dalla CEDU o, ancora, affetto da irragionevolezza;

- dovesse escludersi, in virtù del principio tempus regit actum , che il provvedimento di decadenza potesse ritenersi illegittimo per contrasto con il sopravvenuto parametro normativo di cui all’art. 42, comma 3, seconda parte, del d.lgs. n. 28 del 2011, introdotto dall’art. 1, comma 960, della legge n. 205 del 2017, che per il suo univoco tenore letterale è applicabile solo in relazione a provvedimenti emanati successivamente alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2018).

4. – L’appellante articola nove motivi di appello.

5. – Col primo motivo di appello è riproposta la questione relativa alla competenza del GSE a sindacare i titoli autorizzativi rilasciati dalle amministrazioni territoriali, attesa la previsione dell’art. 42, co. 2, del d.lgs. n. 28 del 2011 (per cui ““restano ferme le competenze in tema di controlli e verifiche spettanti alle amministrazioni [...] regionali, agli enti locali”) e stante la giurisprudenza di questo Consiglio per la quale la verifica circa la corrispondenza tra potenza autorizzata e realizzata è appannaggio esclusivo dell’amministrazione territoriale di riferimento.

Il motivo è infondato.

Se è vero, infatti, che qualora il GSE dubiti della legittimità di un atto rilasciato da altra amministrazione deve interloquire con quest’ultima invitandola a esercitare i poteri di controllo e a trasmettere tempestivamente l’esito degli accertamenti effettuati (C.d.S., sez. IV, 18 novembre 2019, n. 7883), è vero anche che nella specie si verte dell’esercizio di un differente potere (di decadenza) di competenza del GSE, per ragioni indipendenti dall’inefficacia dei titoli abilitativi in concreto formati, ancorato alla verifica della veridicità delle dichiarazioni rese dall’istante e al regime applicabile per l’accesso agli incentivi in esame (stante l’attuazione di un progetto di investimento da considerare unitariamente ai fini dell’accesso alla pubblica incentivazione), dovendosi, più in generale, rilevare che è ben possibile che più enti siano titolari di attribuzioni diverse, il cui esercizio implica la soluzione di questioni pregiudiziali, giuridiche o fattuali, comuni, senza che ciò significhi che la soluzione alla questione comune fornita da un’amministrazione vincoli l’altra nell’esercizio di una diversa attribuzione. Inoltre, l’invasione delle altrui attribuzioni è ravvisabile soltanto nei casi in cui un’amministrazione eserciti un potere alla stessa non spettante, adottando ovvero sindacando la legittimità e l’efficacia di titoli autorizzativi (di competenza e) rilasciati da altra amministrazione, e non quando invece risolva questioni pregiudiziali, rilevanti per definire la regula iuris del caso concreto, in senso difforme rispetto a quanto statuito da altra amministrazione nell’esercizio di un diverso potere pubblico. (C.d.S., sez. II, 29 dicembre 2022, n. 11552;
id., 18 gennaio 2023, n. 640).

6. – Il secondo motivo di appello riguarda la pretesa autonomia fisica e funzionale dei due impianti, la quale sarebbe dimostrata, in particolare, dal fatto di possedere un autonomo punto di connessione (POD), oltre a una recinzione esclusiva e distinta.

Il motivo è infondato.

La presenza di un’unica recinzione o di recinzioni distinte non assume alcun rilievo ai fini dell’autonomia fisica e funzionale degli impianti in quanto tali.

Quanto all’autonomia del punto di connessione, è da condividere la giurisprudenza della Sezione secondo cui in presenza di elementi di unicità sostanziale degli impianti divengono recessivi quegli aspetti che si declinano come di separazione formale, quale la dotazione di un proprio punto di connessione alla rete di distribuzione (C.d.S., sez. II, 12 aprile 2022, n. 2743;
29 dicembre 2022, n. 11552;
18 gennaio 2023, n. 640).

7. – Il terzo motivo di appello è volto a dimostrare che, diversamente da quanto avallato dal T.A.R., anche un impianto di 2 MW avrebbe potuto essere assentito con DIA, non essendo necessaria l’autorizzazione unica, attesa l’operatività, ratione temporis , del regime semplificato esteso dal D.M. 19 febbraio 2007.

In particolare, pur avendo riconosciuto l’astratta applicabilità del regime autorizzativo dell’art. 5, co. 7, del D.M. 19 febbraio 2007, il primo giudice sarebbe incorso in errore nel ritenere che non fossero state provate, e neppure allegate, le condizioni preliminari previste per la sua applicazione, vale a dire l’insussistenza di vincoli che necessitassero di apposite autorizzazioni, che invece sarebbero state dimostrate dall’attestazione del progettista, riportata in stralcio negli atti difensivi, e dall’attestazione di idoneità della DIA rilasciata dal Comune nel 2011.

Il motivo è infondato.

La costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili sono soggetti all’autorizzazione unica, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (art. 12, co. 3, d.lgs. n. 387 del 2003);
è prevista una procedura autorizzativa semplificata in relazione agli impianti con capacità di generazione inferiore rispetto alle soglie indicate (tabella A, allegata al medesimo decreto legislativo), diversificate per ciascuna fonte rinnovabile, cui si applica invece la disciplina della DIA (art. 12, co. 5, d.lgs. n. 387 del 2003).

L’art. 5, co. 7, del D.M. Sviluppo economico del 19 febbraio 2007 prevedeva all’epoca che “ ai sensi dell’art. 12, comma 5, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, per la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici per i quali non è necessaria alcuna autorizzazione, come risultante dalla legislazione nazionale o regionale vigente in relazione alle caratteristiche e alla ubicazione dell’impianto, non si dà luogo al procedimento unico di cui all’art. 12, comma 4, del medesimo decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, ed è sufficiente per gli stessi impianti la dichiarazione di inizio attività. Qualora sia necessaria l’acquisizione di un solo provvedimento autorizzativo comunque denominato, l’acquisizione del predetto provvedimento sostituisce il procedimento unico di cui all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387. Le predette previsioni si applicano anche agli impianti che hanno acquisito il diritto alle tariffe incentivanti ai sensi dei decreti interministeriali 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006 ”.

Il richiamato documento del Comune (doc. 6 produzione primo grado GSE) non era idoneo a comprovare che non fosse necessaria alcuna autorizzazione in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico per la costruzione e l’esercizio dell’impianto, sia a causa della competenza limitata ratione materiae dell’ente comunale, sia del fatto che testualmente si limitava ad attestare che la DIA del 7 luglio 2008, avente a oggetto la realizzazione dell’impianto fotovoltaico de quo , costituiva titolo idoneo alla “realizzazione del suddetto impianto”.

Quanto alle affermazioni di terzi riportate de relato negli scritti difensivi, ad esse non può essere riconosciuto valore neppure indiziario.

Alle carenze dell’impianto probatorio a sostegno della domanda non può sovvenirsi d’ufficio mediante una verificazione o una C.T.U. in ordine alla sussistenza di vincoli di qualsiasi natura sul sito di realizzazione dell’impianto, come invece chiesto dall’appellante.

8. – Il quarto motivo di appello è incentrato sulla sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 10, co. 6, del d.lgs. 28 del 2011, che aveva escluso che le condizioni di accesso agli incentivi statali dettate dal co. 4 per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole (tra cui “ la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 MW e, nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 chilometri ”) si applicassero agli impianti “ che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro il 1° gennaio 2011, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto ”.

Secondo l’appellante l’assunto del T.A.R., per il quale sarebbe mancato lo stesso presupposto di partenza costituito dal fatto di aver conseguito o presentato richiesta per conseguire il titolo abilitativo necessario, individuato nell’autorizzazione unica in ragione della potenza complessiva, sarebbe in contraddizione con la ratio della norma, la quale avrebbe mirato alla salvezza dell’incentivazione proprio nei casi in cui più impianti apparentemente distinti (quindi separatamente autorizzati) dovessero in realtà considerarsi quale impianto unico di potenza maggiore pari alla somma della potenza espressa singolarmente da ciascuno di essi.

Il motivo è infondato.

L’appellante aveva presentato richiesta di riconoscimento delle tariffe incentivanti con comunicazione del 31 agosto 2011. L’impianto era stato ammesso agli incentivi con comunicazione del GSE del 12 dicembre 2011.

Si verte, dunque, in tema di decadenza dalla tariffa incentivante di cui al D.M. 5 maggio 2011 (Quarto conto energia) in attuazione dello stesso d.lgs. n. 28 del 2011.

Giova ricordare quanto già in passato riassuntivamente osservato sul quadro normativo ( ex aliis , C.d.S., sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4938).

Gli incentivi prendono la forma di una tariffa agevolata, detta appunto tariffa incentivante, che è riconosciuta per un periodo di tempo di norma pari a vent’anni al gestore dell’impianto che cede alla rete l’energia così prodotta: previsto per la prima volta dall’ora abrogato art. 7 del d. lgs. 29 dicembre 2003 n.387, attuativo sul punto della dir. 2001/77/CE, in concreto l’incentivo si riconosce secondo la disciplina prevista dai decreti ministeriali attuativi, che prendono nome di “Conto energia” e si sono succeduti nel tempo ponendo di volta in volta condizioni diverse.

Detta disciplina è riprodotta dal vigente d.lgs. 3 marzo 2011 n. 28, a sua volta attuativo della dir. 2009/28/CE, abrogativa della precedente, il quale ha introdotto un regime degli incentivi più restrittivo e ha confermato il meccanismo dei decreti “Conto energia” prevedendo in particolare all’art. 25 co. 10 la sostituzione del decreto in quel momento in vigore con uno nuovo, fondato sulle nuove condizioni di accesso all’incentivo, costituito per l’appunto dal D.M. 5 maggio 2011 (Quarto conto energia).

La giurisprudenza di questo Consiglio ha già escluso che l’art. 25, co. 10, del d.lgs. 28 del 2011 (per cui “ La produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012, è incentivata con i meccanismi vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, con i correttivi di cui ai commi successivi ”) potesse fondare senz’altro il diritto per tutti gli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 di essere incentivati con i meccanismi vigenti in precedenza, essendo l’art. 25, co. 10, norma a carattere generale, non applicabile ove dispongano norme speciali quali, per l’appunto, i commi 4 e 5 dell’art. 10 dello stesso decreto legislativo, specificamente dettati per gli impianti solari fotovoltaici, costituenti caso particolare della più ampia categoria costituita, appunto, dagli impianti alimentati da fonti rinnovabili (C.d.S., sez. IV, n. 4938/2020 cit.).

Avendo limitato l’incentivazione degli impianti fotovoltaici da realizzare su verde agricolo imponendo ad essi il rispetto di stringenti prescrizioni tecniche (art. 10, co. 4, con rinvio ai requisiti previsti dall’allegato 2), il legislatore aveva voluto sottrarre al nuovo regime, tra quegli specifici impianti, quelli che avessero conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore dello stesso d.lgs. n. 28 del 2011 o per i quali fosse stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro il 1° gennaio 2011, a condizione in ogni caso che l’impianto entrasse in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto.

La norma stabiliva così un’eccezione ratione temporis al rispetto delle condizioni sostanziali d’incentivazione, nuove e più rigorose, appena introdotte per la specifica categoria degli impianti fotovoltaici su verde agricolo, per i quali, da lì a pochi mesi, sarebbe stata prevista una generale esclusione dal diritto alla percezione delle tariffe incentivanti accompagnata da un’analoga disposizione di deroga per gli impianti che avessero già conseguito il titolo abilitativo (cfr. art. 65 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, come sostituito dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27). In entrambi i casi regola ed eccezione attenevano alla meritevolezza di incentivazione degli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, sulla quale progressivamente il giudizio del legislatore era andato cambiando di segno.

Diversamente da quanto opinato dall’appellante, perciò, la norma non era intesa a “salvare” l’incentivazione nei casi di artato frazionamento di impianti sostanzialmente unitari per i quali non era stata ottenuta o chiesta l’autorizzazione unica, ma a consentire ancora per un limitato arco di tempo l’accesso all’incentivazione per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra che non rispettassero le nuove condizioni di accesso agli incentivi statali, non solo quelli che avessero una potenza nominale superiore a 1 MW e, qualora collocati su terreni di un medesimo proprietario, si trovassero a una distanza inferiore a due chilometri l’uno dall’altro, ma anche quelli che consumassero più del 10% della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente.

9. – Il quinto motivo di appello censura la sentenza appellata per non essersi pronunciata sul motivo con cui la ricorrente aveva sostenuto che in caso di artato frazionamento non fosse possibile disporre la decadenza dal meccanismo incentivante, ma solo rimodulare la tariffa in base a quella applicabile alla maggiore potenza complessivamente prodotta dall’impianto complessivamente considerato;
poiché il giudice penale nella sentenza di “patteggiamento” sui medesimi fatti avrebbe accertato la piena legittimità del titolo autorizzativo e della percezione delle tariffe incentivanti, con l’esclusione del surplus derivante dall’applicazione della tariffa per impianti di potenza entro 1 MW, la diversa determinazione del GSE avrebbe altresì violato il principio del ne bis in idem ex art. 6 e art. 4 prot. 7 CEDU e art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, stante la chiara natura sanzionatoria del provvedimento di decadenza.

Il motivo è infondato.

La decadenza dalle misure incentivanti era espressamente prevista dall’art. 42, co. 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 e dall’art. 11 del D.M. 31 gennaio 2014.

Il primo, infatti, stabiliva che “ Nel caso in cui le violazioni riscontrate nell’ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi, il GSE dispone il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate […]”.

Il secondo, in attuazione di quella norma, a sua volta prevedeva che “ Il GSE dispone il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi con l’integrale recupero delle somme già erogate, qualora, in esito all’attività di controllo o di verifica documentale, vengano accertate le violazioni rilevanti di cui all’allegato 1, parte integrante del presente decreto. Al di fuori delle ipotesi espressamente previste dall’allegato 1, qualora il GSE rilevi violazioni, elusioni o inadempimenti cui consegua l’indebito accesso agli incentivi, dispone comunque il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi nonché l’integrale recupero delle somme eventualmente già erogate ”.

Il provvedimento di decadenza non ha natura sanzionatoria, ma ripristinatoria. Come chiarito dall’Adunanza plenaria, si tratta di un atto vincolato di decadenza accertativa dell’assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine l’ammissione all’incentivo pubblico (C.d.S., Ad. Plen., 11 settembre 2020, n. 18).

Inoltre - sia detto per tutte le volte in cui nell’appello viene richiamata la sentenza del Giudice penale di Trani - ai sensi dell’art. 445, co.

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